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Autore: Subutai Khan    13/07/2011    0 recensioni
“Per favore, non essere maleducata. Oggi mi sono alzato bene e il caffè mi è miracolosamente venuto bevibile. Non abusare della mia pazienza, non voglio doverti polverizzare e dover maledire la tua stirpe fino alla terza o quarta generazione per così poco. Inoltre, prima che tu possa dire qualcos'altro di cui ti pentiresti: io ho le risposte che cerchi. Non le vuoi sentire?”
Genere: Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ugh. Che diavolo è successo? Per caso è passato un TIR e mi ha investito?”. Mi rialzo lentamente dalla posizione supina in cui non ricordo come sono finito, una mano sulla testa a cercare di fermare il concerto di maracas che ha deciso di prendere sede nel mio cervello. Qualche secondo per focalizzare la vista, intontita e... dove stracazzo sono finito? C'è un'enorme distesa di bianco di fronte a me. Solo bianco. E un'altra persona. Una sola.
Una ragazza, suppergiù della mia età. No, mi correggo: una bella ragazza. Anzi, mi correggo ancora: una gran figa.
Anche lei impegnata nelle manovre per rimettersi eretta. Si spolvera con un gesto rapido la micro gonna, si sistema gli stivaletti che minacciavano di andarsene in giro per i fatti loro e si guarda attorno, spaesata. Immagino avremo pressapoco la stessa faccia da salmone ben abbrustolito.
Si accorge dopo qualche secondo della mia presenza. Senza una sola parola comincia a marciare nella mia direzione, coprendo rapidamente i circa sei-sette metri che ci separano. Una volta di fronte a me inchioda e alza lo sguardo per colmare i quindici centimetri buoni di disavanzo che separano le rispettive fronti. E qui le mie iniziali impressioni, che se devo dire la verità temevo di aver esagerato con il rincoglionimento e la distanza, vengono pienamente confermate: è la tipa più figa che mi sia capitato di vedere da parecchio tempo a questa parte. Ricciolini neri corti, di quelli in cui affogherei volentieri; il nasino all'insù, manco glielo avessero modificato con Photoshop per farglielo tanto perfetto; due occhi verdi che potrebbero tranquillamente essere classificati come arma di distruzione di massa da quei cialtroni dell'ONU; e, giusto per concludere in bellezza, un sacco di tette che mai guastano. Avrà almeno almeno una quarta abbondante, mostrata con generosità al pubblico pagante attraverso una scollatura che potrebbe tranquillamente fare provincia per i fatti propri. E poi lo stile finto grunge le dona un sacco, con quella giacchetta di jeans mezza strappata e la chilata di metallo che si porta in giro fra piercing e orecchini disseminati un po' sulle e dentro le orecchie, sulle sopracciglia e ovviamente sull'ombelico. Tirando le somme: nella botte di circa uno e sessantacinque, uno e settanta pare esserci del vino assai buono, almeno a giudicare dall'esterno. Proprio il mio tipo, fisicamente minuta ma dall'apparenza tosta.
Poi, per fortuna, mi dimentico di queste cose. Per carità, molto piacevoli ma ora che il criceto ha ripreso a correre mi è magicamente tornato in mente che ci troviamo in mezzo al fottuto nulla dipinto di bianco. Da soli.
“Dì un po', tu” esordisce senza preavviso, sempre guardandomi fisso in volto. Pare non essersi accorta dell'ispezione totale che le ho fatto sino a pochi secondi fa. “Hai idea di dove siamo finiti e del perché?”. Voce un po' catarrosa. Onestamente non mi meraviglia, a giudicare dalla totalità del pacco pare il tipo di persona che fuma molto, e presumibilmente non solo sigarette.
Alzo le mani appena sopra le spalle, esternando totale ignoranza. E non è che non sia vero, d'altronde. Ne so tanto quanto te, sorella.
L'incurvarsi della sua bocca in una mezza smorfia mi lascia sorpreso. Cos'è, non mi credi? Pensi che ti nasconda qualcosa? Mi risponde senza parole con un signor gancio allo stomaco. Mi piego in avanti come qualcuno... come qualcuno a cui hanno dato un pugno in pancia.
“Risposta sbagliata, bello. Riformulo. Perché ci hanno portati qui, e perché?”.
“Cosa vuoi che ne so, io? Secondo te c'ho i poteri cosmici?” balbetto, scosso più psicologicamente che fisicamente. La porterò nella mia palestra e le insegnerò per bene, se vorrà. Però deve ringraziare il mio codice d'onore perché avesse avuto l'uccello non le avrei perdonato di avermi sicuramente stropicciato la camicia di Dolce & Gabbana. Eccheccazzo.
“Sì, non hai l'aria di uno che dice palle” sentenzia tutta seriosa. Però dev'essere che le grattano ancora le mani visto che butta platealmente indietro il destro in un arco, pronta a replicare.
“Io non lo farei se fossi in te, cara la mia ragazzaccia” rimbomba improvvisamente una nuova voce.
Immediatamente alziamo entrambi la testa.
“Chi cazzo sei tu, vecchio? Identificati” se ne esce lei, la più basilare diplomazia dimenticata forse in una confezione di cartine.
Uno sbuffo di disapprovazione. Che suona come una mandria di tori lasciati liberi.
“Per favore, non essere maleducata. Oggi mi sono alzato bene e il caffè mi è miracolosamente venuto bevibile. Non abusare della mia pazienza, non voglio doverti polverizzare e dover maledire la tua stirpe fino alla terza o quarta generazione per così poco. Inoltre, prima che tu possa dire qualcos'altro di cui ti pentiresti: io ho le risposte che cerchi. Non le vuoi sentire?”.
Intimorita dalle pesanti minacce si calma un poco. Appena un poco. Ma abbastanza da permetterle di non dargli dello stronzo ogni due per tre.
“Certo che voglio. Parla!”.
Un colpo di tosse, forse posticcio. Che suona come un terremoto della settima Richter.
“Senti un po', Elisa. Mi par di capire che tu non abbia capito chi sono io. Se lo avessi fatto ti assicuro che ti saresti data una gran bella calmata, avresti tirato un sospirone profondo e ti staresti rivolgendo nei miei confronti con la deferenza che merito. Vuoi sentirtelo dire apertamente, chi sono? Così magari puoi giungere a più miti consigli?”.
E, come per magia, forse perché sconvolta dal fatto che lui l'abbia chiamata per nome nonostante lei non l'abbia mai pronunciato neanche una sola volta, perde tutto il proprio spirito combattivo e prostra la testa che, anche se non posso vedere, giurerei ora con un'espressione molto meno smargiassa.
Un applauso. Che suona come cinque o sei fulmini uno dietro l'altro.
“Ooooooh, vedi che con i giusti incentivi si può discutere come persone civili? Tienilo presente per la prossima volta. A questo punto direi che vi devo una spiegazione, Elisa Wutterstrüber e Claudio Dell'Ugola. Condoglianze per i brutti cognomi”.
...
Mi sa che persino io, col mio mirabolante quoziente intellettivo da quasi minorato e i sessanta centesimi alla maturità, ho capito con chi abbiamo a che fare.
“Ragazzi miei, odio essere latore di cattive notizie ma quando s'ha da fa si fa. Siete morti. Tutti e due”.
...
...
...
...
Lei reagisce allo stesso modo: bocca spalancata e pulsazione azzerata, a giudicare dallo sguardo.
“Non so bene perché ma allo stato attuale non vi ricordate cosa vi è successo. Purtroppo a volte gli errori succedono anche qui, e di questo mi scuso. Comunque stavate attraversando la strada e sfiga volle che in quel momento arrivasse un autotreno. Deceduti sul colpo. Nemmeno Superman avrebbe potuto fare alcunché per voi”.
Ah. Allora avevo ragione, all'inizio.
“E... e allora... perché siamo qui?” azzardo. Ma piano piano, che non vorrei farlo arrabbiare.
“Diciamo che, nonostante tutto, oggi è la vostra giornata fortunata. Come ho detto sono di eccellente umore e ho deciso di darvi una seconda possibilità”.
“Eh?”. Sempre con circospezione.
“Semplice. Potete rivivere. Forse”.
Fermatevi, occhi del menga! Tornatevene nelle vostre cavità!
“C-Cioè?”.
“Cioè quel che ho detto. Cos'è, parlo ainu per caso? Uhm. In realtà sì, posso farlo ma non in questo momento. Cercando di essere seri: visto che sono arbitro un po' di quel che mi pare mi andava di fare così. Vi rispedirò giù e, per quanto vi concernerà, sarà come se non fosse successo niente. Ma, perché lo sapevate che c'era il ma, ho delle condizioni. Numero uno: non potrete allontanarvi più di tre metri uno dall'altra, pena dolori lancinanti e conseguente morte, stavolta definitiva. Corollario alla prima condizione: mi sento davvero magnanimo oggi, quindi vi concedo cinque ore al giorno durante le quali potrete stare staccati. Sgarrate e le conseguenze saranno i succitati spasmi che vi ricondurranno istantaneamente fra le mie calorose braccia. Numero due: vivrete in simbiosi, nel senso che sarete in comunione continua e ininterrotta di pensieri, sensazioni e stimolazioni. Per farvi capire, se uno di voi due dovesse prendersi un calcio sullo stinco anche l'altro sentirà la relativa botta, come se il calcio l'avesse subito lui o lei. Numero tre: non dovrete far parola di tutto ciò ad anima viva. Non transigo su questo punto, sarebbe troppo complicato da spiegare e manderebbe in rovina le organizzazioni delle pecorelle atee a cui, alla fin della fiera, voglio bene comunque. Trovatevi delle scuse plausibili se ce ne dovesse essere bisogno. Numero quattro: al termine di un periodo di prova stabilirò chi di voi due meriterà di rimanere in quel mondo inquinato e chiassoso e chi invece tornerà a farmi compagnia, ammesso e non concesso che ci debba per forza essere un vincitore in questo piccolo gioco. Se farete i bravi bimbi avrete voce in capitolo nella scelta, altrimenti mi prenderò la briga di far da me. Domande?”.
Vedo Elisa, ora nuovamente con la faccia rivolta verso l'alto, digrignare i denti con un clangore per nulla rassicurante e agitare un pugno per aria. Penso che, se potesse, gli metterebbe le mani addosso e lo gonfierebbe di botte. Ma a questo punto anche una così grezza dovrebbe aver capito che non è il caso di saltare dalla parte sbagliata della barricata. Per quel che ne sappiamo potrebbe incenerirci seduta stante e, stando al suo tono e alla sufficiente nonchalanche che vi ho percepito, niente gli impedirebbe di farlo.
“Santo cielo, figliola. Vuoi quietarti o no? Come fai a vivere perennemente su di giri in questa maniera? Fa male al sistema nervoso. Volontà di sgozzarmi a parte, qualcuno ha dei quesiti seri o posso procedere?”.
“Niente da ridire, signore” rispondo col tono più unto e servile di cui sono capace. Che dev'essere una cosa abbastanza patetica se gli fa venir da ridere.
“Ohohohohohohohohoh Claudio, posso capire che tu non voglia maldispormi ma così esageri nell'altro senso, al contrario della tua focosa compagna di viaggio. Sii normale e stai tranquillo che non ti succederà niente di spiacevole”.
“Le chiedo scusa”.
“Accordata. E ora dai, laggiù vi si aspetta”.
Prima che lei possa esplodere in qualche urlo disarticolato verso il nostro altissimo interlocutore una luce abbagliante ci avvolge come se fosse un plaid contro il freddo. Tempo tre secondi e ci ritroviamo in un parchetto, apparentemente integri e funzionanti. Tastiamo polsi, giugulari e quant'altro senza trovare niente fuori posto. Sento chiaramente come si sia tolta un peso dal cuore e, se tanto mi dà tanto, lei starà ricevendo lo stesso da me. Per fortuna siamo soli, sarebbe stato scomodo dover imbastire una scusa convincente per due ventenni che sbucano fuori dal nulla. Immagino che qualcuno si sia premurato anche di questo, lassù da qualche parte.
“Beh, a questo punto tanto vale presentarci ufficialmente visto che dovremo passare insieme Dio solo sa quanto tempo. Sono Claudio Dell'Ugola, piacere” dico sorridendo e allungando la mano nella sua direzione.
Si volta sprezzante dalla parte opposta, senza degnare di un singolo sguardo la mia offerta di amicizia: “Elisa Wutterstrüber. E non so che piacere possa esserci nel conoscersi in simili circostanze”.
Cominciamo bene.
   
 
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