"Chiudi
gli occhi ora e apprezza ciò che di più caro hai,
immagina e spera che nessuno te ne privi mai."
Le
mani chiuse a pugno premevano sulla pietra fredda e tagliente, la
nocche
spellate, la carne scoperta che pulsa dolosamente, ma il dolore non era
nemmeno
lontanamente paragonabile al suo cuore ormai lacerato.
Le
ferite esterne sarebbero guarite in fretta, d’altronde lui
era immortale,
poteva farsi quanto male voleva, ma alla fine tutto sarebbe tornato
come prima.
Il vero dolore invece, quello no, non sarebbe mai guarito.
Lei
non sarebbe mai tornata in vita; lui non era riuscito a salvarla.
La
colpa era del Primo, della sua incapacità, in quel momento
però non riuscì a
far a meno di odiare anche se stesso. Stava diventando un debole anche
lui?
Era
per Elena che aveva deciso di seguire Giotto, di combattere al suo
fianco;
Giotto l’aveva deluso e da quel momento rendere i Vongola
più potenti diventò
la sua più grande ambizione.
Arrivò
a sacrificare sé stesso, torturare a suo piacere chi non gli
andava a genio e
tradire chi aveva dato inizio a tutto questo. La morte di Giotto poi fu
solo un
inizio, ma che importava, lui era già al fianco di Ricardo.
Il
risentimento non prese mai forma nella sua testa, perché
poi? Lui aveva perso
tutto, per uno stupido errore a cui aveva cercato di porre rimedio sin
dall’inizio.
«Elena
prova gratitudine nei tuoi confronti.»
Le
ultime parole che riuscì a sentire –
che aveva voluto udire – prima di sparire del tutto. Forse
era vero, aveva
vissuto per troppo tempo, aspettando quelle parole.
C’era un prato, un’infinita distesa
verde costellata di fiori dai colori chiari, alcuni dello stesso colore
del cielo
e il suo azzurro splendente quasi lo accecava. L’odore dei
fiori e dell’erba
veniva trascinato dall’aria, insinuandosi direttamente nelle
sue narici.
Lo sguardo del Guardiano si posò su una
scena in particolare, un singolare quadretto che quasi gli riportava
alla mente
frammenti del suo passato, o per meglio dire, la parte felice del suo
passato;
i suoi compagni erano tutti radunati lì, uno accanto
all’altro e vicino a
Giotto c’era lei… Elena.
Daemon vacillò, interdetto dai propri
pensieri che gli affollarono nuovamente la testa, chiedendosi se non si
trattasse o meno di una strana, piacevole illusione.
«Vai.»
La voce di Giotto
irruppe in quel silenzio, un sussurro velato, mentre con una mano che
aveva
poggiato sulla spalla della giovane, l’aveva incoraggiata ad
avanzare. Elena
non ci pensò due volte, afferrò due lembi opposti
della lunga gonna e corse di
fronte all’uomo che amava, pronto ad accoglierla –
incredulo – tra le sue
braccia.
«Sei tornato da me, devi
essere stanco, dopo tutti questi anni…»
Lui tremò, incredulo; dopo
troppo tempo risentire quella voce gli provocò un senso di
malinconia mista a
felicità, e senza farsi ulteriori problemi
abbracciò la giovane donna,
stringendola più forte che poteva,
tanto da sollevarla leggermente da terra.
«Ehi Primo, sbaglio o questo
è il vecchio Daemon che conoscevamo?» Quella di G.
probabilmente doveva suonare
come un provocazione, alla quale Giotto ridacchiò scrollando
le spalle e
sorridendo al Guardiano quando ne incontrò lo sguardo
sorpreso.
«Si, è il nostro prezioso
compagno e amico.»
Sembrava quasi un sogno, non
riusciva a crederci.
«Bentornato Daemon!» Lo
salutarono in coro con più o meno entusiasmo i Vongola,
Daemon non rispose, ma
sul suo viso rigato dalle lacrime, apparì un sorriso.
Non era mai stato il tipo da
mostrare eccessiva gratitudine.