Fuoco nero
«Usciamo, andiamo alla nostra radura» proferii, senza
lasciarle possibilità di scelta. Perché non avrei accettato un no questa volta.
Avevo capito cosa dovevo fare per mettere fine ai suoi tormenti, alla sua
sofferenza nell’impossibilità di poter decidere liberamente.
Ero io il vero vincolo, io e quella stupida proposta
fatta per paura di perderla. Adesso contava solo ciò che voleva lei, ma non
sembrava più curarsene.
«Non devo più nascondermi, vero?» mi domandò.
«No. Ormai il pericolo è passato».
Tranne il sottoscritto, e non le avrei permesso di
rinunciare a ciò che desiderava.
Non fiatai più, non volevo rovinare ciò che stavo
preparando nella mia mente già da un po’. Lei non mi avrebbe più sposato, non
lo avrebbe fatto perché doveva rendermi felice a tutti i costi.
Avevo promesso che i suoi desideri sarebbero stati
sempre al primo posto nei miei pensieri, ma non è stato così.
Accecato dalla paura, l’avevo costretta, raggirata con
uno stupido ricatto come aveva fatto lei con me quella sera. Non erano
compromessi i nostri, erano desideri di entrambi, costruiti sulla base delle
menzogne e parole non dette.
La depositai proprio al centro esatto della radura,
cercando di guadagnare un po’ di tempo e non sembrare brusco. Le presi la mano
e giocherellai con le sue dita sottili e delicate.
«Tredici agosto?» domandai con fare noncurante, ma
dentro di me si agitavano milioni di emozioni contrastanti, che avevano come
centro lei.
«Così mancherà un mese al mio compleanno. Non volevo
che cadesse troppo vicino».
Già, altro chiodo fisso per lei. Mi sfuggì un sospiro
di rassegnazione, perché era inutile farla ragionare: era più testarda di me, a
volte.
«Esme è nata tre anni prima di Carlisle. Lo sapevi?».
Lei mosse il capo, in segno di diniego. Ma decisi che
ormai dovevo continuare, ogni carta da giocare pur di farla restare il più a
lungo possibile umana, rientrava nelle mie grazie.
«Non ha mai contato granché».
Aveva notato la mia ansia? Probabilmente sì, perché
non riuscivo a spiegarmi il perché fosse così tranquilla e rilassata, come se
non le importasse più di nulla. Come se ogni evento, ormai, fosse acqua che
scivolava sul suo corpo senza incontrare ostacoli.
O forse era lei, l’acqua che mi scorreva fra le dita
come sempre, inafferrabile e inarrestabile.
«Ormai la mia età non importa, Edward. Sono pronta. Ho
scelto la mia vita e voglio iniziare a viverla».
No, lei aveva scelto la morte, aveva preferito essere
un mostro.
Aveva scelto di seguirmi nella via dell’oscurità.
Potevo davvero permettere che si trasformasse? Che
perdesse quel rossore che caratterizzava sempre il suo volto?
Le accarezzai i capelli, cercando di imprimere la sua
bellezza umana nella mia mente immortale, senza tempo. Eppure sapevo che non
l’avrei mai dimenticata nella prima forma che avevo amato.
«E il veto sulla lista degli invitati?» sapevo perché,
ma volevo che a dirlo, ad ammetterlo a voce alta, fosse lei.
«Non che m’importi, però…» e fece una pausa,
mordicchiando il labbro inferiore.
«Non credo che Alice sentirebbe la necessità di
invitare… i licantropi. Non so se… Jake si sentirà di… di dover presenziare.
Non voglio che sia indeciso, che tema di offendermi se non si presenta. Questo
glielo voglio risparmiare».
Ah, ecco. Voleva risparmiare a Jacob di partecipare,
fargli una specie di “favore”, e sotto quel discorso ingarbugliato, c’era il
desiderio nascosto di voler far felice me non invitandolo.
Aveva progettato tutto in ogni minuzioso dettaglio.
Chiunque, secondo lei, quel giorno sarebbe stato felice. Chiunque tranne la
donna che amavo e volevo scorgere in lei lo stesso lampo di felicità acuta che
avrebbe visto nei miei.
Ma se vi avessi letto anche il benché minimo
turbamento, non avrei accettato di sposarmi. Non l’avrei costretta perché ormai
vi era un vincolo, una promessa strappata con l’inganno.
Perché anch’io quella notte non ho giocato in maniera
leale. Ed era stata la notte migliore di tutta la mia esistenza.
Era ora di spezzare quelle catene che la legavano
senza scampo a me. Era ora di mettere fine a questa farsa.
Le cinsi i fianchi, stringendola a me. Stavo per
rovinare tutto, ma la sua felicità veniva prima di tutto.
«Dimmi perché fai tutto questo, Bella. Perché hai
deciso di lasciare carta bianca ad Alice?».
Doveva dirmelo, avvalorare la mia ipotesi, altrimenti
non sarebbe più stata la mia Bella.
«Non è giusto che Charlie resti fuori da tutto questo.
E come lui Renée e Phil. Tanto vale lasciar divertire Alice».
L’aveva detto: divertire. Alice.
«Magari sarà più facile per Charlie, se riesce a
salutarmi come vorrebbe. Anche se pensa che sia troppo presto, non voglio
privarlo della possibilità di accompagnarmi all’altare».
E due, Charlie.
«Se non altro, mia madre, mio padre e i miei amici
saranno al corrente della parte migliore della scelta, il massimo che mi è
consentito rivelare. Sapranno che ho scelto te, e che viviamo assieme. Sapranno
che sono felice, ovunque mi trovi. Penso sia il massimo che posso fare per
loro».
Tutti, li aveva nominati tutti. Aveva fatto appello a
tutti tranne che a lei.
Io ero incluso, se non già soddisfatto a dovere perché
avrebbe acconsentito a sposarmi. Pensava davvero che questo mi sarebbe bastato?
Che avrei accettato questa promessa pur sapendo che lei era contraria?
Perché lei non voleva questo matrimonio, perché lei
non credeva in quest’unione così forte.
Perché lei stava calpestando i miei sentimenti nel
modo peggiore, e non se ne rendeva conto. Mi stava distruggendo con le sue
parole, con il voler rendere tutti felici, persino me e Jacob insieme.
Doveva essere il giorno più felice per entrambi, e non
solo per me. Non aveva più valore per me un matrimonio che iniziava così.
Le presi la testa fra le mani, e con tutto il coraggio
e fermezza che avevo, pronunciai il mio verdetto.
«Non ci sto».
«Cosa?» esclamò, strabuzzando gli occhi. «Rinunci?
No!» continuò.
«Non rinuncio, Bella. Terrò fede al mio impegno. Ma tu
sarai libera. Alle tue condizioni, senza malintesi».
E senza ricatti da parte mia, soprattutto. Niente più
catene, libera come una farfalla.
«Perché?».
E lo chiede anche?
«Bella, ho capito tutto. Stai cercando di fare felici
tutti quanti. E a me dei sentimenti altrui non importa. Ho bisogno di sapere
che tu sei felice. Non preoccuparti di dare la notizia ad
Alice. Ci penserò io. Ti prometto che non ti farà sentire in colpa».
Dovevi essere libera, amore mio. Dovevi essere libera
di amare me come io avevo scelto di amare te, senza costrizioni o incantesimi.
«Ma io…» tentò di protestare, ma riuscii a zittirla.
«No. Facciamo a modo tuo. Perché a modo mio non
funziona. Dico che tu sei testarda, ma guarda cos’ho combinato io. Mi sono
aggrappato con stupida ostinazione a una mia idea di felicità e ho finito per
farti del male. Nel profondo, di continuo. Ormai non mi fido più di me stesso.
Puoi essere felice a modo tuo. A modo mio non va mai bene. Quindi» e scivolai
giù, mettendomi sotto di lei, che ancora non aveva capito.
Le avrei dato tutto ciò che aveva chiesto. Anche me
stesso.
«Facciamo a modo tuo, Bella. Stasera. Oggi. Prima è,
meglio è. Parlerò con Carlisle. Pensavo che magari, se ti diamo una bella dose
di morfina, non farà così male. Vale la pena di provare».
E non solo quello, ammisi con me stesso, serrando la mascella.
Il momento era arrivato, avrei dato tutto me stesso a
lei. Ciò che aveva bramato ora lo avrebbe ottenuto, e non negai nemmeno con me
stesso che alla fine era anche quello che desideravo anch’io con tutto me
stesso. Avevo paura di spezzarla sotto la mole della mia forza, di ferirla, di
essere la causa che potevo benissimo evitare.
Ma non potevo rinnegare la mia natura, e non parlavo
di quella del vampiro.
Io ero un uomo, ormai, innamorato come non mai della
sua donna, e voleva portare all’ultimo stadio la sua relazione. Volevo amarla
come lei meritava, come lei desiderava, come anch’io volevo.
«Edward, no…» non sarei tornato indietro, era inutile
che cercasse di farmi ragionare.
Poggiai un dito sulle sue labbra, «non preoccuparti,
Bella, amore. Non ho dimenticato il resto delle tue richieste» e la baciai.
C’era sicurezza nei miei movimenti, tanta
determinazione, eppure quel senso di soffocamento non voleva abbandonarmi mai.
Non riuscivo a saziarmi del suo sapore, del suo odore,
e mentre indugiavo senza sosta sulle sue labbra, avvertivo il suo corpo cedere
al ritmo della passione che si era impadronita di me, del mio corpo.
Era come un fuoco inestinguibile, che incendiava ogni
fibra del mio essere.
La feci distendere sotto di me, mantenendo vivo e
acceso il contatto tra i nostri corpi, persino il calore che sprigionava il suo
sembrava irradiare il mio.
Si agitò, finché non capii di dover lasciare la sua
bocca per permetterle di respirare. Per me non era importante, per lei era
vitale. Scesi giù, fino all’incavo tra la spalla e il collo, soffiando con il
mio alito freddo, glaciale.
Fuoco e ghiaccio erano gli elementi che più si
addicevano per descrivere il mio stato attuale, preda d’istinti sepolti dal
tempo.
Era Bella la miccia che li innescava, nessun’altra
avrebbe potuto accendermi così.
«Basta, Edward, aspetta» sussurrò tremante, le sue
parole simili a gemiti soffocati.
«Perché?» mentre lasciavo una scia di baci dal lobo
dell’orecchio fin quasi alla scollatura della camicia.
«Non voglio farlo ora» rispose, proprio come un
gattino che cacciava le unghie. Voleva imporsi, ma neanche lei credeva alle sue
parole.
Sorrisi, compiaciuto dell’effetto che le procuravo.
L’avevo già sperimentato prima, ma mai con tutta questa elettricità che
sprigionavano i nostri corpi a contatto.
«Ah, no?».
Soffocai ogni suo tentativo di ribellione e attesa con
un altro bacio, e facendo scorrere le mie mani sui suoi fianchi morbidi. Le sue
mani sembravano non rispondere ai comandi della sua mente, poiché artigliarono
i miei capelli con tutta la forza che possedevano.
Mi voleva ora, sempre. Niente mi avrebbe fatto
cambiare idea. Tranne la sua caparbietà.
Una piccola pressione sul mio petto mi fece desistere
dal continuare quella dolce tortura, e mi sollevai quel tanto per poterla
osservare negli occhi.
Non so cosa vide nei miei, ma ero sicuro che fossero
lo specchio del mio bisogno di lei.
Ero la sua vittima, ardevo di desiderio.
«Perché?» le chiesi con voce felpata, ruvida, roca,
«ti amo. Ti voglio. Adesso» e mi rituffai sulle sue labbra.
Era vero, lo sentivo, la volevo per sempre, essere un
unico corpo con lei, amarla totalmente.
Anche questa volta, riuscì ad evitare il contatto con
le mie labbra.
«Aspetta, aspetta».
«Io no di certo» non volevo più aspettare, possibile
che non lo capisse? Non ero più un vampiro, non erano occhi di un mostro: erano
quelli di un uomo accecato dalla passione sfrenata che divampava feroce nel suo
animo, devastandolo.
«Per favore» supplicò, così mi fermai.
Feci una smorfia, che ero sicuro non esprimesse
appieno il mio disappunto sul suo rifiuto. Ora capivo cosa aveva provato lei la
scorsa notte, sentendosi rifiutata da me.
Era come subire un duro colpo allo stomaco, una
sensazione di frustrazione che mi faceva sbuffare, e sperai che almeno fosse
importante come motivazione. Non avrei tollerato altri discorsi sulla felicità
altrui.
«Dimmi perché no, Bella, e spero che non mi riguardi»
bastava già il rifiuto, e sapere che mi aveva respinto per causa mia, avrebbe
fatto molto più male al mio cuore morto.
«Edward, per me è molto importante. Io voglio fare le
cose per bene».
Ah, per bene.
Ed io, allora? Non volevo fare le cose per
bene? Forse era meglio specificare altro…
«Secondo quali criteri?» domandai, socchiudendo le
palpebre.
«I miei» accidenti! Aveva trovato il giusto appiglio.
Sapeva che non le avrei negato nulla. Era questo il motivo per cui l’avevo
portata qui, nella nostra radura.
Stava tirando fuori tutte le carte vincenti per farmi
desistere dalle mie intenzioni, e ci stava riuscendo. Le lanciai
un’occhiataccia, poggiandomi su un gomito.
«E come farai le cose per bene?».
Prese un respiro molto profondo e parlò: «con
responsabilità. Tutto nell’ordine giusto. Voglio salutare Charlie e Renée nel
modo migliore. Non priverò Alice del suo divertimento, perciò organizzerò lo
stesso un matrimonio. E mi legherò a te in ogni maniera umana possibile, prima
di rendermi immortale. Voglio solo rispettare le regole, Edward. La tua anima è
troppo importante per me, non posso rischiare. E non mi smoverai di un
centimetro».
Con quel discorso, ogni mio tentativo andava a farsi
benedire, ma volevo farle sapere che quella fiamma non si era già spenta, che
sarebbe continuata ad ardere in eterno, finché avremmo vissuto entrambi.
«Magari potessi».
«Ma non lo faresti, non se sapessi che questo è ciò
che desidero davvero» ora non avevo più possibilità, mi aveva messo in un
angolo. Ogni suo desiderio doveva essere esaudito, per me.
«Non stai giocando pulito» le feci notare, con una
certa accusa nella voce.
«Non ho mai detto di volerlo fare» mi rispose
sorridendo.
«Se cambi idea…» e lasciai la frase in sospeso,
sorridendo appena come risposta. Non potevo certo dirle che la volevo qui, in
questo preciso istante. Persino l’idea del matrimonio era passata in secondo
piano.
«Sarai il primo a saperlo, te lo prometto».
In quell’istante, una fitta pioggia cominciò a
scendere giù dal cielo, imperlando i nostri volti. Passai i miei polpastrelli
sulle sue guance, spazzando via quelle gocce birichine che accarezzavano il suo
viso.
«Ti porto a casa» le promisi.
«Non è la pioggia, il problema. Vedi, è giunto il
momento di fare qualcosa di molto fastidioso e probabilmente pericolosissimo»
sentenziò, con un’intonazione di timore, mista a paura nella voce.
Mi preoccupai immediatamente, pensando a svariate
catastrofi che sarebbero potute avvenire in pochi secondi.
«Per fortuna sei antiproiettile. Ho bisogno
dell’anello. È ora di dirlo a Charlie» e sospirai insieme a lei. Mi ero preoccupato
per nulla. Certo, era pericoloso, ma non come un gruppo inferocito di neonati
vampiri!
«Pericolosissimo, certo» ridacchiai felice e allegro.
Nonostante avessi messo da parte l’idea del matrimonio, ero contento che lei
avesse insistito. Significava molto per me.
«Se non altro, stavolta non dovremo nascondere le
nostre tracce» e sfilai dalla tasca l’anello, infilandolo al suo anulare
sinistro.
Era quello il suo posto, e lo sarebbe stato per
l’eternità.