PROLOGO – Tra
Gioco e Passione
“Gli adolescenti della piccola isola di Procida sono parecchio
strambi”, diceva sempre la signora Gesi, madre di ben
tre ragazzi che, a parte uno, tutto facevano fuorché
studiare.
“D’estate sono sempre lì in piazza a far conoscenze con i
turisti, mentre d’inverno rimangono chiusi nelle loro abitazioni davanti a quel
videogioco diabolico.”
Come la signora Gesi, anche le altre mamme dell’isola si lamentavano sempre
più spesso di quel passatempo che osteggiava le carriere scolastiche dei propri
figlioletti. Già, quel videogioco era diventato davvero la
moda del momento sull’isola.
“Io non capisco che
divertimento ci sia…” si domandava il marito. “Se studiassero tutto il tempo
che sprecano davanti allo schermo, avrebbero voti
ottimi, come Jon” rimpiangeva come di solito i suoi figli più piccoli ma loro
non volevano sentire ragioni e continuavano imperterriti a sedersi davanti ai
computer.
Jon era l’eccezione.
Lui era il classico ragazzino adorato dai genitori per le sue qualità
scolastiche, era molto intelligente e rapido nei conti: ‘Un
dio della matematica’ diceva sempre sua madre che già progettava di iscriverlo
nella migliore università d’Italia.
Era alto e snello, con un aspetto trasandato che non si poteva
certo definire brutto: occhi smeraldini che facevano un delizioso contrasto con
la folta capigliatura nera, dei lineamenti gentili e un sorriso perenne su un
volto bronzeo.
La vita sociale del ragazzo però non era molto soddisfacente
anzi, forse non aveva una vera e propria vita sociale, poiché non riusciva ad
accomunare i suoi interessi con quelli dei compagni. Soventemente proponeva
passatempi un po' insoliti per la sua età, e proprio per questo ogni sabato
sera si ritrovava da solo nell’unico pub dell’isola a osservare le solite
persone che a volte litigano, a volte si ubriacano e
altre volte pomiciano.
Un piovoso sabato di fine Settembre trovò il tavolo, dove era
solito consumare la sua cena, occupato da una ragazzina bionda che spiccava per
il suo viso angelico con gli occhi azzurri e pelle candida. Non l’aveva mai
vista prima ed era sola, proprio come lui. Spinto da un’irresistibile curiosità,
si diresse verso di lei.
“Ciao!” la salutò sedendosi davanti “non ti ho mai visto da
queste parti, sei da sola?”
“Già, non sono stata
io a decidere di trasferirmi qui!” Sbuffò la sconosciuta con tono freddo. “Scusa
sono nervosa…” disse dopo aver dato un grosso sorso alla sua birra “Mi chiamo
Miriam!” si presentò porgendogli la mano.
La novità lo
incuriosiva parecchio, era dalla fine dell’estate che quel pub era aperto quasi
esclusivamente per lui. “Io sono Jon” rispose facendo un cenno al cameriere.
Seguì un lungo silenzio imbarazzante interrotto dal rumore della birra che Jon
era solito ordinare.
“Triplo malto…” osservò lei “Classica birra di chi passa ore e ore ad aspettare che finisca la serata”. Il commento era
leggermente offensivo ma veritiero.
“Bionda ad alta gradazione…” Rispose lui “Birra di chi beve per
dimenticare!”.
Stavolta
fu lei a essere colpita ma non sembrava offesa; sorrise per la prima volta
“avevo molti amici a Milano, dovrò abituarmi a questa solitudine. Posso
incontrarli online… tra una settimana dovrebbe arrivarmi l’ADSL a casa”.
“Già... e quindi tra
una settimana starò di nuovo qui a bere la mia birra da solo” ribatté ironico
Jon mandando giù un po’ di birra, era molto fredda e dal retrogusto liquoroso.
“Non
hai amici?” chiese lei “Dovrà pur esserci qualcuno, su quest’isola! Che siano
timidi per caso?”.
Jon si prese un po’ di
tempo per pensare sorseggiando ancora la birra “In realtà ci sono altri
ragazzi… solo che non amano mettere il naso fuori di casa…” abbozzò cercando di
rendere abbastanza credibile quella che era la triste verità di quel posto. Lei
lo guardava curiosa appoggiando il mento su un braccio.
“In
sostanza sia i ragazzi sia le ragazze di Procida passano le loro giornate
seduti alla scrivania davanti al monitor di un pc…
Giocano a uno strano gioco che crea parecchia dipendenza. Ha
contagiato anche la mia migliore amica... meno male che ci incontriamo a
scuola!”.
“Che tipo di gioco si tratta?” chiese con rinnovata curiosità la
bionda.
“Mi sembra che tratti temi fantasy e che bisogna fare delle
missioni…se non ricordo male!”
A quel punto la ragazza
scoppiò a ridere “Non mi dire che qui giocano tutti a Word of
Warcfraft?” sembrava davvero contenta della notizia
“Lo sai che a Milano hanno aperto delle sale per i LAN
party?”.
Jon
sembrava confuso e Miriam cercò di essere più chiara: “I giocatori più
incalliti hanno la possibilità di riunirsi in delle sale attrezzate con almeno
una ventina di pc tutti connessi. Così
giocano insieme e passano serate divertenti”.
“Qualcosa mi dice che
anche tu giochi a questo gioco…” commentò lui annoiato.
“Già, il mio personaggio è sacerdotessa e ho il ruolo di curare
i miei amici nelle missioni… Proprio stasera avevo un appuntamento con il
gruppo, solo che non posso connettermi a internet…”.
“Ragazzi che posso
portarvi da mangiare” interruppe il cameriere spuntando all’improvviso.
Jon contento per l’interruzione, scelse un abbondante panino con
salsicce e friarielli mentre la ragazza si limitò a
una porzione di patatine con abbondante ketchup. Quando l’uomo si allontanò,
Miriam prese un pacchetto dalla borsa e lo mise sul tavolo.
“Che interessi hai?” chiese senza badare al pacchetto “Spesso mi
perdo a parlare delle mie passioni e posso sembrare antipatica.”
“Studio
matematica, sono anche abbastanza bravo.” rispose sorridendo “Credo che m’iscriverò
alla facoltà di scienze matematiche o informatiche. Mi rendo
conto che è un argomento che può annoiare, per questo non ne parlo con nessuno.”.
“A
me non annoia la matematica… anzi la uso spesso per scegliere le armature. A ogni armatura, per
esempio sono associati dei parametri numerici che indicano varie qualità. Con questi parametri numerici è possibile stabilire quale
combinazione di armamentari sia la migliore.”.
“Aspetta… credo di
essermi perso!” la interruppe Jon grattandosi la chioma scombinata. “Già, chi non gioca non può capire! Tutti
pensano che sia un semplice gioco di guerra, ma in realtà è un gioco di
strategia matematica e abilità di calcolo.”.
“Sinceramente…”
replicò il ragazzo “I miei compagni di classe non sembrano delle cime in
matematica, eppure perdono interi pomeriggi davanti allo schermo”.
“Forse perdono interi
pomeriggi proprio perché sono scarsi in matematica!” ipotizzò la ragazza
osservando il vassoio tra le mani del cameriere che si stava avvicinando al
tavolo.
I due consumarono la cena in silenzio. Quando Miriam ingoiò
l’ultimo boccone, indicò il pacchetto che in precedenza aveva messo sul tavolo
“se vuoi te lo presto… solo per questa settimana però!”
“non posso accettarlo…
a parte che non sono interessato al gioco, poi ho paura di rovinartelo” rispose
lui spostando il pacchetto verso di lei.
“Io insisto, non sai
che ti perdi!” ripeté lei afferrandogli il polso. Jon notò per la prima volta
che aveva le mani molto curate che evidenziavano un piccolo tatuaggio che
raffigurava una doppia W, le decorava il dorso.
“No
davvero! Grazie mille!” terminò lui ritirando
velocemente la mano. Seguì un momento di silenzio. I due si stavano
studiando e lei sembrava molto divertita.
“e se… se mi offrissi
di essere la tua guida personale.” Ammiccò lei inclinando leggermente la testa
in modo da far scivolare sulla spalla i suoi capelli biondi. Jon non capiva,
dove volesse apparare la ragazza, ma la curiosità era
troppo forte per permettersi il lusso di rifiutare quell’offerta piuttosto
stramba.
“Va
bene, domani verrai da me e mi darai qualche dritta! Però
il gioco lo terrai tu.” Finì il ragazzo facendo nuovamente cenno al cameriere.
“Per me possiamo
iniziare subito!” intervenne la ragazza “Sempre se per te non è un problema
ospitare una ragazza il sabato sera!”.
Diversi pensieri
sconnessi iniziarono a vorticare nel cervello di Jon. Una ragazza, mai vista
prima, gli aveva proposto di passare la notte con lei… per giocare a quel
dannato gioco. Era troppo strana come situazione e qualcosa non quadrava.
Ricordò quasi immediatamente che i suoi genitori erano a Napoli per lavoro e
che per quel fine settimana sarebbe rimasto solo.
“Va bene, andiamo da me!” disse in modo distaccato “però è strano che
tu accetti di andare a casa di uno sconosciuto a passare la notte… i tuoi sono
d’accordo?”
Miriam
scoppiò nuovamente a ridere: “Ma dove vivi? A diciassette
anni devo chiedere il permesso per dormire fuori il sabato sera?” Jon rimase in
silenzio e si sentì stupido. Probabilmente le mamme milanesi sono
diverse da quelle procidane, ipotizzò. “A Milano ci
riunivamo spesso a casa di un mio amico per giocare quando gli
internet cafè chiudevano. Non credo ci sia molta
differenza tra le due situazioni. Anzi, per ricambiare
l’ospitalità ti offro la cena” Iniziò a scavare nuovamente nella borsa e cacciò
un portafoglio firmato zeppo di carte di credito e lasciò venti euro sul
tavolo.
“Andiamo, non perdiamo
tempo!” esclamò la ragazza e trascinò il ragazzo fuori dal locale.
La pioggia che avvolgeva l’isola iniziava a essere violenta e
quell’unico ombrello non bastava per coprire entrambi i ragazzi. Jon aprì
velocemente il cancello in ferro battuto del piccolo
giardino che circondava l’abitazione e, evitando le copiose pozzanghere sul
selciato raggiunse l’ingresso principale. La ragazza lo seguì stringendo tra le
mani il manico dell’ombrello.
Jon, che era rimasto in silenzio durante tutto il tragitto,
parlò non appena varcò la soglia.
“Fa come se fossi a casa tua, ho bisogno di cambiarmi un
attimo.” Accese la luce della sala d’ingresso e s’infilò in una stanza in fondo
al corridoio.
Jon abitava in una modesta abitazione nei pressi di una
spiaggia. L’intonaco delle mura esterne era graffiato
dalla salsedine e in alcuni punti spuntava il tufo bianco dei mattoni. Miriam
si guardò intorno e nel frattempo avvertì una sensazione di disagio,
probabilmente causata dal rumore delle onde del mare mosso che risuonava tra le
alte mura della casa. La casa era grande ma male arredata e un po’ dispersiva. Spiccava
una forte fragranza di lavanda, profumo per la casa che ogni giorno la madre di
Jon diffondeva per coprire l’odore della salsedine. Curiosando in giro, la
biondina si trovo in un’ampia cucina un po’ in
disordine. Nel lavello c’erano un paio di piatti e
delle posate incrostate. Subito dopo notò un tavolo di legno lucido pieno di
briciole e in angolo un divanetto con sopra dei panni, presumibilmente da
stirare, che verteva in direzione di un televisore di ultima generazione:
quaranta pollici, tecnologia a LED. Quel televisore faceva letteralmente a
pugni con il resto dell’arredamento. Alle pareti vi erano dei quadri
rappresentanti delle barche di legno e i suppellettili
erano in pietra grezza.
“Prendi questi, per stanotte dovrebbero bastare!”
Miriam ebbe un tuffo al cuore e si sentì in colpa stupidamente
per aver provato a dare un valore economico a quell’abitazione. Jon aveva
indossato una maglietta di cotone rosso a mezze maniche, un paio di shorts
sportivi azzurri, calzini di lana bianca e pantofole nere; tra le mani aveva
dei vestiti.
“Inviti una ragazza in casa e ti presenti in questo modo?”
ridacchiò lei divertita dallo strano abbinamento del ragazzo.
Jon non sembrò offeso e sorrise
mostrandole una tuta azzurro cielo con lo stemma della sua squadra del cuore:
“Questa invece è per te! Non credo che presentarsi a casa di un
ragazzo bagnata come un pulcino sia tra le tue aspettative.
Di là sta il bagno!” Disse infine indicandole una porta con
una vetrata opaca.
Miriam afferrò la tuta e si diresse in bagno
divertita “Inizia ad accendere il computer intanto!”.
Miriam rimase in bagno per un buon quarto d’ora e Jon ne
approfittò per rifare il letto e per ordinare la stanza. Quando sua madre era
fuori, quella casa diventava un vero porcile. L’unico posto sempre in ordine
era la scrivania dove passava interi pomeriggi a studiare matematica. Tutti
sanno che l’ordine non è una prerogativa dei matematici e Jon di certo non era
un’eccezione. Il ragazzo fece appena in tempo a nascondere un paio di mutande
sporche, quando Miriam non fece ingresso in camera. L’azzurro della tuta del
Napoli le donava nonostante questa fosse di almeno due taglie più grande. I
capelli umidi erano tenuti insieme da un bastoncino mentre le macchie di trucco
sciolto dalla pioggia era sparite. Senza trucco Miriam
sembrava più giovane almeno di due anni. “Ora veniamo a noi…”, disse sedendosi
sul letto appena fatto, ma appena aprì bocca un forte squillo
di tromba riempì la stanza.
Miriam prese la sua borsa e da questa ne trasse un cellulare di
ultima generazione rivestito con una custodia in silicone di color verde. “E’ Clara,
una mia compagna di Milano… Scusami un secondo!”. Rispose alla chiamata:
“Tesoro…”
Una voce metallica urlò qualcosa dall’altro capo del telefono e
Miriam fece una smorfia;
“Si hai perfettamente ragione… però mi sono trasferita da due
giorni…”.
La voce metallica sembrava davvero arrabbiata ma Jon non riuscì
a capirne il motivo.
“Scusami ma l’Adsl… Non potete trovare qualcun altro?”
Non terminò la frase che si sentì un bip,
Clara aveva chiuso la conversazione.
“Qualcosa di grave?” chiese incredulo Jon.
“No no… Questa ragazza è il mio
capo-gilda e oggi era in programma una missione.”
Jon sbatté le palpebre incredulo:
“Avete litigato per un gioco?”
“Litigato? Se non fosse per wow, non l’avrei neanche conosciuta…
A dire il vero non è un’ amica così intima, quindi… passiamo
a noi due: inserisci questo DVD nel computer e procediamo all’istallazione”.
“D’accordo capo” esclamò deluso Jon afferrando il cd; non aveva
immaginato di passare realmente la serata davanti ad uno schermo.
L’istallazione durò circa un’oretta e Miriam parlava in
continuazione di come si divertiva insieme al suo gruppetto milanese, delle
missioni e delle armi che aveva indossato. Jon cercava di assecondarla sperando
che quell’incubo finisse in fretta, si stava sicuramente annoiando. Quella
ragazza era più incallita dei suoi fratellini, aveva addirittura scaricato
un’applicazione sul suo i-phone che le permetteva di
interagire con il gioco in tempo reale, una vera maniaca.
“Quel tatuaggio…” disse lui improvvisamente mentre lei eseguiva
gli ultimi passaggi dell’iscrizione “
Lei scoppiò a ridere mostrandosi per la
prima volta realmente allegra “Sei impazzito? Mi credi così NERD da tatuarmi il nome di un videogioco sulla
pelle?” Rideva tanto da perdere l’equilibrio cadendo sul tappeto.
“E allora cosa significa?” chiese sbigottito
e quasi scandalizzato.
La biondina non riusciva a smettere di ridere e rispose solo
dopo due grossi respiri. “E’ una M non una W… È l’iniziale del mio nome!” A
quel punto Jon si sentì un vero idiota e scoppiò a ridere insieme alla ragazza.
“Non fa niente, ci hai provato!” ironizzò lei impugnando
nuovamente il mouse “inserisci la tua password e abbiamo finito.”
Jon prese la tastiera e iniziò a scrivere quando un violento
rumore smosse l’aria, qualcosa come un tuono, improvvisamente sentì un forte
bruciore ai polpastrelli e alla infine perse i sensi.