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Autore: KikiWhiteFly    07/08/2011    5 recensioni
Prima classificata a parimerito allo "Sfigapairing Contest" indetto da FataFaby89 sul forum di EFP.
«Non prenderti in giro, Sana. Se tu gli volessi bene, se tu desiderassi vederlo, se tu volessi andarlo a trovare, se tu vorresti scrivergli una lettera... io ne sarei felice, davvero. Ma tu... tu lo ami come il primo giorno. Tu sei uno di quei casi impossibili».
Rei si prende nuovamente la testa tra le mani, non riesce nemmeno ad immaginare quanta sofferenza starà provando in quel momento a causa sua.
«I-Impossibili?»
«Sei una di quelle rare persone che non potrebbe mai vivere con un sinonimo. Non potresti mai amare un sinonimo. Tu vuoi tutto, Sana, oppure niente».
Ecco, sì, lui ha capito perfettamente qual è la sua idea di “amore”: non è metà cuore, non è metà anima, non è metà corpo... è tutto, meravigliosamente e spaventosamente tutto di se stessi. Fa così paura che si concede una volta nella vita e, purtroppo per Rei, Hayama si è già appropriato di tutto ciò.
{Rei/Sana}{Sana centric}
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rei Sagami/Robby, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sinonimi della parola amore










I.






Grossomodo sono le tre di mattina e Sana è ancora sveglia, piuttosto turbata invero, si gira e si rigira tra le lenzuola cercando una posizione comoda o, forse, una ragione per riposare qualche ora la mente.

Ma, a discapito di ogni giustificazione, Sana conosce sin troppo bene la ragione della sua insonnia: si trova accanto a lei, beatamente addormentato.

Non ce la fa, non ce la fa proprio: Rei la odierà fra qualche ora – lo conosce, prevede già le sue reazioni – ma il senso di colpa le attanaglia in tal maniera lo stomaco che sente il bisogno di rifuggirgli. Ma, anche oltrepassata la soglia di quell'appartamento, il malessere continua a divorarla all'interno: è una sensazione che ha sperimentato sin troppe volte, ormai è ordinaria amministrazione.

Raccatta le sue cose a terra, si veste velocemente e dà una rapida spazzolata ai capelli; poi, il suo sguardo si dirige verso la prona figura del manager, del tutto ignaro di quella fuga nel cuore della notte.

Sana si morde il labbro inferiore con veemenza – quasi le sembra ingiusto abbandonarlo così, senza la benché minima spiegazione –, dopodiché decide di lasciargli due righe scritte.



Grossomodo, si sente uno schifo.

Cammina lungo le strade deserte, accompagnata solamente da un soffio di vento che spira da Nord e che pare proprio indugiare sulle sue spalle; eppure, confrontato a ciò che la investe dentro, il tempo passa in secondo piano.

Quel che la divora all'interno non ha un nome, è soltanto una sensazione: la stessa che si prova quando si commette per la prima volta un atto senza ragione – come quando da bambini si decide di disobbedire di proposito ai moniti dei propri genitori –, il piacere di farlo e nient'altro.

Ecco, sì, è quel “nient'altro” ad inghiottirla, a consumarla mordacemente giorno dopo giorno.

È il sesso e nient'altro, il sapore insipido di quelle parole sulla bocca.

La consapevolezza è più dolorosa della stessa irriverenza, a volte – di questa massima, ormai, ne ha fatto una parabola personale. E, pensando a quanto possa essere caduta in basso, prova una sensazione di ineffabile vuoto nel cuore.




Qualche anno fa tutto era diverso – quanto possono pesare un paio d'anni sulle spalle, eh? –, a partire dal fatto che Akito Hayama era accanto a lei.

Tempo fa, molto tempo fa.

Allora credeva davvero nel futuro: Hayama riusciva a riempire i pieni ed i vuoti, sorprendentemente era l'unico in grado di scavare l'infinito pozzo di cui si era colmata la sua anima.

Quando aveva fatto ritorno da Los Angeles – tre lunghi anni, il tempo di diventare “adulti” – Sana lo aveva accolto a braccia aperte, come se il tempo non fosse mai trascorso.

Al diavolo le dicerie della gente, al diavolo ogni insinuazione: il loro amore aveva resistito e, da quel momento in avanti, ad attenderli era solamente un raggiante futuro.

Con Hayama aveva condiviso le prime esperienze, si era fidata di lui, aveva lasciato che le sue mani cingessero i suoi fianchi e, con estrema cautela, si fossero concesse l'indulgenza di amarla perdutamente. E Sana aveva tremato quella prima volta – forse anche la seconda e, molto probabilmente, anche la terza – poi tutto era diventato più naturale, semplice, spontaneo.


«Dovrebbero nascerne di nemici come noi...», aveva ridacchiato.

Improvvisamente aveva ricordato i loro battibecchi alle scuole elementari ed il lungo cammino che avevano percorso negli anni – sino ad arrivare a quel fatidico “come noi”.






Poi, circa un anno e mezzo dopo, il loro destino cambiò davvero: «Me ne torno a Los Angeles».

Ecco, poche e cruciali parole che l'avevano fatta crollare per l'ennesima volta; improvvisamente, le ginocchia sembrarono cederle ed anche respirare parve esser diventata una gran fatica.


«Tornerai? Cosa vai a -»

«Voglio diventare un dottore, Sana. E voglio prendere esempio da colui che mi ha curato a Los Angeles».

Il mondo che si sgretolava sotto i suoi piedi, l'orribile sensazione di sentir cedere la sua terraferma. Hayama, sì, che sino a quel momento era stata una delle poche certezze della sua vita ora si stava disfacendo di lei.

Si chiese se quei tre anni l'avesse davvero aspettata o se, invece, fosse stata lei ad attendere il suo sogno.

Spesso aveva sentito dire che l'America era la patria dei sogni, il “sogno americano” per eccellenza, quando si metteva piede in quella terra voltarsi indietro diventava sempre più difficile.

Impossibile.

«Ci abbandoni».

Non avrebbe mai potuto dimenticare l'espressione rabbuiata di Akito, men che meno il suo tono fintamente dispiaciuto. Forse l'amava, sì, ma quel che desiderava veramente non era tra le sue braccia – l'amore, a volte, necessitava di un sinonimo che lo convincesse a restare coi piedi ben saldi per terra.

Sana non trovò altre ragioni da potergli offrire – non che equiparassero il sogno di Akito, perlomeno – e, giustamente, Hayama le voltò le spalle un'ultima volta: ecco, sì, era così che avrebbe voluto ricordarlo... niente abbracci struggenti, baci appassionati oppure addii compassionevoli.

Un sogno che svaniva, tutto lì.





La sera stessa, in lacrime, si recò dall'unica persona che aveva saputo confortarla nei momenti peggiori: il suo “primo vero amore”, Rei Sagami, l'unico di cui si poteva fidare.


«Cos'hai?».

Le parole si sprecavano tra le braccia di Rei, erano soffocate nella sua giacca: Sana restò immobile, affogando e macchiando di dolore il suo pregiato tailleur per interminabili minuti; lui non le disse niente, lei gli si strinse accanto finché non iniziò a singhiozzare anziché piangere.

«Hayama mi ha lasciata. Ancora».

Si sedette sul divano di casa sua, con le ginocchia chiuse e le braccia tremanti – un moto di rabbia le attraversò il corpo –, a sprecare le sue lacrime per un tipo come Hayama.

Rei se ne stava seduto accanto a lei, un braccio appoggiato al bracciolo del divano e l'altro lasciato cadere a penzoloni; i proverbiali occhiali da sole di notte si dimostravano pressoché inutili e Sana poté ammirare – pur con la vista un po' appannata – i suoi magnifici occhi azzurri.

«Non ti merita, Sana. So che è difficile crederlo in questo momento ma un giorno amerai ancora».

Singhiozzò nuovamente, quelle parole erano cemento nel suo cuore.

«Rei...», attirò la sua attenzione, pur con tono flebile, «... non esiste un sinonimo della parola amore, vero?».

L'amico la fissò con occhi stralunati un sol istante, poi annuì: «Se esistesse, il mondo ne sarebbe talmente pieno che nessuno soffrirebbe più».


Ed era una grande verità, a ben pensarci: esistevano talmente tanti contrari della parola “amore” che elencarli tutti sarebbe impossibile. Di sinonimi, invece, il mondo non ne aveva mai trovato uno: né amicizia, né affetto e men che meno compassione potevano eguagliarsi all'infinita potenza di quell'unica ed inconfondibile parola.

«Ma, solo per stasera, puoi far finta che esista?».

Solo per stasera, diceva Sana, come avrebbe potuto negarsi a due occhioni così pieni di lacrime?

Il tempo si fermò, in quel momento, Rei dimenticò completamente la carica che ricopriva nei confronti di Sana e, quest'ultima, offrì le sue labbra su un piatto d'argento.

Era un modo come un altro di affogare nel dolore, un dolce modo di sopperire alla sofferenza.

E se dapprima le loro labbra potevano sembrare incerte, una volta trovato il giusto equilibrio e assecondati gli uni e gli altri desideri, collaborarono assieme: le braccia di Sana si avvolsero attorno al suo collo e le sue gambe si avvitarono attorno al torace dell'uomo. Quasi in perfetta sincronia, Rei si lasciò andare per la prima volta nella sua vita e si lasciò guidare – come ammaliato dall'incanto di una sirena – nella sua camera.

Affogare e risalire a galla erano parole complementari quella notte: sinonimi, in breve, di un flusso continuo che li avrebbe condotti solamente alla perdizione.





Sana ripensa a tutte quelle cose, le attraversano la mente come lampi: sono flash, brevi e mutevoli, la sua mente non riesce proprio a divagare.

Le strade di Tokyo sono fredde ed umide, alle tre di mattina: Sana, mai come in quel momento, si sente così in simbiosi con loro.




~




Note:


Inizio col dire che non sono impazzita – non definitivamente, almeno.

Sono sempre un'accanita Akito/Sana (*-*), questo voleva essere un esperimento. Che, poi, ho fatto concorrere per lo Sfigapairing Contest indetto da FataFaby89 e classificatasi – inaspettatamente – prima. <3.

L'idea è partita da una domanda fondamentale che mi sono fatta: esiste un sinonimo della parola amore? - da lì il titolo, infatti.

Il fatto è che non c'è nulla di eguagliabile o, quanto meno, raggiungibile ad esso... ed io, nella mia fan fiction – una breve long di tre capitoli – ho voluto dare le relative spiegazioni e supposizioni alla domanda.

Se vorrete seguirmi, mi farà piacere. :).

Una precisazione: il fatto che Akito “voglia diventare un dottore”, si basa su un dato certo. Se avete letto “Deep Clear” sapete a cosa mi riferisco. <3. Presumibilmente, quindi, i protagonisti hanno sui venti/ventidue anni qui.

Al prossimo,

Kì.

   
 
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