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Autore: mamie    22/08/2011    4 recensioni
Ciao a tutti. Questa è la mia prima storia su efp. Siate clementi e scusate l'imperizia con l'editor!
Attenzione: spoiler dal cap. 364 manga.
Lui era rimasto così com'era caduto, la massa dei capelli bianchi come la neve sparsa nella polvere.
Ukitake è a terra dopo lo scontro con Wonderweiss. Il suo amico Kyoraku cerca di soccorrerlo e si perde, prima nei ricordi e poi nella malinconia.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kyouraku Shunsui, Ukitate Jyuushiro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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NEVE

1. Resta ancora un po'...


 Il capitano Kyoraku si guardò intorno ancora stordito. Una rovina. La città devastata. Corpi in pose grottesche sparpagliati in giro. Alcuni si muovevano ancora come marionette del bunraku. Poi lo sguardo gli si fermò sulla macchia più chiara (tutto il resto era color della cenere) che sembrava quasi mandare luce.
Cercò di correre, ma riuscì solo a inciampare. Quanto dannato tempo ci voleva a fare 20 passi?
 
Lui era rimasto così com'era caduto, la massa dei capelli bianchi come la neve sparsa nella polvere.
Cercò di girarlo piano, ma la spalla ferita cedette per lo sforzo e finì di rivoltarlo con una certa rudezza.
Un lamento debolissimo.
Respira!
C'era sangue dappertutto, un lago, sembrava impossibile che un corpo solo potesse contenerne così tanto.
Non sapendo cosa fare si strappò di dosso l'haori e lo arrotolò a mo' di cuscino mettendoglielo delicatamente sotto la testa.
 
- Guarda che non te la pago la lavanderia.
 
Era stato solo un sussurro, ma il capitano Kyoraku trasalì.
 
- Oh, te la metterò in conto come tutto il resto - replicò con sollievo in un tono che si sforzava disperatamente di mantenere la sua solita ironia.
 
Ukitake sollevò per un attimo le palpebre, ma subito le richiuse. L'ombra lieve del suo sorriso, di solito raggiante, era livida.
 
- Dov'è quella… cosa? - chiese con uno sforzo.
 
- E' andata, non è più un problema - rispose Kyoraku cercando di tenere la voce ferma. Dov'erano quelle maledette sanguisughe della quarta compagnia quando si aveva bisogno di loro?
Gli toccò un braccio… era gelido.  Si sfilò di dosso anche il kosode e cercò di coprirlo con quello. Gli sembrava che stesse sprofondando lentamente, la voce sempre più debole.
 
- Shunsui… resta ancora un po'… ti prego…
 
 
-Shunsui… resta ancora un po'… ti prego.
Erano due bambini. Jyuushiro, pallido anche allora, steso sul futon e ben avvolto nelle coperte, gli occhi lucidi di febbre, il corpo minuto scosso da quella tosse che lo mordeva come un lupo, che non se ne voleva andare.
Nevicava. Dietro gli shoji una luce lattea e pulita. Kyoraku era lì per rallegrare un po' il suo amico, per tirargli su il morale. Tutti quei giorni a letto, l'andirivieni dei dottori, le medicine, i capelli che in soli tre giorni gli erano diventati tutti bianchi, bianchi come la neve, facevano uno strano contrasto con le sopracciglia nere simili a un elegante tratto di inchiostro.
Shunsui non sapeva bene cosa fare, non era abituato a trattare coi malati, d'altra parte non si ricordava di essere mai stato a letto per una malattia. Allora faceva quello che sapeva fare meglio: chiacchierava, faceva battute di spirito, gli raccontava di quello che facevano i compagni e di quello che dicevano i maestri (era bravissimo ad imitarne alcuni) e delle ragazze che gli piacevano (in pratica quasi tutte) e di cosa aveva fatto questo o quel capitano e di quelli che gli erano simpatici o davvero antipatici. La sua leggerezza era contagiosa e Jyuushiro alla fine si lasciava andare insonnolito dicendo: - Shunsui, resta ancora un po', ti prego.
E lui rispondeva sempre: - Ma sì, resto quanto vuoi - e restava lì in silenzio finché l'amico non si addormentava con un sorriso sereno sulle labbra.
 
 
Il capaitano Kyoraku si scosse. Non c'era nessuna neve. Cenere grigia e sangue dappertutto. Cercò di coprirlo meglio. -  Ma sì, resto quanto vuoi - rispose con una voce incerta che non era la sua. Sentiva l'energia scorrere via da quel corpo esausto come acqua.
-  Però tu non addormentarti! - aggiunse con veemenza.
 
Forse fu il tono particolarmente energico e allarmato di quelle parole, o la piccola scossa che gli diede sulle spalle, forse fu la vibrazione della terra, quasi impercettibile… stava succedendo qualcosa, qualcosa di inaspettato. Ukitake aprì di nuovo gli occhi, guardò verso il cielo dove anche le nuvole nere si davano battaglia. Per un attimo il suo sguardo si mise a fuoco, poi le pupille tornarono ad allargarsi come pozzi di buio: - Ce l'ha fatta.. Quella testa matta… ci è riuscito - riuscì a sussurrare prima di chiudere di nuovo le palpebre. Un raggio di sole sfuggì alle nuvole nere colorando di rosso la cenere.
 
In quell'istante si udì il ronzio rassicurante di Minazuki in lontananza.


2. Il tuo sorriso

 C'è un bel sole oggi, e un vento fresco, leggero. Ho aperto appena uno spiraglio negli shoji perché entrasse un po' d'aria. Stai dormendo tranquillo, finalmente. Ormai dovrei saperlo che sei una pellaccia dura, con tutta la tua apparenza così fragile, ma questa volta non ero davvero sicuro che avresti avuto voglia di rimanere qui.
Sei bianco come il lenzuolo che ti copre. Quasi non ti si distingue dal futon. Hai perso tanto di quel sangue che mi chiedo che cosa ti sia rimasto a scorrere nelle vene.  Non che di solito tu sia più colorito. Non sembra proprio che il colore sia una cosa per te.  A parte quelle eleganti virgole scure che ti ritrovi come sopracciglia, e gli occhi, certo. Ma adesso sono chiusi.
 
Non ci ho mai pensato davvero a cosa fare se uno di noi due se ne va. Che può succedere lo sappiamo. E' una cosa evidente, talmente evidente che nessuno qui ne parla mai. Ci lasciamo dietro i compagni come foglie d'autunno cadute. Ci teniamo un altro dolore, non diverso da un'altra cicatrice, e andiamo avanti. Nessuno si aspetta altro. Non saremmo qui se ci preoccupassimo di queste cose. Siamo macchine da guerra, ci hanno addestrato bene per questo. Però le macchine non dovrebbero pensare e invece tutto questo casino è successo perché abbiamo fin troppo tempo per pensare a cosa siamo, a cosa facciamo… per chiederci se è vero che serve a qualcosa. Siamo tutti un po' fuori di testa da queste parti, ma che si deve fare? Ognuno si difende come può da tutto questo dolore inevitabile.
 
Uff, anch'io oggi sono proprio a terra. Non riesco neanche a godermi questa bella giornata. Sarà il segno che stiamo invecchiando.  Ci agitiamo e ci affanniamo e muliniamo intorno come fiocchi di neve portati da una tormenta, ma alla fine anche la neve si posa, e poi si scioglie e ritorna acqua. Ecco, vedi? Un altro pensiero tetro. No, non è proprio giornata.
 
Ah, meno male che ti sei svegliato. Mi guardi con quegli occhi verde liquido che non ho mai capito da dove sono venuti e provi a parlare. Aspetta. Bevi prima un po' d'acqua. Ecco, così va meglio. Sì, va tutto bene, tutto a posto, poi ti racconto.
Guardi il raggio di sole che cammina lentamente sui tatami e sorridi come sempre. Benedetto il tuo sorriso, ora lo riconosco. Da dove ti viene quel sorriso? Con tutti i motivi che avresti di essere triste… Ma no, tu guardi gli altri e annuisci e comprendi e consoli e tutti vicino a te stanno bene. E sì che sei capace di essere duro quando serve. E quando sei serio nei tuoi occhi c'è tutta la malinconia del mondo. Ma poi da qualche parte lo tiri sempre fuori, quel sorriso, come il sole dalle nuvole, così leggero. Be', ne abbiamo proprio bisogno.
Come al solito comincio a parlare e a dire delle sciocchezze, ma tanto mi conosci, lo sai come sono. Adesso vado, che Nanao mi starà cercando dappertutto con i suoi fasci di carte e la sua aria di rimprovero. Tu riposati eh! Appena sei in piedi ce ne andiamo insieme a pescare. Ci godiamo il sole senza pensare a niente. Promesso...
  

3. Non pensare a niente.

 
Ti sei steso sulla riva del fiume come se non ci fosse nient'altro al mondo. Fa già caldo. Le libellule ci ronzano intorno come un coro che va sempre fuori tempo. Un'ora di pace, preziosa, per togliersi dalle spalle tutti quei pesi. Nell'acqua accecata dal sole affiorano i piccoli cerchi delle carpe boccheggianti, come se giocassero.

 

Un filo d'erba fra i denti, le mani dietro la testa, lo sugegasa inclinato sugli occhi a proteggerli dalla luce. C'è forse un atteggiamento più tipico di te? Sei l'unico che può permetterselo.

Per te tutto sembra semplice, in ogni momento c'è qualcosa da godere: una ciotola di tsukimi udon, una bottiglia di sake, un bagno caldo, un filo d'erba, la bellezza di una donna, la luce del pomeriggio su quest'acqua limpida.

 

Qualcuno la chiama pigrizia, ma io no, io lo so che cos'è… è sapere semplicemente che tutto finisce, che quando un attimo è passato allora è passato per sempre e ne resta soltanto un ricordo. E qual è quel ricordo dipende solo da te, da come lo assapori quell'attimo che è bello perché sai che è breve, che non torna più.

 

Sakura.

Fiori di ciliegio che si sfogliano nel vento. Una nevicata bianca che ti sfiora senza farti male, lasciandoti solo l'ombra della sua malinconia e un profumo amarognolo di rimpianto. Ma tu sai che i ciliegi torneranno a fiorire ancora e ancora fino alla fine del mondo.

 

Apri un occhio e mi chiedi a cosa sto pensando. Sono sicuro che lo sai già. Sei più bravo di me a capire i pensieri degli altri e poi ci conosciamo già da troppo tempo per perderci in parole.

Allora mi stendo anch'io sull'erba e ti rispondo, come devo: "A niente".

 

  


  
  
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