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Autore: Ruby__Eyes    04/09/2011    9 recensioni
Vorrei raccontarti la mia storia, vorrei raccontarti ogni cosa.
L'apparizione di un nuovo personaggio riuscirà a cambiare le sorti di Dean e Castiel.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sesta stagione
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I personaggi di questa storia non mi appartengono (vabbè, il personaggio femminile sì). Non scrivo a scopo di lucro ma solo perché ho bisogno di svuotare la mia testa (che è piena di stupidaggini) e quello che scrivo non è reale ma è frutto della mia fantasia.

Questa storia nasce come mia personale soluzione al casino dell’alleanza tra Cas e Crowley: cosa sarebbe successo se Crowley non fosse riuscito a parlare con Cas in quel giardino? Ecco perché mi è toccato inserire un nuovo personaggio! Buona lettura!

 

 

 

 

Il tutto inizia in modo quasi banale, il prologo di una storia come tante.

Una ragazza se ne sta seduta sotto un albero, in un giorno ventoso, e sembra totalmente assorta nei suoi pensieri. Quando una folata un po’ più forte le fa volare una foglia tra i capelli, lei la prende con delicatezza tra due dita, poi la solleva adagio verso la luce bianca e la osserva intensamente, come se stesse studiando con minuzia il percorso delle venature e le sfumature di colore. Passano due minuti, forse tre.  Sembra che nulla possa distoglierla da quella sua occupazione così strana e fanciullesca allo stesso tempo. Potrebbe andare avanti così per ore, forse giorni addirittura. È questa l’impressione che si ha osservandola. Ma qualcosa la fa distrarre: ha udito un rumore, lo si capisce dal modo in cui inclina lievemente la testa, quasi a rivolgersi verso il suo luogo di provenienza, il giardino sul retro di una casa. Tutto nel suo sguardo attento e luminoso sembra dire: ho appena udito il suono più bello del mondo. Ora c’è un uomo in quel punto del giardino: la ragazza lo fissa rapita.

L’uomo non si accorge di lei, a sua volta sta osservando qualcosa con intensità e tristezza allo stesso tempo; sembra sul punto di dover prendere una decisione della massima importanza.

La ragazza intanto si è alzata e si sta ancora rigirando tra le mani la foglia. Ogni tanto abbassa lo sguardo sulle sue mani, sulle mani che a turno stringono delicatamente lo stelo sottile, ed è uno sguardo sorpreso, come se il semplice gesto che sta compiendo sia un assoluto miracolo.

I suoi occhi tornano però subito all’uomo nel giardino, che nel frattempo è rimasto del tutto immobile.

Lei comincia a camminare nella direzione dell’uomo, molto lentamente, mentre viene investita da una nuova folata; è così strano vedere quanto il solo fatto di avere i capelli scompigliati da quel vento colorato di foglie cadute la renda entusiasta .

Quell’uomo ha qualcosa di particolare, lei lo ha capito subito ma non sa dare un nome a questo “qualcosa”; incuriosita ma allo stesso tempo quasi guardinga continua ad avvicinarsi: vuole capire cosa c’è in quel giardino, vuole capire cosa attira lo sguardo preoccupato del misterioso uomo.

 

Un ragazzo sta rastrellando le foglie morte dal prato: ecco ciò che l’uomo apparso dal nulla sta osservando. Lei gli passa vicino; sicuramente il ragazzo non può vederla, e pare che non possa vedere nemmeno l’uomo che lo fissa dal limitare del giardino, a pochi metri di distanza. Continua a rastrellare senza rendersi conto di quel che sta succedendo attorno a lui.

La ragazza lo supera e prosegue, con lentezza, in direzione dell’uomo del mistero.

Solo ora si accorge che lui si è mosso, o per meglio dire ha spostato lo sguardo, prima fisso sul ragazzo, e sembra la stia fissando mentre lei si avvicina. I suoi occhi sono incredibilmente ipnotici, il suo sguardo sembra… sembra andare “oltre”, sembra scavare, guardare in profondità.

Lei da troppo tempo non sente lo sguardo di qualcuno addosso, quasi non ricorda la sensazione, ma quegli occhi la scrutano con troppa intensità, sembrano poterle leggere dentro.

 

«Tu puoi leggermi nel pensiero?» dice lei, di getto. Poi le si dipinge in viso un’espressione di sorpresa, come se lei stessa si sia stupita di averlo detto ad alta voce.

«No» risponde semplicemente lui con voce profonda, inclinando in modo lieve il capo e fissando i suoi occhi blu in quelli di lei.

«Ma allora puoi vedermi sul serio!» dice lei mentre esplode in un sorriso inaspettato.

«Certo che posso, ma tu non dovresti vedere me» risponde lui corrugando la fronte. «Chi sei?»

«Sono Vale e sono… bhe, sono morta, questa è l’unica cosa che so. Credo di essere un fantasma, uno spirito o qualcosa del genere. Tu chi sei?»

«Sono Castiel, sono un Angelo del Signore» e lo dice così, come se fosse la cosa più normale di questo mondo… piacere, sono un Angelo.

Formano una coppia decisamente curiosa questi due: lei morta, lui un messaggero divino.

Una di fronte all’altro sono senza dubbio il duo più improbabile che si sia mai visto.

La ragazza in jeans e t-shirt neri, converse scozzesi ai piedi, capelli corti e castani, con due ciocche magenta ai lati del viso; l’uomo in completo scuro, cravatta blu e trench, quest’ultimo forse un po’ troppo grande e trasandato.

Si fronteggiano, sembrano studiarsi.

Gli occhi nocciola di lei, curiosi, incontrano quelli blu profondo di lui e subito corrono altrove, a fissare un punto indefinito in alto, come a ricordare qualcosa.

Poi la ragazza inizia a canticchiare: ‘I’m a ghost, you’re an Angel*…’ e ride tornando a guardare lui, come aspettandosi una sua reazione.

«Come, scusa?» dice però lui inclinando nuovamente il capo in quel suo atteggiamento così goffo ed infantile.

«Ma sì… la canzone dei 30 Seconds To Mars! Stranger in a strange land! Non la conosci?»

«Mi spiace, temo di non aver mai sentito nominare questi… questi 30 Strangers To Mars Land» risponde con un’espressione impassibile e un tono di voce così sicuro da far quasi scoppiare a ridere la ragazza. Lei però si trattiene e lo osserva quasi con tenerezza, perché c’è qualcosa di estremamente dolce in lui, in quel suo modo di fare così bizzarro e inflessibile, in quella voce profonda e roca, in quel viso imperturbabile.

 

«Quel ragazzo…» dice lei accennando con il capo al giovane che spazza le foglie. «Lui deve morire? Per questo sei qui?»

«Cosa? Oh, no. Non è quello il mio compito. Te l’ho detto, sono un Angelo, non mi occupo di queste cose» tenta di spiegarle lui.

«Chi se ne occupa allora? Perché, chiunque egli sia, con me ha toppato alla grande» dice lei, cercando di suonare ironica e sprezzante, ma con gli occhi decisamente troppo tristi e spaventati.

Quell’espressione dura solo una frazione di secondo ma lui se ne accorge, lui che non è solito notare queste cose; forse la vicinanza con i suoi protetti, e in particolare con Dean, lo ha davvero cambiato più di quanto pensasse. Prova pena per lei, per il coraggio con cui cerca di mostrarsi forte e nascondere il velo di dolore che le offusca lo sguardo. Gli ricorda qualcuno.

«Queste cose non accadono per errore. Non posso sapere il motivo, ma sono sicuro che tu sia qui per qualcosa di estremamente importante. Devi fidarti di me, tu sei esattamente dove devi essere, dove è necessario che tu sia. Devi solo avere fede».

Fede. Lei nemmeno sa cosa sia la fede… ma d’altronde ha di fronte un Angelo e sa che lui è davvero chi dice di essere. Lo sa e basta, o meglio ancora lo sente, sente che lui è sincero.

L’uomo sembra leggerle nel pensiero. «Abbi almeno fede in me e in quel che ti ho detto».

Lei fa cenno di sì con la testa e dopo una piccola esitazione dice a bassa voce: «Io sono così da più di un anno e mezzo».

Il silenzio cade tra loro, pesante, ma solo per un attimo; poi la ragazza pone fine a quella pausa, cambiando discorso.

«Mi spieghi perché sei qui allora? So che ha a che fare con quel ragazzo ma…» si interrompe e prende a fissare un punto alle spalle dell’uomo, vicino agli alberi che limitano un lato del giardino.

L’Angelo si volta a guardare e si trova gli occhi scuri di Crowley puntati addosso.

La ragazza non sa chi sia, ma sente che qualcosa non va in quel piccoletto vestito di nero.

Quest’ultimo ha un’espressione infastidita, al limite della rabbia: sa di essere arrivato nel momento sbagliato.

Castiel istintivamente si affianca alla ragazza e le sussurra: «Dobbiamo andare via di qua, subito»

«Io non posso allontanarmi più di tanto, non ci sono mai riuscita.»

Ma lui le sfiora la fronte con due dita e in un battito d’ali sono lontani, chissà dove.

 

 

 

L’Angelo si accascia su una panchina: sembra stremato, come se fosse obbligato a portare sulle spalle un peso enorme, troppo grande persino per una creatura potente come lui.

Nasconde il viso tra le mani e rimane così, immobile.

La ragazza si guarda attorno, un po’ spaesata; l’Angelo in trench l’ha portata in uno splendido giardino innevato: sembra un angolo di paradiso, con la panchina in pietra sita tra alti e maestosi alberi e affacciata su un quieto laghetto.

Fissa poi l’Angelo, così affranto, e vorrebbe far qualcosa per lui. Cautamente si siede al suo fianco, cercando le parole giuste.

Lui però la precede: «Mi chiedo cosa volesse quel piccolo verme di Crowley… come se le cose non fossero già abbastanza complicate…»

«Non so chi sia questo Crowley, ma il mio istinto mi suggerisce di stargli alla larga» risponde lei, risoluta. «Qualsiasi cosa volesse da te… bhe, non ascoltarlo! Non lasciare nemmeno che si avvicini! Mi ha messo i brividi solo a guardarlo»

«Il tuo istinto non mente. Non riesco a immaginare cosa volesse, ma non lascerò che si avvicini indisturbato una seconda volta. Ho già abbastanza problemi con i miei fratelli, ci mancava solo la visita del numero uno dell’Inferno. Ho così tante cose a cui pensare, decisioni da prendere…» dice lui stringendo nuovamente la testa tra le mani.

La ragazza lo guarda, muove appena una mano verso di lui ma subito la ritrae. Si legge sul suo volto la sofferenza di chi vorrebbe fare qualcosa per aiutare una persona in difficoltà, ma semplicemente non sa come fare, non sa cosa fare.

«Vuoi parlarne? Magari ti farebbe stare meglio» dice lei a bassa voce, forse un po’ titubante o intimidita da lui.

«Ti ringrazio, ma sono cose troppo complicate, troppo grandi per un essere umano» risponde lui, senza ombra di presunzione. Subito dopo, però, aggiunge: «Senza offesa naturalmente»

«No, hai ragione, non posso nemmeno sperare di comprendere i pensieri che affollano la mente di un Angelo… anche perché devo ancora digerire il fatto che esistano gli Angeli! Però se vorrai sarò sempre disposta ad ascoltarti. In fondo l’hai detto tu che sono qui per un motivo, giusto?»

«Giusto»

«Vorrei raccontarti la mia storia nel frattempo.»

 

«Non ricordo molto della mia vita, sai? Tutto ciò che mi resta sono poche immagini sbiadite di ciò che ero prima… le sento svanire pian piano, sento che mi sfuggono, scivolando nell’oblio, ma non so come fermarle, non sono in grado di farlo. Tanto poi a che servirebbe? Non ha più importanza oramai. Ogni tanto ho qualche flash del passato, come prima, quando parlando con te mi sono tornate in mente le parole di quella canzone. Per un attimo sono stata investita dai ricordi: nomi, suoni, volti, sensazioni… ma ora sono già lontani. Mi sembra quasi di poterli afferrare e trattenere se mi concentro, ma semplicemente non riesco. Come se fosse stato solo un sogno. La mia vita: solo un sogno svanito all’alba che ora non riesco a ricordare come vorrei.

L’unica memoria chiara che ho è la mia morte.

Ero in auto, su una strada che avevo percorso decine di volte, eppure quel giorno è successo qualcosa, non so dire di preciso cosa. So solo che ho perso il controllo della macchina e che ho visto chiaramente la piccola utilitaria verde scuro che si avvicinava sull’altra corsia. È stata solo una frazione di secondo sai, ma tutto andava a rallentatore. La macchina verde era ormai troppo vicina, io sapevo di non aver tempo di spostarmi, non potevo muovermi. Tutto ciò che potevo fare era stare lì a fissarla mentre mi veniva addosso. Poco dopo mi sono trovata a piedi in una via che non conoscevo; ricordo di aver notato come prima cosa una villetta decorata con palloncini colorati e striscioni. L’atmosfera era strana, onirica, e io non sapevo spiegare la mia presenza lì. L’incidente sembrava così distante, come se non fosse mai avvenuto. Ho tirato fuori dalla tasca il cellulare e ho visto che il display era rotto; con un brivido mi sono detta: ma allora è successo, è successo davvero… come sono finita qui? Dove mi trovo?

Volevo telefonare a casa ma ovviamente non ci sono riuscita**. Il resto puoi immaginarlo. Mi sono resa conto di non poter essere vista né udita, mi sono accorta che tutto attorno a me cambiava: i palloncini della festa di compleanno vennero tolti, l’inverno lasciò il posto alla primavera, le persone continuarono a vivere indifferenti le loro vite. Tutto continuava il proprio corso, solo io rimanevo immobile e immutata. Ho notato poi che mi era impossibile muovermi, allontanarmi più di tanto da quel luogo: tutto il mio mondo si riduceva a quella via e alle poche case che vi si affacciavano. Non riuscivo a capire il motivo di quella sorta di prigionia forzata, anche se forse oggi ho avuto da te la spiegazione che cercavo da tanto. Col passare del tempo ho imparato a concentrarmi per poter toccare gli oggetti, un piccolo miglioramento che mi è costato parecchio allenamento e che mi ha quindi permesso di distrarmi dal mio problema più grande, quello che diventava di giorno in giorno più difficile da sopportare: la solitudine. All’inizio non ci ho dato molto peso, ma tutto questo tempo passato senza poter parlare, senza nemmeno poter essere guardata è stato… bhe, mi ha logorata, credevo di impazzire. Poi oggi sei arrivato tu e mi hai fissata; è stato come un piccolo miracolo capire che stavi effettivamente guardando me e non attraverso me, come capita di solito»

«Mi spiace davvero, devi aver sofferto molto. Vorrei poter fare qualcosa per aiutarti, ma non posso cancellare questi ricordi dolorosi»

«No, lo so, ma non ti preoccupare. Solo il fatto che tu mi abbia ascoltata mi rende felice, credimi» dice lei sorridendo e guardandolo negli occhi. Poi però abbassa lo sguardo, intimidita, e mormora: «Forse una cosa ci sarebbe… ma… ecco…»

«Chiedi pure, in fondo mi sono offerto io»

«Ehm, ok. Puoi… potresti… tenermi la mano?» mormora lei tenendo sempre lo sguardo basso, visibilmente a disagio. «Mi manca il contatto umano. Ok, tu non sei propriamente un umano ma…»

«Certo che posso» la interrompe lui tendendole la sua mano.

La ragazza fissa quella mano, forse ancora imbarazzata, questo sì, ma tende a sua volta la mano, molto lentamente, finché i loro palmi si sfiorano appena. Poi rimane lì, sbalordita ed emozionata a fissare quel suo personale miracolo, assaporando silenziosamente quel contatto così innocente eppure così intimo. Alza gli occhi sull’Angelo e lo ringrazia senza bisogno di parole, lo ringrazia con le piccole lacrime di gioia che le rendono lo sguardo lucido e che le si imprigionano tra le ciglia scure. Automaticamente, in perfetta sincronia, intrecciano le dita, poi lei avvolge anche con l’altra mano la mano di lui, portandosela in grembo. Nessuno dei due parla, entrambi assorti nei loro pensieri, fissando incantati il laghetto innanzi a loro, così distanti eppure così disperatamente aggrappati l’una all’altro.

Passa parecchio tempo, poi l’Angelo interrompe quel silenzio quasi impossibile con la sua bella voce profonda: «Vorrei raccontarti la mia storia, vorrei raccontarti ogni cosa»

«Sì, ti prego, raccontami tutto» risponde lei, continuando a stringere la mano di lui tra le sue.

 

 

 

           I’m a ghost, you’re an Angel, we’re one and the same, just remains of an age.

 

 

*È un verso di Stranger in a strange land, proprio quello che mi ha fatto nascere l’idea di questa follia!

**Tutta questa parte di racconto sulla morte della protagonista è un mio sogno  O_o

 

 

Piccolo angolo dell’autrice

Salve a tutti… se siete arrivati fin qui vi ringrazio e vi adoro! Se avete voglia ditemi cosa pensate della storia e se vi va di leggere il seguito (sarà solo un altro capitolo, niente di troppo impegnativo!)

Un bacio e a presto,

Vale

  
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