I
personaggi di questa storia non mi appartengono (vabbè, il
personaggio
femminile sì). Non scrivo a scopo di lucro ma solo
perché ho bisogno di
svuotare la mia testa (che è piena di stupidaggini) e quello
che scrivo non è
reale ma è frutto della mia fantasia.
Questa
storia nasce come mia personale soluzione al casino
dell’alleanza tra Cas e
Crowley: cosa sarebbe successo se Crowley non fosse riuscito a parlare
con Cas
in quel giardino? Ecco perché mi è toccato
inserire un nuovo personaggio! Buona
lettura!
Il tutto
inizia in modo quasi banale, il prologo di una storia come tante.
Una
ragazza se ne sta seduta sotto un albero, in un giorno ventoso, e
sembra
totalmente assorta nei suoi pensieri. Quando una folata un
po’ più forte le fa
volare una foglia tra i capelli, lei la prende con delicatezza tra due
dita,
poi la solleva adagio verso la luce bianca e la osserva intensamente,
come se
stesse studiando con minuzia il percorso delle venature e le sfumature
di
colore. Passano due minuti, forse tre.
Sembra che nulla possa distoglierla da quella sua
occupazione così
strana e fanciullesca allo stesso tempo. Potrebbe andare avanti
così per ore,
forse giorni addirittura. È questa l’impressione
che si ha osservandola. Ma
qualcosa la fa distrarre: ha udito un rumore, lo si capisce dal modo in
cui inclina
lievemente la testa, quasi a rivolgersi verso il suo luogo di
provenienza, il
giardino sul retro di una casa. Tutto nel suo sguardo attento e
luminoso sembra
dire: ho appena udito il suono più
bello
del mondo. Ora c’è un uomo in quel punto
del giardino: la ragazza lo fissa
rapita.
L’uomo
non si accorge di lei, a sua volta sta osservando qualcosa con
intensità e
tristezza allo stesso tempo; sembra sul punto di dover prendere una
decisione
della massima importanza.
La
ragazza intanto si è alzata e si sta ancora rigirando tra le
mani la foglia.
Ogni tanto abbassa lo sguardo sulle sue mani, sulle mani che a turno
stringono
delicatamente lo stelo sottile, ed è uno sguardo sorpreso,
come se il semplice
gesto che sta compiendo sia un assoluto miracolo.
I suoi
occhi tornano però subito all’uomo nel giardino,
che nel frattempo è rimasto del
tutto immobile.
Lei
comincia a camminare nella direzione dell’uomo, molto
lentamente, mentre viene
investita da una nuova folata; è così strano
vedere quanto il solo fatto di
avere i capelli scompigliati da quel vento colorato di foglie cadute la
renda
entusiasta .
Quell’uomo
ha qualcosa di particolare, lei lo ha capito subito ma non sa dare un
nome a
questo “qualcosa”; incuriosita ma allo stesso tempo
quasi guardinga continua ad
avvicinarsi: vuole capire cosa c’è in quel
giardino, vuole capire cosa attira
lo sguardo preoccupato del misterioso uomo.
Un
ragazzo sta rastrellando le foglie morte dal prato: ecco ciò
che l’uomo apparso
dal nulla sta osservando. Lei gli passa vicino; sicuramente il ragazzo
non può
vederla, e pare che non possa vedere nemmeno l’uomo che lo
fissa dal limitare
del giardino, a pochi metri di distanza. Continua a rastrellare senza
rendersi
conto di quel che sta succedendo attorno a lui.
La
ragazza lo supera e prosegue, con lentezza, in direzione
dell’uomo del mistero.
Solo ora
si accorge che lui si è mosso, o per meglio dire ha spostato
lo sguardo, prima
fisso sul ragazzo, e sembra la stia fissando mentre lei si avvicina. I
suoi occhi
sono incredibilmente ipnotici, il suo sguardo sembra… sembra
andare “oltre”,
sembra scavare, guardare in profondità.
Lei da
troppo tempo non sente lo sguardo di qualcuno addosso, quasi non
ricorda la
sensazione, ma quegli occhi la scrutano con troppa
intensità, sembrano poterle
leggere dentro.
«Tu
puoi
leggermi nel pensiero?» dice lei, di getto. Poi le si dipinge
in viso
un’espressione di sorpresa, come se lei stessa si sia stupita
di averlo detto
ad alta voce.
«No»
risponde semplicemente lui con voce profonda, inclinando in modo lieve
il capo
e fissando i suoi occhi blu in quelli di lei.
«Ma
allora puoi vedermi sul serio!» dice lei mentre esplode in un
sorriso
inaspettato.
«Certo
che posso, ma tu non dovresti vedere me» risponde lui
corrugando la fronte.
«Chi sei?»
«Sono
Vale e sono… bhe, sono morta, questa è
l’unica cosa che so. Credo di essere un
fantasma, uno spirito o qualcosa del genere. Tu chi sei?»
«Sono
Castiel, sono un Angelo del Signore» e lo dice
così, come se fosse la cosa più
normale di questo mondo… piacere, sono un Angelo.
Formano
una coppia decisamente curiosa questi due: lei morta, lui un messaggero
divino.
Una di
fronte all’altro sono senza dubbio il duo più
improbabile che si sia mai visto.
La
ragazza in jeans e t-shirt neri, converse scozzesi ai piedi, capelli
corti e
castani, con due ciocche magenta ai lati del viso; l’uomo in
completo scuro,
cravatta blu e trench, quest’ultimo forse un po’
troppo grande e trasandato.
Si
fronteggiano, sembrano studiarsi.
Gli occhi
nocciola di lei, curiosi, incontrano quelli blu profondo di lui e
subito
corrono altrove, a fissare un punto indefinito in alto, come a
ricordare
qualcosa.
Poi la
ragazza inizia a canticchiare: ‘I’m a ghost,
you’re an Angel*…’ e ride tornando
a guardare lui, come aspettandosi una sua reazione.
«Come,
scusa?» dice però lui inclinando nuovamente il
capo in quel suo atteggiamento
così goffo ed infantile.
«Ma
sì…
la canzone dei 30 Seconds To Mars! Stranger in a strange land! Non la
conosci?»
«Mi
spiace, temo di non aver mai sentito nominare questi… questi
30 Strangers To
Mars Land» risponde con un’espressione impassibile
e un tono di voce così
sicuro da far quasi scoppiare a ridere la ragazza. Lei però
si trattiene e lo
osserva quasi con tenerezza, perché c’è
qualcosa di estremamente dolce in lui,
in quel suo modo di fare così bizzarro e inflessibile, in
quella voce profonda
e roca, in quel viso imperturbabile.
«Quel
ragazzo…» dice lei accennando con il capo al
giovane che spazza le foglie. «Lui
deve morire? Per questo sei qui?»
«Cosa?
Oh, no. Non è quello il mio compito. Te l’ho
detto, sono un Angelo, non mi
occupo di queste cose» tenta di spiegarle lui.
«Chi
se
ne occupa allora? Perché, chiunque egli sia, con me ha
toppato alla grande»
dice lei, cercando di suonare ironica e sprezzante, ma con gli occhi
decisamente troppo tristi e spaventati.
Quell’espressione
dura solo una frazione di secondo ma lui se ne accorge, lui che non
è solito
notare queste cose; forse la vicinanza con i suoi protetti, e in
particolare
con Dean, lo ha davvero cambiato più di quanto pensasse.
Prova pena per lei,
per il coraggio con cui cerca di mostrarsi forte e nascondere il velo
di dolore
che le offusca lo sguardo. Gli ricorda qualcuno.
«Queste
cose non accadono per errore. Non posso sapere il motivo, ma sono
sicuro che tu
sia qui per qualcosa di estremamente importante. Devi fidarti di me, tu
sei
esattamente dove devi essere, dove è necessario che tu sia.
Devi solo avere
fede».
Fede. Lei
nemmeno sa cosa sia la fede… ma d’altronde ha di
fronte un Angelo e sa che lui
è davvero chi dice di essere. Lo sa e basta, o meglio ancora
lo sente, sente
che lui è sincero.
L’uomo
sembra leggerle nel pensiero. «Abbi almeno fede in me e in
quel che ti ho detto».
Lei fa
cenno di sì con la testa e dopo una piccola esitazione dice
a bassa voce: «Io
sono così da più di un anno e mezzo».
Il
silenzio cade tra loro, pesante, ma solo per un attimo; poi la ragazza
pone
fine a quella pausa, cambiando discorso.
«Mi
spieghi perché sei qui allora? So che ha a che fare con quel
ragazzo ma…» si
interrompe e prende a fissare un punto alle spalle dell’uomo,
vicino agli
alberi che limitano un lato del giardino.
L’Angelo
si volta a guardare e si trova gli occhi scuri di Crowley puntati
addosso.
La ragazza
non sa chi sia, ma sente che qualcosa non va in quel piccoletto vestito
di
nero.
Quest’ultimo
ha un’espressione infastidita, al limite della rabbia: sa di
essere arrivato
nel momento sbagliato.
Castiel
istintivamente si affianca alla ragazza e le sussurra:
«Dobbiamo andare via di
qua, subito»
«Io
non
posso allontanarmi più di tanto, non ci sono mai
riuscita.»
Ma lui le
sfiora la fronte con due dita e in un battito d’ali sono
lontani, chissà dove.
L’Angelo
si accascia su una panchina: sembra stremato, come se fosse obbligato a
portare
sulle spalle un peso enorme, troppo grande persino per una creatura
potente
come lui.
Nasconde
il viso tra le mani e rimane così, immobile.
La
ragazza si guarda attorno, un po’ spaesata;
l’Angelo in trench l’ha portata in
uno splendido giardino innevato: sembra un angolo di paradiso, con la
panchina
in pietra sita tra alti e maestosi alberi e affacciata su un quieto
laghetto.
Fissa poi
l’Angelo, così affranto, e vorrebbe far qualcosa
per lui. Cautamente si siede
al suo fianco, cercando le parole giuste.
Lui
però
la precede: «Mi chiedo cosa volesse quel piccolo verme di
Crowley… come se le
cose non fossero già abbastanza
complicate…»
«Non
so
chi sia questo Crowley, ma il mio istinto mi suggerisce di stargli alla
larga»
risponde lei, risoluta. «Qualsiasi cosa volesse da
te… bhe, non ascoltarlo! Non
lasciare nemmeno che si avvicini! Mi ha messo i brividi solo a
guardarlo»
«Il
tuo istinto
non mente. Non riesco a immaginare cosa volesse, ma non
lascerò che si avvicini
indisturbato una seconda volta. Ho già abbastanza problemi
con i miei fratelli,
ci mancava solo la visita del numero uno dell’Inferno. Ho
così tante cose a cui
pensare, decisioni da prendere…» dice lui
stringendo nuovamente la testa tra le
mani.
La
ragazza lo guarda, muove appena una mano verso di lui ma subito la
ritrae. Si
legge sul suo volto la sofferenza di chi vorrebbe fare qualcosa per
aiutare una
persona in difficoltà, ma semplicemente non sa come fare,
non sa cosa fare.
«Vuoi
parlarne? Magari ti farebbe stare meglio» dice lei a bassa
voce, forse un po’
titubante o intimidita da lui.
«Ti
ringrazio, ma sono cose troppo complicate, troppo grandi per un essere
umano»
risponde lui, senza ombra di presunzione. Subito dopo, però,
aggiunge: «Senza
offesa naturalmente»
«No,
hai
ragione, non posso nemmeno sperare di comprendere i pensieri che
affollano la
mente di un Angelo… anche perché devo ancora
digerire il fatto che esistano gli
Angeli! Però se vorrai sarò sempre disposta ad
ascoltarti. In fondo l’hai detto
tu che sono qui per un motivo, giusto?»
«Giusto»
«Vorrei
raccontarti la mia storia nel frattempo.»
«Non
ricordo molto della mia vita, sai? Tutto ciò che mi resta
sono poche immagini
sbiadite di ciò che ero prima… le sento svanire
pian piano, sento che mi
sfuggono, scivolando nell’oblio, ma non so come fermarle, non
sono in grado di
farlo. Tanto poi a che servirebbe? Non ha più importanza
oramai. Ogni tanto ho
qualche flash del passato, come prima, quando parlando con te mi sono
tornate
in mente le parole di quella canzone. Per un attimo sono stata
investita dai
ricordi: nomi, suoni, volti, sensazioni… ma ora sono
già lontani. Mi sembra
quasi di poterli afferrare e trattenere se mi concentro, ma
semplicemente non
riesco. Come se fosse stato solo un sogno. La mia vita: solo un sogno
svanito all’alba
che ora non riesco a ricordare come vorrei.
L’unica
memoria chiara che ho è la mia morte.
Ero in
auto, su una strada che avevo percorso decine di volte, eppure quel
giorno è
successo qualcosa, non so dire di preciso cosa. So solo che ho perso il
controllo
della macchina e che ho visto chiaramente la piccola utilitaria verde
scuro che
si avvicinava sull’altra corsia. È stata solo una
frazione di secondo sai, ma
tutto andava a rallentatore. La macchina verde era ormai troppo vicina,
io
sapevo di non aver tempo di spostarmi, non potevo muovermi. Tutto
ciò che
potevo fare era stare lì a fissarla mentre mi veniva
addosso. Poco dopo mi sono
trovata a piedi in una via che non conoscevo; ricordo di aver notato
come prima
cosa una villetta decorata con palloncini colorati e striscioni.
L’atmosfera
era strana, onirica, e io non sapevo spiegare la mia presenza
lì. L’incidente
sembrava così distante, come se non fosse mai avvenuto. Ho
tirato fuori dalla
tasca il cellulare e ho visto che il display era rotto; con un brivido
mi sono
detta: ma allora è successo,
è successo
davvero… come sono finita qui? Dove mi trovo?
Volevo
telefonare a casa ma ovviamente non ci sono riuscita**. Il resto puoi
immaginarlo. Mi sono resa conto di non poter essere vista né
udita, mi sono
accorta che tutto attorno a me cambiava: i palloncini della festa di
compleanno
vennero tolti, l’inverno lasciò il posto alla
primavera, le persone continuarono
a vivere indifferenti le loro vite. Tutto continuava il proprio corso,
solo io
rimanevo immobile e immutata. Ho notato poi che mi era impossibile
muovermi,
allontanarmi più di tanto da quel luogo: tutto il mio mondo
si riduceva a
quella via e alle poche case che vi si affacciavano. Non riuscivo a
capire il
motivo di quella sorta di prigionia forzata, anche se forse oggi ho
avuto da te
la spiegazione che cercavo da tanto. Col passare del tempo ho imparato
a
concentrarmi per poter toccare gli oggetti, un piccolo miglioramento
che mi è
costato parecchio allenamento e che mi ha quindi permesso di distrarmi
dal mio
problema più grande, quello che diventava di giorno in
giorno più difficile da
sopportare: la solitudine. All’inizio non ci ho dato molto
peso, ma tutto
questo tempo passato senza poter parlare, senza nemmeno poter essere
guardata è
stato… bhe, mi ha logorata, credevo di impazzire. Poi oggi
sei arrivato tu e mi
hai fissata; è stato come un piccolo miracolo capire che
stavi effettivamente
guardando me e non attraverso me, come capita di solito»
«Mi
spiace davvero, devi aver sofferto molto. Vorrei poter fare qualcosa
per
aiutarti, ma non posso cancellare questi ricordi dolorosi»
«No,
lo
so, ma non ti preoccupare. Solo il fatto che tu mi abbia ascoltata mi
rende
felice, credimi» dice lei sorridendo e guardandolo negli
occhi. Poi però
abbassa lo sguardo, intimidita, e mormora: «Forse una cosa ci
sarebbe… ma…
ecco…»
«Chiedi
pure, in fondo mi sono offerto io»
«Ehm,
ok.
Puoi… potresti… tenermi la mano?»
mormora lei tenendo sempre lo sguardo basso,
visibilmente a disagio. «Mi manca il contatto umano. Ok, tu
non sei
propriamente un umano ma…»
«Certo
che posso» la interrompe lui tendendole la sua mano.
La
ragazza fissa quella mano, forse ancora imbarazzata, questo
sì, ma tende a sua
volta la mano, molto lentamente, finché i loro palmi si
sfiorano appena. Poi
rimane lì, sbalordita ed emozionata a fissare quel suo
personale miracolo,
assaporando silenziosamente quel contatto così innocente
eppure così intimo.
Alza gli occhi sull’Angelo e lo ringrazia senza bisogno di
parole, lo ringrazia
con le piccole lacrime di gioia che le rendono lo sguardo lucido e che
le si
imprigionano tra le ciglia scure. Automaticamente, in perfetta
sincronia,
intrecciano le dita, poi lei avvolge anche con l’altra mano
la mano di lui,
portandosela in grembo. Nessuno dei due parla, entrambi assorti nei
loro
pensieri, fissando incantati il laghetto innanzi a loro,
così distanti eppure
così disperatamente aggrappati l’una
all’altro.
Passa
parecchio tempo, poi l’Angelo interrompe quel silenzio quasi
impossibile con la
sua bella voce profonda: «Vorrei raccontarti la mia storia,
vorrei raccontarti
ogni cosa»
«Sì,
ti
prego, raccontami tutto» risponde lei, continuando a
stringere la mano di lui
tra le sue.
I’m
a ghost, you’re an Angel,
we’re one and the same, just remains of an age.
*È
un
verso di Stranger in a strange land, proprio quello che mi ha fatto
nascere l’idea
di questa follia!
**Tutta
questa parte di racconto sulla morte della protagonista è un
mio sogno O_o
Piccolo
angolo dell’autrice
Salve a
tutti… se siete arrivati fin qui vi ringrazio e vi adoro! Se
avete voglia
ditemi cosa pensate della storia e se vi va di leggere il seguito
(sarà solo un
altro capitolo, niente di troppo impegnativo!)
Un bacio
e a presto,
Vale