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Autore: Rainie    08/09/2011    4 recensioni
Rein? La ragazza più normale del mondo. O almeno, così lei crede. Un lavoro? Beh, sì, ce l'ha, ma non è poi così normale come lei (?). Un imprevisto? Insomma, quello si vedrà.
Perché, in fondo, cosa sarebbe mai capitato a qualcuno che segue diligentemente le routine come lei?
Cit.: «Adesso che farai?» chiese, e fu in quel momento che capii il perché di quel sorriso inquietante: sapeva che ero disposta a tutto pur di non far morire un amore.
Deglutii saliva amara, era una bella domanda. Cosa avrei fatto? Cercando tutta la sicurezza che avevo in corpo, gli dissi: «Smettila, non è divertente.»
«E se anche fosse?» rispose avvicinandosi a me, ed io indietreggiai di conseguenza. No, non dovevo farmi mettere in soggezione da un tipo come lui.

[...]
«Facciamo così» sentenziò, «se mi trovi almeno cinque ragioni per continuare a stare con tua sorella, allora mollo tutto e continuo la storia. Se non riesci, beh… direi che è ora di finirla. Che ne dici?»
[Pairing: ShadexRein]
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rein, Shade, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
 
Per la seconda volta in quel giorno, ero stesa sul letto a fissare un punto vuoto del soffitto, da cui pendevano le gru di carta.
Era inutile continuare a fare i compiti, tant’è che li mandai al diavolo all’ennesima volta che cercai di concentrarmi, senza alcun risultato.
Mi sarei dovuta sentire in colpa. Ho baciato il fidanzato di mia sorella, anche se non lo volevo affatto.
Ho. Baciato. Shade.
E questa non era una buona cosa.
“‘Baciare’ non è il verbo giusto”, pensai mettendomi su un fianco e raggomitolandomi, “semmai potrebbe essere ‘sfiorare con le labbra’, o qualcosa del genere.” Ma sapevo comunque che la sostanza era sempre la stessa, da qualsiasi punto di vista lo guardi. Anche un neonato lo capirebbe.
Ma la domanda era: avrei dovuto dire a Fine quello che avevo visto?
Avevo, sì, recuperato e reso la sciarpa a mia sorella, ma in quel momento la mia priorità principale era ritornarmene in camera e fare i compiti, quindi non badai tanto a come mi comportai con lei. Non ci avevo pensato affatto.
Avrei dovuto mentire alla mia gemella, a colei a cui non ho mai celato alcun segreto sin dalla nascita. Era la cosa giusta? Però, era per il suo bene. Avrei dovuto farlo?
Improvvisamente, mi ritrovai a pensare a Shade. In quel momento, ero presa dall’irritazione e avevo accettato quella proposta all’istante, pensando a come si sarebbe sentita Fine se avesse saputo che il suo ragazzo la tradiva. Eppure mi sentivo che c’era qualcosa che mi sfuggiva di mano, ma non riuscivo a riempire il vuoto che mi si era creato in testa.
Vuoto.
Non avevo pensato ai sentimenti di Shade, che erano la cosa più ovvia a cui pensare in quel momento. Era, sì, vero che Fine aveva, in qualche modo, una certa priorità, ma se fosse proprio Shade a non voler stare più con lei perché non sentiva più niente? Avrei perso all’istante la scommessa.
No, non dovevo essere compassionevole con un individuo del genere.
Mi misi di nuovo supina nel mio letto con le lenzuola color blu notte. «Cosa dovrei fare?» sussurrai, più agli uccelli di carta che avevo appeso nella mia stanza che a me stessa. Eppure gli origami erano sempre appesi là, non mi davano alcun segno, continuando a lievitare nell’aria grazie al filo e alla brezza autunnale. Pioveva ancora fuori, ma era un pioggerella lieve, ma sperai con tutto il mio cuore che smettesse almeno il giorno dopo.
Mi sedetti a gambe incrociate nel letto, sospirando. Dov’era finita la mia tranquillità? Era stata portata via da Shade (e forse anche da Fine).
Ma, in fondo, cosa ci voleva a trovare cinque motivi per cui lui debba stare con mia sorella? Ci pensai per qualche secondo, e sapevo già come rispondergli. Fui felice nel constatare che avrei presto riavuto la mia vita normale.
Fine, in quel momento, bussò ed entrò in camera mia, dicendomi raggiante: «Rein! Si cena!»
La mia gemella non sarebbe mai cambiata. Era una golosa di prim’ordine, quando aveva fame non si riusciva mai a controllare e diventava più goffa del solito – e goffa lo ero pure io. E poi, si scioglieva quando assaggiava i manicaretti di nostra madre.
In quel momento ebbi una gran paura di far trapelare, dal tono della mia voce, il mio stato d’animo; sebbene sapevo già come risolvere l’intera questione, ero ancora alquanto irrequieta ed insicura.
Sarei riuscita a mentire perfettamente davanti a mia sorella, così cara a me? Era come se stessi tradendo la sua fiducia, e se fosse stato davvero così mi sarei sentita troppo male per poter mantenere fede al patto fatto con Shade.
Mi ripetei “È per il suo bene” per farmi coraggio, e le dissi: «D’accordo, vengo. Ma non strillare ogni volta che mangiamo, per favore.» Avevo sperato che la mia voce non tremasse e che non desse segni di insicurezza o quant’altro, ma avevo mantenuto un perfetto tono neutrale e normale, fui stupita da me stessa.  Pensai che se avessi continuato così, avrei certamente avuto un ruolo da doppiogiochista nell’FBI o qualsiasi altra organizzazione che opera su scala mondiale solo per il fatto che sapevo mentire. In effetti, avevo spesso detto bugie, ma erano perlopiù bugie innocenti. Anche se talvolta non erano così “innocenti”.
«Ok, ma sbrigati, Rein, altrimenti il tuo dolce lo mangio io!» gridò, prima di sparire dalla mia visuale e di precipitarsi giù per le scale. Sperai che non cadesse – era tanto maldestra – e mi appuntai nella mente di spiegarle che il dessert viene mangiato alla fine del pasto, non all’inizio.
 
Il giorno dopo ero di pessimo umore; avevo passato la notte in bianco per colpa dei miei dubbi esistenziali e quelli di un individuo come Shade, chiedendomi “Farò bene? Oppure no?”, mandando, infine, al diavolo tutto e rigirarmi per ore ed ore nel letto fino a quando la mia sveglia non ha suonato – tra l’altro non avevo nemmeno finito i compiti. Riuscivo perfino a sentire la mia aura che intimava a chiunque di lasciarmi in pace alleggiarmi attorno: pessima cosa.
«Wow, Rein, oggi hai proprio una bella cera» commentò Altezza, una volta sedutami al mio posto. «Non ne parliamo, è meglio» biascicai, non avevo nemmeno la forza di rispondere. Volevo solo dormire e basta, riprendendomi tutte quelle ore di sonno. L’avrei sicuramente fatta pagare a quel tizio dai capelli assurdi e apparentemente (?) indomabili.
Dovevo farla finita, e subito. Altrimenti avrei distrutto sia me stessa che Fine.
«Hai per caso visto Shade, stamattina? Devo dirgli una cosa» dissi alla mia compagna, che sembrò pensarci su. «No. Di solito io e Bright andiamo a casa sua a chiamarlo, ma oggi non ha risposto nessuno al citofono.»
Sbuffai sonoramente, avevo bisogno di porre fine a quella farsa o sarei morta d’ansia. Decisamente.
Durante tutta l’ora di lezione non feci altro che pensare a come sarebbe andata, se le cose si sarebbero sistemate e cose del genere. Ero spesso sì, una pasticciona, ma quella volta avrei dovuto non commettere alcun errore. Per il bene della mia gemella.
Ero forse troppo altruista? In fondo, cosa mi obbliga ad aiutare gli altri in ogni singolo momento della mia vita? Forse avrei dovuto smettere e pensare più a me stessa. In fondo, era per colpa del mio altruismo che mi ero cacciata in quel guaio, ero stata troppo impulsiva e poco razionale – anche se “razionalità” non è mai stato il mio secondo nome.
Alla fine della prima ora ero già uno straccio, stato in cui di solito mi riduco a fine giornata. Pensare a cose del genere mi fa davvero stancare di me stessa, quindi mi ripetei che dovevo fare quel “lavoro” e basta, che non c’era alcuna ragione in particolare se non aiutare gli altri a vivere il proprio sogno.
Non ebbi, però, la forza di uscire dall’aula e dirigermi verso le classi del terzo anno, così rimasi sulla soglia della porta della mia classe a fissare gli studenti che passavano davanti a me, senza alcuna preoccupazione, mentre chiacchieravano fra di loro del più e del meno.
«Fattelo dire, oggi sei proprio strana» disse Altezza alle mie spalle ed io, dopo essermi girata, feci le spallucce. «E allora?»
«E allora c’è qualcosa che ti turba. Insomma, non che siano affari miei.» Si vedeva da un miglio che moriva dalla voglia di sapere a cosa stavo pensando sin da prima mattina, e per un istante la guardai storto. «Altezza. Gli affari degli altri diventano sempre affari tuoi, proprio perché non riesci a nascondere la tua curiosità. Ammettilo.» Lei schioccò la lingua, dicendomi: «Non è vero!» quando sapeva benissimo che era la sacrosanta verità, lei era maledettamente  curiosa. A quel punto intervenne Sophie che comparve magicamente davanti a me, spaventandomi a morte. «Buongiornoooo! Che si dice in giro?»
«Chiedilo alla signorina “Non parlatemi perché oggi sono incazzata nera”» rispose Altezza, guardandomi storto. «Hey! Modera le parole, siamo a scuola. Fuori potrai dire tutto quello che vuoi» dissi, ricambiando il suo sguardo.
«Altezzaaa. Non essere così irritabile e sorridi di più. O ti verranno le rughe!» commentò Sophie, ridendo in modo birichino come al solito e facendo andare su tutte le furie la mia compagna di classe. «Sono ancora giovane! È impossibile che mi vengano le rughe a 16 anni! Non dire idiozie, perché non ho mai sentito una cosa del genere in giro!» ribatté, come sempre, strillando Altezza. Sapevo benissimo che stavamo dando spettacolo – lo dimostravano gli sguardi perplessi degli studenti in corridoio – ma quella era la mia normalità.
Ma ora che è stata turbata, come avrei fatto?
 
Il pranzo non fu granché.
Eravamo soliti a mangiare tutti – sì, anche i nostri del terzo anno – insieme sulla terrazza della scuola; se pioveva, come quel giorno, restavamo nella classe di uno di noi.
Sbuffai nel constatare che non aveva ancora smesso, d’altronde la pioggia non mi metteva mai di buon’umore, e lo stesso effetto faceva a Fine. A Lione e Mirlo, invece, piaceva molto, perché dicevano che il suo odore e i ticchettii delle gocce le facevano rilassare. Altezza si preoccupava solo dei suoi capelli, mentre Sophie, Auler e Bright si adattavano. A Shade non faceva né caldo né freddo, tant’è che aveva sempre la stessa faccia annoiata e neutra.
Quel giorno, però, non si era aggregato a noi.
Gli imprecavo contro mentalmente, perché volevo mettere fine a quella storia il più presto possibile. Non ne potevo più di star sottopressione per colpa sua, ed era anche inutile continuare a preoccuparsi, sebbene avessi continuato a pensarci per tutta la mattinata.
Parlai poco o me ne stetti zitta per tutto il tempo in cui pranzammo, e gli altri mi guardarono storto vista la mancanza della mia solita loquacità in quel momento, poiché chiacchierare era la mia ultima priorità.
Dopo pranzo presi da parte Bright e gli dissi, con fare furtivo: «Sai per caso dov’è finito Shade? Ho bisogno di parlargli.» Lui mi diede uno sguardo interrogativo, poi cominciò a fare il pensoso. «Stamattina si comportava in modo strano» disse, «continuava a ridacchiare fra sé e sé – io, personalmente, sapevo benissimo perché – e quando gli ho chiesto cosa fosse successo di così interessante, mi ha detto: “La pioggia da una parte mi sta portando fortuna”. Insomma, vedi te.»
Nemmeno io capii il senso di quella frase, e non avevo alcuna intenzione di saperlo. Mi avrebbe provocato altri guai, me lo sentivo. «Ad ogni modo» continuò, «l’ho visto dirigersi verso le scale che portano alla terrazza. Probabilmente è lì, anche se non so che intenzioni abbia.»
Ringraziai Bright e mi diressi verso le scale, più correndo che camminando, finendo di inciampare un paio di volte. Stavo per realizzare l’obiettivo di tutta una mattinata di pensieri poco rilassanti, e non potevo di certo aspettare ancora. Sperai con tutto il cuore che Shade fosse sulla terrazza e non chissà dove, per potergli sbattere in faccia quel che pensavo all’istante.
Quel ragazzo sapeva come farmi esasperare, anche se non se ne rendeva conto.
Quando finii di salire, finalmente, l’ultima rampa di scale, sbirciai fuori dalla porta che dava sul terrazzo, e non vidi altro che gocce di pioggia che battevano sul pavimento piastrellato. Sbuffai delusa, continuando a guardare fuori, in attesa di un intervento divino o chissà cosa.
Shade doveva essere lì, altrimenti non avrei saputo che pesci pigliare. Non lo conoscevo così bene da sapere quali sono i suoi posti preferiti, se il giardino o l’ufficio del preside – anche se dubitavo che fosse uno che finiva spesso nei guai.
No, noi due non abbiamo avuto altri rapporti se non di amicizia (?) poco… amichevole? Insomma, una cosa del genere, immaginatevelo da soli.
In ogni caso, mi spaventò sul serio quando apparve dietro di me e mi sussurrò all’orecchio con una voce da farti venire i brividi: «Mi stavi cercando, Pioggia?»
Era l’unico individuo al mondo che sapeva inventarsi soprannomi così assurdi. Vi ricordate che vi ho parlato del fatto che mi dicevano che ero la reincarnazione della pioggia? Ebbene, era stato Shade il primo ad inventarsi quella storia, e da allora, di tanto in tanto, mi chiamava “Pioggia” o altri nomi che avevano a che fare con essa. La cosa mi dava alquanto fastidio, non c’è bisogno di dirvelo, giusto?
«Dio, giuro che ti denuncio la prossima volta che mi arrivi dietro e mi parli con quella voce da maniaco sessuale» ringhiai, anche se non capii perché la sua voce m’era sembrata tanto da “maniaco sessuale”. Lui fece l’offeso, sgranando gli occhi per poi sbattere le palpebre a mo’ di sguardo da cane bastonato. «Comunque» riprese, dopo quella scenetta alquanto disgustosa, «come mai sei venuta qui? Sbaglio o detestavi il terrazzo durante le giornate piovose?»
«No, non sbagli» confermai io. «Il fatto è che…»
«Vuoi una piccola replica di quel che è successo ieri?» chiese interrompendomi, con un ghigno beffardo stampato in viso. Sapevo bene che il suo obiettivo era farmi arrossire/mettere in imbarazzo, ma con me quella frase non faceva alcun effetto, sebbene ieri, ritornando a casa, morivo dalla voglia di andare a casa sua e di picchiarlo fino a quando non avrebbe implorato pietà, o qualcosa del genere. «NO. Volevo solo porre fine a questa scommessa e ritornare alla vita di sempre.» Fece per ribattere, ma io lo fermai: «Non dire niente, o ti denuncio. Anche se non hai fatto niente, ti denuncio.»
«Non potresti» fece, facendo le spallucce. «Comunque, prova a dirmi un po’ queste fantomatiche cinque ragioni.»
Per un momento, ebbi la paura di sembrare troppo infantile. Non era un comportamento da ragazza matura, accidenti! Mi stava trascinando giù, al suo livello, ma non potevo fare a meno di essere tremendamente testarda, come sempre. «Semplice» cominciai a dire, «non puoi lasciare Fine perché primo: è una ragazza tanto dolce e cara; poi si preoccupa per te e se tu non fossi innamorato di mia sorella, non ti saresti messo con lei. Inoltre io ti impedirei di lasciarla così, su due piedi. E infine, lei ti ama.» Contai mentalmente tutte le ragioni che avevo esposto in quel momento, per non fare una figura di… insomma, avete capito. «Sono esattamente cinque ragioni. Se vuoi, posso anche dartene altre.»
«Non accetto nessuna di queste.»
Per qualche secondo rimasi immobile lì, senza emettere alcun respiro. Il fatto era che non sapevo a cosa diavolo pensare se non: “Un giorno di questi io lo uccido”. «Scusami?» feci, con un tono perplesso e piuttosto irritato. Gli avevo dato cinque ragioni per non lasciare Fine, e lui non le accettava e se ne usciva con un “Non accetto nessuna di queste”? No, doveva essere un incubo. Non poteva di certo decidere cos’era giusto o sbagliato!
Lui mi guardò serio, forse non lo era mai stato così tanto da quando lo avevo conosciuto, e quasi mi spaventò, lo ammetto. «Rein, forse non te ne accorgi, ma devi sapere che tutte queste ragioni sono state elaborate dalla tua testa per te stessa e per tua sorella, sono tutte ragioni soggettive. Dimmi un po’, hai mai pensato agli altri?» mi chiese, con il suo sguardo scuro puntato nel mio. Lo guardai anch’io a mia volta. «Io penso sempre agli altri» ribattei, e per un momento mi tremò la voce. Era davvero la verità? In quel momento non lo sapevo nemmeno io. Forse, dopotutto, ero la persona più egoista sulla faccia della Terra, ma non ne ero così sicura. Non riuscivo più a distinguere realtà e menzogna. Ero nel bene o nel male? Non lo sapevo, non sapevo niente. Non ho mai saputo niente, forse.
«Allora dovresti sapere il perché di questo patto, il perché te l’ho proposto.» Fece una pausa, come per fare un po’ di scena. «Giuro che ti renderò le cose molto più difficili, Rein. Così, magari, potrai capire cosa vuol dire “vivere nella realtà”.» Sembrò voler dire qualcos’altro, ma ci ripensò.
Rimasi, comunque, spiazzata da quello che disse, tant’è che mi sentii mancare. Per un momento, ebbi la paura di non riuscire a far niente per Fine, e di non riuscire ad afferrarla mentre sprofonda nella tristezza più assoluta. Deglutii, come ero solita a fare nei momenti di nervosismo. Lui si girò verso le scale, e, prima di andarsene, mi disse un’ultima cosa. In quel momento, mi parve malinconico. «Hai detto che se non fossi innamorato di Fine non mi sarei mai sognato di mettermi con lei, eh?» Fece una pausa.
«Riflettici. Forse un giorno capirai.»
























N/A: ODDIOSI.
Ce l’ho fatta a sfornare questo capitolo, yep.
Non sapevo che questa fan fiction potesse esser presa così bene da voi. Muah, vi amo tutte. *sparge cuoricini arrandom* Vi sto scrivendo alle 3.40 di notte, abbiate pazienza, i miei scleri notturni son peggio di quelli diurni. Anyway, ecco il secondo atto di questa piccola storiella, spero d’aver reso bene le emozioni di Rein e di aver descritto in modo sufficiente ed efficace ogni scena. Di tanto in tanto mi bloccavo, non sapendo cosa scrivere, ma alla fine riuscivo sempre a trovare qualcosa di decente da raccontare. Sono tanto soddisfatta, lo ammetto.
Sinceramente, mi piace molto come scrivo: diretta (?) e concisa. Anche se alcune storie che racconto fanno davvero pena, ammettiamolo. Non riesco mai a trovare niente di figo da dire. A proposito, le gru di carta le sto facendo pure io. Sono stupende! E anche la storia delle mille gru è vera, o almeno io la penso così. Ce ne vuole di fare mille gru di carta! Ma io ce la farò.
Ringrazio le 9 persone/anime possedute (?) che mi hanno messa tra gli autori preferiti, anche se non mi leggono in questo stupendo fandom. Amo anche voi, sappiatelo!
Ad ogni modo, spero che il capitolo vi piaccia. Chissà cosa intendeva Shade, uhuh. Ad essere sincera, non ho la più pallida idea di quali saranno le cinque ragioni. Ho una vaga idea di come sarà la prima, ma devo ancora elaborarla per bene.
E dopo questa lunghissima solfa (colpa di un mese di silenzio, LOL), mi dileguo. Continuate a seguirmi, tra l’altro, è appena passato il mio compleanno, 5 settembre, yep! :D Sono una quindicenne! Eppoi, è passato già un anno da quando mi son iscritta qui, su EFP. Vi amo tutti
Noth aka Rainy.
   
 
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