Sono stata tentata di sostituire molte frasi di questa cosa con delle sonore pernacchie, perché tanto avrebbero avuto più o meno lo stesso senso logico, ma beh, alla fine eccoci qua. Utopico Allegro Mondo Perfetto condito di demenziale a profusione, paragrafi irrilevanti e il solito Naruto Due (che è il gatto, non vi sbagliate). Ciò detto, buona fortuna.
Di
delitti imperfetti e funerali in giardino
(parte prima)
Nel
vecchio quartiere del ventaglio ci sono così tanti problemi che,
alle volte, verrebbe voglia di andare a chiedere a Pain perché
diavolo non abbia concluso il lavoro e si sia preso la briga di
buttarlo giù del tutto.
Sono
attimi fugaci di insofferenza per i quali, poi, Sasuke prova un senso
di colpa opprimente e mortale e si ravvede trascorrendo le giornate a
cercare di far funzionare il quadro elettrico, riparare il tetto e
convincere le ante dei mobili a lottare contro la gravità per
qualche altro giorno.
È
una cosa abbastanza maniacale, ma Naruto passa, saluta e non dice
niente; oppure passa, saluta e fa «vuoi una mano?», e se anche
Sasuke non risponde, troppo impegnato a scrostare lerciume da sotto
il lavello e a capire perché diavolo di ogni cosa che aggiusta
avanzi sempre un pezzo, gli si piazza accanto, porge arnesi, regge
pezzi e tiene la torcia.
Più
spesso, invece,
la casa sembra così enorme che Sasuke perde forze solo a cercare di
capire da cosa sarebbe meglio iniziare per convincerla a restare in
piedi; e la questione peggiora quando ci si mette anche l'estate, con
temperature del tipo che salire due gradini è facilmente
paragonabile all'assunzione di una doppia dose di valium a stomaco
vuoto.
Per
sopravvivere, il ninja medio deve necessariamente mettere in atto una
serie d'espedienti e strategie volte ad impedirsi di stramazzare sul
tatami ad ogni passo: e quindi Sasuke ha abilmente superato una
nottata di caldo torrido dormendo in posizione seduta fuori,
sull'engawa, avendo cura di scacciare il gatto ogni volta che
minacciava di saltargli in grembo per ammorbarlo col suo spasmodico
bisogno d'affetto ed il suo pelo caldo; si è fatto tre bagni in un
lasso di tempo drammaticamente breve; ha fatto colazione coi
ghiaccioli comprati da quel jinchuuriki idiota che riempie frigo e
credenza di dolciumi e, al millesimo miagolio insofferente, si è
fatto un quarto bagno portando il gatto con sé.
Ed
è stato lì che è successo il fattaccio.
Sasuke
di gatti se ne intende: gli piacciono, tutto sommato, più di molti
altri animali. Ne ha visti abbastanza nella sua vita, che fossero
gatti comuni o gatti ninja, e li ha sempre trovati delle creature
sorprendentemente interessanti: pigri, sufficientemente spocchiosi,
spesso intrattabili senza alcun motivo apparente, maliziosi e sempre
con quell'aria di superiorità impressa nell'angolazione delle code
erette o nei profili da statue troppo prese a contemplare l'universo
per preoccuparsi di inezie terrene, almeno fino all'ora di pranzo.
Tutte
queste considerazioni, più che altro inconsce – non è che si sia
messo a studiare i gatti per hobby: non ne ha mai avuto il tempo –,
l'hanno fatto giungere alla conclusione che, semplicemente, Naruto
Due non è un gatto.
Non
lo è. È troppo, troppo
idiota.
Un
gatto, un gatto vero, non ti segue come un ombra dondolante mentre
deambuli in giro per la casa cercando di costringerti a non espellere
troppi liquidi corporei; un gatto vero non ha quella faccia da scemo
contento di vivere, quando entra a contatto con tre metri cubi
d'acqua; un gatto vero non ti intralcia continuamente il cammino e
non lascia pozzanghere scivolose sulla traiettoria del tuo piede
sinistro proprio mentre ti issi fuori dalla vasca e, soprattutto, un
gatto vero non sgrana gli occhi con espressione colpevole identica
sputata a quella di Uzumaki Naruto – arancione, baffi e tutto –
quando il tuo tallone slitta sull'acqua e, con un movimento
impacciato che è quanto di più lontano possa esserci dalla natura
di un ninja, il tuo corpo si sbilancia all'indietro e la tua testa va
a sbattere dritta contro il rubinetto, smontandolo. Non lo fa, punto.
«Io
ti odio»
scandisce Sasuke, sepolcrale, il sedere dolorante, lo spruzzo d'acqua
ormai fuori controllo che gli fischia appena accanto all'orecchio ed
un piede a bordo vasca.
Naruto
Due, degnandosi di prendere finalmente la prima decisione
intelligente della giornata, abbassa le orecchie contrito e schizza
via, la coda tra le gambe.
Sasuke
non è un idraulico e la sua pazienza era esaurita ben prima che il
sole sorgesse sul monte degli Hokage, quella mattina. A dire il vero,
lo era anche ben prima che Naruto avesse la stupida idea di
convertirlo alla pace e all'amore, un infausto giorno di tre anni fa,
ma quella è un'altra faccenda. Adesso, adesso ora,
il problema è che Sasuke non ha pazienza, ha un bernoccolo grosso
come un melone sulla nuca, un gatto da ammazzare ed un bagno
allagato.
«Bene»
sibila, scrutando torvo lo stato di sfacelo in cui versa la stanza.
Avanza di qualche passo brandendo con sicurezza chiave a stella e
saldatrice: non ha bene idea di cosa dovrebbe farci di preciso, ma
tanto non c'è nessun essere inutile imbustato in qualche tuta
arancione che possa prenderlo per i fondelli al riguardo, quindi
procede, sicuro di sé. Aggira lo spruzzo, che ha da tempo centrato
in pieno l'armadietto dei medicinali causando l'agonizzare in terra
di boccette e quant'altro, dribbla il cumulo d'asciugamani che lui
stesso ha messo a terra nel vano tentativo d'assorbire un po' d'acqua
e si prepara all'attacco.
C'è
la parte divelta di rubinetto che annaspa sul fondo della vasca
strapiena, deformato dagli strati d'acqua sovrastanti.
Sasuke
emette un impercettibile sbuffo, il pensiero tutto rivolto alla
catartica vendetta che riverserà su quell'imbecille del gatto – da
consumare prima che torni Naruto a ricordargli con la sua voce
petulante che vendicarsi contro animali e oggetti inanimati è un
chiaro sintomo delle sue notevoli nevrosi, e che quindi sarebbe il
caso di ricominciare a prendere gli psicofarmaci – e immerge il
braccio fino al gomito. Le sue dita incontrano il metallo e lo tirano
su, ma anche se avere un utile pezzo in mano dovrebbe portare
automaticamente avanti l'ardito progetto di riparazione che Sasuke
aveva in mente, la faccenda non sembra funzionare granché: c'è il
getto violento che crea un po' di problemi, quando si cerca di
tapparlo col rubinetto, e mettersi ad avvitare pezzi di metallo
mentre l'acqua ti si ficca in ogni orifizio della faccia non è
esattamente agevole, soprattutto se la tua pazienza era finita già
dal mattino, e da tre anni, e poi se l'è mangiata il gatto.
«Dannazione»
mastica Sasuke, e gli ultimi residui di pazienza vengono espulsi tra
gli incisivi serrati.
Sta
per imprecare, o usare il chidori – sì, in un bagno allagato,
giusto per ribadire la sua già nota propensione all'errare congenito
– quando di colpo, proprio mentre lui sta facendo forza contro la
pressione dell'acqua col palmo della mano, la spinta del getto si
smorza di colpo, facendolo quasi cozzare con la testa contro le
piastrelle.
«Eh?»
articola, mentre l'acqua si riduce rapidamente ad un unico rivolo
annaspante e sparisce del tutto, giù nel tubo.
Sasuke
resta così, con le sopracciglia ad un millimetro dalla parete, il
pezzo di rubinetto stretto in mano e le ginocchia in acqua.
«Eh?»
ribadisce con più impegno, quando nessun segno celeste si degna di
spiegare l'accaduto.
Circospetto,
la frangia zuppa appiccicata alla fronte aggrottata, si avvicina a
quel che resta del rubinetto e spia con un occhio nel buco.
Niente.
Neanche
la soddisfazione di essere vittima d'una scenetta comica di bassa
lega, con spruzzo ad alta pressione in modalità accecamento. No:
Sasuke Uchiha resterà una persona seriosa che vive in una grande
casa buona per la demolizione, a far fronte all'ennesima emergenza
idrica. Col caldo che fa, l'acqua gli è già evaporata da dosso e
quella che si spande in pozze fuori dalla vasca, tra asciugamani
zuppi e chincaglierie varie – delle mutande arancioni navigano
solinghe in direzione del water – si sarà già riscaldata.
Costernato,
Sasuke resta ad osservare l'acqua che attorno a lui si ritira nello
scarico, vorticando in mulinelli discreti mentre il livello scende
sempre più giù, sotto la vita, poi a mezza coscia, fino a rimanere
un filo sotto le ginocchia e lasciare l'ex nukenin immobile nel
mezzo d'una vasca vuota, le gambe pesanti sotto il peso dei pantaloni
zuppi.
Fa
caldo. Fa davvero troppo caldo, è inconcepibile.
I
pantaloni gli si sono asciugati addosso e adesso gli graffiano le
gambe con la loro rigidità un po' feltrosa, ogni volta che fa un
passo. Sasuke sbuffa, fiacco, e scarta l'ultimo ghiacciolo al limone:
è comunque troppo
dolce, ma sicuramente più appetibile di quelli alla fragola che
sanno di zucchero e sciroppo per la tosse. Ed è un dramma,
considerato che quello è rimasto l'unico alimento commestibile in
casa, a parte gli onnipresenti cumuli di ramen e due pomodori
agonizzanti.
Praticamente
sciolto sull'engawa, nell'unico angolo d'ombra in cui comunque tirano
quaranta gradi di solido caldo, il cervello assopito di Sasuke è
ancora molto concentrato sul male che dovrà fare al gatto – gatto
che se l'è chiaramente filata mollandolo da solo, cosa che dopotutto
fa pensare che la bestiaccia conservi quantomeno un po' di spirito di
sopravvivenza –, ma un quarto d'emisfero si sta ingegnando per
capire come sopravvivere all'emergenza idrica.
E
no, non funziona.
«Troppo
caldo» delibera non molto brillantemente, seguendo quella linea di
pensieri sciolti e bofonchiando in direzione di Ukki, la pianta
preferita di Naruto.
La
pianta preferita di Naruto, quella che lui tratta come una figlia,
quella che, quando i due abitanti del quartiere sono via in missione,
viene scarrozzata assieme al gatto nelle affidabili mani di Santo
Iruka, in compagnia di qualche altro vasetto congruamente iscritto
all'anagrafe immaginaria cui Uzumaki Naruto fa partecipare ogni
essere vivente che lo circondi.
Ukki
è stata la prima vera prova dei seri disturbi sociali del
jinchuuriki, la prima reale conferma di una scomoda verità sempre
taciuta nella cerchia di amici e colleghi, in nome dell'affetto che
tutti provano per lui: Naruto è disturbato.
Certo,
in molti danno semplicemente la colpa a Sasuke: la loro stessa
relazione potrebbe essere facilmente inserita in un composito quadro
di disturbi comportamentali dell'una e dell'altra parte, ma è chiaro
che Sasuke non sia la sola causa di tutte le assurdità uzumakiane. È
stato più che altro un fattore scatenante, un allergene che ha dato
vita ad una serie di reazioni concatenate di violenza tale da
sfuggire al controllo di loro stessi in tempo record.
Sasuke
ha un sacco di colpe – centinaia di colpe, una più pesante
dell'altra e nessuna completamente riparabile – ma se c'è una
cosa per cui proprio non può essere accusato, è la faccenda delle
piante.
Non
che sia qualcosa di particolarmente inquietante, perché un bambino
che cresce da solo in un monolocale avrà effettivamente bisogno di
sfogarsi in qualche modo, ma Sasuke trova comunque ancora vagamente
preoccupante il modo che Naruto ha di accarezzare le foglie chiare e
brillanti di Ukki, mentre le somministra del fertilizzante preparato
in casa con ingredienti oscuri – si sospetta anche feci
di Naruto Due – raccontandole allegro della sua giornata.
Certo,
Sasuke non ha mai espresso questo insano desiderio a voce alta, ma si
dà il caso che sarebbe ben più normale se fosse lui,
l'interlocutore di quelle lunghe chiacchierate: tanto Naruto non
necessita di risposta, dato che può anche rivolgersi ad una pianta,
no?
No,
a quanto sembra. E non ci si può lamentare d'una cosa del genere,
non quando solo un paio d'anni fa eri tu
quello che parlava da solo con la gente morta e credeva di vedere
cose che stavano solo nella sua testa. Insomma, probabilmente
chiacchierare con le piante è molto meno grave, se si è costretti a
stabilire una scala di valori; ma comunque non completamente
rassicurante della sanità mentale di un individuo, ecco.
Ma
non c'è nulla da fare: quando si cerca di farglielo notare, o si
minaccia distrattamente una possibile dipartita del tutto accidentale
della simpatica pianta, Naruto elargisce sguardi offesi e sussurra
col naso tuffato tra le foglie, materno: «lascia perdere il brutto
nukenin mangiabambini, Ukki chan. Ci penso io a tenertelo lontano».
Ukki
non è una pianta: Ukki è la
pianta, un essere vivente cui Naruto ha dedicato molte ore della sua
vita, un essere vivente sensibile e delicato su cui il jinchuuriki ha
riversato tutto il suo affetto inespresso di bambino solo: Ukki è
viva.
Cioè,
lo era.
Nell'unico
angolo ombroso dell'engawa inondato di sole che corre attorno a casa
Uchiha, si sono susseguite una serie di azioni inutili nella
praticità, ma assolutamente necessarie perché Sasuke riacquistasse
completa padronanza di sé: l'ex nukenin ha sgranato gli occhi, si è
soffocato con l'aria nel più totale silenzio, ha emesso un flebile
rantolo di costernazione e poi s'è alzato di scatto, imprecando sia
perché la pressione sotto le scarpe gli ha regalato qualche secondo
di visuale fuori fuoco, sia perché – cosa ben più grave – ha
finalmente inquadrato per intero la gravità della situazione.
Ukki,
Ukki
chan,
giace esanime nel vaso, la chioma smorta e floscia che penzola
immobile oltre il brodo, il colorito pallido e marroncino: sembra una
verza cotta, ha la stessa puzza di una verza cotta e se ne sta lì,
le foglie sottili e pesanti, svenute.
E
non è tanto questa la cosa grave, quanto piuttosto l'innegabile,
incontrovertibile realtà dei fatti: Ukki era sotto la sua diretta
responsabilità.
Quando
Naruto è in missione, solo due cose sono richieste espressamente a
Sasuke: non uccidere il gatto e innaffiare le piante. Sono in fondo
due richieste non troppo impegnative, qualcosa di semplice che
chiunque potrebbe fare anche senza delle direttive precise, e invece
Naruto spende comunque quei dodici secondi della sua esistenza per
ricordarglielo. Non è in ansia, ma lo fa comunque perché ci tiene,
perché crede che sia suo dovere occuparsi di gatto e piante e che
quindi, quando lui non può per cause di forza maggiore, sia comunque
suo dovere far in modo che gli altri abbiano invece la possibilità
di farlo in maniera il più possibile agevole.
Sasuke
ce l'aveva, la possibilità di farlo. Ce l'aveva, ma se n'è
scordato.
«Merda»
impreca, chinandosi a guardare il vaso. Niente: anche a girarlo in
tutte le direzioni, la pianta non si alza.
«Merda»
ribadisce, mordendosi il labbro.
Si
tira in piedi e va in cucina, svelto; nel frigo sono rimasti degli
avanzi di sugo, dei pomodori agonizzanti, una confezione di latte e
due bottiglie d'acqua: ne tira fuori una e quasi si scartavetra una
mano cercando d'aprirla.
«Merda»
ripete, con una nota d'esasperazione: non è possibile che non riesca
ad aprire una bottiglia, è senza senso. O forse ha le mani troppo
sudate.
Fa
un respiro profondo, afferra un lembo della sua stessa maglietta e ci
avvolge il collo della bottiglia, per svitare il tappo senza farselo
scivolare sotto le dita; poi scatta in direzione della finestra.
Ukki
è ancora lì, e sembra più morta ogni minuto che passa.
Sasuke
afferra il vaso con decisione, si accascia in ginocchio e ci svuota
dentro mezza bottiglia d'acqua in un colpo solo; poi aspetta che le
radici facciano il loro lavoro.
Aspetta.
Aspetta.
Versa
il resto dell'acqua, che inizia a colare sia da sotto che dai bordi.
Aspetta
ancora.
«Merda»
sibila, le labbra sempre più contratte. L'acqua non scende, sta lì
a fare melma. Qualche fogliolina morta si stacca e naviga giù,
colando sull'engawa sotto lo sguardo costernato di Sasuke.
Non
si spreca neanche più a imprecare, l'ex nukenin, e l'unica cosa che
gli viene in mente di fare è un collegamento completamente illogico:
pianta in fin di vita – no, non
può
essere morta – va portata da qualcuno che possa rianimarla. E dato
che non c'è Orochimaru a portata di vista, e neanche Kabuto –
forse perché tecnicamente sono entrambi alquanto morti – dovrà
arrangiarsi con quel che offre Konoha.
Afferra
il vaso con due mani e si alza in piedi, provocandosi la contrattura
di un paio di vertebre e facendosi colare la fanghiglia addosso. Non
ci fa praticamente caso, fa dietrofront e attraversa il soggiorno in
un frusciare di foglie smorte, per aprire la porta di ingresso con la
schiena, intimamente soddisfatto d'averla lasciata aperta come al
solito – come Naruto detesta che faccia.
Si
accorge di aver dimenticato i sandali quando ormai ha già
attraversato quel che resta del vecchio ingresso del ghetto, e
sinceramente non riesce neppure a restarne troppo turbato, anche se
sotto le piante dei piedi il suolo scotta abbastanza.
Si
schiaffa la pianta sotto un braccio e corre, neanche dovesse seminare
una squadra di genin mandata ad impedirgli di tradire il Villaggio.
Poco
dopo la pausa pranzo, è il momento che Sakura preferisce:
solitamente i pazienti sono sonnacchiosi, specie con questo caldo, e
l'ospedale sembra entrare in una bolla di tranquilla staticità,
enormemente rilassante rispetto alla consueta frenesia.
Sakura
finisce di ripulire il suo bento con calma, un po' annoiata per
l'assenza di Ino, che ha la giornata libera e sta in negozio, e dà
un'occhiata all'orologio. Sono le tre meno un quarto: ha ancora una
decina di minuti di sosta.
Fa
per recuperare la sua borsa ed estrarne un libro dall'aspetto
malconcio, quando una serie di passi affrettati lungo il corridoio ed
un paio di richiami concitati la sorprendono così, col libro in mano
e il collo teso in direzione della porta.
«Sakura!»
fa una voce bassa ma imperiosa.
Sakura
sgrana gli occhi ed è seriamente tentata dal mettersi sull'attenti,
prima di ricordare che no, non ha dodici anni, Uchiha Sasuke è un
imbecille – il suo imbecille, come lo è Naruto. E nessuno
s'azzardi a dirlo di fronte a lei – e non c'è alcun bisogno di
farsi prendere da qualche sciocco batticuore, tanto più che, se
Sasuke arriva in ospedale alle tre del pomeriggio e la chiama con una
certa urgenza, la situazione può essere tutto fuorché piacevole.
Ed
è infatti con notevole apprensione che Sakura molla il suo libro e
si affaccia, in fretta, solo per inquadrare la figura lunga e
accaldata di lui, nascosta dietro ad una sorta di ingombrante ciotola
piena d'erbacce che cola fango tutt'intorno, tra gli insulti di un
inserviente che si è già messo a pulire il corridoio blaterando di
malasanità e presunta sterilità dell'ambiente ospedaliero.
«Sasuke?»
domanda, seriamente preoccupata.
Ecco,
è uscito di nuovo di brocca, stavolta definitivamente: è pure
scalzo. Adesso le verrà a raccontare che nella bacinella di fango
c'era la testa di Madara che cercava di circuirlo con voce suadente.
«Devi
aiutarmi» ribatte il pazzo, arrivandole davanti, serissimo e
chiaramente in difficoltà. E Sakura sbianca, perché se Uchiha
Sasuke, serissimo, ti chiede d'aiutarlo, significa proprio che la
situazione è disperata.
Nella
mente della kunoichi si aprono una serie di scenari terrificanti, con
nuove minacce al Villaggio, al Paese, al mondo intero.
«Io...
entra» conclude, cercando di calmarsi. Sasuke annuisce e la precede
nello stanzino ingombro di scartoffie, mentre lei si scusa frettolosa
con l'inserviente e chiude la porta.
Fa
scattare la maniglia e segue con lo sguardo le impronte polverose e
le gocce di fango che conducono ai piedi scalzi di Sasuke; lui ha
appena poggiato la bacinella sul tavolo di metallo che sta accostato
alla parete e se ne sta lì, coi capelli neri a ricadergli davanti al
viso, la linea delle labbra tesa e i pugni serrati.
E
nessuna di queste cose è un buon segno.
Si
volta e la guarda, senza riuscire ad articolare verbo.
Sakura
ricambia lo sguardo con decisione e si avvicina per esaminare la
bacinella, che non è una bacinella: è un vaso.
«Sasuke»
respira, ritrovandosi per un attimo senza forze. «Questo
è Ukki».
Lui
non risponde, le pupille incollate alle foglie flosce che
praticamente galleggiano nel terriccio misto ad una quantità
spropositata d'acqua e ricadono pendule da ogni lato, come alghe
bagnate.
«Ah,
è maschio?» borbotta l'ex nukenin, a disagio.
Sakura
alza gli occhi al cielo e trae un profondo respiro.
«Non
è questo il punto» mastica, trattenendosi dall'urlare – è
Sasuke, ci vuole pazienza:
è Sasuke
– e cercando piuttosto d'assumere un tono tranquillizzante. «Come
hai fatto a ridurlo così? Non puoi innaffiarlo così tanto, ci
sono... le piante non vanno innaffiate così tanto!»
«Lo
so, cosa credi? Non l'ho... ho dimenticato di... invece di decidere
di chi è colpa, perché non fai qualcosa?» risolve, con una nota
d'isteria incastrata in gola e tradita dal gesticolare nervoso delle
mani – solo quelle, tenute giù oltre la cintola.
Sakura
lo guarda e respira. Poi respira di nuovo, ricordando che spiegare a
Sasuke il concetto di responsabilità personale – non c'è bisogno
d'aprire un caso giuridico: è ovvio
che sia colpa sua, se Ukki è in quelle condizioni – è un'assoluta
perdita di tempo, e può avere solo conseguenze distruttive sulla sua
già disagiata psiche. Perciò ignora semplicemente l'intera
questione e si concentra sull'assurda richiesta.
«Sasuke,
io sono un medico» dice, guardandolo dritto negli occhi. E quando
lui aggrotta le sopracciglia e fa per ribattere aggiunge «un medico,
un dottore per persone. Converrai con me che c'è una certa
differenza tra un uomo ed una pianta».
Sasuke
stringe le labbra e borbotta «però il capitano Yamato lo curi»,
sostenuto.
Sakura
si trattiene dallo strabuzzare gli occhi e preferisce poggiargli
cautamente una mano sull'avambraccio.
«In
ogni caso, credo ci sia poco da fare, ormai» suggerisce, con voce
comprensiva ma in tono definitivo, come avesse appena diagnosticato
una malattia mortale ad un paziente e lo stesse comunicando ai
familiari.
Sasuke
le rivolge un'occhiata seriamente preoccupante, esattamente come il
familiare di qualcuno cui sia appena stata diagnosticata una malattia
mortale, appunto; Sakura deglutisce.
«Ma
è Ukki» riprende l'ex nukenin, distante. «Se fosse morta
quell'altra lì, quella specie di cactus che ha comprato due mesi fa,
sarebbe stato tragico, ma non devastante. Questa... questo
è Ukki. Io
non posso avergli ucciso Ukki»
conclude, costernato, parlando più tra sé e sé che con Sakura.
«D'accordo.
Stiamo calmi» fa lei, aggrottando le sopracciglia. La pianta ha
macchiato diversi dei fogli che erano sul tavolo e acqua sporca
continua a filtrare dai buchi sul fondo del vaso. «Forse potresti
portarla da Ino» propone, mordendosi l'interno della guancia, mentre
con un indice dubbioso cerca di tirare su qualcuna delle lunghe
foglie.«Ma l'hai lasciata a friggere con questo caldo?» si lascia
sfuggire, in un mugolio.
Sasuke
soprassiede, facendo finta di non sentirla.
«Yamanaka
potrà servire a qualcosa per una volta nella vita?» mastica, aspro,
meritandosi un'occhiataccia di rimprovero.
«Non
se non cerchi almeno di essere gentile» lo ammonisce Sakura, severa.
«Ino è in gamba, e se c'è qualcuno che si intende di piante quella
è lei. Va' e comportati come si deve» delibera, decisa, ma senza
incrociare il suo sguardo. Fortunatamente, lui è ancora troppo preso
dalla pianta e non si accorge né della nota tremante nella voce di
Sakura, né del rossore che le è salito in viso: è sempre così,
tanto è facile cazziare Naruto anche per le cose più sceme, tanto è
difficile contraddire Sasuke o, peggio, cercare di rimproverarlo
quando lui fa cose completamente ai limiti della legalità o del buon
senso. E succede almeno una volta al mese, quando va bene.
«Da
Yamanaka» ripete l'ex nukenin, traendo un respiro un po' più
profondo. Poi si sistema di nuovo il vaso tra le braccia, aiutato da
Sakura, che gli sposta un po' di fogliame da davanti al viso,
premurosa.
«Ma
non ci sperare troppo» aggiunge, materna.
Sasuke
mette su una mezza smorfia, ma non dice niente. L'istante dopo è già
in corridoio a farsi urlare dietro dall'inserviente.
Sakura
resta in piedi davanti alle cartelle imbrattate di fango e sospira,
prima di rinfilarsi il camice e cominciare il turno con quasi cinque
minuti di ritardo.
Konoha
è un posto stupido pieno di gente stupida e, se c'è una cosa che
Sasuke detesta, è andare in giro per il villaggio e scoprire di non
ricordare minimamente dove dovrebbero essere certi edifici una volta
noti. Grazie a Pain, ovviamente, e anche a quel capitano Yamato che
sarà pure abile a tirar su case dal niente, ma in quanto a fantasia
non si è sprecato più di tanto, e molti edifici si somigliano
lasciando ai passeggiatori non abituali la sensazione di star
camminando sempre nello stesso posto.
Quando
finalmente avvista l'insegna del negozio di fiori Yamanaka, Sasuke si
è già fatto un buon pezzo di strada più del dovuto, scottandosi i
piedi, sudando e attirandosi le occhiate tra il perplesso e
l'inorridito di una buona metà dei passanti, quelli che non si sono
semplicemente limitati a distogliere lo sguardo dalla sua pericolosa
nonché riprovevole persona come di consueto.
Sasuke
si pianta davanti alla porta a vetri, incorniciata tra due arbusti
rigogliosi ed altre piante grasse generiche poste all'esterno, e
bussa, facendo tremolare vetro e cartellino “chiuso” appeso
all'interno.
Bussa
un'altra volta, più forte, e finalmente dei passi annunciano che
qualcuno dentro c'è; fingeva solo di non sentire.
«Non
sa leggere?» esordisce la voce di Ino, da oltre la porta. Uno dei
pannelli scorre a mostrarne la faccia tra il seccato e il perplesso
«Siamo chiu-oh. Sasuke kun?» fa, l'occhio visibile sgranato.
Lui
le offre un'espressione chiaramente spazientita, prima di annunciare
senza troppi preamboli: «puoi
fare qualcosa?», mettendole Ukki sotto il naso.
Ino
il naso lo storce, tirando un po' indietro il collo per esaminare più
agevolmente lo stato pietoso in cui versa la pianta.
«Che
diavolo dovrei farci, con quest'ammasso di foglie morte?» fa,
guardando Sasuke come se lo trovasse completamente suonato.
Lui
si trattiene dal mandarla al diavolo, mentre una vocina paurosamente
simile a quella di Sakura gli ripete sii
gentile, sii gentile nell'orecchio,
o forse nella zona più malata del suo cervello, la stessa che lo sta
contemporaneamente incitando alla violenza selvaggia contro quel covo
di ipocriti teste di cazzo che è il villaggio della Foglia.
«È
di Naruto»
comunica, e lo sa che gli è sfuggito un tono sottilmente supplice.
Lo sa, perché Ino sgrana gli occhi ancora di più e lui si maledice.
La kunoichi alza le pupille al cielo e fa «entra» scostandosi per
permettergli di passare.
Nel
negozio la luce filtra prepotente, ma mitigata da tutto quel fogliame
verde equamente distribuito tra pavimento e soffitto, dal quale
pendono complicati intrichi di piante in vaso, in un soffocante
miscuglio di pollini e puzze.
Ino
gli fa cenno di posare Ukki sul bancone e poi lo aggira, per
sistemarsi dall'altro lato, di fronte alla pianta.
«Un
esemplare di chlorophytum
comosum.
Volgarmente detta pianta ragno» commenta, dopo una breve ispezione
delle foglie. «Chi è il cretino che si è dimenticato di
innaffiarla?»
Sasuke
non fa neanche lo sforzo di schiarire la voce o mostrare qualche
segno di imbarazzo: diventa semplicemente un blocco di marmo. Un
blocco di marmo sudato con le labbra strette.
«Puoi
fare qualcosa?» chiede ancora, stavolta senza neanche nascondere
la vena di panico.
Ino
sospira forte, le sopracciglia aggrottate e le mani che frugano tra
le foglie.
«Beh,
se non era morta prima, l'ha stroncata la colata d'acqua, direi: come
offrire un banchetto in dieci portate ad un sopravvissuto nel
deserto. Dubito di poter fare qualcos... Sasuke kun, ti senti bene?»
domanda, quando nota chiaramente un accenno di tic nervoso
nell'occhio destro dell'ex nukenin.
Lui
espira un po' d'aria dal naso, la mano che teneva sul bancone stretta
fino allo spasmo e lo sguardo fisso sull'esanime Ukki.
«Sì,
benissimo»
sibila, minaccioso. «Ho appena ucciso qualcosa come il parente più
prossimo di Uzumaki Naruto, ma sì, va
tutto a meraviglia».
«Vuoi
un bicchier d'acqua?» propone Ino, conciliante; ma si vede che ce la
sta mettendo tutta per trattenere
le risatine.
«Non
c'è niente da ridere» l'ammonisce Sasuke, appena prima che lei
scoppi davvero in una risata, nascosta dietro la mano e le fronde
morte – morte,
morte, morte
– di Ukki.
«Sì,
sì» ansima la kunoichi, cercando di trattenersi senza successo. Fa
un profondo respiro, per darsi un contegno di fronte al viso immobile
e serio di Sasuke.
Sospira
e scivola via dal bancone, diretta verso le piante in vaso sul lato
sinistro del negozio.
Ammonticchiati
su uno sgabello, prosperano dei rigogliosi sosia di Ukki.
«Che
ne pensi?» propone Ino, prendendo un esemplare bello grande.
Sasuke
si concede una lunga occhiata che va dalla kunoichi alla pianta ragno
e vice versa.
«Non
sostituirò la pianta...» comincia, combattuto, senza riuscire a
staccare gli occhi dal bel colore verde chiaro che spunta a ciuffi
morbidi dal vaso.
Ino
carezza le foglie con studiata noncuranza.
«Ti
farei un prezzo modico» continua, ammaliatrice.
«Io
non sostituirò la pianta!» ribatte Sasuke, deciso e un po' brutale.
«Come
vuoi, come vuoi» sbuffa lei, roteando gli occhi. «Naruto sarà
addolorato... Sakura dice che sia molto affezionato alle sue piante»
commenta, sospirando mesta.
Sasuke
stringe le labbra, mentre un macigno di rovente senso di colpa gli
frigge le viscere.
Sposta
gli occhi dalle spoglie mosce di Ukki, ancora immobile sul bancone,
alla bella pianta viva che Ino non ha ancora riposto sullo sgabello.
«Dammi
quella maledetta pianta» mastica, furioso.
Ino
rilassa le sopracciglia, sorridendo vittoriosa.
«È
un piacere fare affari con te, Sasuke kun».
Ci
sono stati attimi di panico, ma non a caso Uchiha Sasuke è un ex
ricercato di livello S, mica uno scemo qualsiasi. E comunque le
missioni le ha sempre svolte in maniera efficiente.
Purtroppo,
non riesce a pensare alla pianta come Ukki:
gli viene una sorta di bruciore alla bocca dello stomaco. Potrebbe
anche essere perché non ha pranzato, ma non ha alcuna voglia di
scoprirlo.
Quindi
resta fermo, accasciato sull'engawa coi piedi doloranti, a fissare il
vaso ricolmo che si è sistemato accanto: l'ha accomodato su un
vecchio sgabello che consenta alle propaggini filamentose di
penzolare indisturbate e ora le foglie della pianta frusciano
serenamente al lieve spostamento d'aria causato dal fiato di Sasuke
stesso, che sta seduto vicino come dovesse assicurarsi che non capiti
nulla.
È
sudato come una spugna e per lavarsi almeno in parte ha dovuto usare
l'ultima bottiglia d'acqua rimasta, perché il quartiere è ancora in
piena emergenza idrica e la questione gli è tornata in mente solo
quando finalmente ha messo giù la pianta. Rassegnato alla
situazione, si
è sistemato accanto al vaso e da lì non si è più mosso, troppo
stanco e seccato con se stesso, l'universo e specialmente Ino, che ha
accettato che lui si portasse via a credito il chlorycoso
cosum
– era uscito senza sandali, figurarsi se aveva pensato a portarsi
dietro dei soldi – ma a prezzo maggiorato, per via di non si sa
quale politica del negozio che Sasuke non aveva voluto sapere.
«Azzardati
a morire e me la pagherai» sibila l'ex nukenin alla nuova pianta,
con lo stesso tono ammonitore che è solito rifilare al gatto.
Ecco,
ha pure perso il gatto, nel frattempo. Probabilmente si è sciolto da
qualche parte in giro per il quartiere ed è morto, perché non c'è
una cosa che vada giusta, in quel posto, mai. Non c'è una cosa che
vada giusta nell'universo, in realtà. La vita non ha senso, il mondo
è stupidamente storto e tutto quel che succede succede senza alcuna
ragione, in un continuo agitarsi senza scopo di sciocchi, patetici
tentativi di dare un proprio ordine al caos.
Gli
è venuta la nausea.
«Ah,
ci sei!»
La
voce squillante di Naruto lo fa letteralmente saltare; Sasuke sbatte
un gomito contro lo stipite dello shouji e per poco non ficca l'altra
mano dentro il vaso del nuovo Ukki.
«Ti
ho chiamato almeno due volte. La pianti di lasciare la porta aperta?»
aggiunge, brontolante. Però ride, contento per non si sa cosa, dato
che ha un aspetto lercio, polveroso e anche un po' insanguinato –
sangue d'altri, si spera – e gli si lascia cadere accanto,
liberandosi della giubba con un certo impaccio e facendola atterrare
poi sul tatami. «Si sta più freschi, qua?» domanda poi, forse
cercando un perché all'aver trovato Sasuke accasciato tra finestra
ed engawa, stretto tra lo shouji e una pianta in vaso.
Sasuke
lo studia, guardingo e immobile, sulla difensiva.
«Stai
bene?» chiede subito il jinchuuriki, perplesso; lui, che pare
sopravvissuto ad un tornado, piuttosto che ad una missione.
«Certo»
ribatte Sasuke, dandosi un contegno più composto e cercando di
smetterla di fare pensieri assurdi su come, voltando di poco il
collo, Naruto noterà che la tonalità di verde di Ukki è un po'
troppo scura, e che le strisce giallo–biancastre e marcate che
attraversano longitudinalmente tutte le foglie sono un po' troppo
chiare e che il vaso non è esattamente delle stesse identiche
dimensioni di quello di Ukki, e forse neppure della stessa sfumatura
di argilla terrosa.
Naruto
annuisce tranquillo, e gli dà un pugno leggero sulla spalla, prima
di alzarsi e annunciare «vado a farmi un bagno», coronando il tutto
con una scricchiolante stiracchiata di colonna vertebrale.
Sasuke
annuisce e ne segue distrattamente il fondoschiena con lo sguardo,
prima di uscire dalla trance.
«Non
puoi fare il bagno» afferma, basso.
Naruto
interrompe la falcata a metà e si volta; il tatami scricchiola sotto
il suo peso.
«Il
bagno. Non puoi, non c'è l'acqua» spiega Sasuke, neutro.
Il
jinchuuriki rantola, scoraggiato.
«Di
nuovo?! Non è possibile! L'altro giorno c'era...» sospira e sbuffa,
maledicendo il dannato caldo e lamentandosi delle mutande che gli si
sono appiccicate addosso; non contento, si gratta le chiappe con
un'espressione scocciata, per sottolineare il concetto. «Vabbè, mi
arrangio con quel che c'è...» brontola, prima di dirigersi in
cucina con una stretta delle spalle.
Sasuke
stringe i denti.
«È
finita anche quella» annuncia, con la maggiore naturalezza
possibile.
Sente
chiaramente Naruto che apre la porta del frigo e poi fruga sotto il
lavello, per accertarsene.
«Ma
che cazz...» impreca, scontento. «E perché non l'hai comprata?»
gli urla, dalla cucina.
Sasuke
rifila un'occhiata assassina alla stupida pianta ragno, prima di
mugugnare con palese fastidio.
«Andiamo
ai bagni pubblici?»
La
testa bionda di Naruto sporge incredula dall'ingresso del soggiorno.
«Il
luogo
in cui gli immondi abitanti di Konoha credono di poter
lavare
via
la
loro...
com'era? Condotta immorale?»
«Le
loro sudicie coscienze,
usuratonkachi» rettifica Sasuke, sostenuto. Poi si schiarisce la
voce. «Lo penso ancora. Ma per una volta può andare».
Naruto
scoppia a ridere, gaio.
«Sei
uno stronzo senza possibilità di redenzione» commenta, giulivo.
«Vado a prendere la roba!» aggiunge, facendo i gradini a due a due
in un concerto di scricchiolii, evidentemente dimentico d'essere
stanco morto.
Sasuke
sospira e lancia l'ennesima brutta occhiata alla pianta. Finirà per
ammazzarla a furia d'ammonimenti gratuiti.
Cerca
semplicemente di pretendere che nulla sia successo, e riesce quasi a
inalare finalmente un sufficiente quantitativo d'ossigeno per
rischiararsi il cervello, quando la voce di Naruto lo fa sobbalzare
di nuovo, arrivando alta e inquisitoria dal piano superiore della
casa.
«Sasuke!
Che cazzo hai fatto in bagno?!»
Ah,
già.
Il
bagno.
Sasuke
si preme le dita in mezzo agli occhi, stremato.
Nda
Continua causa logorrea.
L'engawa
è quella sorta di veranda che corre attorno alle vecchie case
giapponesi, separata dall'interno dagli shouji, i pannelli scorrevoli
con l'intelaiatura coperta da carta di riso. I fusuma sono più o
meno la stessa cosa, ma di legno, e di solito si usano all'interno,
per separare gli ambienti.
Per
chi si fosse chiesto come abbia fatto Uchiha Sasuke a distruggere un
rubinetto con una testata, la risposta ovviamente è: “Sasuke ha la
testa più dura del mondo”. Compris?
Ma è narusasu o sasunaru? Come vi pare, per me è ininfluente.