Brian P.O.V.
La
sveglia cominciò a suonare e la misi a tacere, ma io ero già sveglio da ore. Da
quando mi ero messo a letto, per la precisione: non avevo chiuso occhi tutta la
notte. Avevo passato la notte a fissare il soffitto, vendendo la luce farsi
largo fra le nubi nella notte e inondare pian piano la città, mentre io
continuavo a tormentarmi e pensare, pensare….
Michelle
al mio fianco dormiva ancora pesantemente e pensai bene di non svegliarla.
Presi
un respiro profondo. Era il grande giorno e mi stavo semplicemente cagando
addosso.
Mi
alzai e andai in bagno.
Prima
d’infilarmi nella doccia, mi scrutai per un attimo allo specchio e mi spaventai
da solo.
No,
non era possibile che mi fossi ridotto così uno schifo.
Ero
dimagrito, le occhiaie per la “splendida” nottata appena passata erano l’unica
nota di colore (viola) nel mio viso pallido e morto, gli occhi spenti a vacui.
Da
quando ero diventato uno zombie?
Mi
massaggiai il viso, tirandomi la faccia e continuando a scrutarmi allo
specchio.
M’infilai
sotto la doccia e ci rimasi un’ora buona, spesso anche immobile a sentire
l’acqua che mi scorreva addosso e che sembrava l’unica cosa calda che si fosse
mai scontrata col mio corpo ormai rigido e freddo. Mi sembrava di essere di
marmo, non sentivo il sangue correre nelle vene, non sentivo il cuore pompare,
né l’aria affluirmi e uscire dai polmoni.
Mi
sentivo vuoto e freddo, abbandonato.
Per
l’ennesima volta mi trovai a raggomitolarmi nell’angolo della doccia,
stringendo le gambe al petto e piangendo come un ossesso. Mai avevo pianto in
vita mia, mai per nessuno.
Ma
lui non era nessuno.
Dopo
l’ennesima crisi di pianto dell’ultimo periodo, uscii dalla doccia e mi avvolsi
nell’accappatoio candido, mentre mi frizionavo i capelli bagnati con un
asciugamano.
Mi
feci la barba con calma, mi riempii di dopobarba, profumo e deodorante tanto da
lasciare una scia dietro di me e tornai in camera per trovare dei vestiti.
Michelle
dormiva ancora.
Pensai
un paio di cose dall’armadio e le infilai: boxer, vecchia e consunta maglietta
dei Misfits e pantaloncini grigi (metallizzati eh) da basket, felpa, Nike a
caso.
Da
bravo finto marito, salii sul letto e lasciai un bacio a mia moglie che aprì
subito gli occhi stiracchiandosi e sorridendomi.
“Ehi…”
“Buongiorno dolcezza… io vado” aggrottò un secondo le sopracciglia, poi si
ricordò e mi guardò preoccupata “Si, giusto… buon lavoro, Bri” feci un sorriso
finto e mormorai un “Grazie” sarcastico prima di baciarli di nuovo e andarmene
in studio.
Caricai
tre chitarre in macchina (le altre le avevo portate già il giorno prima, ma
quelle tre non ne avevano voluto sapere di entrare nel bagagliaio) e m’infilai
in macchina.
Presi
un respiro profondo e misi in moto. Sarebbe stata una giornata molto lunga.
Portnoy
in soli dieci giorni aveva registrato tutto il materiale dell’album.
Cazzo,
era sul serio Portnoy.
Ma
adesso toccava a noi, “comuni mortali” dal cuore a pezzi e la mente sconnessa.
“…Giorno”
bofonchiai giusto per far notare che ero arrivato e rimasi estremamente
sorpreso, quando mi resi conto di chi c’era nello studio, oltre a Zacky, Matt,
Johnny, Mike e i vari tecnici.
“Cassandra….”
“Giorno Bri, fame?” disse sventolandomi sotto al naso un ciambelline a due
colori.
“Che
ci fai qui?” “Faccio la cheerleader. Vuoi un po’? L’abbiamo fatto io e JD. In
verità lo ha fatto più JD, ma io ho rotto le uova e ho messo zucchero e cacao.
Sono una schiappa in cucina…” disse grattandosi la testa, imbarazzata.
“Io
non so nemmeno rompere le uova, quindi con me puoi tranquillamente vantarti”
dissi facendole un mezzo sorriso e facendola sorridere, prima di posare le due
chitarre e andare a recuperare la terza.
Quando
le riportai tutte dentro, andai a sedermi vicino a Zacky che strimpellava.
“Allora,
come procede?” “Stavamo aspettando te, genio” gli feci una smorfia “Mamma che
palla… parlavo in generale” scrollò le spalle “Bah, ho avuto tempi decisamente
migliori, ma che ci vuoi fare….” “Cazzo Zee, sembriamo quei vecchietti davanti
ai bar “Allora! Ti va una partita a carte?”” dissi mimando un’eventuale voce da
sdentato e battendo un colpo sulla spalla di Zack, facendolo sorridere “Si,
siamo ridotti davvero uno schifo” sentenziò Johnny, sedendosi vicino a me.
“Parla
per te. Non hai visto che cera che ho io?” dissi sarcastico, togliendomi gli
occhiali da sole e scandalizzando i miei due amici.
“Cristo
Bri che cazzo hai fatto?” commentò il nano (o meglio, il più nano). “Cazzo
sembri ustionato” il moro “Ho passato una nottata molto…. Molto. Ho fissato per
nove ore e mezza il soffitto, alternando ogni tanto con la sveglia, senza
muovermi dal letto, tranne per pisciare verso le tre e questi sono i risultati.
Non vi consiglio di farlo” dissi facendo un mezzo sorriso triste al quale i due
risposero nello stesso modo.
“Beh,
immagino tocchi a me registrare, vero?” dissi battendomi tutti e due i palmi
sulle cosce e scattando in piedi “Come al solito” disse Matt quando gli arrivai
vicino. Gli battei un colpo sulla spalla, mentre stava parlando con Walter, il
tecnico delle chitarre.
Feci
un mezzo sorriso e afferrai una chitarra a caso di quelle messe in ordine. Mi
sedetti e collegai il jack. Era un secolo che non suonavo. Da troppo. Rimasi un
po’ a suonare a cazzo la prima cosa che mi veniva in mente, vecchie canzoni, di
altri o nostre.
Dopo
un quarto d’ora buono, e anche di più, in cui mi ero sgranchito le dita, alzai
la testa e feci scrocchiare tutte e dieci le dita e il collo, poi guardai Derek
al mio fianco e Matt.
“Allora,
cominciamo?”
Era
le sesta volta che riprovavo quel maledetto assolo con il risultato di
continuare a sbagliarlo e essermi scorticato una mano. Non so perché,
continuavo ad insistere, dovevo suonare e dovevo registrarlo subito, senza
perdere tempo. Forse perché lo avevo scritto insieme a Jimmy e partire da
quello non era stata una grande mossa, ma adesso dovevo finirlo e subito. Via
il dente, via il dolore.
Lo
sbagliai ancora e Derek mi guardò “Brian, calmati. Prenditi una pausa” “Non ci
penso nemmeno. Fai ripartire quella fottutissima base” “Bri”
Davanti a me
s’inginocchiò Cass che fino ad ora aveva assistito immobile alla disfatta delle
mie mani. Senza distogliere lo sguardo dal mio, poggiò delicatamente le sue
mani sulle mie.
“Basta”
mi morsi l’interno della guancia e il labbro, combattuto.
I
suoi occhi erano così vuoti. Avevo imparato a trovare in quel vuoto un porto
sicuro in cui rifugiarmi e non mi metteva più soggezione, anzi. Mi dava una
quiete e una pace non indifferente.
Sbuffai,
lasciai andare le spalle e feci cadere le mani lungo i fianchi.
Mugugnai
e borbottai come un bambino, mentre lei prendeva la chitarra e la poggiava al
tavolo della console.
“Vogliamo
andare a fumarci una sigaretta?” propose tirandomi per una mano e io annuii,
facendomi tirare.
Andammo
a sederci al tavolino piazzato fuori, sul marciapiede.
Era
gennaio e faceva parecchio freddo, ma tutto sommato si stava bene, (stretti
nelle felpe e col freddo ce entrava nelle ossa, certo).
Cass
sembrava a suo agio anche con quelle temperature per me difficili da
sopportare.
Accendere
due sigarette fu un’impresa, ma alla fine ci riuscimmo.
Io
battevo i denti, lei se ne stava tranquilla e stretta nella giacca.
“Ehi
femminuccia, smettila di tremare così” “Se tu vivi in Siberia non è colpa mia”
dissi io e sorrise, prima di avvicinare la sedia alla mia e passarmi un braccio
attorno alle spalle, strofinandomi poi un braccio nel tentativo di riscaldarmi.
“Di
solito questo non è un gesto che spetta al ragazzo?” scrollò le spalle “Di
solito si, ma se è lui che ha freddo? Come la mettiamo? E poi non voglio
allungare le mani sulle tue tette, tranquillo”
“Ci
mancherebbe….” Dissi divertito, poggiando la testa sulla sua spalla. Lei a sua
volta poggiò la guancia sui miei capelli.
“Perché
fai così?” mi chiese dolcemente, perdendo tutto il tono ironico e scherzoso di
qualche secondo prima. Strinsi un secondo le labbra, tirai una boccata dalla
sigaretta e feci uscire il fumo dal naso, prima di rispondere.
“Prima
finisco di registrare e prima sto meglio” “Ne sei così sicuro? E quando dovrai
incidere So Far Away cosa succederà? “Non lo so e ho paura di quella canzone”
“E’ una tua creatura, è come se avessi paura di tuo figlio, ti pare?” sorrisi
per un secondo e poi tornai serio. Mi sistemai meglio sulla sua spalla.
Ci
stavo da Dio fra le sue braccia. Mi sentivo amato ed era una cosa strana per me
che di solito sono poco affettuoso e detesto le effusioni, mentre con lei
starei abbracciato anche 24 ore al giorno.
“Non
so, forse hai ragione. Resta il fatto che suonare fa male e suonare per lui
peggio” “Bri…” “Ehi, però mi sto riprendendo, vedi? Sto parlando, faccio
battute, mangio un po’, fumo e ho ripreso in mano la chitarra, anche se suono
come un cane” sorrise un secondo.
“Si,
in effetti stai meglio” sospirai, pronto a dirle la verità “Non sto meglio, lo
faccio per loro” e per te aggiunsi mentalmente “So che ci stanno male a vedermi
più morto che vivo e mi sto sforzando di riprendermi, ma è così difficile. Mi
sento così vuoto, finto. Delle volte mi sembra che sarebbe così facile
lasciarmi andare alla….”
“BRIAN HANER NON PENSARCI NEMMENO!” sbottò prendendomi
il viso fra le mani.
“TU
non ti lascerai andare proprio a niente, chiaro? Ci sarò io a riempirti di
calci e a tirarti su, capito? Se ci fosse stato Jimmy ti avrebbe già tirato un
cazzotto e in effetti te lo meriti”
“Ah si? E allora perché non me lo dai?
Tanto ormai…” a quel punto sbruffò e sul mio viso si abbatté un cazzotto
davvero spaventoso per essere dato da una ragazza.
“Cazzo!
Ma sei impazzita?!” “No, provo a farti riprendere, va meglio?” “Hai provato a
rompermi il naso! Come può andare meglio?!” “Pensaci bene. Ti senti ancora
vuoto e finto?”
Cominciai
a massaggiarmi il naso, mentre pensavo.
Il dolore allucinante al naso fu come
se mi avesse svegliato, il sangue che fluiva dal naso era caldo e m’inondava la
bocca col solito sapore metallico che mi piaceva. La rabbia istintiva del
contraccambiare l’attacco aveva irrigidito i miei muscoli pronti a scattare per
colpire. Il sangue correva e il cuore pompava. Sentivo l’aria gelida entrare
nei polmoni in quel modo pungente e frizzante che solleticava il naso.
“Cazzo…
sto meglio!” dissi sbalordito. Il dolore e la rabbia mi avevano ridato la
percezione del mio corpo. Cass mi sorrise soddisfatta, prima di mettersi ad
osservare il mio naso.
“Si,
però adesso ti conviene andare in bagno, sai?” sorrisi “Prima mi riduci così e
poi mi dici di andare in bagno?” “Ehi, l’ho fatto per il tuo bene!” disse
giustificandosi, mentre ci alzavano.
Mi
diede un fazzoletto e me lo strinse sul naso.
“Ecco,
stringi qui come faccio io e vai in bagno” “Va bene BABBA” rise della mia voce
nasale e mi diede un calcio.
Bene,
la donna che amo mi ha tirato un cazzotto.
Sono
proprio un uomo fortunato.
“Cass
mi ha tirato un cazzotto e sono rinsavito” dissi sedendomi vicino al leader del
mio gruppo che mi guardava accigliato e con un mezzo sorriso.
La
registrazione procedeva bene almeno fin quando non arrivai in studio e notai le
facce scure di tutti.
“Ehi,
che succede?” dissi tranquillo.
“Oggi
Matt registra Fiction” mi spiegò Val che guardava preoccupata suo marito che
continuava a camminare avanti e indietro, mangiando caramelle e leggendo un
foglio, quel foglio.
“Ah”
“Già…” “Ok, sono pronto” sentenziò Matt e tutti gli sguardi si puntarono su di
lui.
“Sicuro?”
chiesi io “Si” “Ok”accettò Derek.
Matt
entro in cabina e partì le registrazione.
Partì
tutta l’introduzione e quando partirono le parole fu una coltellata.
“Now I think I
understand
How this world can
overcome a man”
Avevo
avuto solo una volta il coraggio di ascoltare quella registrazione ed era
finita con l’ennesima sclerata.
“Like a
friend…” e la voce di Matt s’incrinò, prima di sparire. Matt rimase per un
secondo a fissare davanti a lui il vuoto, ancora con la bocca aperta e lo
sguardo lucido e vacillante. Val si alzò di scatto ed entro i cabina. Matt si
buttò fra le sue braccia e la strinse fortissimo a sé.
Non
potevamo andare avanti così, quella non era vita, era un fottutissimo incubo.
Fissai il
vuoto davanti a me, mordendomi il labbro e
sentendo gli occhi riempir misi di lacrime. Poggiai la chitarra e mi
avvolsi con le braccia.
A volte mi
sembrava di essere sul punto di andare in pezzi, come se da un momento all’altro
avrei visto il mio corpo spezzettarsi in grossi pezzi sanguinolenti sparsi sul
pavimento.
Era una
sensazione tremenda che niente riusciva ad alleviare.
Poggiai i
piedi sul bordo della sedia, in modo da raggomitolarmi e continuare a stringere
in modo ossessivo le mie braccia, contraendo e affondando le dita. La musica
continuava, oltre a quello in silenzio era assordante.
Sentivo il
mio corpo sul punto di sgretolarsi, non riuscivo più a tenerlo insieme.
Sarei
svenuto dal dolore? Forse si…
Il dolore
s’intensificò, ogni nota era una lama, perché non interrompevano quella cazzo
di registrazione? Non ero sicuro di resistere ancora a lungo.
Improvvisamente
sentii due braccia che mi stringevano dolcemente le spalle e un paio di labbra
posarsi delicatamente sullo zigomo. Sentii come se la guancia mi si fosse
ustionata, ma mi piaceva, era una sensazione piacevole. Le sue mani si
poggiarono sulle mie e sciolsero la stretta d’acciaio delle mie mani che
affondavano nelle mie braccia. Poggiò la guancia al lato della mia testa,
stringendomi da dietro e posandomi qualche bacio sulla testa.
Da quando
mi aveva “raccolto con cucchiaino”, dopo esser tornata in California, il nostro
rapporto era cambiato e sembrava che i ruoli si fossero invertiti.
Mi sentivo
insolitamente protetto e coccolato da quella nanetta che amavo e a cui non
riuscivo a dichiararmi e a cui, quasi sicuramente, non lo avrei mai fatto.
Grazie a
lei il senso di sgretolamento si stava alleviando e non potevo far altro che
esserle grato di tutto quello che stava facendo per me senza che nessuno gliel’avesse
chiesto. Non mi sarei mai azzardato a fare una richiesta del genere, anche da egoista
quale ero.
Eppure lei
non ne aveva avuto bisogno, aveva capito quello di cui avevo bisogno e mi stava
aiutando.
Cosa che
non faceva altro che accrescere il mio già sconfinato amore per lei.
Come si fa
a non amare una persona del genere? Era straordinaria eppure non
sembrava
rendersi conto di quanto l’amassi. Bah, forse era meglio
così... O forse no. Bah, ormai era troppo tardi per sapere come
sarebbero andate le cose se avessi avuto le palle di dirle tutto quando
era tempo.
“Ce la
farete, fatelo per lui” sussurrò la sua voce al mio orecchio. Piccola...
Si, Cass
aveva ragione. Aveva fottutamente ragione!
Papparapà
papààààà!!!!
Ed
ecco il primo chap ù.ù
Sinceramente
non so perchè stia scrivendo dei missing moment…. Bah, così mi è venuto :D
Era
una cosa a cui tenevo e che volevo scrivere, ma visto che nella storia non
andava proprio, l’ho messa qui ^_^
Credo
(anzi, sono quasi sicura) che ce ne saranno altri e credo che tenderò a dare
più importanza ad altri personaggi che nella storia sono stati un po’ eclissati.
I capitoli
sono tutti sconnessi fra loro tranne eventuali, ma tranquilli, verranno segnalati
:D
Alla
prossima
The
Cactus Incident