L’ho
mai detto che i ragni mi fanno schifo?
-come inaugurare al meglio 19 anni-
Non ho mai
nutrito una passione sconsiderata per la natura, mi è sempre piaciuta la
comodità.
Di certo
direi una bugia se vi dicessi che da piccola gli animali non mi affascinavano,
sarebbe pura menzogna se non ammettessi che per un periodo molto breve e
disturbato della mia infanzia non avessi sognato il mio futuro in uno studio
veterinario.
Gli animali
mi piacevano eccome, ma con una certa selettività della quale mi accorsi solo
crescendo.
Mi piaceva
vederli e immaginarli attraverso le immagini che scorrevano sullo schermo della
televisione, adoravo immaginarli nella loro vita quotidiana alle prese con la
caccia, con i cuccioli e con il branco.
I felini
erano quelli per cui stravedevo di più, forse perché ulteriormente influenzata
dal mio cartone Disney preferito: gli Aristogatti.
Ma la mia
passione finiva lì.
Non ho mai
avuto la possibilità di avere un animale domestico poiché la mia casa era
troppo piccola ed era risaputo che mia mamma nutrisse un disperato terrore per
qualsiasi essere peloso a quattro zampe.
Niente cane,
niente gatto, niente coniglio e niente criceto, sostanzialmente.
Solo una
volta mi capitò di vincere un pesciolino rosso al parco giochi e lo portai a
casa tutta felice, era il mio primo (e unico) animale domestico, lo chiamai
Flipper.
Morì dopo una
settimana, mi disperai.
Da quel
momento in poi il mio interesse per la natura scemò gradualmente fino a
invertirsi in ribrezzo. Cominciai a notare tutto ciò che di violento e schifoso
succedesse negli ambienti selvaggi, nelle savane, nelle foreste, ma realizzai
che la natura era presente dappertutto, anche a casa mia, e questa scoperta mi
traumatizzò.
Mi resi conto
che gli animali che avevo da sempre adorato erano tutti grandi e pelosi, non
avevo mai considerato la parte più piccola di essi.
Gli insetti.
Gli aracnidi.
Mi viene il
voltastomaco solo al pensiero.
* *
*
Era il 13 settembre ed ero appena tornata da un week end fuori porta con il mio adorato
ragazzo, un modo carino per festeggiare il mio diciannovesimo compleanno che
sarebbe caduto il giorno seguente, il 14 settembre.
Dunque la
sera del 13 fu una serata passata a raccontare a mia mamma che cosa avevo visto
e fatto nel week end: guardammo le foto, leggemmo i volantini e nel mentre
seguivamo in sottofondo le finali di Miss Italia.
Seratina tra
donne insomma, continuata solo fino alle undici e mezza poiché per mia madre,
che la mattina seguente sarebbe dovuta andare al lavoro, si era fatto tardi.
Così rimasi
da sola sul divano a guardarmi un altro po’ di Miss Italia e ad aspettare la
mezzanotte per vedere chi per primo mi avrebbe fatto gli auguri, accesi Facebook e caricai qualche foto, insomma, tutto molto
tranquillo.
Arrivata la
mezzanotte i messaggi ricevuti per primi furono ovviamente quello del mio
ragazzo e quello della mia migliore amica, dovevo immaginarmelo. Rimasi sveglia
un altro po’ per rispondere in diretta a tutti gli auguri che ricevevo su Facebook, poi, finalmente, verso mezzanotte e mezza, decisi
di andare a dormire.
Bisogna tener
presente che a casa mia intorno a metà settembre circolano ancora parecchie
zanzare, quindi per poter dormire tranquilli non bisogna attirarle nella
propria stanza.
L’unico
metodo scientificamente provato, quindi, rimane quello di non accendere le
luci, tralasciando il numero infinitesimo di volte che si rischia di morire
inciampando e sbattendo in mobili o oggetti non al loro posto.
Dunque mi
mossi al buio anche io onde evitare nottate spiacevoli, mi preparai per la
notte e infine entrai nella mia stanza chiudendomi la porta alle spalle.
Decisi che
non c’era più bisogno di preoccuparsi delle zanzare visto che la porta era
chiusa e non sarebbero potute entrare da nessun’altra parte, così mi diressi al
bordo del letto per accendere l’abat-jour e rendere chiari i contorni degli
oggetti che mi circondavano.
Quello che
vidi quando il mio dito premette sull’interruttore mi fece a stento trattenere
un conato.
Era grosso,
peloso e di un colore indefinito tra il marronciognolo misto
all’arancione scuro, striato sul dorso e sulle otto zampe.
Un ragno,
appoggiato al muro a meno di un centimetro dalla mia mano sull’interruttore.
Feci un salto
all’indietro fino a ritrovarmi sulla soglia.
Lo osservai
in tutta la sua mole, ero schifata da quella vista, sentivo lo stomaco
ribollirmi e i miei occhi implorare pietà.
Che faccio?
Dovevo
levarlo da lì, ma non sapevo da che parte cominciare, non volevo svegliare mia
mamma.
Di prenderlo
su un fazzoletto e buttarlo fuori non se ne parlava, non l’avrei fatto nemmeno
con i ragnetti dal corpo piccolo e le zampe lunghe, c’era il rischio
che mi salissero addosso e solo al pensiero di sentire quelle zampette
camminare sulla mia mano mi faceva sentire male.
Figuriamoci
questo che era enorme.
Non potevo
nemmeno schiacciarlo poiché rischiavo di rovinare permanentemente il muro e
rompere l’abat-jour a lui vicinissima.
Rimasi a
fissarlo per un po’ cercando altri metodi efficaci per neutralizzarlo, ma non
ne trovai alcuno che facesse al caso mio.
Andai in
crisi, spalancai la porta e mi diressi in camera di mia madre.
«Mamma!»
chiamai per ben due volte prima di riuscire ad ottenere la sua attenzione. Poverina, era nel meglio del sonno. «Mamma
aiuto, c’è un ragno gigantesco in camera mia!»
Un mugolio di
disapprovazione misto a un ‘cosa vuoi’ uscì dalla sua bocca intrisa di sonno.
Ripetei l’affermazione.
«Eh, uccidilo»
fu la sua risposta tranquilla.
«Ma come
faccio?! E’ grandissimo!» le risposi nervosamente. Lei si voltò verso di me e
si mise a sedere. Evidentemente lesse sul mio volto la più pura preoccupazione
perché si alzò di scatto e si diresse in camera mia.
La seguii di
corsa fino a quando arrivammo alla soglia.
«Dov’è?» mi
chiese, glielo indicai.
Sbiancò.
«Oddio.»
disse sottovoce. «Oddio, ma da dove è entrato quel coso? Io non lo so cosa
fare.»
«Come non sai
cosa fare?» dissi io in preda al panico.
«Eh, non
lo so!» rispose, facendosi contagiare dalla mia ansia.
Andò in bagno
ordinandomi di tenerlo d’occhio, rimasi a fissarlo inorridita fino a quando mia
mamma non fece ritorno con il raid in mano.
Il raid,
giusto! Perché non ci ho pensato prima?
La vidi
avvicinarsi a quell’essere disgustoso con fare sospetto e col braccio teso che
impugnava la bomboletta.
Spruzzò senza
pietà.
Ne schizzò
talmente tanto che si creò un alone gigantesco sul muro, ma quel ragnaccio riuscì a fuggire intrufolandosi dietro il mobile.
E qui ci
guardammo come per dire: ‘E adesso?’
Già, e
adesso?
Non sapevamo
se fosse vivo o morto, non sapevamo né dove fosse nascosto né quando fosse
entrato in casa, l’unica consapevolezza era che ancora si trovava nella mia
stanza, e che io non ci avrei più dormito se prima non avessi visto con i miei
occhi il suo cadavere.
Rimanemmo
qualche secondo a guardarci, a guardare il muro, a riguardarci ancora, spaesate
e senza sapere più che cosa fare.
Poi vidi
qualcosa camminare alla mia sinistra, sul mobile. Mia madre vide la mia
espressione terrorizzata e il mio volto girarsi lentamente in quella direzione.
Attimi di
pura tensione.
Era lui.
«Mamma!! E’
lì! E’ lì! Uccidilo uccidilo!!» sbraitai come
un’idiota. Lei si precipitò
davanti al
mobile e continuò a spruzzare raid a destra e a manca.
«Non muore! Non muore!» urlò lei in preda al panico più che mai, mentre il ragno
continuava la sua fuga indisturbato. «Fai qualcosa! Fai qualcosa!» mi implorò.
«Che cosa?!»
domandai io, mentre osservavo la scena da una debita distanza.
«Prendi
qualcosa, cazzo! Una scopa! Lo zoccolone! Sbrigati!»
La mia stanza
era infestata dal raid, mi fiondai nel ripostiglio e afferrai lo zoccolone.
Lo zoccolone, in
verità, è un oggetto il cui nome vero e proprio mi sfugge, è un bastone che ha
la forma della scopa, solo che a differenza della scopa alla fine ha delle
spazzole parecchio dure, è un antenato del mocio,
mia madre lo usava per dirigere lo straccio quando puliva il pavimento.
Chiudendo la
parentesi dello zoccolone, che potrebbe sembrare una brutta parola ma in
verità credo che sia un termine intraducibile che derivi dal dialetto del sud,
ritorniamo a noi.
Corsi in
camera e glielo porsi con aria trionfale. Mia madre mi diede il raid e mi
ordinò di continuare a spruzzarglielo addosso mentre lei cercava di
schiacciarlo.
Due cretine, pensai, mentre ci davamo da fare.
Alla fine riuscì
a prenderlo e ululammo dalla gioia.
Tuttavia
rimase ferma nella sua posizione per un po’.
«E se non è
morto?» mi chiese. «E se quando mollo lo zoccolone lui cammina
ancora?» questo pensiero ci traumatizzò all’istante.
«Prendi uno
straccio!» mi ordinò.
Mi precipitai
a prenderlo e quando ritornai lei era ancora nella stessa posizione di prima:
una gamba avanti e l’altra indietro, lo zoccolone stretto in entrambe le
mani e il volto concentrato. Non osava muoversi.
Per un attimo
mi venne da ridere a quella vista. Povera mammina, e pensare che fino a qualche
minuto prima stava dormendo beatamente.
Lei si
accorse della mia espressione e cominciò a trattenersi dallo scoppiare in una
risata.
Decidemmo di
rischiare e di alzare lo zoccolone, in caso fosse stato ancora vivo io
avrei dovuto finirlo con lo straccio. Io che sono una fifona, giustamente.
Il ragno per
fortuna non si mosse, il suo cadavere accartocciato era lì per terra davanti ai
nostri occhi.
Fiuu! Ci mancava solo che avessi dovuto
ucciderlo con lo straccio, che schifo.
La mia stanza
era un vero campo di battaglia: muro e pavimento imbrattato di raid, mobili
spostati, vestiti a terra e peluche sparsi dovunque.
Però il ragno
era morto, era quello l’importante.
Il suo
cadavere era il nostro trionfo.
«Almeno
raccoglilo tu» disse mia madre, la mia faccia schifata le strappò una risata.
«Io?» dissi
riluttante, lo sa benissimo che mi fanno schifo i ragni, sia vivi che morti,
era già tanto essere sopravvissuta a quella battaglia. «Ti prendo dei
fazzoletti» conclusi, sviando la sua proposta. Lei raccolse il cadavere e lo
buttò nella spazzatura.
«E se ha dei
parenti?» le chiesi.
Mi mandò a
quel paese con un gesto.
Ok, stavo
esagerando, ma il solo pensiero che un altro coso di quelli fosse nella mia
stanza bastava per non farmici più mettere piede.
«Spero di non
essermi intossicata con tutto quel raid» mi disse lei. «Dormi con me stanotte,
la tua camera puzza troppo.»
Non ci avrei
dormito in qualsiasi caso nella mia stanza quella notte, sarei andata sul
divano in sala.
Ma la mamma
insistette affinché io dormissi con lei nel lettone.
Da quanti
anni era che non dormivo nel lettone con mamma?
Tanti, ero
ancora piccola.
E questo
diciannovesimo compleanno si apre facendo un salto indietro. Sì, perché il mio
compleanno è oggi e tutto questo casino è successo esattamente ieri sera.
Diciannove
anni di ragazza che dorme nel lettone con la mamma per colpa di un ragnaccio cattivo.
Giustissimo.
L’ho mai
detto che i ragni mi fanno schifo?
L’autrice:
Ragazzi, forse anche quel ragno voleva farmi gli auguri di buon compleanno,
ma evidentemente non li ho saputi molto apprezzare..
Che schifo, non ci posso fare niente, sono degli esseri che detesto.
Prima che i miei si separassero ci pensava mio padre a eliminare gli
‘intrusi’, ma ora che lui non c’è dobbiamo cavarcela da sole e ogni volta è un
film, vi giuro, quante risate.
La definirei una shot tragi-comica.
Spero che vi abbia fatto sorridere (:
Un bacio a tutti dalla vostra Luci, e se avete voglia di lasciarmi un
commentino sappiate che lo leggerò volentieri ^^