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Autore: ToscaSam    21/09/2011    0 recensioni
Quante facce ha l'amore?
Un ipotetico continuo della storia seguendo la figura del poeta Gringoire. Qualcosa di misterioso compare nella sua vita, qualcuno che sembra appartenere a un passato che lo ha trasformato ...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, Pierre Gringoire
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il povero poeta si era ritirato da Parigi già da quasi quattro anni: quella storia gli aveva cambiato la vita; magari non radicalmente, magari non così in superficie: l’aveva turbato e piano piano mutato i piccoli aspetti del suo essere interiore. L’unico ricordo di quel passato che si portava costantemente dietro era quella saltellante e adorabile capretta che gli si era affezionata, e che lui curava come una figlia e un’amante. Spesso chiacchierava con lei, unica consolazione per non sentirsi solo; spesso guardava in lontananza nella speranza di scorgere le austere torri della cattedrale di Notre-Dame, nella nebbia.
Si sentiva colpevole di quello che era successo, si sentiva stranamente afflitto da un perpetuo senso di colpa. Guardava la capra e la odiava, poi quando lei gli leccava le dita e lo guardava con amore, Gringoire decideva di scacciare quei pensieri da sé. Però il fiato mozzato di quella ragazza, i suoi grandi occhi neri … gli turbavano la mente e spesso non riusciva a prender sonno la notte.
Adesso aveva ripreso a scrivere e aveva avuto anche qualche piccolo successo, che gli permetteva di mangiare e di dormire in una stanza umida e fredda di una casetta di campagna, fuori Parigi.
Le sue opere erano diventate pesanti, da plateali e auliche, anche se con quel tocco di ingenuità che faceva sorridere, tipico di chi si è acculturato non in età da scolaro e crede di saper tutto in modo profondo, Pierre Gringoire era passato a pesanti mattoni lugubri e tristi, privi di emozione e carichi di sonnolente ritmo.
Ecco in cosa era cambiato Gringoire: non aveva più la sua freschezza di giovane scrittore, non si sentiva più ispirato da questo mondo che lo aveva turbato così tanto. Era divenuto silenzioso, da logorroico qual’era. Non trovava più niente di cui parlare arditamente.
 Ma perché restare in quello stato? Perché era andato di mezzo in quella storia tragica? Che c’entrava lui? E perché quando avrebbe potuto fare qualcosa di buono aveva preso la decisione  sbagliata? E in quei momenti guardava la capretta con odio. Djali allora lo sentiva cupo, e belava, e andava a leccargli la punta delle dita.
- Ma no Djali, sono certo di aver fatto bene a portarti con me. Non potrei aver più bisogno che di una come te! Hai visto come mi trattano le donne? Quelle che sembravano damigelle perbene e assennate, quella mattina al Palazzo di Giustizia, mentre era in atto il mio bellissimo mistero, si rivelarono stupide e imbecilli! Due oche, per essere eleganti, ma non voglio offendere gli animali per paragonarli alle specie umane, Djali, stai tranquilla. E poi … quella rondine libera che era la tua padroncina. Quella fanciulla così ineffabile e leggiadra, così bella quanto inafferrabile. E la dettero in sposa a me, Djali, oh ma lei non mi amò mai! Fui solo il suo compagno di abitazione per qualche notte, non mi volle nemmeno mai bene – . Al che la capretta dalle corna dorate lanciò un forte belato.  – Dici che me ne volesse? Io spero di si. Penso sia l’unica donna che abbia mai amato, per così dire. L’unica donna che ho ricevuto in grazia dalla Provvidenza, che mi ha ispirato e mi ha reso felice al solo osservarla. Eppure adesso me l’hanno portata via.-
Per la prima volta dopo tanto tempo, quello scettico e forbito poeta si lasciò sfuggire una lacrima. Una, due, e poi tante altre. Non pianse, lacrimò. Si asciugava il viso con la manica del cappotto logoro, eppure continuavano a sgorgare fiumi salati dai suoi occhi. Si guardò allo specchio incrinato che era appeso in un angolo della sua stanza e scoprì un viso nuovo: ecco un altro cambiamento subito Gringoire; un viso mai visto, un viso sofferente e colpevole.
- Ma dimmelo Djali! Come potevo io sapere che il maestro non l’avrebbe aiutata? Come posso avere colpa se l’hanno appesa a una corda? Se il suo bel collo è stato sfregiato da una rozza corda, se le sue labbra dolci adesso sono secche e ricoperte di insetti, se quella sua adorabile smorfietta se n’è andata, dissolta nel tempo e mai più rinascerà su un viso così celeste?-
Si strinse la capretta al petto e lei lo lasciò fare.
Si era fatta buona, quasi come se sapesse di essere al posto di qualcun altro.
Gringoire non sapeva chi voleva al suo fianco; aveva scelto la capra, aveva abbandonato la ragazza, sua moglie per la precisione. L’aveva lasciata in mano a qualcuno di cui si fidava e che invece l’ha lasciata al suo destino. Lui non poteva sapere che cosa sarebbe successo alla fanciulla! Lui aveva preferito la capra perché certo che l’arcidiacono Frollo l’avrebbe portata in salvo.
Djali adesso era l’unico essere vivente a cui lui donasse completamente il suo amore, e lei era dal canto suo, l’unico essere ad amarlo.
 
Era così, misero e distrutto, sdraiato su quel materasso duro che era il suo letto, a contemplare il suo dolore e a sentirsi scorrere le lacrime, quando qualcuno ruppe il vetro della sua finestra lanciandoci un sasso.
- Oibò! – gridò il poeta alzandosi di soprassalto.- chi è quel mascalzone che lancia queste diavolerie in casa di un poveraccio come me?!-
Si affacciò alla finestra e non vide nessuno, se non una bambina molto piccola, seduta su un tronco d’albero. Si avviò infuriato per le scale, chiedendosi chi mai fosse quel maleducato tutore della bambina che aveva lanciato il sasso: infatti la piccina era evidentemente troppo piccola per essere lei la colpevole.
Quando fu fuori notò che non c’era nessun tutore da nessuna parte: la bambina era avvolta da una pesante coperta sfilacciata, seduta sola su quel grosso tronco.
Gringoire guardò più volte a destra e a sinistra, sicuro che il criminale si fosse nascosto lì vicino per paura di una sua ramanzina.
- Ebbene furfantello! Vieni fuori e risolviamo la faccenda con le buone!-
Nessuno purtroppo si fece vivo e allora, dopo qualche secondo, il poeta si diresse verso la piccola che avrà avuto si e no tre anni e mezzo quasi quattro.
- Bambina mia, chi è che ti ha condotta e abbandonata qui tutta so …. – la frase gli si mozzò in gola. Corse con lo sguardo quella fanciullina e per un secondo i suoi capelli e la forma del suo viso gli avevano ricordato …
- è andato via. Dice che tu sei Pierre Grigoire –
Pronunciò il suo cognome erroneamente ma con quella vocina candida al poeta fece un’immensa tenerezza.
- Si, sono io, piccola mia. Ma dimmi, come si chiama tuo padre? È lui che ti ha condotta qui?- Il fatto che quell’esserino così innocuo pronunciasse il suo nome significava che c’era dietro qualcuno che lo conosceva e la cosa gli dava inquietudine.
- Io non ce l’ho il padre - . Disse questa frase con un tono a saputella, quasi fosse ovvio che lei non avesse un padre. Fissò il poeta con un paio di enormi occhi color miele.
Era una bambina estremamente bella: la chioma fluente di capelli neri seguiva con movimenti ondulati le forme del visino rotondo; le sopracciglia erano fini, gli occhi grandi e marroni chiari, luminosi ed espressivi come quelli di un cherubino; aveva una carnagione non pallida come quella dei francesi, leggermente più scura, come un’andalusa o comunque proveniente da un paese ispanico. Le braccia e le gambe erano rinvolte in quella copertaccia, ma ne spuntavano due piedini accomodati dentro due scarpette ricamate, anche se un po’ vecchie.
Gringoire passò poi ad esaminare la bocca di quel piccolo ed incantevole essere: era carnosa e piena di sinuose curve. D’un tratto la bambina sporse il labbro inferiore più in là del superiore, giusto per un attimo, velocemente, tanto che il poeta pensò di esserselo sognato. Infatti doveva averlo sognato, non c’era spiegazione.
-  Ma una mamma ce l’hai, vero?- Disse Pierre fissando le labbra della deliziosa bambina, sperando di rivedere quella mossa veloce che gli era parso di notare poco prima.
-  No-. Rispose la bimba fieramente.
- Suvvia, piccina, qualcuno che ti ha messa al mondo dovrai pur avercelo! Non posso dirti esattamente com’è avvenuto, però sappi che per essere qui bella come sei, è stato necessario un padre e una madre. Magari non li conosci, magari adesso sono saliti in Cielo, però ci sono stati sicuramente. Dimmi, bambina mia, chi ti ha portata qui? E come fai a sapere che mi chiamo Pierre Gringoire? – . La bimba lo guardò stralunata, non aveva capito un bel niente di quel discorso strampalato che il poeta le aveva propinato, ma aveva percepito le ultime domande; al che inclinò la testa e lo guardò con i suoi occhioni adorabili: - è un uomo. Non lo so chi è, perché io stavo con tanta gente. Però mi ha detto che tu ti devi occupare di me-.
- Io? – rispose Pierre Gringoire come destato da un sogno.
- Si, tu. E se non mi prendi ha detto che morirò perché lui non tornerà a prendermi - .
Che cosa oltremodo crudele! Pensò il filosofo poeta. Chi mai lascerebbe una bambina così bella qui a morire di freddo?
Così ragionando si accorse di avere le gambe e il naso tremendamente infreddoliti e immaginò che la bambina dovesse essere quasi congelata per essere semplicemente coperta da uno straccio logoro.
- Avrai freddo – disse ad alta voce.
– Si- rispose la bambina.
- Allora vieni dentro, vediamo che cosa riusciamo a fare -.
  
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