Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Ofelia di Danimarca    21/09/2011    4 recensioni
Sansa è sconvolta, ma vuole lo stesso fare qualcosa per una persona che, silenziosamente, l'ha aiutata. Sansa\Sandor (SPOILER 1X10)
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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PREMESSA DELL'AUTRICE: Questa one-shot si colloca durante la puntata 1x10 di Game of thrones, ed è una missing moments incentrata su Sansa Stark e Sandor Clegane. Premettendo che adoro questo telefilm, ho voluto in particolare sviluppare un piccolo momento Sansa\Sandor perchè vedo veramente tanta tanta alchimia tra questi 2 personaggi, la piccola Stark e lo sfigurato (ma gentile) Mastino!
Buona lettura e attendo i vostri pareri!






“Mi aspetto di vederti a corte”, le aveva detto, prima di sparire dietro le sue guardie, diretto probabilmente verso la Sala del Trono dove sua madre la regina Cersei stava dispensando giustizia al posto suo.
Sansa Stark si diede mentalmente della stupida, mentre cercava tra le varie stoffe presenti nella sua camera un abito che potesse andare bene per quella sera. Avrebbe voluto starsene sola nelle sue stanze, avrebbe voluto chiudersi dentro e non uscire mai più, per nulla al mondo, anche fosse costato il morire di fame lì, su quel letto con lo stemma del leone…lo stemma dei Lannister.
Le venne in mente ciò che solo poche settimane prima aveva detto Arya mentre pregavano il Lord loro padre di non portarle via da Approdo del Re. “Non è un leone”aveva sottolineato sua sorella “semmai, Jeoffrey è un cervo”.
Gia, si disse, continuando a esplorare tra le stoffe. Jeoffrey era un Baratheon, dopotutto. Era figlio di re Robert…eppure, di re Robert non sembrava avere nulla. E ovunque ci si girasse, a corte, neanche l’ombra di uno stemma dei Baratheon. Solo ed esclusivamente effigie dei Lannister.
Le grida scortesi di una donna della servitù, appena fuori dalla porta, la scossero e le ricordarono che doveva fare in fretta. Far attendere sua Maestà troppo a lungo sarebbe stato il più fatale degli errori, lo sapeva bene. “Vada per questo” si disse, optando per una tunica color celeste, impreziosita da ricami dorati sulle spalle e sul morbido corpetto. Non le importava nulla di essere bella per il Re. Voleva solo che sua Maestà potesse trovarla gradevole a sufficienza da lasciarla in pace, almeno per quelle poche ore che mancavano al tramonto.
Mentre si spogliava dell’abito che aveva indossato quel pomeriggio, una pezzuola le saltò fuori dalla manica, finendo sul pavimento scuro con un fruscio. Sansa si chinò per raccoglierla ed esaminarla. Era il fazzoletto con cui il Mastino le aveva asciugato la ferita al labbro dopo che ser Meryn l’aveva colpita. ”E’ sporco di sangue” notò, aprendolo e rigirandoselo tra le mani.“Andrà pulito”.
Con gesto deciso, prese la bacinella che utilizzava per lavarsi il viso, la riempì di acqua fredda e vi immerse la pezzuola. Esaminandola per vedere se avesse incisa qualche iniziale o qualche stemma, si accorse che non ne aveva alcuno. Era un fazzoletto di panno grezzo, senza alcuna decorazione o abbellimento.
Mentre immergeva le dita nell’acqua le tornò in mente lo schiaffo di ser Meryn, il dolore e l’umiliazione che aveva provato solo poche ore prima, e le venne un groppo in gola. Il suo futuro consorte non aveva avuto nemmeno il coraggio di colpirla lui stesso. No, non si sarebbe mai sporcato le mani del suo sangue. Questo sgradevole compito aveva preferito lasciarlo alle sue fedeli guardie.
<< Lady Sansa, devi sbrigarti >> di nuovo l’ululato della serva << sua Maestà ti attende! >>
“Devo obbedire” pensò Sansa “non ho scelta”. Strizzò il fazzoletto per liberarlo dall’acqua e finì in fretta di vestirsi. Controllò di indossare ancora il ciondolo che le aveva regalato Jeoffrey, e benché il suo istinto le dicesse che sarebbe stato meglio strapparlo e lanciarlo via il più lontano possibile da lei, lo tenne al collo. Doveva essere cortese, cortese e compiacente. “Dagli quello che vuole” furono le parole che le risuonarono nella mente, e si ricordò che gliele aveva dette proprio il Mastino, quello stesso pomeriggio. “E’ stato gentile” pensò “il Mastino è stato molto gentile con me”.
Aprì la porta della sua stanza, trattenendo il fiato, e si ritrovò davanti proprio ser Meryn, l’uomo che poco fa l’aveva punita in nome di Jeoffrey. Il suo sguardo era vuoto, vacuo, non comunicava nulla. Pareva essersi già scordato di aver alzato le mani su di lei qualche ora prima.
<< Devo scortarti alla Sala del Trono >> disse, e la prese per un braccio per convincerla a seguirlo. Sansa gli si fece dietro, tenendo la testa bassa e cercando di non pensare alle facce che avrebbe dovuto vedere di lì a poco. Cersei, Jeoffrey, le guardie reali e gli altri uomini e donne della corte…chiuse gli occhi. Come sempre quando si trovava in panico andò con la mente a Lady, la sua amata meta-lupa, e senza volerlo strinse con forza nella mano la pezzuola ancora umida.
La Sala del Trono era illuminata da una serie impressionante di lunghe candele bianche. Di lì a poco sarebbe stato il tramonto, ma pareva quasi di essere in pieno giorno, tanti erano i lumi.
Il lunghissimo desco su cui avrebbero dovuto consumare la cena era anch’esso occupato da splendidi candelabri in argento, e ricoperto da una tovaglia che probabilmente era di seta.
Le posate e le coppe risplendevano creando mille bagliori, e le prime portate di cibo già iniziavano a fare capolino nelle mani della servitù. “Un tempo” si ritrovò a pensare Sansa “tutta queste belle cose mi avrebbero fatto sorridere di gioia…ma ora…”
<< Ah, Lady Stark! >> Sansa quasi sobbalzò: erano in pochi, ad Approdo del Re, a chiamarla in quel modo. I Lannister non osavano nemmeno pensare di poterla chiamare con il cognome di suo padre. Di solito lo facevano soltanto prima di un insulto o una punizione, per rimarcare la sua appartenenza alla più grande famiglia di traditori del regno.
Si voltò con sguardo interrogativo e vide Ditocorto che le si avvicinava, sorridente di un sorriso che la metteva a disagio. << Ti stavamo aspettando. Vieni, siedi qui. >>
La condusse fino a una sedia nei pressi dello scranno di Jeoffrey, che ovviamente doveva sedere a capotavola. Con suo grande sollievo, Sansa notò che né sua Maestà né la regina Cersei si erano ancora accomodati. La sua espressione sollevata dovette colpire anche Ditocorto.
<< Il Re arriverà tra poco, lady Stark. Si sta intrattenendo per qualche attimo con ser Ilyn Payne. Non ti farà attendere molto. >> fece, con un tono che Sansa afferrò come vagamente ironico. Alzò lo sguardo, mentre si sedeva alla tavola, e vide Jeoffrey in fondo alla sala parlare fittamente con la Giustizia del Re. Si chiese a chi altri sarebbe toccato perdere la lingua, o le dita, quella sera.
<< Giornata molto movimentata quella di oggi, non credi? >> Lord Baelish aveva afferrato un pezzo di pane e del formaggio, e li stava sbocconcellando. << Avrai certamente sentito le ultime nuove. >>
Sansa lo fissò torva per un attimo, poi si impose di essere cortese.
<< A cosa ti riferisci, ser? >>
<< Tuo fratello ha catturato il Primo Cavaliere del Re >> Ditocorto deglutì, versandosi del vino rosso <<  Jamie Lannister è nelle mani di Robb Stark. >>
Sansa rimase impassibile, ma dentro di sé stava esultando.
<< Sì, sono stata informata. Mio fratello non è altro che un traditore >> disse meccanicamente.
Ditocorto fece una smorfia. << Anche se io, ad essere sinceri, non sarei tanto dispiaciuto di stare nella posizione in cui si trova ora il gemello della regina… >> Sansa lo guardò, senza capire. << Non dev’essere male, essere prigionieri di Catelyn Tully. >>
Sansa si sentì a disagio e, non sapendo che altro fare, prese anche lei un pezzo di formaggio dal vassoio che gli era stato messo davanti poco prima. Sapeva che Ditocorto conosceva sua madre da molti anni, addirittura da prima che sposasse suo padre. Tuttavia, non afferrò appieno ciò che l’uomo aveva voluto dire con quella battuta.
<< Ad ogni modo, sono sicura che la Lady mia madre sarà clemente, ser. E così sarà mio fratello. >>
<< Ah! >> fece Baelish, trattenendo una risata << sul giovane Stark io non sarei così sicuro come te. >>
Sansa distolse lo sguardo dal suo interlocutore. Non aveva voglia di parlare di sua madre e di suo fratello. Non aveva voglia di parlare della sua famiglia, non con quegli individui, non lì, non alla corte del Re. “Sono circondata da Lannister” si disse, e per la prima volta da quando si trovava alla Fortezza Rossa capì chiaramente di non essere null’altro che un ostaggio, una preda…un lupo  guardato a vista da un branco di leoni. Di nuovo le risuonarono in mente le parole che Arya diceva sempre mentre giocava a fare la guerriera a Grande Inverno: “Io sono un lupo, e i lupi non hanno paura.” Già. Anche lei era un lupo?
Intanto, alla parte opposta del desco, i soldati della Guardia Reale si erano appena accomodati sui loro scranni. Riconobbe con un moto di disgusto ser Meryn, che stava giusto portandosi alla bocca un’enorme coscia di tacchino mezza bruciacchiata. “Se si siedono gli uomini di Jeoffrey” pensò “non manca molto a quando me lo ritroverò qui di fianco.”
Afferrò del pane e dell’altro formaggio, evitando accuratamente di servirsi del vino che le aveva versato un attimo prima Ditocorto. Era meglio mangiare, finchè era ancora in tempo, in caso il Re l’avesse strappata dalla tavola e fatta punire di nuovo.
Mentre masticava lentamente, lo sguardo di Sansa cadde su una persona che prima non aveva notato. Sandor Clegane, il Mastino, si era anch’egli appena seduto alla tavola imbandita, nell’angolo all’estremità opposta rispetto a dove si trovava lei con Lord Baelish. Doveva essere quella la zona degli scagnozzi di sua Maestà.
Mentre però le altre guardie ridevano, si muovevano nervose sulle sedie e masticavano sguaiatamente, Clegane era in silenzio, notò Sansa, e non masticava, non masticava affatto. Si limitava a riempirsi di continuo la coppa con qualcosa che doveva essere vino, e a vuotarla a cadenze regolari.
Sansa si sistemò meglio sul cuscino del suo scranno, continuando a guardare. Le ustioni sul lato del viso del Mastino a quella distanza sembravano renderlo ancora più spaventoso. I capelli che gli ricadevano di lato non riuscivano a nascondere la pelle bruciata e a pieghe, e per un attimo Sansa si sorprese a chiedersi che cosa dovesse aver provato mentre metà della sua faccia veniva sciolta dal fuoco.
Ditocorto le aveva raccontato che era stato il suo stesso fratello, e per giunta da bambino, a ridurlo a quel modo. All’inizio aveva stentato a crederci, ma quando aveva visto ser Gregor Clegane al torneo uccidere il proprio cavallo staccandogli di netto la testa, e quasi far fuori il povero ser Loras, aveva smesso di trovarla una cosa così impossibile. Istintivamente, i suoi pensieri andarono ai suoi fratelli, ad Arya, e si rese conto che, dopotutto, era stata molto fortunata.
<< Non bevi? >> le fece Lord Baelish, facendo cenno col capo alla sua coppa ancora colma.
<< Preferisco di no, ser. Non ho molta sete >> gli rispose, in tono neutro, abbassando lo sguardo e notando solo allora che sul grembo le giaceva il fazzoletto, ancora un po’ umido, che le aveva dato il Mastino. Le aveva detto di tenerlo, che le sarebbe servito ancora, ma in fondo non le sembrava giusto appropriarsene. Non era una cosa sua, e la cortesia le avrebbe imposto di restituirla.
E poi, a rifletterci bene non lo aveva neppure ringraziato come si doveva. Dopo che ser Meryn aveva alzato le mani su di lei, aveva talmente perso la ragione che quando Sandor Clegane le si era avvicinato per asciugarle il sangue, non aveva saputo proferire parola. “Nemmeno un grazie” pensò. Era rimasta lì, senza dire nulla.
Sansa iniziò a provare vergogna del proprio comportamento, e si chiese se non dovesse rimediare. “Ma come posso fare?” si domandò tra sé, stringendo la pezzuola tra le dita.
Proprio in quell’istante, la voce ossequiosa di Ditocorto che esclamava il nome della regina la richiamò alla brutale realtà. Alzando gli occhi, vide che Cersei e Jeoffrey, seguiti a ruota dall’inquietante Payne, erano infine giunti alla tavola.
Sansa si alzò immediatamente dalla sedia e fece un lento inchino rivolto ad entrambi.
Jeoffrey la ignorò completamente, mentre Lady Lannister le rivolse uno sguardo di puro ghiaccio unito ad un saluto che tentava inutilmente di camuffare il fastidio con la cortesia.
Mentre si riaccomodava al suo posto, Sansa Stark sospirò.
 
 



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Non appena vide, all’estremo opposto della tavola, sua Maestà Re Jeoffrey prendere posto e, dopo un breve discorso, cominciare a servirsi da tutti i vassoi stracolmi che la servitù solerte gli aveva piazzato davanti, Sandor Clegane allungò una delle sue enormi mani sul piatto della carne. Non aveva ancora toccato cibo quella sera, e a dirla tutta non provava nemmeno una grande fame.
Tese un orecchio per ascoltare i discorsi degli altri membri della Guardia Reale, che sedevano   attorno a lui, ingozzandosi. I soliti tediosi, balbettanti discorsi che sentiva ormai da giorni e a cui non aveva inteso affatto partecipare neanche nelle occasioni precedenti.
<< Ora che gli Stark sono scesi in campo >> diceva uno << la questione entrerà nel vivo. Quelli sono delle serpi, non si placheranno finchè non avranno vendicato il loro dannato capostipite, l’ex Primo Cavaliere. >>
<< Arriveranno qui >> fece un altro << vedrete se non sarà così. Arriveranno qui e dichiareranno guerra al Re, e allora ci sarà da menare le mani. >>
<< Hanno già dichiarato guerra a sua Maestà >> gli interruppe ser Arys, in tono secco << Hanno rapito il suo regale zio, e questa mi sembra un’ottima maniera per mostrare desiderio di scontro. >>
Al Mastino scappò da ridere per un attimo, ma era una risata aspra, per nulla cristallina.
<< Che hai da sogghignare tanto, Clegane? >> lo apostrofò ser Meryn, seduto di fronte a lui.
<< Nulla, Meryn >> fu la risposta << mi limitavo a immaginare quanti di voi saranno ancora qui a parlare e mangiare a questo desco dopo che avremo affrontato l’esercito del giovane Stark, come voi avete detto. >>
Un visitatore esterno si sarebbe aspettato una reazione indignata da parte di ser Meryn, eppure l’uomo non disse nulla. Continuò semplicemente a masticare insieme pezzi di carne e pane, alternandoli a lunghe sorsate di vino.
Il Mastino, dal canto suo, addentò finalmente un pezzo di coniglio ancora fumante, girando gli occhi sui vari uomini che componevano la Guardia del Re, e che avevano servito prima Robert Baratheon e ora servivano Jeoffrey. Erano tutti ottimi servitori, fedeli, ligi al dovere quanto solo un cavaliere può esserlo. Ma nessuno di loro era un ottimo soldato. Avrebbero tutti ciecamente seguito il giovanissimo Re in qualunque folle impresa egli li avesse spronati ad imbarcarsi, ma quanto all’abilità con la spada, non si poteva dire che fossero altrettanto affidabili. Vuotò una nuova coppa di vino, sempre d’un fiato.”Se gli Stark di Grande Inverno sono tutti soldati abili quanto il loro precedente capo, non so come potrebbe andare a finire”, pensò tra sé.
A quel pensiero, il suo istinto lo portò ad alzare lo sguardo e a lanciarlo dall’altra parte della tavola, nei pressi dello scranno di sua Maestà. Alla sinistra del Re, proprio di fronte a quel viscido di Lord Baelish stava la piccola Stark, la figlia del defunto Primo Cavaliere Eddard Stark. Clegane notò che era tutta intenta a guardare nel suo bel piatto d’argento, il mento basso e le braccia tese lungo i fianchi, mentre di fronte a lei la regina le stava rivolgendo delle parole che lui, da quella distanza, non avrebbe mai potuto indovinare.
Distolse subito lo sguardo, sentendosi leggermente a disagio. Si ricordava bene che già una volta l’aveva spaventata, solo con la sua presenza, mentre lei se ne andava in giro con quel suo lupo a cui in seguito era toccata un ben triste fine. “Non aveva paura di un lupo, ma aveva paura di me” pensò, e non potè fare a meno di maledire mentalmente le sue orribili cicatrici.
<< Allora, Clegane >> gli fece uno degli uomini seduti vicino a lui << che cosa te ne farai delle monete della ricompensa per la vittoria nel torneo del Primo Cavaliere? Non dirmi che le hai già spese tutte in vino e donne! >>
Il Mastino sbuffò, senza nascondere la sua irritazione. Quel dannato torneo. Tecnicamente, poi, non si poteva nemmeno parlare di lui come del vincitore, visto che il combattimento finale tra lui e ser Loras, il Cavaliere dei Fiori, non aveva mai avuto luogo.
<< Ti stai ancora tormentando per la storia che tu e Loras non avete potuto sfidarvi nella finale, Mastino? >> evidentemente, ser Arys aveva indovinato ciò che gli vorticava per la mente. << Rassegnati. Hai salvato il bellissimo cavaliere Loras dalla lama affilata di tuo fratello, e questo ti ha reso vincitore del torneo più solennemente di quanto avrebbe potuto fare qualsiasi giostra con le lance. >>
Sandor Clegane ora era decisamente esasperato. Avrebbe potuto tollerare tutto – i discorsi stupidi sulla guerra imminente, sul torneo, su ser Loras, ma il nome di suo fratello era qualcosa che non poteva sopportare di sentire. Non quella sera in cui era quasi calmo, non dopo aver impiegato giorni per smettere di pensare alle stragi e razzie che Gregor aveva compiuto nella terra dei Tully per ordine di Tyrion Lannister. “Se solo fosse qui ora, e non fosse al servizio del mio stesso padrone, giuro che l’avrei già ucciso con le mie mani”pensò, anche se sapeva che il solo pensarlo era una follia.
D’un tratto, vide che re Jeoffrey  si era alzato dal proprio scranno e  che si stava dirigendo proprio verso lui e gli altri membri della Guardia Reale. In uno scatto riflesso, fu in piedi.
<< Ser Meryn, ser Boros, venite con me! >> abbaiò Jeoffrey, controllando di essere ubbidito all’istante. << Mastino, tu resta qui >> si affrettò ad aggiungere << voglio trovarti esattamente qui al mio ritorno! >> I cavalieri che il Re aveva preteso erano già al suo fianco, pronti a scortarlo. Clegane abbassò lo sguardo fino a che sua Maestà non si fu definitivamente allontanato. Quando si voltò leggermente, vide che si dirigeva, insieme a sua madre, Ditocorto e i soldati appena chiamati verso una porta che li avrebbe condotti fuori dalla Sala del Trono.
Gettò un’occhiata ai commensali che erano rimasti. Anche la regina Cersei aveva lasciato la tavola seguita da suo cugino, il giovane e pallido Lancel Lannister.
Qualcun altro, però, era rimasto. La ragazzina Stark era ancora seduta al suo posto, immobile, lo sguardo apparentemente perso nel vuoto. Per la seconda volta distolse in fretta gli occhi da lei, e si concentrò sul finire il suo pasto.  Era da un po’ che osservava la giovane promessa sposa del suo Re, e c’era qualcosa che lo lasciava abbastanza inquieto a proposito. Neanche riflettendoci un attimo, il Mastino era però riuscito a darsi una spiegazione della sensazione strana che gli dava quella ragazzina. La prima cosa che aveva pensato di lei è che vivesse in un altro mondo, un mondo dove le brutture, le tristezze e gli scempi non sono contemplati. La sua però gli era sembrata una finta, una specie di recita forzata, come quando al torneo del Primo Cavaliere aveva accettato quella rosa rossa come pegno da ser Loras, con quello sguardo sognante e quei sospiri. Civetterie petulanti, aveva subito pensato Clegane. Come daltronde ne aveva viste altre volte in innumerevoli altre dame, da quando aveva iniziato a servire alle dipendenze della famiglia Lannister.
Poi però qualcosa aveva iniziato a non tornare. Se una persona recita una parte, fa finta, non dovrebbe reagire in certi modi nel momento in cui la verità emerge e la recita viene fatta terminare. Non dovrebbe mostrarsi sofferente, non dovrebbe rimanere spaesata. Ecco, si disse mentre trangugiava d’un fiato il vino rosso scuro della sua coppa. Era quella cosa a non convincerlo. La piccola Sansa Stark pareva soffrire troppo per una che stava solo giocando ad interpretare la parte della damina perfetta.
Vuotato per l’ennesima volta il suo calice, lo ripose con un gesto secco sul desco, davanti al piatto ancora sporco di carne. Si stirò il collo e sentì le spalle scricchiolare. Anche se non l’avrebbe mai ammesso davanti a nessun uomo vivente, era stanco. Si chiese quanto tempo avrebbe impiegato il Re a sbrigare le sue consultazioni e tornare lì, alla tavola, da lui, ad impartirgli l’ultimo ordine della giornata.
Quando voltò la testa verso il Trono di Spade, per controllare che sua Maestà non fosse già rientrato dalla sua riunione serale, ciò che si trovò dinnanzi lo stupì quasi più di ogni altra cosa che avesse visto in battaglia. A piccoli passi, timidamente ma con la testa quasi dritta, Sansa Stark si stava avvicinando al suo scranno. Teneva le braccia lungo i fianchi, e non aveva nessuno che la stesse accompagnando. Il Mastino rimase interdetto.
<< Mi rincresce disturbarti, ser >> fece, con voce bassa ma dal piglio deciso << Io desideravo… >>
<< Io non sono un ser >> la interruppe subito Clegane con voce roca, scandendo bene ogni parola. Poche cose lo infastidivano più di essere chiamato “ser”, e sperò che le fosse chiaro da subito. La vide esitante, dopo quella precisazione, come se avesse perso il flusso di quello che voleva dire.
<< Che cosa desideri, ragazzina? >> disse, “ma soprattutto, perché lo chiedi a me?” pensò.
La giovane Stark portò il peso del suo esile corpo prima su un piede, poi sull’altro.
<< Io… >> la vide alzare gli occhi sui suoi per qualche secondo, per poi subito distoglierli.
Il Mastino cominciava ad irritarsi. Non tanto per l’esitare della giovane, quanto più perché non capiva cosa volesse da lui in quel momento. Forse che sua Maestà le aveva impartito un ordine da riferire a lui con urgenza? Improvvisamente, si ricordò di avere davanti a sé la promessa sposa del Re, e si pentì mentalmente per averle dato della “ragazzina”.
Decise di non aggiungere altro, per il momento, e di aspettare che lei si decidesse a parlare sua sponte. Furono necessari alcuni secondi, perché lei riprendesse il filo di quanto intendeva dire.
<< Io volevo ringraziarti >> fece finalmente, dopo un lungo sospiro. Sulle labbra le spuntò qualcosa di molto simile a un sorriso. Sandor Clegane pensò che l’aveva vista sorridere molte volte, a Jeoffrey e alla regina Cersei, ma c’era qualcosa di marcio in quei sorrisi. Persino lui, che era solo un volgare uomo di spada, riusciva ad intuirlo. Esattamente come intuiva che invece il sorriso che aveva in quel momento la giovane Stark era di tutt’altro stampo.
Ad ogni modo, il fatto che ciò che la ragazzina volesse fosse ringraziarlo lo lasciò di stucco senza che potesse farci molto.
Scosse la testa in modo nervoso, facendo calare ancora di più i suoi corposi capelli neri sull’occhio devastato dalle cicatrici.
<< E per che cosa vorresti ringraziarmi? >>
Fu solo allora che si accorse di quanto Sansa reggeva in una delle mani. Facendo un passo ulteriore verso di lui, glielo porse.
<< Ecco. E’il fazzoletto che mi hai dato poche ore fa affinchè mi riportassi in ordine. >>
Il Mastino corrugò la fronte alla vista del panno cencioso con cui quello stesso giorno l’aveva ripulita dal sangue che colava dal suo labbro. “Perché me lo sta porgendo a questo modo?”, si chiese.
<< Volevo ringraziarti per avermi aiutato >> continuò Sansa Stark, mordendosi il labbro per evitare di aggiungere l’abituale “ser” << e restituirti il tuo panno, se me lo permetti. E’ pulito. >>
Clegane era esterrefatto. Diede un’occhiata al cencio e si rese conto che sì, effettivamente non c’era più traccia di sangue. La ragazza l’aveva dunque lavato?
La guardò dritta negli occhi, proprio come aveva fatto ore prima, dopo che Jeoffrey l’aveva costretta a fissare la testa mozzata di suo padre. Sapeva che lei non riusciva a sopportare la vista della sua faccia sfigurata, ma non gli importava, o almeno così si disse in quel momento.
<< Se non sbaglio, ti avevo detto di tenerlo, quel panno. E poi non vale nulla, non è necessario che tu me lo restituisca. >> Il tono che aveva usato era perentorio, anche se si era sforzato di essere quanto più gentile gli riuscisse. << Tienilo. >>
Ora era la ragazza Stark ad essere interdetta. L’iniziale delusione sul suo volto regolare aveva lasciato il posto a sorpresa. Il Mastino non riusciva a capire perché si stupisse tanto.
<< Ma… >>
<< Lascia perdere. Tienilo, e basta. >> Pensò che fosse meglio soffocare sul nascere qualsiasi protesta, e chiudere la faccenda lì. Notò gli occhi azzurri di Sansa farsi in qualche modo più luminosi, anche se timidamente.
<< Dunque è un dono? >> fece lei, con un tono diverso da quelli che aveva usato prima.
Clegane riflettè un attimo prima di rispondere. No, non era un dono. Ma di quale diavolo di dono parlava? Era un cencioso fazzoletto, nulla più.  Era una cosa utile che le aveva dato per evitare che le finisse sangue dappertutto sulla faccia, nient’altro. Come avrebbe mai potuto definirsi dono una cosa tanto stupida?
Stava per condividere queste parole con lei, quando si bloccò. Non riuscì bene a capire cosa fu a farlo desistere – se fu lo sguardo che aveva sul viso la piccola Stark in quel momento, se fu la luce diversa che era balenata nei suoi occhi, o se fu invece la strana sensazione come di calore che gli provocava il ricevere, forse per la prima volta in vita sua, la gratitudine di qualcuno. Eppure, si fermò e non disse nulla. Stette solo lì, ancora seduto alla tavola, a guardarla.
<< Ti ringrazio per il tuo dono, allora. Lo conserverò, lo conserverò di certo. >>
Con la stessa cautela con cui si era avvicinata, la vide fare un leggero inchino e voltarsi, per tornare lentamente al suo posto. Sul volto, quell’aria di chi, per la prima volta in un giorno, ha ricevuto una piccola soddisfazione e vuole custodirla.
In quel mentre, qualcosa di Sansa Stark fu chiaro al Mastino, chiaro per la prima volta da quando aveva posato i suoi occhi di sfigurato su di lei: non era una recita, la sua.
La piccola Stark era sincera.
 

 
 
 
   
 
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