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Autore: Remedios la Bella    03/10/2011    3 recensioni
Un ragazzo tedesco che tollera gli ebrei e trova misera la loro condizione. Max.
Una ragazza Ebrea dallo sguardo vuoto e dal passato e presente tormentati e angustiati. Deborah.
Due nomi, un'unica storia. 15674 è solo il numero sul braccio di lei, ma diverrà il simbolo di questa storia.
In un'epoca di odio, nasce l'amore.
E si spera che quest'amore rimanga intatto per lungo tempo, e sradichi i pregiudizi.
Enjoy!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 86 recensioni! Very Good! Buona lettura!

Capitolo 27

 
La mia prima giornata lavorativa? Per essere stata la prima, non fu per niente male. Dopo che Elly mi acconciò i capelli, scendemmo giù per poterci unire al resto della famiglia. Dovevamo vedere tutti i compiti necessari alla famiglia, e così mi toccò andare insieme ad Agata a mungere le mucche appena tornate dal pascolo di quella mattina.
“ Ti senti pronta cara?” mi chiese la donna affabilmente, mentre percorrevamo il tratto che ci separava dalla stalla. La stalla si trovava poco distante dalla casa comune, e la si poteva raggiungere attraverso un piccolo sentiero sterrato. Affianco all’entrata da cui si poteva già sentire l’odore del fieno per i cavalli, era attaccato un piccolo cartello a sagoma di gallina: “ Fattoria Mendel.” Rendeva il tutto leggermente più accogliente. Anche se, del resto, tutto lì mi ispirava accoglienza.
“ Beh .. non ho mai munto in vita mia in verità …” feci io titubante, cercando di prendere confidenza con il sentiero un po’ accidentato, e le scarpe, che mi risultavano leggermente strette.
“ Non è chissache   .. si tratta di stringere e tirare … vieni, ti faccio vedere, tesoro …” mi disse lei, appena giunti dentro. L’ala dedita alle mucche consisteva in un corridoio e in dei recinti unitari, da dove alcuni grossi capi di mucche sporgevano il muso annusando l’aria, che non potevo definire altamente respirabile a causa del puzzo.
Agata mi condusse dietro il recinto, dentro la stanza di mungitura, che non era altro che una piccola camera posta a fianco di quella delle mucche, e ne portò una, legata al muso con una corda. Era una bella Frisona,da quel che potevo ricordare dai libri che avevo letto da piccola.
“ Siediti su quello sgabello.” Mi indicò Agata. Io feci come lei mi disse, e mi mise la mucca davanti, che agitava pericolosamente la coda in cerca di scacciare le mosche che le ronzavano attorno.
“ China la testa e stringi le sue mammelle .. poi cerca di far pressione di modo da spruzzare il latte nel secchio …” io, cercando di non finire sotto il peso di quella frisona, chinai la testa e strinsi quelle cose penzolanti. Erano viscide e corpose, all’inizio mi fece un po’ ribrezzo, e quando la mucca muggì come infastidita mi spaventai non poco.
“ è solo il contatto che le fa impressione! Tu fai il tuo lavoro!” rise Agata, incitandomi e guidando le mie mani nel lavoro.
Stringevo e tiravo, e il liquido bianco tanto desiderato usciva a spruzzi dalla mammella per poi infilarsi nel secchio con un fragore metallico che mi divertì. Strano, mi divertiva sentire del latte cadere in un secchio! Forse ero leggermente pazza, o semplicemente tutta quella normalità mi sollevava l’animo. In fondo avevo da poco patito le pene dell’inferno, tutta quella quotidianità mi suonava a dir poco strana.
La mucca continuava a muggire tranquilla, mentre a poco a poco il secchio si riempiva. Era divertente, anche se la mia schiena ne soffrì non poco. Ma continuai senza sosta fino a che non muggimmo tutte quante le altre mucche, che dopo il lavoro, se ne tornavano svuotate e soddisfatte nella loro cella.
“ Visto? Non è stato difficile!” rise Agata porgendomi un fazzoletto pulito per asciugarmi il sudore.
“ Già! Anzi! Mi sono anche divertita … domani lo rifacciamo?” feci io soddisfatta, tamponandomi il tessuto su collo e fronte.
“ Ahahah! Se vuoi .. vieni, ci aspetta il resto delle mansioni!” Si alzò dal suo sgabello, e io la seguii fuori dalla stalla, diretta verso casa. Il resto della giornata si rivelò meno faticoso e più divertente; ebbi le mie prime lezioni di equitazione da Gustav, e solo la monta mi costò una gamba quasi rotta e un dolore alle natiche pazzesco.
Poi, con John, imparai a tagliare la legna, e almeno quello mi risultò facile. Anche se la maggior parte delle volte rischiavo che, con tutta la forza bruta che ci mettevo, la lama dell’ascia mi arrivasse dritta in fronte, riuscii a tagliarne qualche ceppo senza problemi, e John mi insegnò davvero bene, in fondo.
A dirla tutta, era un ragazzo davvero carino, ma ovvio che non superasse Max. Era gentile e mi aiutava, guidando le mie mani tra le sue per impugnare l’ascia ogni volta che per poco non mi scivolava. Quei contatti mi procuravano leggeri sobbalzi di imbarazzo, ma cercavo di fare finta di niente.
In fondo l’unico che poteva darmi quel tipo di brividi era Max, solo lui … nessun altro.
Per mia fortuna, ebbi la negazione del fatto che John avesse messo gli occhi su di me. A cena, infatti, i suoi occhi si voltarono verso Elly, che prima di allora non lo aveva nemmeno guardato di striscio, ma che in quell’occasione, mi diede una gomitata che per poco non mi fece sputare la minestra.
“ ma che …!” per poco non urlai. Ma lei mi zittì con un dito davanti al labbro.
“ Lo hai notato?”
“ Notato cosa?” feci io indifferente continuando a mangiare.
“ Quella cosa  … non sei stupida, lo hai notato anche tu …”
“ Ah!Quello!!” feci io divertita davanti alla sua faccia rossa:” Si chiama “attrazione”” Evidenziai la parola con le virgolette immaginarie:” Gli piaci!”
“ Tu dici?” disse lei rossa in volto, voltandosi verso di lui. La stava guardando di nuovo, curioso. Lei si voltò di scatto:” Sì, è come dici tu …. Che faccio??”
“ Che en so!” feci io leggermente innervosita:” prova a parlarci …”
“ Mmh … dopo ci provo …” concluse Elly, voltandosi verso il suo piatto e finendo di ingurgitarlo. Dopo cena io e lei ce ne andammo in camera nostra. Io ero stanca, quindi per prima cosa mi coricai sulla branda mentre lei si sistemò leggermente il vestito, un po’ emozionata.
“ Secondo te va bene come sto?” Chiese lei preoccupata.
“ Si …” feci io con tono scocciato e stanco:” Ora vai e conquistalo mia cara!”
“ Smettila …” Mise un leggero broncio per poi varcare la soglia:” Ci parlerò, se mi piace può anche darsi che …”
“ In bocca al lupo amica!” le urlai dietro scherzosa. In realtà, ero felice per lei, stava per provare le farfalle allo stomaco, e provare cosa significhi amore in verità. Ero contenta, avremmo avuto almeno una cosa in comune, oltre quella di voler bene, anche se in modo diverso, alla stessa persona.
“ Crepi ..” sentii come eco da lei, felice.
E dopo questo, chiusi gli occhi, addormentandomi.
 
“ Dov’è John?” Chiesi, un po’ timida, al signor Gustav, che in quel momento stava leggendo un quotidiano.
“ Mi sembra che sia uscito fuori, lo troverai di sicuro qui vicino.” Mi disse lui, alzando leggermente gli occhi dal quotidiano.
“ Grazie mille.” Scesi rapidamente le ultime scale e corsi alla porta, per dirigermi fuori. Il cielo era tempestato di stelle da ogni angolo in cui lo si guardasse, tirava una leggera brezza estiva e piacevole, e sentivo il canto delle cicale e dei grilli nell’aria. Tutto ciò era davvero rilassante. Cercai il mio obiettivo con lo sguardo e lo trovai appoggiato a un albero lì vicino, seduto tra l’erba con la schiena appoggiata al tronco. Guardava il cielo con la testa leggermente piegata all’indietro, la gamba malata era distesa, mentre l’altra era piegata internamente, come se si fosse seduto a gambe incrociate. Nelle sue iridi brillavano i riflessi stellati. Arrossii leggermente davanti a quel panorama a dir poco estatico.
Nonostante il suo handicap, Il ragazzo teneva bene il suo fisico asciutto e non troppo muscoloso. Avevamo una differenza d’età sopportabile, visto i miei quindici anni contro i suoi venti, e potevo affermare che era attraente, con i suoi grandi occhi grigi e bellissimi, la sua mascella ampia ma proporzionata al viso, e la sua chioma castano chiaro.
“ Posso sedermi?” Gli chiesi, avvicinandomi lentamente a lui, per non spaventarlo.
Lui si voltò di scatto e mi fissò con due occhi alquanto incuriositi:”Ma certo!” Si scostò leggermente per lasciarmi un posto accanto a lui. Mi accucciai bene bene, piegando le gambe sotto la gonna discretamente, e poggiando la schiena al tronco.
“ Qual buon vento ti porta fanciulla?” attaccò discorso lui, con una punta di ironia nella voce.
“ Le stelle … volevo vedere le stelle.” Feci io, leggermente imbarazzata.
“ Le stelle? Non qualcos’altro?” domandò lui voltando la testa verso di me. Incrociai il suo sguardo divertito e dolce, e arrossii violentemente. Mi ritenni fortunata a trovarmi sotto un cielo stellato, cioè di notte, perlomeno non avrebbe notato il rossore delle mie guance. Cavoli, anche se la luce era scarsa, potevo notare i lineamenti perfetti del suo viso, era davvero carino.
“ Si …” balbettai:” Le stelle!”
“ Capisco … “ Fece lui rivoltandosi verso il cielo stellato. Anch’io allora mi misi a guardare quel meraviglioso cielo stellato. Un manto blu oltremare puntellato di tante piccole chiazze argentate in ordine sparso, trapassato a volte da lievi fiocchi di nubi che man mano che pascolavano in cielo nascondevano la falce di luna di quella sera che brillava come non mai in quel cielo meraviglioso. La brezza muoveva i lunghi steli di margherite che chiusi in attesa dei raggi del sole, ondeggiavano poco lontani da me, al muoversi ritmico del vento.
“ Bellissimo …” sussurrai tra me e me immergendo i miei occhi in tantissime emozioni di sorpresa e magnificenza.
Sentii gli occhi di John trapassarmi:” Stavi parlando di me?”
“ Cosa?” Per poco non mi saltò il cuore in gola dopo quella domanda così sfacciata:” No! Parlavo del cielo …”
“ Oh ..” Esclamò lui, accennando con la testa come poco convinto:” sarà come dici tu …”
“ Lo so io cosa stavo guardando!” risposi leggermente irritata dal suo tono sfacciato. Che caratterino!
“ Non scaldarti! Stavo solo scherzando!” Fece lui sorridendo e voltandosi verso di me:” Scusa  il mio ego, ma a volte non riesco a controllarmi,devo pur fare bella figura … no?” Mi ammiccò, e per poco non emisi un gemito di sorpresa a quel gesto tanto azzardato.
“ Già … Il tuo ego è sin troppo esagerato a mio parere.”Lui si limitò a sorridere. Vidi che afferrò la stampella e che si preparava ad alzarsi.
“ Ti do una mano, se vuoi …” mi alzai anch’io in fretta e gli diedi una mano ad alzarsi.
“ Non ce n’era bisogno …” Fece lui gentilmente. Io scossi la testa e lo aiutai a mettersi in piedi,ma quando il mio braccio nudo venne a contatto con il suo, un brivido mi percosse la schiena. Una scarica elettrica davvero forte, che mi fece stropicciare gli occhi per alcuni secondi, sbalordita.
“ Che hai?”
“ niente …” Replicai scuotendo la testa. Mi staccai da lui, che ora poteva ritenersi in equilibrio sul coso di ferro:” Rientriamo?”
“ D’accordo.” Esclamò lui. Ero stanca dopotutto, in quel momento volli solo essere nel mio letto, a dormire beatamente in attesa del giorno dopo. Ma anche se avessi voluto rimanere ancora un po’, qualcosa non me lo avrebbe permesso lo stesso.
Io e John sentimmo la voce allarmata di Gustav provenire dalla casa:” Deborah sta male!” L’uomo urlava dall’ingresso preoccupato:” Venite presto!”
Il panico attanagliò il mio cuore e le mie gambe si mossero da sole. Corsi in fretta dentro e salii le scale in fretta, provocando un grandissimo trambusto. Irruppi nella camera, con il fiatone.
Deborah stava sul suo letto,madida di sudore, ma stretta nella sua coperta, quasi sentisse freddo nonostante nella stanza facesse caldo. Agata era al suo capezzale, e le tamponava la fronte sudata con un asciugamano bagnato. Le bende della ferita al braccio erano state ricambiate, potevo vedere quelle di mattina poste sul comodino. E nonostante fosse passato solo un giorno, una sostanza vischiosa e giallognola le ricopriva, rendendole alquanto inquietanti
“ ma cosa è successo?” Chiesi io preoccupata avvicinandomi.
“  Non voglio arrischiare ipotesi assurde … potrebbe essere tetano.” Disse flebilmente.
“ T – tetano …. Come ?” Ero a dir poco scioccata. Tetano? Deborah malata di tetano? Non era possibile, la diagnosi era troppo affrettata. In più, quella orribile malattia provocava paralisi e contrazioni. L’avrei vista contorcersi dal dolore ai muscoli del copro, invece era avvolta nella sua coperta e faceva fatica a respirare.
“ Non è tetano …”
“ la ferita si è infettata gravemente, ha la fronte caldissima …” Fece Agata scostandosi leggermente da lei.
Mi avvicinai con le lacrime agli occhi e le toccai la fronte leggermente. Il solo contatto mi bruciò il palmo della mano. 

   
 
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