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Autore: alister_    03/10/2011    5 recensioni
Nina Williams si è risvegliata dal sonno criogenico senza alcun ricordo del suo passato, e l'unica persona su cui può fare affidamento per ricostruirlo è sua sorella Anna. Fidarsi di lei, però, non le riesce naturale come dovrebbe.
[Seconda classificata al contest Red Hair Party di _Armonia_]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anna Williams, Nina Williams
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N/A: Storia classificatasi seconda al contest Red Hair Party indetto da _Armonia_ sul forum di EFP, e scritta per la Tekken Challenge di Valy_Chan con il prompt "Spiaggia". Ambientata ai tempi di Tekken 3.

 

[Set Viola]

Spiaggia

 

 

 

 

 

L'acqua va e viene a ritmo regolare, onda su onda, si infrange sulla spiaggia e scivola in avanti fino a bagnarle le caviglie, per poi tornare indietro dolcemente. Gli schiamazzi provenienti dallo stabilimento balneare – ormai è quasi sera, tutti si spostano dalla spiaggia ai locali per coronare la loro giornata di vacanza – sono coperti dal rumore della risacca.

C'è pace, in quell'affondare i piedi nella sabbia bagnata e lasciar vagare lo sguardo nel cielo striato di rosso, dove il sole termina il suo corso con un tuffo negli abissi. Lontana da ring e laboratori, le sembra di avere finalmente il tempo di respirare. La sua testa, vuota, si riempie del suono del mare, e per un momento svaniscono i tentativi continui di ricostruire quel puzzle che è il suo passato. Un collage fatto di storie rievocate da altri e fotografie che non le ricordano niente: un giorno si è svegliata e le hanno raccontato la sua vita. Le hanno detto che è un'assassina, una killer a pagamento che ha mancato il suo obiettivo, e che così si è guadagnata diciannove anni da cavia per un esperimento di sonno criogenico come punizione; le hanno indicato la donna dai capelli rossi accanto a lei e gliel'hanno presentata come sua sorella.

Mi prenderò cura io di te, Nina”, le ha detto sibillina lei.

Anna non ha dimenticato nulla, e sempre più spesso quella differenza le sembra uno svantaggio insopportabile. Benché si dimostri ogni giorno gentile e più che felice di aiutarla a riempire i suoi buchi di memoria con aneddoti e storielle del loro passato, c'è una parte di lei che reagisce con distacco a tutta la disponibilità che le dimostra.

A volte si scopre irritata dal suo tono di voce, dal suo sorriso affettato. Scorge sul suo viso messo in risalto dal trucco perfetto un'ombra di falsità, e si chiede se sia soltanto una sua paranoia, o un timore sensato: fidarsi del proprio istinto, quando non ha alcuna memoria del passato, non le riesce così semplice.

Vorrebbe avere più elementi per analizzare, ragionare, trarre conclusioni razionali. Preferirebbe essere sola a rimettere insieme pezzo dopo pezzo il suo passato, in una lenta e faticosa ricerca che le sveli giorno dopo giorno nuovi dettagli di sé. Quella guida non richiesta è fuorviante, innaturale: ogni minuto passato a sentirsi raccontare la sua vita da un'estranea le sembra una forzatura. Perché, nonostante il legame di sangue che le unisce, una delle poche certezze della sua esistenza precaria,

Anna per lei è solo un'estranea. Non prova alcun tipo di sentimento nei suoi confronti. Quando è in sua compagnia, il pendolo delle sue emozioni oscilla tra l'indifferenza e una leggere irritazione. Talvolta, le viene anche l'impulso di schiaffeggiarla senza un motivo valido, oppure scopre di avere sulla punta della lingua risposte taglienti alle sue gentilezze. A stento si trattiene.

 

E' ancora lì, ferma sulla battigia ad osservare il lento infrangersi delle onde, con indosso il pareo scuro che le ha comprato da un venditore ambulante poche ore prima. Sperava di strapparle un sorriso, ha ottenuto solo l'ennesimo grazie mormorato con il tono asettico di un'automa.

E' impressionante il modo in cui Nina, pur senza ricordare nulla del suo passato, sia esattamente la stessa: fredda, impassibile, distante. Risvegliarsi e venire a sapere che sua sorella era in preda a una grave amnesia le ha strappato un sorriso entusiasta. Finalmente, aveva un'occasione.

Per plagiarla a suo piacimento e vendicarsi di vent'anni di torti subiti, si era detta.

Per ricominciare da zero, aveva invece sussurrato con un sorriso quella piccola parte di lei che nasconde desideri e verità.

Un'inaspettata seconda opportunità: niente passato, niente rivalità. Orfane ormai da un ventennio, non avrebbero più avuto alcun motivo di entrare in competizione. Nina, persa nella sua amnesia, non avrebbe avuto memoria dei tanti litigi, e degli ancor più numerosi combattimenti, intercorsi tra loro sin dall'infanzia; e lei, dal canto suo, vi avrebbe chiuso un occhio, compiacendosi della posizione di potere che aveva guadagnato su sua sorella grazie al diverso esito del sonno criogenico.

Nina è come un contenitore vuoto, che lei può riempire come meglio crede – almeno così sperava. La verità è che non c'è nulla di tanto semplice in quella situazione inaspettata.

 

Non hai fame?” le chiede, fermandosi a qualche metro di distanza per non bagnarsi le décolleté rosse.

Nina neppure si volta a guardarla. Scuote la testa, quasi infastidita. Come sempre.

Ad Anna sfugge un sospiro. Ogni giorno che passa, si rafforza la sua convinzione di avere a che fare con un'automa. La proverbiale freddezza di sua sorella si è trasformata in una totale apatia.

Non è vantaggioso come aveva pensato: non può creare a suo piacimento una nuova persona, né può riportare a galla quella vecchia.

Le resta un ibrido tra passato e presente, incapace sia di affezionarsi a lei come una normale sorella, sia di tormentarla come faceva prima di entrare in quella capsula.

Forse, a conti fatti, le loro continue dichiarazioni d'odio erano più divertenti.

 

L'ultima volta che erano andate insieme al mare, come quel giorno, era stata precisamente vent'anni prima. Per qualche strano motivo avevano tacitamente firmato una sorta di tregua alle loro continue ostilità e avevano accettato di dividere una giornata sulle spiagge californiane, dove entrambe si trovavano per uno degli incontri preliminari del secondo Iron Fist.

Per tutto il tempo in cui erano state insieme non avevano fatto altro che sferrarsi colpi bassi a vicenda. Prima Anna aveva offerto a Nina una crema solare di dubbia provenienza, che lei aveva rifiutato con un sarcastico “non sono mica idiota”; poi sua sorella le aveva slacciato il costume mentre cercava una cosa nella borsa, con quella mano leggera e precisa abituata a spezzare ossa, lasciandola in topless proprio davanti agli sguardi famelici di un gruppetto di diciassettenni in piena crisi ormonale. In acqua avevano tentato di annegarsi a vicenda un paio di volte, senza che nessuna delle due riuscisse nel suo intento: sarebbe stato troppo facile, e le avrebbe private del divertimento delle loro eterne sfide. Soprattutto in vista del nuovo Iron Fist, dove avevano promesso di regolare i conti una volta per tutte.

Ad essere precisi, era stata Anna a proporle quella sfida. Nina aveva acconsentito con il solito sorrisetto carico di sarcasmo e superiorità, lo stesso che le riservava sin dalla più tenera età: si era sempre sentita tanto migliore di lei da non considerare i loro scontri niente di più che un semplice passatempo. Come le schermaglie che le coinvolgevano da bambine per il possesso delle bambole.

Per questo non c'era differenza tra il farle dispetti sulla spiaggia e l'affrontarla sul ring: per lei entrambe le cose erano ugualmente futili, meri intrattenimenti per smorzare la monotonia della giornata.

La poca considerazione che Nina aveva di lei la mandava in bestia: se soltanto l'avesse considerata una degna rivale, allora avrebbero potuto scontrarsi alla pari. Invece, non solo doveva dimostrare quanto valeva a suo padre, ma anche a sua sorella, ed era maledettamente frustrante.

Poi, però, c'erano i momenti come quello, rare occasioni in cui riuscivano a stare insieme. Litigavano, certo. Si lanciavano occhiatacce, frecciatine, minacce di morte; talvolta, passavano anche alle mani. Eppure Anna si trovava spesso con l'ombra di un sorriso dipinta sulle labbra.

Discutere con Nina le faceva provare la strana sensazione di essere parte di una famiglia. Quelle tregue non le davano respiro dalla sua rivalità con sua sorella, inestinguibile, ma dalla sua alterità: era piacevole vederla scendere dal suo piedistallo di superiorità, anche se solo per darle addosso.

In fin dei conti, era preferibile litigare, piuttosto che venir ignorata come se fosse ancora una bambina. E poi, in quegli screzi familiari, talvolta faceva capolino un'inedita complicità, che le faceva quasi sentire davvero sorelle.

 

Quella volta al mare, per esempio, sul finire della giornata erano capitate vicino al campo del beach volley. Stava per concludersi una delle ultime partite del pomeriggio, e a due giovani biondine toniche mancavano pochi punti per portare a casa l'ennesima vittoria, davanti agli sguardi adoranti di tutto il pubblico maschile. Si scambiavano occhiate compiaciute, punto dopo punto, sorridendo ad applausi e incitamenti.

Che puttanelle arroganti”, aveva commentato Anna, le labbra serrate in un sorriso di circostanza. La sua indole di primadonna non sopportava il fatto che due sciocche giocatrici di volley le rubassero la scena in quel modo, e, per di più, il loro modo sfacciato di ostentare i successi le era davvero insopportabile.

Meriterebbero una lezione”.

Sul volto di Nina aleggiava l'espressione divertita che era solita trovarvi quando architettava qualche malefatta ai suoi danni. Si erano scambiate uno sguardo d'intesa – da sorelle, da amiche, perfino – e si erano fatte avanti, l'una al fianco dell'altra, come ultime sfidanti della giornata.

 

“Nina, ti andrebbe una partita a beach volley?”

Si volta a guardarla, aggrottando appena le sopracciglia chiare.

Non dovevamo cenare?”

I repentini cambi di umore di Anna non smettono mai di lasciarla perplessa. E' così volubile in quello che fa che le viene spontaneo chiedersi come possa fidarsi di lei e dei suoi resoconti.

Hai detto che non hai fame. E visto che il campo è ancora disponibile, potremmo fare una partita”, insiste lei, fissandola con quegli occhi blu di cui non riesce mai ad interpretare le intenzioni.

Nina non risponde. Per qualche istante restano ad ascoltare il rumore del mare, lei con i piedi ancora affondati nella sabbia e sua sua sorella poco più indietro: le separa meno di un metro, eppure entrambe – sa che anche Anna la pensa così – hanno l'impressione di essere divise dall'immensità dell'oceano che stanno contemplando.

Sai, abbiamo giocato insieme, l'ultima volta che siamo state insieme in spiaggia. Prima dell'esperimento, intendo”.

E' in arrivo l'ennesimo aneddoto. Nina ascolta passivamente, e sua sorella, incoraggiata dal suo silenzio, prosegue.

C'erano due odiose troiette che si credevano delle campionesse mondiali solo perché avevano battuto un paio di sfigate. Le avessi viste, erano davvero gasate! Così ci siamo fatte avanti noi due, è stato inevitabile. Con quelle loro risate compiacenti sembrava che gridassero: Venite a prenderci a calci in culo. Noi Williams non siamo certo tipe da tirarci indietro”.

E abbiamo vinto?”

Anna fa una pausa. Poi stende le labbra piene in un sorriso.

Certo. Le abbiamo distrutte”.

 

Non è vero.

Avevano perso, regalando alle due smorfiosette l'ennesima occasione di gioire e bearsi dell'ammirazione maschile.

Le cose erano andate bene per il primo set, che le aveva viste sconfitte di un paio di punti. C'era tutto il tempo di recuperare, ed entrambe avevano una tattica efficacissima in mente. Peccato che le loro opinioni, come al solito, cozzassero diametralmente una con l'altra.

A metà del secondo set, erano sotto di dieci punti: Nina aveva cominciato a guardarla in cagnesco. Dopo altre due palle andate a vuoto, aveva sbottato, criticando la sua postura sotto rete: teneva le gambe troppo rigide, e non le alzava bene la palla. Come avrebbe potuto lei riuscire a schiacciare in maniera decente?

Da quel momento in poi, ogni traccia di gioco di squadra era andata a farsi benedire. Perché doveva essere Nina quella che schiacciava e faceva punto? L'egocentrismo di Anna era tornato prepotentemente a galla, trasformando il loro scontro con le avversarie in una competizione serrata tra di loro. L'ultima gara di una lunga serie di sfide per dimostrare a sua sorella che anche lei valeva.

Non avrebbe accettato di esserle seconda persino nel beach volley: avrebbe ribaltato le sorti della partita con le sue sole forze, e, alla fine, Nina avrebbe dovuto ammettere la sua superiorità almeno in quel campo.

 

Complimenti, sorellina”.

Dopo una vittoria schiacciante, le due seccanti biondine si erano date il cinque. Erano sorelle, dunque: ecco da dove proveniva tutto quell'affiatamento.

Anna, ancora seduta a terra dopo un disperato tuffo per tentare di prendere la palla del match point, si era rialzata da sola, scrollandosi di dosso la sabbia. Nina non aveva neppure accennato a tenderle la mano.

Per lei, era tutta colpa sua se avevano rovinosamente perso la partita. Teneva le gambe troppo rigide, era poco mobile, serviva sempre nello stesso punto del campo, non era capace di sfruttare le debolezze delle avversarie. Giocava d'istinto, non pensava a quello che stava facendo. In più le sue smanie da primadonna avevano mandato alle ortiche quelle poche chance di rimonta che avevano a metà partita.

Si era chiusa, così, la loro giornata di tregua: con un litigio. Anna non era riuscita a tenere la bocca chiusa di fronte a quelle accuse gratuite, e aveva replicato – come al solito – attaccando a sua volta, perfino con più violenza del necessario: era Nina quella che pensava troppo prima di muoversi, Nina quella che teneva tutte le palle buone per sé, Nina quella impacciata con il bagher, Nina la stronza che non sapeva fare gioco di squadra.

Sua sorella se n'era andata con un sorriso sprezzante. Era rimontata sulla macchina sportiva lasciandola lì a urlarle dietro insulti. Aveva avuto per lei solo lo sguardo di rassegnazione che si usa con i bambini capricciosi.

 

In quel momento, mentre prende dal bordo campo una palla leggermente sgonfia, Anna non sente l'esigenza di raccontare la verità a sua sorella. Preferisce camuffare quel brutto ricordo e trasformarlo in un bel momento da ripetere.

Così, applica lo stesso processo che ha utilizzato da quando hanno ripreso in mano le loro vite: abbellisce un fondo di verità con il racconto di ciò che avrebbe voluto fosse successo davvero. Lei e Nina diventano un team imbattibile, in grado di mettere in crisi sin dall'inizio le avversarie grazie alla loro tecnica e al loro affiatamento. Quelle due erano brave, ma non reggevano il confronto in quanto a tattica e complicità. Le avevano stracciate, ed avevano celebrato la loro vittoria sorseggiando Martini sulla veranda del ristorante.

 

Nina ascolta in silenzio. Vorrebbe chiedere se davvero beveva Martini – le sembra così strano aver apprezzato in passato un drink che ora le fa storcere il naso, ma decide di lasciar perdere. Si limita a far vagare lo sguardo da un angolo all'altro del campo deserto: non c'è nessuno a far loro da avversarie, questa volta.

Facciamo due palleggi!” propone Anna con un sorriso. La luce del tramonto filtra tra i suoi capelli ramati accendendoli di riflessi più intensi.

Lei si avvicina dubbiosa alla rete.

Non so se mi ricordo come si fa”.

Certo che te lo ricordi! Memoria motoria, Nina. Non dimentichi quello che sai fare, come camminare, correre, guidare...”

Uccidere, sparare, spezzare ossa. Completa mentalmente la lista.

E' vero. Talvolta le viene così naturale avvolgere le dita attorno al grilletto della sua pistola, non appena sente il minimo rumore sospetto, che le sembra di essere nata per quello. Le riesce decisamente più facile di parlare, scherzare, sorridere.

Anna le passa la palla con un palleggio lungo. Ha tutto il tempo per riflettere su quale postura adottare per rispondere al colpo, ma non ne ha bisogno: il suo corpo agisce senza che debba pensarci, le gambe si flettono, le braccia si stendono, le dita si adattano alla forma della palla, rispedendola indietro.

Visto?”, le grida sua sorella compiaciuta dall'altra parte del campo. Continuano con questi scambi tranquilli per qualche minuto e Nina si scioglie man mano che vanno avanti.

Anna aveva ragione, sa giocare a volley. Un altro pezzo di sé che rimette insieme, in quel quadro confuso con cui ogni giorno deve fare i conti.

Quando accetta di provare le schiacciate, aggiunge un altro tassello al puzzle: sono quelle la sua specialità in quello sport, lo capisce nel momento in cui supera la rete e colpisce forte la palla.

Qualcosa, però, non la convince. Prova due, tre, quattro volte, ma il colpo non la lascia soddisfatta: al sesto tentativo, capisce che non è colpa sua.

Potresti cercare di piegare di più le gambe?”, chiede, vagamente infastidita. “Non riesci ad alzarmi bene la palla, così”.

Anna si blocca. La palla cade a terra e lei la guarda stranita per un frazione di secondo, prima che i suoi lineamenti si induriscano, cancellando ogni traccia della spensieratezza di poco prima.

Basta, ho fame”.

Raccoglie le scarpe da bordo campo e se ne va con passo deciso, lasciandola sola a restituire chiavi e palla alla direzione. Un altro dei suoi repentini sbalzi d'umore: starle dietro è davvero impossibile.

 

Affonda con rabbia i piedi della sabbia per allontanarsi il prima possibile da quella donna. Gli occhi le pizzicano per le lacrime che li stanno suo malgrado riempiendo: le cancellerà nel bagno del ristorante con una passata di mascara, per poi tornare ad ancheggiare nell'atrio del locale in cerca di sguardi maschili. E' l'unico modo che conosce per riempire quella voragine che si porta nel petto sin da bambina, e che non fa altro che espandersi con il passare del tempo.

Una vita passata a rincorrere Nina, e lei non si degna di voltarsi neppure ora che a stento ricorda il suo nome. L'unica cosa che non ha dimenticato, a quanto pare, è il disprezzo per lei.

 

 

 

 

 

 

Set viola 
Flower garden (giardino fiorito) 
Migraine (emicrania) 
Betrayer (traditore) 
Sunflower (girasole) 
Helicopter (elicottero) 
Dance with me (balla con me)
Spiaggia

 

   
 
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