Videogiochi > Final Fantasy VII
Segui la storia  |       
Autore: Guardian1    04/10/2011    2 recensioni
“C’era una volta una ragazza di nome Yuffie, ma questa storia fa schifo, perché lo sanno tutti che le principesse delle fiabe sono bellissime, hanno gli occhi dolci e splendidi nomi fiabeschi come Aeris.”
Non funziona. Io non sono una principessa.
Sono solo una viaggiatrice.
… Sì, così può andare.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: FFVII
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sunshine in Winter


capitolo due






Il volo in aeronave probabilmente ha fatto schifo ed è stato pieno di scossoni, ma io non ne posso sapere nulla. Ho dormito per la maggior parte del tempo, principalmente grazie a Vincent Valentine, l’amico di ogni farmacista, che ha avuto la lungimiranza di drogarmi per farmi trascorrere l’intero viaggio in stato comatoso. È stato molto saggio da parte sua, dato che negli istanti di lucidità non ho fatto altro che rilasciare a gran voce commenti denigratori circa le sue vicissitudini sessuali, le sue preferenze sessuali, e quelli che avevano buone possibilità di diventare i suoi futuri partner sessuali (gli accoppiamenti con chocobo si ripresentavano con frequenza). Poi tornavo a dormire.

Mi sono svegliata quando qualcuno mi ha sollevato da terra, ma non sprizzavo esattamente gioia da tutti pori. Indossavo un’orrenda t-shirt lunga e un paio di pantaloni larghi, e non mi lavavo da giorni, e puzzavo di vomito e sudore – e altre cose. La gamba ha subito un movimento inaspettato e mi ha provocato una fitta, e io ho guaito.

« Che stai facendo? » sono sbottata contro il mio carceriere, irritata.

Vincent mi ha guardato. « Siamo arrivati a Wutai. Siamo appena fuori città… Non siamo ancora riusciti a montare niente per il tuo trasporto, perciò ti porto io. »

Ho portato gli occhi al cielo. Che tono così… stupidamente ragionevole! Però non avrei dovuto sopportare a lungo la sua ragionevolezza; presto si sarebbe tolto dai piedi e avrei potuto essere lasciata a morire in pace.

Abbiamo trovato una giornata assolata, calda come tipicamente è nel cuore di un’estate wutaiana; la polvere dal Da Chao lievitava spessa e fragrante nell’aria, e si mischiava al profumo dei sakura e dei languidi odori di pietanze che si stavano cucinando nelle varie case. Ho sentito il mormorio simile allo scroscio di un fiume delle donne del mercato che parlavano velocemente in wutaiano stretto, e ho sospirato.

Casa…

« Portami indietro » ho implorato all’improvviso, aggrappandomi a Vincent, con la gamba che penzolava come una pietra lungo il suo braccio. « Portami indietro. Non voglio stare qui. »

Lui mi ha fissato con i suoi occhi rossi senza espressione, e mi è venuta voglia di prenderlo a pugni nel petto. Maledizione! Non volevo stare lì, non volevo mostrarmi malata, non volevo ostentare il fallimento che ero diventata alle persone che mi avevano cresciuta e addestrata. Vincent non ce l’aveva un cuore, da qualche parte? Probabilmente no – solo una pietra. O un nodulo automatizzato.

Percuotere il suo torace mi ha spompato e mi sono accasciata contro di lui, quasi nascondendo il viso sporco e graffiato nella sua spalla, concentrandomi sul dolore stridente per non dover vedere le facce sbigottite della mia gente mentre attraversavamo la strada principale. La vasta gamma di odori e rumori, tutti dolorosamente familiari, mi ha investito completamente, e dalla debole cretina che sono in questo periodo, mi è venuta voglia di piangere.

Ho sentito uno scoppio, e alzando la testa all’insù ho assistito al decollo dell’Highwind, che ha svettato nel cielo blu. Il mio cuore ha saltato un battito. « Che cazzo sta facendo, se ne va? » ho domandato, notando finalmente lo zaino che Vincent portava a tracolla.

« Tornerà più avanti » ha risposto in tono piatto. « Io ti aiuterò a sistemarti per qualche giorno. »

« Oh, assolutamente fantastico. Vincent Valentine, la stella a tutto tondo e l’eroe infermiera. Qualcuno mi faccia l’eutanasia. »

« Yuffie. »

Ho girato di scatto la testa.

Mio padre mi attendeva al centro del viale, le braccia leggermente protese, e due chiazze bianche tra i capelli neri tempestati di grigio. Il suo volto era liscio, eccetto per la vaga impressione di rughe attorno agli occhi che sorgeva quando sorrideva; mi ha guardato come se fossi un antico tesoro, e poi mi ha raccolto a forza dalle braccia di Vincent, parlando freneticamente in wutaiano.

« Due anni » ha biascicato a denti stretti. « Due lunghi anni, Yuffie, senza farmi sapere nemmeno se eri viva o morta, o imprigionata – ti abbiamo cercato per tanto tempo ma siamo riusciti a reperire soltanto voci della tua morte – e adesso, eccoti qui… »

« A un passo dalla morte. Non cominciare con i sentimentalismi, Godo. Sono venuta qui per tirare le cuoia. »

« Sei una ragazza molto sciocca » mi ha rimproverato severamente.

« Grazie. »

Mi ha squadrato, esasperato, la morte laser negli occhi, e io ho risposto con uno sguardo altrettanto truce fino all’educato colpo di tosse di Vincent.

Godo ha annuito cupamente. « Andiamo da Asako. »

Mi ha restituito a Vincent come un sacco di patate, e io ho gracchiato furiosa per tutto il tragitto fino a casa di nonna.




Urgono delle precisazioni: Asako non è la mia vera nonna. Ma tutti, a Wutai, la chiamano nonna Asako. Ha fatto nascere quasi tutti noi ed è vecchia quanto le colline, sebbene non ci sembri; ha un viso bellissimo, anche se ormai sono visibili i segni dell’età, e ha dei capelli splendidi. Sono bianchi come la neve e le arrivano fino ai fianchi, benché li tenga quasi sempre legati in una crocchia strettissima; quand’ero bambina la aiutavo a lavarli, con il suo shampoo speciale al miele…

Ormai è tutto nel passato. Vincent mi ha portato dentro e Asako ha fatto aspettare Godo fuori. Per fortuna – non aveva ancora visto per bene la mia gamba rovinata.

« Ma che ti sei fatta? » ha chiesto, nel momento stesso in cui Vincent mi ha trascinato nella sua capanna. « Ragazza, non posso ricucire tutto! »

« Ciao anche a te, nonna » ho salutato mitemente.

« Niente “ciao nonna” con me » è sbottata; ma i suoi occhi si sono addolciti. « Hmph… Figliolo, me la metteresti stesa sul letto, per piacere? »

« “Figliolo?” » le ho fatto eco, assolutamente deliziata, guardando il suddetto “figliolo.” « Vincent, figliolo? Mi piace. Okay, figliolo, mettimi delicatamente giù, se mi fai male alla gamba ti stacco la testa, bravo fi- » Vincent qui mi ha bloccato con un tetrissimo-sguardo-della-morte-appositamente-creato-per-piegare-Yuffie-al-suo-volere. « -okay, okay, sto zitta, però smettila di guardarmi così, okay? Oddiiiio, se gli sguardi potessero uccidere… »

Ho distolto vistosamente gli occhi mentre Asako tirava su la gamba pulsante e cominciava a rimuovere le bende, facendomi salire un groppo in gola. La gamba puzzava di carne andata a male, e mi sono sfidata a non guardarla il più tempo possibile; alla fine, ho ceduto.

Era gonfia e multicolore, verde-gialla-rossocarminio, con delle venature di pus dove gli artigli avevano affondato. C’erano dei segni verde scuro dove si trovavano le mie vene, e faceva male solo a guardarla: due volte più grande del normale, assomigliava più a un pezzo di carne morta che a una gamba. Riuscivo a sentire il cuore che pulsava sangue verso l’arto, nel tentativo di pomparne dove non avrebbe più potuto arrivare. Asako ha aperto un cassetto e, con un’aria professionale, ha tirato fuori un coltello.

« Sei una stupida, mia dolce Yuffie-chan » ha mormorato con gentilezza. « Potrei togliertela subito e aiutarti a rimetterti in sesto in una settimana. »

« No, nonna, e questa è la mia ultima parola. »

« Molto bene, allora. Vincent, potresti trattenerla? »

« Nani? »

« Ah… Non sarebbe meglio sedarla, prima di cominciare? »

« Non voglio che si abitui a queste robe moderne. Poi mi diventa drogata di pillole. Trattienila. »

Ho sentito le braccia forti di Vincent sulle spalle e ho cominciato a dimenarmi per il panico. Asako mi ha stretto con fermezza la caviglia e mi ha guardato dritto negli occhi. « Non essere sciocca, Yuffie. Ti metterò soltanto degli impacchi di erbe. Prima però devo assorbire il pus. Non ci vorrà molto » ha spiegato, avvicinandomi una bacinella.

« O-okay » ho replicato, titubante. Solo un taglietto. Potevo farcela. « Ma non c’è bisogno che l’Uomo Nero mi trattenga. »

« Invece sì » ha insistito, irremovibile. « Ora, al mio sei, ti aprirò le ferite, d’accordo? »

« Nooo! Non ci casco di nuovo. L’hai già fatto quando mi dovevi togliere i denti. Arrivavi al “due” e tiravi. »

Lei ha scosso la testa. I suoi occhi castani erano così dolci e teneri, la tonalità precisa della cannella; era facile fidarsi. « No. Ho bisogno che stavolta tu sia preparata. Conterò fino a sei, e al sei, voglio che tu tenda i muscoli. Hai capito? »

Era una spiegazione valida, perciò ho annuito.

« Pronta? Uno… due… »

Ha infilato agilmente il coltello nel primo squarcio tumefatto. Io ho gridato per il dolore allucinante e ho morso la mano a qualcuno – forse a me stessa, all’inizio mi era impossibile pensare – mentre Asako faceva scivolare il pus nella bacinella. Ricordo di aver cominciato a delirare, di averle dato della schifosa bugiarda; poi lei ha proceduto con la seconda e ho rosicchiato disperatamente la carne. Dopo quella che è sembrata un’eternità, ho alzato lo sguardo, gli occhi sbarrati. Asako stava stipando qualcosa di fresco, verde e pastoso nelle ferite aperte, e Vincent era intento a medicare una mano sanguinante.

« Mi spiace » si è scusata Asako in tono conciliante. « Sa essere piuttosto selvaggia quando vuole. Vuoi una benda? »

« No, nonna » ha declinato lui distrattamente. Cavoli, era la nonna proprio di tutti. « Smetterà di sanguinare a momenti. »

« Non è stata colpa mia » mi sono difesa, confusa. « Sei tu che sei stato abbastanza cretino da ficcarmi la mano in bocca. »

« Se non l’avessi fatto sembrava ti saresti morsa la lingua. »

« Ci avresti guadagnato. Sarei rimasta in silenzio per qualche giorno. »

« … Peccato non averci pensato prima… »

« Fate i bravi, bambini » si è intromessa con gentilezza Asako, finendo di bendare la mia gamba. Adesso era molto più fresca, e tutto quel doloroso quanto irritante calore se n’era andato; forse si stava pure sgonfiando. Sembrava messa molto meglio. Ho visto un barlume di speranza – forse non tutto era perduto.

Godo era entrato silenziosamente, e ora stava avanzando verso Asako. « Adesso la porto a casa » ha dichiarato fermamente.

« Io dormo a casa mia » ho specificato. Dormire da lui, come no! Volevo soltanto strisciare nel mio letto e abbracciare la mia collezione di logori peluche e piangere fino alla morte. « Mi avete portato a Wutai, ma che io sia dannata se dormirò nel tuo grande, brutto guscio butterato. »

« Yuffie- »

« Penso sia più saggio che Yuffie dorma a casa sua, per stanotte » lo ha interrotto Vincent. « Così potrà riambientarsi meglio. »

I due uomini si sono guardati fissi negli occhi, una gara di volontà. Una roccia contro un’altra roccia.

« Per stanotte » ha accettato infine Godo. Nessuno poteva a reggere gli occhi rosso sangue di Vincent per troppo tempo, nemmeno mio padre. « Poi traslocherà in casa mia. »

« Col cazzo che trasloco in casa tua! »

« Sì! Traslocherai in casa mia, o ti spacco a metà quel culo che ti ritrovi! »

« Godo! »

Asako ha gettato le braccia al cielo. « Fuori » ha detto teatralmente. « Tutti quanti. Non posso sopportarvi per un secondo di più. Vincent, rimani con Yuffie e dalle le sue medicine. Yuffie, fa’ tutto quello che ti dice Vincent. Godo, fa’ tutto quello che ti dico io. »

« Sì, nonna » abbiamo risposto all’unisono, risentiti.

« Bene. Adesso, fuori di qui. »




Ero seduta accanto alla finestra, a guardare la luna, nella casa completamente buia salvo qualche fioca luce che proveniva dalle poche lampade della mia stanza, a sorseggiare il tè assolutamente ripugnante che mi ha prescritto Asako. Ero alquanto fiera di me – l’avevo vomitato solo una volta.

Quando siamo arrivati la mia casa era un porcile tremendo sprofondato nella polvere, ma Vincent “Mulinello” Valentine, dallo snob che è, l’ha immediatamente ripulita in cinque minuti e mi ha spedito a fare un bagno compreso di spugnatura. È anche riuscito a scovare da qualche parte qualcosa da farmi mangiare per cena e a darmi dei vestiti puliti, con mio grande imbarazzo. Nessuno conosce il significato del dolore finché non si ritrova davanti un vampiro con la faccia impassibile vestito dalla testa ai piedi di nero che gli tende un pigiamino e un paio di mutande, dicendo: « Dopo mettiti questi. »

Era una specie di madre, solo… uomo. E… cioè, frena, non è corretto. Non era materno, non era affettuoso, era solo… Vincent. Un Vincent che però sapeva dove trovare il cassetto della mia biancheria. Di questo avremmo dovuto parlare presto.

Ha provato ad abbozzare qualche assurda proposta circa il pernottare in albergo, ma io l’ho guidato nello scantinato e gli ho mollato un paio di coperte in più che avevo. Non poteva rifiutare. Chi avrebbe potuto? In fondo, ho uno scantinato figo. Era pieno di materia e anche di qualche trappola puccia con cui avrebbe potuto giocare. Se voleva delle gabbie, era il posto perfetto.

I miei gatti si erano nutriti. La casa era pulita. Io ero pulita. Io mi ero nutrita. Vincent si era nutrito. Vincent era pulito. (Credo. Non avrei controllato.)

Che posticino squisitamente accogliente. Come diamine mi era saltato in testa di andarmene via?

« Guardi le stelle? »

« Hmm. » Non ho dovuto neanche voltarmi. « Il cielo stellato di Wutai non ha pari al mondo. Non è bellissimo? »

Lui lo ha studiato a lungo e dopo un po’, come se avesse meditato davvero su quella singola frase, ha annuito. « Sì. È bellissimo. » Lo ha detto così, come se fosse il vangelo uscito da una bibbia. Nessun aggettivo superfluo. « Ora vai a letto? »

Io ho posato la tazza vuota sul davanzale. Mi aveva scaldato, svuotato e stancato indicibilmente. « Sì, penso di sì. Oddio, è stata una lunga giornata. » Ho fatto per alzarmi, stringendomi alla sedia per sostenermi.

Vincent mi ha preso in braccio prima che potessi tentare di zoppicare fino al letto, portandomi nell’altra stanza e scostando le coperte prima di ripormici dentro. « Non poggiare nessun peso su quella gamba. Se ti senti male chiamami. »

« Allora sarà un’unica chiamata continua. Vai a nanna, Vincent. Dormirai nel letto o ti appenderai a testa in giù alle tubature? »

Lui mi ha fissato con espressione incolore.

« Va bene, va bene. Buonanotte, Vincent. »

« … Buonanotte. »

È sparito nelle scale, spegnendo le lampade lungo il cammino.

Sono rimasta sveglia per un po’, con la sensazione delle sue braccia ancora addosso. Non venivo toccata spesso dagli uomini, e nonostante Vincent occupasse un posto molto basso nella graduatoria degli uomini, io non sono fatta di pietra. Insomma, non mi dava fastidio che mi prendesse in braccio tanto spesso. Aveva anche un che di ero-

Non se ne parla. Rotolando sulla schiena con un sospiro, ho annotato mentalmente di non bere mai più il tè di Asako. Innescava reazioni strane, nel mio cervello.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VII / Vai alla pagina dell'autore: Guardian1