Il dolore era nauseante. Da più di due ore non era cessato
un secondo solo. Sentì la mia balia muoversi accanto a me, asciugandomi il
sudore che impregnava la mia fronte. Un’ennesima doglia mi colpì, lancinante.
Strinsi gli occhi, e un lieve lamento uscì dalle mie labbra socchiuse. Non sono
mai stata una persona sofferente al dolore, ma in quella, e solo in quella
circostanza, ad eccezione di un’altra sola, mi lamentai veramente. Non ci
potevo credere, io, Chocola Meilleur, sul punto di partorire. Una mano, morbida
e rugosa, mi prese la mia. Riaprì gli occhi, e la guardai. La mia balia, la mia
piccola balia, colei che mi ha sempre assistito dall’inizio della gravidanza.
Era più o meno una settimana che era venuta a dormire da noi, prima gliel’avevo
estremamente vietato. Ma poi aveva puntato i piedi, non ne voleva proprio
sapere di tornare a casa sua.
“ma tuo marito?” le chiesi a quelle pretese
“se la saprà cavare da solo, è capacissimo di badare a se
stesso. E poi lo andrei a trovare durante una delle tue lunghe camminate”.
Adoravo camminare lungo i vialetti seguiti dai mille alberi. Dall’inizio della
gravidanza avevo preso quest’abitudine, ma solo da quando la pancia aveva
cominciata a farsi più prominente, Pierre aveva dimostrato i suoi dubbi: “non
vorrei mai che ti potesse succedere qualcosa”, ma fortunatamente ero riuscita a
trovare una soluzione che metteva tutti quanti d’accordo:Vanilla mi avrebbe
sempre accompagnato durante le mie passeggiate, e se non poteva lei sarebbero
venuti Houx, Saul, Robin… insomma, non sarei mai stata sola. Fatto sta che non
sono mai stata contenta della presenza della mia dolce balia per più di quattro
ore di fila. Non sopportavo l’idea di avere qualcuno che mi servisse e
riverisse, ce la facevo da sola! E poi aveva una sua vita, non volevo
scombussolarle tutto. Ma nulla la smosse dalle sue convinzioni: non si sarebbe
mossa da casa mia finché quel pargoletto non fosse nato. Anzi, quei due, per
essere più precisa. Pierre era rimasto di stucco quando il dottore ci aveva
annunciato che aspettavo non un bimbo, bensì due. Due piccoli gemelli,
probabilmente un maschio e una femmina. Eterozigoti, quindi. O almeno è quello
che il dottore ci aveva detto, non è mai troppo affidabile la magia per queste
cose. La guardai negli occhi, quelle iridi verdi, così dolci, così premurose
“Pierre, dov’è?” le chiesi sottovoce stringendole la mano
che ancora si trovava nella mia
“sta arrivando, l’abbiamo avvisto e ha detto che sarebbe
arrivato il prima possibile”. Lo volevo accanto a me, avevo bisogno di lui,
doveva essere lui a stringermi la mano, nessun altro. I dolori cominciavano a
farsi più frequenti, ormai era arrivato il momento. Strinsi le labbra, per
soffocare il dolore. Sentivo il cuore pomparmi nelle orecchie, il sangue che
scorreva mi copriva i rumori esterni, ma sentì ugualmente la porta richiudersi.
Voltai la testa proprio nell’istante in cui Pierre faceva capolino nella
stanza, ansimante. Sorrisi lievemente alla sua vista, e lui si precipitò da me
“ben tornato signore” pronunciò la donna accovacciata
accanto a me, che prontamente si alzò per cedere il posto al nuovo arrivato
“balia, la vuoi smettere che essere così formale, ho un
nome!” l’ammonì. Sorrisi divertita, contenta di averlo finalmente accanto a me.
Mi rivolse uno sguardo, uno sguardo pieno d’amore, l’amore che solo lui sapeva
darmi.
“come stai?” mi sussurrò
“come una donna che sta per partorire” scherzai. Neppure
una situazione come quella riusciva a togliermi la battuta. Si avvicinò al mio
viso sorridendo, e mi baciò delicatamente, dolcemente. Il dolore mi distrasse,
preannunciando che i piccoli erano pronti. Seguì le istruzioni che la mia balia
continuava a darmi, informandomi tempestivamente su ogni centimetro in più che
riusciva a vedere del mio amore che stava per nascere. La pressione sulla mia
mano non accennò un attimo ad allentarsi, finché, dopo quella che mi sembrò
un’eternità lo sentì. Pierre mi guardò, un’espressione sorpresa sul volto. Poi
un sorriso si fece largo sul suo viso, il più bel sorriso che abbia mai visto.
E in quell’istante gli dedicai tutta la mia attenzione, solo per lui, per
l’uomo che amo, per l’uomo che ha voluto unirsi a me, dandomi la gioia più
bella al mondo. E un pianto incessante risuonava per quella stanza, il pianto
dell’amore, il pianto della vita.
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Inspirai a fondo la freschezza dell’aria, mista al suo
odore. Lo strinsi più forte a me, sentendone il calore. Dei passi frettolosi
passarono per il corridoio.
“Papà!” sentì urlare una vocina nel cortile. Lì, seduta
sulla sedia sotto il portico, a occhi chiusi, vidi, immaginandomela, la mia
bambina correre incontro al suo papà, volandogli letteralmente addosso.
Sorrisi, fra me e me, poi riaprì gli occhi, abbassandoli sul fagotto che avevo
in braccio. Dormiva, beatamente, ignaro del baccano che la sorella stava
facendo. Dei passi, questa volta più forti, si avvicinarono mano a mano a me.
Ad un tratto si fermarono, e due piedini riappoggiarono per terra, per
riprendere poi a correre chissà dove. Una mano si appoggiò sulla mia spalla, mi
voltai, alzando la testa, per guardarlo.
“cosa sta facendo?” mi chiese piegandosi sulle gambe per
essere alla mia altezza
“ha trovato i miei giochi di quando ero bambina” gli dissi
sorridendo. La mano passò velocemente dietro la testa, e mi attirò a se, per
baciarmi. Ci amavamo, e non perdevamo mai l’occasione di ricordarcelo a
vicenda. Poi rivolse l’attenzione al piccolo, che dormiva ancora pacificamente.
Rimase a fissarlo per un po’, per poi ritornare a guardarmi.
“si è appena addormentato” gli spiegai. Lui sorrise, quasi
divertito
“per la gioia delle tue orecchie, immagino” scherzò
“non riesce a stare un secondo zitto, malgrado non riesca a
spiccicare una parola sensata” ridacchiai
“bhè, i geni non sbagliano mai, vero mamma?” disse con un
sorriso. Lo guardai serio
“intendi dire che parlo tanto anch’io?” domandai scioccata
“e da chi vuoi che abbia preso?” domandò. Cercai di fare la
faccia più offesa che potevo, ma l’impresa non mi riuscì poi così bene, visto
che riprese possesso delle mie labbra, probabilmente per farsi perdonare delle
battute. Sentì la piccola chiamare a squarcia gola il suo papà, chiedendogli di
andare a giocare con lei. Mi guardò con uno sguardo dolcissimo, pieno della
voglia di passare un po’ di tempo con sua figlia. Si alzò, e passandomi una
mano sulla guancia si avviò verso la camera della piccola. Il silenzio calò di
nuovo, interrotto ogni tanto dalle risate della bimba o di Pierre. Richiusi gli
occhi, sorridendo. L’immagine di un neonato si fece spazio nei miei pensieri
“tranquillo, papà non ti ha scordato, come potrebbe!
Neanche io ti scorderò mai, sta tranquillo, la mamma ti pensa tutti i giorni.
ti voglio bene, amore” sussurrai a nessuno in particolare, anzi, a qualcuno era
rivolto, ad essere sincera. Un’altra risata arrivò alle mie orecchie, risata di
bimba felice. Purtroppo la mia piccola non avrà mai il piacere di sapere come
si vive da gemelli. Il mio piccolo, il mio piccolo amore purtroppo non ce
l’aveva fatta, era morto dopo il parto. Pierre si era rinchiuso in se stesso
per un periodo, dopo il parto, ma io avevo bisogno di lui, in quel momento più
che mai. Avevamo ancora una figlia, e solo con il suo aiuto e il suo amore
sarei riuscita a farcela. Successivamente fu più presente, e la piccola
sviluppò un forte attaccamento alla figura paterna. Ma ora avevamo lui, certo,
non aveva occupato il posto di nessuno, non si può dimenticare un figlio per un
altro, ma di certo ci aveva dato tanta forza, e tanto amore. Mi alzai
lentamente, cercando di non svegliarlo. Lo deposi nel suo lettino, coprendolo
con la sua copertina. Chiusi lentamente la porta e mi diressi verso la
cameretta chiassosa, seguendo gli urletti e le ristate dei due bimbi, uno un
po’ più cresciuto dell’altra. Sospinsi la porta, e vidi la piccola cavalcioni
sulla pancia del papà. Non appena mi sentì si girò, guardandomi con un sorriso
stupendo
“mamma, hai visto che ho atterrato papà?” risi della vista
“ho visto, ho visto. Sei fortissima, molto di più di papà”
la assecondai. Lei, di tutta risposta, si alzò e mi sfrecciò accanto, ridendo a
più non posso e urlando
“dai papà, prendimi se ci riesci” Pierre si alzò
velocemente, ma invece che correrle dietro si fermo di fronte a me, baciandomi
una guancia e poggiandomi una mano sul ventre. Un richiamo della piccola lo
fece partire all’inseguimento. Li seguì con lo sguardo finché non sparirono
dietro l’angolo. Anch’io, come Pierre poco prima, mi misi una mano sulla pancia
piatta. Mi diressi verso la cucina, non riuscendo a smettere di sorridere. Non
potevo desiderare di più dalla vita. All’inizio sembrava andare tutto storto,
dopo la perdita di mio figlio, ma fortunatamente la situazione si era
capovolta. Avevo un marito che mi amava con tutto se stesso, una stella che
brillava sopra di noi, due figli meravigliosi ed ero in attesa di un altro
bimbo.
Eccomi
qui, con una nuova fanfic. L’idea si è sviluppata in meno di un quarto d’ora,
mentre scendevo da casa di mia nonna. Inizialmente era solo un pensiero
passeggero, poi mano a mano si è formato. L’idea era chiara già dall’inizio, e
mi sembrava così bella che, appena possibile, mi sono messa all’opera.
Continuavo a rimuginarci su, finché, finalmente, mi sonno messa davanti alla
tastiera e in dieci minuti avevo già buttato giù una pagina e mezzo. Non l’ho
voluto neppure rileggere, e oggi l’ho finito. È un record per me!! Lo so che
può sembrare un’idea malinconica, ma volevo scrivere di Chocola e Pierre da
grandi. Mi piace immaginare il loro futuro, e vederlo tutto rose e fiori mi
sembrava un’utopia, così, come nella vita reale, si può affrontare un lutto enorme,
come la perdita di un figlio, e continuare a vivere felici. Volevo precisare
che Marmelade non sa nulla di quest’idea, anche per lei quindi è una novità, e
anzi, mi piacerebbe quasi dedicargliela, visto che è grazie a lei che ora
scrivo di Pierre e Chocola. Quindi che dire: grazie Marmelade, per tutto quello
che fai sempre per me, sei davvero la migliore. Lo so che è una fic strana da
dedicarti, ma diciamo che so quanto ti piaccia leggere dei nostri due beniamini,
quindi spero che possa piacerti l’idea. Per tutti quelli che leggeranno: spero
questa storia possa esprimervi tutte le emozioni che ha espresso a me mentre la
scrivevo e la rileggevo.
Honey