Prologo:
il caos.
Usagi
era consapevole di ciò che stava facendo. Girava per la
città in piena notte.
Sola. Senza una meta. Senza un obiettivo. Senza un amore.
Era
lì, sballottata qua e là dai fari delle macchine
che le dicevano che lei c’era.
Era viva. Già, era viva. O almeno lo era fisicamente. Dentro
di lei, però, era
morta. Morta da tempo.
Non
capiva Usagi. Non capiva il perché. Perché si era
ridotta in quello stato?
Perché stava piangendo? Perché non ricordava
nulla della sua vita? Perché da
quando si era risvegliata in quel letto sconosciuto non riconosceva
l’ambiente
circostante? E chi era quell’uomo che le sussurrava di stare
tranquilla e che
prima o poi tutto si sarebbe risolto al meglio?
Era
confusa Usagi. Non capiva chi fosse veramente. Forse una creatura piena
di
sogni. O paure. Forse una persona che fino a quel momento avrebbe
desiderato
solo l’abbraccio di sua madre. Lei non sapeva nemmeno di
avere una madre.
Spesso sognava una donna dai capelli dal color dell’argento
più puro che le
sorrideva..era forse lei sua madre? Avrebbe mai pronunciato quelle
parole prima
o poi? Erano mesi che se lo ripeteva.
Usagi
non ricordava niente del suo passato. Da quel maledettissimo incidente,
o
almeno così le aveva raccontato quell’uomo.
Quell’uomo con il camice bianco che
l’aveva salvata, l’aveva accudita, si era preso
cura di lei quando era in uno
stato vegetativo. Quel giovane uomo dagli occhi buoni e stanchi per il
troppo
lavoro, quell’uomo che salvava vite umane l’aveva
protetta e ospitata. L’aveva
tranquillizzata, ma non resa felice.
Lei
voleva ricordare. Ricordare gli occhi di sua madre, le carezze di suo
padre, ma
per quanto si sforzasse nessun ricordo affiorava nella sua mente. E
ormai la
sua testa era stanca, stanca di non sapere e ancor di più
stanca di cercare.
Magari
l’alcol avrebbe potuto aiutarla o forse avrebbe aggravato la
sua situazione di
estrema follia. Ma non le importava. Le interessava solo annebbiare la
sua
vista, sentirsi stordita e quasi libera. Libera di non pensare. Libera
di
sentire il vento freddo della sera sui suoi occhi bagnati da lacrime
che
rigavano il suo viso ininterrottamente. Libera anche da lui che con le
sue
attenzioni l’aveva fatta innamorare perdutamente.
Ma
lui non capiva. Le ripeteva sempre di non affaticarsi troppo nel
ricordare. Non
comprendeva il suo dolore e nemmeno il suo amore. Forse lui aveva
ragione.
Bisognava lasciarsi alle spalle quel suo passato che solo un miracolo
avrebbe
potuto ridarle. O forse no.
Quando
si guardava allo specchio, si ripeteva sempre: “Chi sei
Usagi? Chi sei in
realtà?” e a volte le scappava fuori un sorriso.
Forse era davvero meglio per
lei dimenticare. Se non fosse stato per quel sogno che tutte le notti
la
perseguitava!
D’improvviso
tutto si fece buio davanti a lei. Usagi cadde a terra a peso morto.
Prima di
perdere i sensi vide un’ombra e sentì una voce che
le sussurrava: “Stai bene
piccola?”. Intravide delle ali spuntare su quella figura. Era
un’allucinazione
forse? Non fece in tempo a rispondere.