Never knew you cared
Il fumo
della pira che
aveva bruciato quel che rimaneva di Sir Lancelot –la spada,
il valore che
l’aveva spinto ad andare incontro a una morte eroica; il
mantello, rosso come
il sangue che non aveva versato- saliva al cielo lentamente, mentre
anche Gwen
lasciava il cortile del palazzo, sola col suo dolore. Dolore
che sembrava avviluppare l’intera corte nelle sue spire, un
flagello troppo pesante perché il reame potesse sopportarne
ancora. I Dorocha
erano ritornati nell’aldilà, ma cosa ci sarebbe
stato in seguito? Quali minacce
da affrontare?
Gwaine si allontanò dalla
finestra della sua stanza. Era rientrato più presto degli
altri, per poter
abbandonare la compostezza che richiedeva il funerale di un cavaliere e
piangere in solitudine l’amico perduto. Non poteva credere a
quello che era
accaduto, l’avrebbe reso reale, e perciò troppo
amaro. Preferiva ricordare le
feste insieme alla taverna, e il vino che scorreva a litri; i
combattimenti
fatti per scherzare, quando ogni parola era un pretesto per darsi
addosso;
l’incontro di due spade amiche che non avrebbero mai sparso
sangue, l’una
contro l’altra, ma solo verso i comuni nemici. Della sua
morte, dopotutto, non
aveva ricordi. Solo la sua incoscienza, quando si era gettato contro la
strega,
pur essendo consapevole della vanità di quel gesto. Forse, se non fosse caduto a terra, svenuto per
l’incantesimo difensivo
di quella vecchia, avrebbe potuto salvarlo, sacrificarsi al suo
posto…
Forse. Ma non valeva la
pena vivere di forse. Non aveva senso. Meglio la certezza di un
abbraccio
intimo, un bacio d’amore, un incontro di due corpi
ansanti…
Il
cavaliere prese a scrivere su una pergamena –grafia incerta,
le e strette,
insicure, le t allungate verso qualcosa di inarrivabile, o quasi- la
sua
richiesta di certezze.
***
«
Sir Percival, questo è
per voi ».
Percival
alzò appena gli
occhi dalla sua spada –quella spada, memore di tante
avventure vissute insieme
con il suo amico di sempre, che aveva contemplato immobile, seduto alla
scrittoio della sua camera, scorgendovi il riflesso della
fissità della morte-
per notare un anonimo servitore del castello che gli porse un biglietto
ripiegato due volte su se stesso.
«
Grazie » disse, e la
voce gli uscì roca, dopo il silenzio.
Un
leggero cenno, e il
servitore uscì.
Il cavaliere dispiegò la
pergamena, e ne lesse il contenuto in pochi istanti.
E questo, cosa
significava? Di tutte le volte in cui erano stati insieme, quella era
forse la
più incerta; non si aspettava che il rapporto che li aveva
legati, prima, avrebbe avuto modo
di continuare
ora che le cose erano cambiate. Aveva pensato di aver bisogno di tempo,
tempo
per se stesso e per il suo dolore. Ma poi si rese conto di non
desiderare altro
che essere amato, per guarire le proprie ferite e le sue. Sarebbero
stati l’uno
il medico dell’altro. Subito, si mosse, deciso, verso le
scuderie.
Il biglietto rimase
lì,
sul piano di legno dello scrittoio, e se qualcuno avesse potuto
prenderlo,
avrebbe letto poche parole, dense di significato per i due amanti.
Incontriamoci
dove è cominciato tutto.
G.
***
Erano
ormai minuti che Gwaine fissava la Tavola Rotonda, intorno alla quale,
poco
tempo prima, si era seduto per la prima volta da cavaliere.
Perso
nei suoi ricordi, si accorse dell’uomo che aveva violato la
solitudine del
castello abbandonato solo quando le sue braccia si strinsero attorno
alla sua
vita.
Un gesto d’amore o una minaccia?
L’abbraccio
di un amico o quello dell’angelo della morte?
Non
avrebbe dovuto abbassare la guardia in un posto non sicuro, lo sapeva.
Si
divincolò e riuscì a liberarsi –o forse
l’avversario inaspettatamente lasciò la
presa- e impugnò la spada, pronto a difendersi.
«
Non hai bisogno di
quella con me » disse
Percival.
«
Oh, no. Non ne ho mai
avuto bisogno » concordò
Gwaine. E lasciò cadere la spada a terra, che produsse un
rumore fin troppo
lugubre in quel posto dimenticato del regno.
Fu
imitato subito dopo da
Percival, che, senza interrompere il contatto visivo, avanzò
istintivamente di
qualche passo verso l’altro.
I passi diventarono poi
falcate, e i due uomini quasi corsero l’uno verso
l’altro, tanta l’esigenza di
spegnere il proprio dolore tra braccia che non avrebbero mai rifiutato
il loro
sostegno.
Le
labbra si cercarono, avide di un contatto intimo che fungeva da
anestetico per
una sofferenza troppo reale. Le mani di Gwaine corsero
all’allacciatura del
mantello di Percival, che si vide presto privato di quel nobile
indumento. Subito
Percival fece lo stesso; i due uomini si spogliarono in fretta, consci
di un
desiderio troppo urgente per poter aspettare oltre, per sopportare il
tremendo
intralcio degli abiti. Abbracciati, entrambi quasi nudi, camminarono
alla cieca
a cercare un sostegno, mentre non smettevano di esplorare –delicate carezze,
gemiti
trattenuti, urla strozzate- i reciproci corpi. Quando i
glutei di Gwaine
toccarono la fredda pietra della Tavola Rotonda, un’occhiata
maliziosa illuminò
i suoi occhi. Uno sguardo, e Percival vi spinse l’amante,
prima di continuare
quella dolce opera di tenerezza e calore. E quando i due cavalieri
finalmente
si unirono –l’uno per l’altro, congiunti;
l’uno con l’altro, insieme; l’uno
nell’altro, intimi-, nei loro occhi brillava la purezza di un
sentimento
autentico, scoperto tra il piacere di un incontro passionale.
***
I
due cavalieri si stavano
rivestendo, quando un pensiero sfiorò la mente di Gwaine.
«
Sai, stavo pensando… tutta quella
faccenda della fedeltà al nostro re… non credo
dovremmo dire ad Artù di questa…
»
« Questa? »
« Relazione ».
«
Gwaine, perché siamo qui? Avevi già in
mente di continuare
questa… relazione?»
« Oh, se c’è
qualcuno che l’aveva già in mente, non sono
certamente io. Non sapevo di piacerti!,
ricordi?»
«
Gwaine? Hai visto il mio
mantello? »
«
Cerca per terra. Se non te ne sei curato perché troppo
occupato da me, devo
piacerti proprio tanto ».
«
Gwaine, potresti
vestirti più velocemente? »
«
Dopo tutto questo ti dà fastidio il mio corpo nudo?
» Uno sguardo ai suoi
calzoni. « Oh. Non sapevo di piacerti così
tanto ».
«
Gwaine? »
« Sì? »
« Sta’ zitto ».
E Gwaine stette effettivamente zitto, troppo impegnato a esplorare a occhi chiusi la bocca di Percival, perso in un momento che avrebbe desiderato non finisse mai, con l’incanto di un castello abbandonato a fare da sfondo all’amore di due cavalieri che insieme avrebbero sconfitto il dolore della perdita del loro caro amico.
Note: Non sapevo di piacerti. è
presa dall’episodio 4x02 di Merlin, da
cui ho fondamentalmente tratto ispirazione per questa… cosa.
La
ripetizione della frase
l’uno
per […]
con
[…]
nell’altro
ricorda
vagamente una parte della liturgia cattolica della Messa con la
sequenza delle
preposizioni per, con, in.
Questa
è la mia prima incursione in questo fandom, spero di non
aver creato un qualche obbrobrio!
A Chiara, grazie.
E grazie a tutti voi ♥