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Autore: ellephedre    14/10/2011    9 recensioni
Il sogno della nuova Lady, principessa finalmente divenuta grande, era uno solo: rivederlo.
Per Helios le cose erano più complicate.
Sarò in grado di affrontare la realtà? Sarò quello giusto per lei?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chibiusa, Helios/Pegasus | Coppie: Chibiusa/Helios
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
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Sogno reale 1

 

 

Sogno reale

   

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 

   

1 - Speranze

   

   

 Aveva ricevuto il suo primo bacio a novecento anni - anno più, anno meno - durante i suoi allenamenti nel ventesimo secolo. Il secondo bacio lo aveva offerto lei stessa allo stesso ragazzo - capelli argento, occhi d'ambra, un viso infantile che l'aveva incantata, piccola com'era stata.

Poi era tornata a casa. Era cresciuta.

Il tempo che l'aveva immobilizzata in una forma di bambina aveva smesso di essere crudele. Le sue membra si erano allungate, il suo corpo si era fatto morbido e grande.

Small Lady, un epiteto che si era perso nel passato. Era diventata My Lady, My Princess, legittima e riconosciuta erede al trono.

Quanto tempo è passato, Helios?

Pochi anni o i nove secoli che la separavano dal passato?

A volte non lo sapeva più.

La sua infanzia non le mancava, tanto a lungo era durata. Bramava di lasciarsela alle spalle, ricordando solo gli ultimi anni, i più preziosi. Le battaglie con Usagi, Mamo-chan, le ragazze. Ed Helios, officiante di Elysion, il suo primo amore.

Non ti ho mai dimenticato. Gli avrebbe detto così se per lei 'mai' non fosse stato un concetto troppo astratto per essere preso sul serio.

In nove secoli aveva dimenticato molte cose che aveva tentato di cristallizzare nei ricordi. Lo sapeva dalle immagini che vedeva di se stessa di tanto in tanto, quando i suoi genitori la invitavano commossi a riguardarsi in uno degli innumerevoli - troppi - video che avevano di lei.

Guarda quant'eri piccola! singhiozzava sua madre, la grande Regina Serenity. Tornava Usagi Tsukino nel piagnucolare disperata per la nostalgia di non poterla più sollevare tra le braccia. L'aveva fatto tanto a lungo da credere che sarebbe stato possibile per sempre.

Mamma, le diceva lei, accarezzandola su una spalla. Guarda che sono qui, puoi stringermi quando vuoi. Sua madre le si gettava addosso, stritolandola d'affetto sino a mozzarle il respiro. Unendosi a loro, suo padre le abbracciava intenerito, deglutendo un nodo alla gola.

Solo di recente Usagi li aveva scoperti vulnerabili e simili a lei. Finalmente li capiva.

Tutto cambia e tutto resta come prima, pensava, stretta a loro. Era in grado di guardare sua madre senza più alzare gli occhi, trovando finalmente il viso di lei alla stessa altezza. Suo padre era solo poco più alto di Mamoru. Era Mamoru. I suoi genitori erano stati ragazzi normali, con insicurezze, difetti e tante preoccupazioni. Persone umane, fallaci. Lei li amava per averle permesso di vedere oltre quel velo di perfezione che dovevano indossare per chiunque altro, necessario al loro ruolo.

Cresceva e in lei aumentavano le domande.

Vedeva i suoi genitori per ciò che erano solo per aver parlato coi ragazzi che erano stati? Non era piuttosto perché era cambiata lei stessa?

Con la maturità il mondo acquisiva ogni giorno sfumature affascinanti. Tutte le persone che conosceva diventavano più complesse; scopriva in loro sfaccettature che a volte la sorprendevano, a volte la turbavano. Se ne faceva una ragione rapidamente, abbandonando la visione di bianco purissimo, privo di macchie, con cui aveva soppesato la realtà.

Wow. Sono sempre vissuta in un mondo come questo? Già, e neppure mille esclamazioni di meraviglia sarebbero bastate per i suoi nuovi ragionamenti e pensieri.

Del passato le mancava da morire una cosa sola.

Helios.

Ti va di tornare da me?

Glielo chiedeva quando era sul punto di addormentarsi, allungando felicemente le gambe sino a trovare il bordo del letto. Gambe da persona grande, gambe finalmente lunghe.

Mi senti, lo so.

Spesso sognava di lui, ma non sognava con lui. Helios non veniva più a trovarla.

Forse lui aveva amato solo i suoi sogni di bambina. Magari non la riconosceva più, ora che lei era grande.

“Ci rivedremo, fanciulla.”

Bugiardo.

Se lui aveva intenzione di ripresentarsi, quello era il momento giusto per farlo.

Voglio l'amore, Helios. Sono una fanciulla grande ora.

Si risentiva tra sé per la mancanza di un segno, lasciata sola con la propria speranza.

So che mi senti.

Non era possibile che lui avesse smesso di esserne capace.

Torna da me, per favore.

Si addormentava accarezzando le coperte, graffiando lievemente la stoffa con le unghie. Avrebbe voluto passare le mani su di lui nello stesso modo.

Trova il modo di farti rivedere. Non fare il codardo, vieni qui. Guardami per ciò che sono diventata.

 


  

La sua fanciulla era un delizioso tormento che lo distraeva continuamente.

, le rispondeva Helios nella propria testa, mentre agitava le mani e l'anima, aiutando un nuovo sogno a realizzarsi.

Sì, fanciulla, forse sono codardo.

Per la propria titubanza aveva delle scusanti. Doveva assolvere ai suoi molti compiti - gli ultimi.

Dopotutto si preparava a lasciare il suo incarico.

Niente lo rendeva nervoso come sentire la realtà che formicolava a un soffio dalle sue dita.

Solo immaginazione, una sensazione, si diceva. Eppure il timore riaffiorava quando si concentrava sul proprio futuro: sarebbe andato a vivere per sempre in una realtà che non comprendeva, senza più possibilità di tornare indietro.

Non sono neppure mai stato un bambino.

Erano le sue mani di preadolescente a rivelarlo. Il termine per quello stadio di maturità fisica lo aveva appreso dalla sua fanciulla. Tramite i sogni di lei aveva lentamente scoperto una coscienza di sé più complessa, vagamente intimidatoria.

Prima di incontrarla non aveva pensato alle anime che sorvegliava in termini umani - come 'grandi' o, per contrasto, come 'piccole'. Aveva avuto una coscienza vaga delle diverse fasi di vita affrontate da una persona.

Sapeva che, da principio, tutti i sogni erano più luminosi e carichi dietro il riflesso degli specchi. In seguito essi diminuivano in numero e si mischiavano a pensieri e ricordi di vita vissuta. Era stato il suo concetto di tempo.

Prima di conoscere lei, aveva costruito una coscienza di se stesso - come essere umano - in circoscritte occasioni, quando aveva sollevato lo sguardo per osservare quei pochi altri che aveva conosciuto nella sua onirica realtà.

Nehellenia, triste ricordo.

Il suo principe, figura da rispettare.

E naturalmente lei, la mia fanciulla. Più bassa di lui, tanto più vicina a comprenderlo e a entrare in sintonia con la sua anima sfuggente.

Chi sono io?

Stando vicino a lei, Helios aveva imparato a essere più di un dovere e più di una funzione, più della gioia di prendersi cura di un sogno. Da quando si erano salutati, non aveva mai abbandonato la sua fanciulla.

Lei se n'era accorta.

Sognava di lui, sprazzi di immaginazione lucente che lo attiravano senza scampo. La sua fanciulla gli faceva percepire continuamente il proprio desiderio di rivederlo. Il loro era un contatto sempre aperto. Quel legame gli aveva permesso di appropriarsi dei frammenti di informazione necessari alla vita di cui voleva far parte.

Concetti, sensazioni, percezioni che lo confondevano, ma le sue poche certezze erano diventate una bolla che lo teneva prigioniero, lontano da lei, negandogli la felicità.

Sono un ragazzino.

Era stata una delle consapevolezze più dolorose. Lentamente, con inesorabile incedere, si era avvicinato al concetto di un dolore personale, la sofferenza di un sentimento ferito che fosse minimamente egoista.

Lui non cresceva come la sua fanciulla. Lei stava evolvendo assieme ai propri desideri, tanto rapidamente da renderlo inadeguato nel paragone.

Da principio Chibiusa aveva sognato di lui e di baci, gesti casti e leggeri che gli avevano ricordato il contatto percepito dalle sue stesse labbra. La realtà che lo aveva visto materiale e vivo, solo per breve tempo, era rimasto un ricordo nitido nella sua mente. Fuori dai sogni, rammentava un unico contatto sulla bocca. Uno sfioramento così...

Nella realtà i baci erano contatti fisici che sapevano di calore e concretezza, che facevano sentire formicolanti, deboli e forti, accesi. Lui aveva usato il gesto per trasmettere energia alla sua fanciulla morente, ritrovandosi punto da una fitta di sensazioni ignote e meravigliose.

Non si era atteso nulla di simile: il loro bacio onirico era stato un momento di dolcezza differente. Per Chibiusa quel contatto aveva rappresentato un incontro d'anime intenso, perfetto - il gesto adatto a restituirle l'energia vitale, aveva concluso Helios nel momento del pericolo. Non si era reso conto di cosa lo attendeva nel premere la bocca su quella di lei.

Ora aveva un ricordo reale dell'atto.

Un casto bacio, un bacio casto. Poche parole che lui sussurrava tra le labbra.

Per la sua fanciulla quel momento non era più materiale da sogno: i baci delle fantasie di lei avevano assunto nuove sfumature. Erano diventati baci divertenti, imbarazzanti, pieni di... emozione.

Helios riconosceva l'attesa trepidante di lei come l'ombra di un'immagine lontana, di cui distingueva i contorni senza conoscerne i dettagli. Chibiusa era spaventata dall'emozione intensa dietro quei gesti. Col passare del tempo - anni per lei, per lui... ebbene, molto meno - la situazione era peggiorata.

Poteva intimorirlo sapere cosa provava la sua fanciulla, ma era atterrito dal non riuscire più a cogliere l'essenza delle sensazioni di lei, evolutesi oltre la sua immaginazione. Nei baci che la sua fanciulla gli chiedeva in sogno, lo scenario e le sensazioni erano... sorprendenti. Per iniziare lui era diverso, con una fisicità irriconoscibile. Era... grande. Paragonandosi a quell'immagine, Helios aveva compreso quanto le fosse sembrato giovane e piccolo un tempo, quanto quelle caratteristiche ingenue e innocue potessero essere detestabili. Il concetto di infanzia aveva perso rapidamente i suoi maggiori pregi.

Il rimpianto cresceva: se fosse stato realmente un bambino, almeno avrebbe avuto modo di imparare a essere una persona vera; crescendo, cambiando, adattandosi. Opportunità che non avrebbe avuto.

La sua fanciulla continuava a lasciarlo indietro. I sogni di lei si riempivano di sensazioni ricche e complicate, tutte legate all'atto del bacio - inspiegabili per lui, a non sondare con attenzione la mente di lei in cerca di ragionamenti che potessero dare una logica a quelle azioni.

Aveva scoperto che non ve n'era alcuna.

Macché logica, rispondeva piccata la mente della sua fanciulla, senza neppure rendersene conto, mentre si stringeva alla figura che avrebbe dovuto essere lui - nei sogni di lei.

Questo è amore, questa è passione, ribadiva la sua fanciulla, rendendolo partecipe di concetti sconosciuti che lo facevano disperare.

Helios si era dato due soluzioni.

La prima, un azzardo senza molte scelte. Avrebbe capito molte cose, si era detto, quando fosse giunto alla vita. Ovvero, quando si fosse ritrovato nella realtà di lei con un corpo proprio, portato per natura a provare sensazioni senza l'ausilio di ragionamenti. La sua fanciulla la pensava così su se stessa: diventando adulta aveva conosciuto nuove pulsioni - chissà cos'erano realmente - che erano nate dentro di lei senza alcun aiuto. Succedeva a tutti, si era risposta da sola, dando qualche sicurezza anche a lui.

La sua seconda speranza era più intelligente: doveva fare qualche prova.

Non aveva mai avuto intenzione di sorprendere la sua fanciulla presentandosi nella realtà senza preavviso alcuno. Il suo tempo come guardiano dei sogni stava per scadere, la nuova anima che stava per sostituirlo era a un soffio dalla creazione. Proprio perciò lui era ancora più occupato: aveva sogni con molte ombre da dissipare, nuove speranze da cullare, specchi logori da risanare nella loro essenza, con pazienza e costanza.

Voleva andarsene nel migliore dei modi, lasciando dietro di sé una Terra di sogni felici, in un periodo di massimo splendore.

In contemporanea, per la sua vita personale - iniziava ad averne una - era tempo di muovere i primi passi che lo avrebbero aiutato a crearsi un'identità vera e propria. Era incerto e insicuro, ma era tempo di tornare nei sogni della fanciulla. Salutarla - sono qui, ti ho sempre sentito - e comprendere se poteva essere l'uomo adatto a lei.

Se poteva essere un uomo, per iniziare.

 


 

«Non trovate che la piccola sia irrequieta negli ultimi tempi?»

CereCere strinse i denti. La palla che rimbalzava contro il muro di marmo le stava facendo venire i nervi.

«Non gradisce sentirsi chiamare 'piccola'. E metti giù quella boccia!»

JunJun aumentò il ritmo. «Mi scarica i nervi. Che dici, poi? Usa-chan sa benissimo che la chiamo così per affetto.»

VesVes si ipnotizzò a guardare la sfera verde che tornava avanti e indietro, avanti - la vide picchiare la parete - e indietro - tra le mani di JunJun. La palla rimbalzante le faceva venire voglia di tirare fuori la frusta dei vecchi tempi - adorato concentrato di cuoio ed energia che non era altro. La teneva nascosta sotto il materasso, dove nessuno poteva vederla. Per il resto del mondo si era addomesticata abbastanza da averla scordata. Tutti dovevano continuare a crederlo.

«Non pensate che sua maestà ci abbia convocate qui proprio per lei?»

ParaPara sistemò la gonnellina azzurra che aveva indossato per la riunione. «Magari! Dite che ci manderà in missione con la piccola? Io sono pronta!»

CereCere la squadrò da capo a piedi, soffermandosi sul caschetto di capelli mossi che ParaPara teneva in ordine con due fermagli a forma di margherita. «Con che coraggio la chiami 'piccola'? Tu sei più infantile di lei.»

«Non è vero! Inoltre, io me la ricordo quando era piccina piccina così e giocavamo alle bambole divertendoci come matte-»

«Tu ti diverti ancora giocando alle bambole.»

«Be', ora che è cresciuta voglio andarci in missione insieme, ecco!»

CereCere provò a riaprire bocca e ParaPara si coprì le orecchie con le mani, cantando.

«Usa-chan sostiene di non essere più una bambina» sospirò VesVes. «Comunque sì, la regina deve averci chiamato per lei. Figurarsi se ci manda in missione, al massimo ci mette in mostra a una parata. No, grazie tante.»

CereCere si leccò di nascosto le labbra. Forse avrebbe potuto offrirsi per andare alla parata da sola? Aveva giusto un nuovo vestito che l'avrebbe fatta apparire nelle rubriche di gossip di mezzo pianeta. A malincuore, lasciò perdere. «Usagi non è irrequieta negli ultimi tempi, bensì inquieta

«Cosa vuoi dire?»

Essere la migliore amica della loro principessa aveva i suoi vantaggi. «Vi ricordate del signorino Helios?»

JunJun si lasciò quasi colpire dalla propria palla. «Oddio, il cavallo?» 

Sì, anche a lei il pensiero del ragazzino lasciava l'amaro in bocca. «L'officiante dei sogni, esatto. Usagi ne è ancora innamorata.»

VesVes non trattenne la smorfia di disgusto. «Era un bambino

«Ma Usagi è convinta che possa essere l'amore della sua vita.»

JunJun fermò la palla tra le mani e scosse piano la testa. «La storia dei suoi genitori l'ha rovinata.»

VesVes si alzò dal divano su cui si era tenuta calma a forza negli ultimi minuti. Rimanere ferma continuava a essere un problema per lei. «Usagi ti ha detto proprio così? 'L'amore della mia vita'?»

«No, ma si capiva da come ne parlava che crede in questa storia del destino, dell'amore eterno e-»

«Allora come al solito stai esagerando.»

ParaPara alzò timida la mano.

«Che c'è?» la fulminò VesVes.

«Non pensate che le farebbe bene conoscere... qualcun altro?»

Tre coppie di sopracciglia volarono in aria.

«È la prima buona idea che sento uscire dalla tua bocca da... sempre.»

«Bù!» gridò ParaPara. «Sei cattivissima, JunJun!»

CereCere alzò una mano per fermare sul nascere la lamentela. «Potrebbe essere un'ottima idea. Se ci organizziamo...»

La porta della stanza si aprì. Balzarono tutte e quattro in piedi, contemporaneamente.

La Regina della Terra si appoggiò contro la porta, chiudendola dietro di sé. «Ragazze.»

ParaPara evitò per un soffio l'inchino. Non era richiesto nelle occasioni non ufficiali e la Regina si dimostrava sempre dispiaciuta quando ne riceveva uno in incontri con facce familiari. «Maestà» le disse assieme alle altre.

La Regina mostrò loro un sorriso quieto. «Grazie per essere venute. Purtroppo neanche oggi ho molto tempo, ma, come forse avrete intuito, sono qui per parlarvi della nostra Lady.»

CereCere e VesVes annuirono per tutte.

«Sapete se c'è qualcosa che la preoccupa di recente? Mi pare che abbia la testa tra le nuvole.»

CereCere, la portavoce ufficiale davanti a sua maestà, non proferì parola in risposta. ParaPara si attenne allo stesso atteggiamento: CereCere era saggia e diplomatica, ad imitarla non si sbagliava mai.

La Regina le osservò con attenzione, scrutando le loro espressioni. «Non voglio intromettermi nella sua vita, ma... sono preoccupata. La vedo così sovrappensiero, distratta... Non voglio fare gli errori di un tempo. Devo sapere se posso esserle d'aiuto.»

«Eh-ehm» tossicchiò CereCere. «Forse la principessa sta solo... crescendo?»

La Regina rimase con una domanda nello sguardo.

CereCere sollevò un sopracciglio come sapeva fare solo lei, in quella sua maniera convincente e piena di significati che affascinava ParaPara.

La Regina sussultò. «Oh, ma certo. Parliamo di ragazzi.»

VesVes ebbe un ricordo distinto. Sua maestà non ha tatto, le aveva detto un giorno Sailor Mars, senza giri di parole. A passare del tempo con la Regina, non si poteva che dare ragione alla signora del fuoco.

«Forse» concedette CereCere. «Io e le ragazze abbiamo appena avuto un'idea, maestà. Se ci lasciate un paio di settimane di tempo, forse potremo portare Usagi a... rilassarsi.»

«Oh, se poteste!» La Regina sciolse le mani unite. Le lunghe code bionde le caddero dalle spalle. «Però siate discrete per favore. Il Re... Ebbene, sono nove secoli che ha una figlia sotto i dieci anni. Non so se è pronto a sentire di questa sua nuova fase.»

«Magari sua maestà potrebbe iniziare a introdurlo all'idea?» suggerì CereCere.

La Regina rimase concentrata, come a soppesare un ricordo. «Perché no? Tuttavia, finché non vi do il via libera... Siate riservate sulla faccenda.»

«Come sua maestà desidera.» CereCere si inchinò.

ParaPara la imitò felice: potersi inchinare davanti alla Regina era un tale piacere! Lei era così bella, gentile, maestosa... anzi, reginosa!

Sua maestà le illuminò con un sorriso. «Grazie infinite, ragazze!»

Grazie a lei! pensò ParaPara.

 


 

«Usagi...»

CereCere si azzardò ad aprire la porta della camera. Lo fece senza bussare: ad Usagi non piaceva quella formalità, diceva di non aver nulla da nascondere.

Del corridoio in penombra, ai suoi piedi, non vide l'illuminazione interna della camera, bensì un contrasto di luce minimo, che si fondeva col buio pesto.

CereCere infilò la testa oltre la porta. «Usagi?» Lei era lì, vero?

«Sto dormendo.»

Uh?

«Va' via, ci vediamo domattina.»

«Usagi.» CereCere chiuse la porta dietro di sé e la raggiunse sul letto, dove lei si era coperta fino alle spalle. «Stai male?»

«No» bisbigliò la sua principessa. «Sto solo cercando... bah!» Girandosi sul fianco, le diede le spalle.

«... ho fatto qualcosa di sbagliato?»

«No!» Usagi balzò a sedere e si sporse a prenderle le mani. «No» sospirò. «Tu non c'entri, è solo...»

CereCere rimase in attesa.

«Prometti che non mi riterrai una stupida.»

«Ma certo che no.» Non aveva mai pensato una cosa simile della sua principessa. Certo, c'era stato un tempo in cui, influenzata da un potere maligno, aveva avuto brutti pensieri su di lei - code di paglia di rosa, vocetta stridula, che strazio di bambina - ma da allora, dopo essere stata addormentata nei secoli solo per risvegliarsi nel futuro e poter essere la sua guardiana, le cose erano cambiate. Usagi aveva alcuni importanti difetti, non ultimo l'essere troppo avventata, ma era una bravissima ragazza che si faceva voler bene. A CereCere erano bastati pochi mesi per amarla.

Usagi raccolse le ginocchia contro il petto. «Ricordi che ti avevo parlato di Helios.»

«Sì» confermò prudente CereCere.

«Gli ho dato un ultimatum.»

... ad un ragazzo che non si sapeva neppure se esisteva ancora?

«Sono sicura che mi sente. Lo so in un modo che.... non so spiegarlo. Voglio che venga a trovarmi con tutte le mie forze, non sai da quanto tempo penso a lui. Lo chiamo sempre, lui mi sente e poi...» 

Usagi non pianse. Si sforzava di non farlo, anche quando voleva.

«Penso che abbia paura. Non so di cosa, non... Non so spiegarmi affatto!» Buttò in aria le mani. «Penserai che sia pazza.»

«... no.» In fondo Usagi era una principessa dai grandi poteri, con una madre che aveva salvato il sistema solare e l'intera galassia più volte. Se non succedevano cose strane a lei...

«Be', è da una settimana che gli sto dando questo ultimatum. Oggi... è l'ultimo giorno.»

Nel sentire il lamento lieve, a CereCere si spezzò il cuore. «Capisco.»

Non aveva alcuna importanza che Usagi si stesse immaginando ogni cosa. Anche se fosse stato così, la mattina seguente lei avrebbe sofferto moltissimo a giudicare dalle speranze che stava ponendo in quell'ultima nottata di possibili sogni.

«Tu mi credi?»

CereCere fu felice del buio. «Sì.» Le strinse le mani.

Se solo ci fosse stata VesVes: lei avrebbe detto a Chibiusa che era ora di smetterla di sognare, che era tempo di aprire gli occhi e cominciare a vivere nella realtà. A Usagi - avrebbe perso il chibi così - sarebbe servito udire qualcosa di simile. CereCere non ebbe il coraggio di spezzare i suoi sogni già quella notte.

«Ho deciso di dargli quale ora in più» sussurrò Usagi. «Perciò stasera sto andando a dormire prima.»

«Capisco.»

«Capisci sempre tutto, hm?» Un sorriso.

CereCere la abbracciò, affondando il naso nei suoi capelli rosa, sciolti e sempre così facili da pettinare.

Quanto sei diventata grande. Anche se non andrà bene, la supererai. «Ti lascio...» esitò, «al tuo sogno.»

Usagi annuì. «Dici che... se vado a dormire con fiducia, questa è la volta buona?»

Non farmi questa domanda. «Sì» le rispose ugualmente.

Fece illuminare Usagi di gioia, una felicità appena visibile sotto la luce pallida della Luna.

Non avendo nessun altro a cui rivolgersi, CereCere guardò proprio l'antico pianeta. Proteggila tu. Proteggi la tua anima questa sera, avrà bisogno di te.

Lasciò Usagi e la Luna alle loro speranze.

 

CONTINUA...

   


   

NdA - se questa storia esiste, lo dovete a Quintessence, che l'ha richiesta come premio per il concorso che avevo organizzato e che lei ha vinto con la fanfic Le Lancette del Destino (leggetela!). Quintessence voleva una storia con Chibiusa ed Helios ambientata nel futuro, in cui potesse esserci il quartetto delle Amazzoni e in cui i genitori di lei - i nostri adorati sovrani - le creassero qualche problema con questa relazione nascente (leggasi: iperprotettività).

Se posso, aggiorno già domani con la seconda parte, perché l'ho scritta per un bel pezzo (così come ho già scritto per metà la terza parte... fino a poche ore fa non sapevo se dividere in due o in tre). Oggi che stavo completando la fanfic mi è venuto in mente che il finale non mi convinceva e avevo ancora un mucchio di cose che mi sarebbe piaciuto dire per approfondire i vari personaggi e anche i rapporti tra loro. Qui ad esempio avete visto l'amicizia tra CereCere e Chibiusa.

Naturalmente nel prossimo pezzo vedrete Chibiusa ed Helios che si reincontrano :)

Ah, come si colloca questa storia all'interno della mia saga? Non si colloca, è un Alternate Universe, AU.

Nella mia saga per arrivare a questo futuro dovrei anticiparvi un sacco di cose che sarebbero spoiler non tremendi, bensì di più. Per ora ho solo un'idea vaga di come farei reincontrare Chibiusa ed Helios, però è già abbastanza definita da essere totalmente diversa da questa vicenda così leggera, divertente e romantica. Cioè, sarò romantica anche lì, ma più realistica. Col passo che sto tenendo ci arrivo tra altri tre anni, mi sa :D

 

Bene, spero che questo primo pezzo vi sia piaciuto.

Grazie a tutti per i commenti che mi lasciate sempre, anche alle altre storie. In questi giorni sto rispondendo. Piano piano - anche qui - ma arrivo :)

 

ellephedre

 

   
 
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