Sentiva la luce
su di sè, calda e accogliente. Qualcosa di veramente dolce.
Monica si stava
risvegliando, si era resa conto che intorno a sè
c’era qualcuno, anzi, più di qualcuno. Aveva
riconosciuto non solo la voce esaltata di Jared, ma anche quella di
Shannon e di suo padre. Alt, suo padre? E che ci faceva a casa sua? Ah
no, non era a casa, era in ospedale.
Era nata.
Non ci poteva
veramente credere: per un attimo, un momento terrificante, si era
trovata con l’idea in testa che sua figlia non sarebbe
sopravvissuta. Era stata la sua paura per tutta la gravidanza. Quando
il medico le aveva detto che aspettava un figlio non gli aveva
veramente creduto.
Ci avevano
provato per mesi, ma la sua malformazione all’utero non
aiutava e quindi i giorni passavano senza cambiamenti di sorta. Jared
non aveva mai protestato e non si era mai troppo preoccupato. Leggeva
in lui un’enorme dispiacere ogni volta che il test di
gravidanza risultava negativo, ma lo vedeva sempre sorridere e portarla
a mangiare un gelato, asserendo che sarebbe andata meglio la volta
dopo.
Il giorno che
lei risultò essere incinta era stato segnato come un giorno
miracoloso.
Monica sorrise
quando mamma Constance sgridò Shan che rideva a voce troppo
alta.
“Sveglierai
Monica e la bambina. Taci.”
La bambina.
L’aveva
vista e tenuta in braccio: era piccola, esile e piangeva con forza. Del
resto essere strappata dal caldo tepore della placenta per entrare in
un mondo freddo ed apparentemente ostile, non faceva felice nessuno. Si
era calmata subito, mentre lei le dava un bacio sulla testolina ancora
umida e Jared piangeva come non aveva mai fatto in vita sua. Lei,
invece, sorrideva e basta, era troppo sfinita anche solo per pensare di
piangere. Non tanto dal parto, che era stato relativamente veloce, ma
da tutto quello che era stata la gestazione: mesi e mesi di quasi
totale immobilità a causa di un elevatissimo rischio di
perdita del feto. Ora l’unica cosa che voleva fare, era una
lunga passeggiata sulla spiaggia e appena sarebbe uscita da quel posto
maledetto, avrebbe obbligato il suo ragazzo a portarcela.
In fondo
l’aria di mare faceva bene anche alla piccola.
Aveva un
po’ di problemi, ancora, a pensare a lei come qualcuno di
reale ed esistente. L’aveva tenuta in braccio, iniziato a
sfamarla anche, eppure era una sensazione strana, come se stessero
ancora scrutandosi per capire come poter vivere assieme. Non riusciva a
chiamarla per nome, anche se ce l’aveva davanti, anche se
l’aveva fissata sperando che i suoi occhi diventassero
grigio/azzurri come quelli di Jared, anche se sapeva essere sua figlia.
Quando ancora
passava le giornate distesa sul letto o sul divano guardando la TV e
scrivendo a più non posso il suo nuovo romanzo,
chiacchierava parecchio con lei. La sua ginecologa le aveva detto che
ai bambini faceva bene sentire la voce della madre e del padre prima di
nascere, aiutava in quello che sarebbe diventato poi il loro rapporto.
Jared aveva preso al volo quel consiglio per passare ore interminabili
a raccontare ad entrambe tutto quello che accadeva nello studio di
registrazione e Monica era convinta che la bimba ogni tanto entrasse in
coma pur di evitare di ascoltarlo.
Sorrise
invisibile: tutti gli sguardi erano su lei, la nuova arrivata, la mamma
era momentaneamente messa in secondo piano e a lei andava bene
così.
Aprì
finalmente gli occhi: davanti a lei, sulla impalcatura del letto, erano
legati dei palloncini colorati e sul tavolino pieno di borse,
c’era un enorme mazzo di rose rosse a stelo lungo, con nel
mezzo un bellissimo tulipano giallo, regalo, immaginava, di Jared.
“Buongiorno
tesoro.” Sua madre era lì, raggiante e commossa:
doveva aver versato qualche lacrimuccia a vedere la sua prima e
probabilmente unica nipote per molto tempo.
“Ciao
mamy.”, con lentezza inforcò gli occhiali e il
mondo diventò più nitido. La stanza era bella e
luminosa, non ci aveva fatto caso quando era entrata, troppo stravolta
dalla fatica del parto: i muri erano colorati di un pallido rosa
pastello e c’erano un sacco di disegni di Tippy il coniglio.
“È stupenda.”
“Grazie.”
Cosa poteva dire?
Lasciò
perdere tutti quanti e si concentrò solo su Jared: capelli
lunghi fin sotto l’orecchio, di un normalissimo e bellissimo
colore castano scuro, barba di tre, forse quattro giorni, che le
ricordavano i bei tempi di ABL e occhi che parevano due fanali. E
sì, perchè splendevano di luce propria,
soprattutto quando sorrideva. Era euforico. No, era scintillante.
Monica non
riusciva a descrivere con una sola parola lo stato d’animo
del suo uomo, poteva solo sintetizzarlo con un “É
appena diventato padre” cosa che riassumeva perfettamente.
Aveva delle occhiaie profonde, dato che in quelle ultime notti, per
paura, non aveva praticamente dormito più di due ore filate,
ma nonostante tutto sembrava nel pieno delle forze. Adorava i peletti
bianchi sempre più numerosi e anche quelle piccole rughe di
espressione che ormai avevano finalmente fatto capolino attorno agli
occhi: insomma, adorava vederlo così chiaramente normale.
Che poi, sembrava comunque avesse dieci anni di meno. Stava parlando
con suo padre e niente o nessuno poteva scalfire in
quell’istante, la sua felicità.
Avrebbe
partorito nuovamente solo per vederlo nuovamente con quel sorriso: si
sentiva un po’ patetica.
La piccola
prese a piangere risvegliandola e facendola tornare in sè.
“Te
l’avevo detto che se le stavi così vicino la
spaventavi, tu e la tua brutta faccia, Shannon!”,
esclamò Jared andando a prendere in braccio sua figlia che
aveva iniziato a strillare.
“Ma
non è vero, lei già adora lo zio Shan, vero
piccola?”
Jared
alzò gli occhi al cielo e la guardò: la bambina
non voleva saperne di smettere, aveva il viso rosso per lo sforzo e gli
occhi tutti bagnati. “Andiamo
Little Princess, la mamma ti dà da mangiare.”
Uscirono tutti dalla stanza tranne Jared che si sedette sul letto,
mentre Monica prendeva in braccio la piccola e la guardava.
“Ti muovi che ha fame?”
“Jay,
lasciamela guardare, anche se piange due secondi non casca il
mondo.”
“Ma...
la mia bambolina...”
“Sei
già zerbinato e non ha neanche un giorno. Fantastico, ne
vedremo delle belle.” Monica le fece una leggerissima carezza
al nasino piccolo e delicato, preso da lei, e le sorrise.
“È
perfetta. Non so che altro dire di lei.”, fece Jared.
“Sì,
lo è.”, rispose Monica. “Buongiorno, mia
piccola Sophie.”
“Apri
la bocca, Sophie, dai!” La bambina era seduta sul suo
seggiolone rigorosamente rosa che batteva le mani e rideva come una
pazza per tutto lo sporco che era riuscita a creare in cinque minuti
che era lì seduta.
Monica
sospirò e rimise il cucchiaino nella ciotolina: sapeva che
lo svezzamento non sarebbe stato una passeggiata, ma non credeva
possibile che una bimba potesse sputacchiare così bene e
così lontano soprattutto. Doveva essere il Karma che si
abbatteva su di lei, dopo che da piccola si era divertita a rendere la
vita un’inferno a sua madre.
“Eccole
le mie donne!” Jared entrò in casa quasi correndo,
gettando con poca grazia il giubotto sul divano e andando, con un
sorriso da ebete, verso Sophie che sembrava ancora più
elettrizzata ora che aveva visto il suo papà. “E
la mia Principessa mangia?”
“Certo,
più o meno come suo padre.”
“Ahaha,
simpaticona.”, diede una carezza alla figlia e
andò a togliersi le scarpe.
“Ok,
Sophie, prima che diventi completamente freddo, apri la bocca... fai
Ahhhhhh”, la bambina rise senza aprire la bocca, lasciando
Monica disperata.
“Non
mangerà mai fin quando le darai quelle pappette
insipide.”, fece Jared tornando in cucina: aveva indossato un
paio di pantaloni della tuta e una delle sue canotte di battaglia da
palco.
“Ah
certo, hai ragione genio, adesso le cucino una bistecca e di contorno
ci faccio un paio di patatine, immagino con quei due dentini appena
spuntati riuscirà a mangare benissimo.”
“Sto
rotolando dalle risate. Adesso fatti da parte che ci pensa Daddy a
farla mangiare almeno un pochino. Vero, cucciola?”, la
bambina gorgogliò felice, mentre Jared prendeva posto sulla
sedia e le faceva le linguacce. “Ecco, mostra alla mamma
quanto sei brava.” Come era possibile che lei in tutto il
giorno era riuscita al massimo a darle un cucchiaino di minestra,
mentre Jared in dieci minuti le aveva fatto spazzolare il piatto? E
pure facendola ridere. “Ecco fatto, ma che brava che sei.
Visto mamma? È stata brava Sophie?”
Monica
annuì e si girò per sistemare la cucina con un
profondo senso di sconfitta.
“Ehy,
tutto ok?”, Jared le aveva portato il piatto ripulito e la
guardava sorridendo.
“Sì,
tutto perfetto... perchè?”
“Non
so, sembra che tu sia quasi dispiaciuta che Sophie abbia finito la
cena.”
“Ma
figurati! Anzi, per fortuna che almeno qualcosa mangia, ne basta uno in
famiglia magro ai limiti dell’anoressia.”
Jared
sbuffò. “Non
è colpa mia, non ho tempo di mangiare.”
“La
verità è che non hai voglia di preparartelo
quando sei fuori, perchè a casa mangi pure.”,
rispose Monica piccata. La bambina li osservava stranamente in silenzio
dall’alto del suo seggiolone.
“Ecco
vedi, che mi serve mangiare fuori se a casa ho la mia ragazza che mi
prepara i migliori manicaretti del mondo?”
“Smettila
di fare lo smieloso che tanto non ti riesce.”
Jared
insinuò le mani sotto la maglietta sporca di pappa di Sophie
e la strinse a sè.
“Puoi
finirla di essere così nervosa?”
“No.”
“Uhm...
e dai.”
“Smettila!”
“Mo...”
“Daddy!”
Il tempo si
fermò, anzi, si cristallizzò: Monica riusciva a
vedere quasi la polvere rimanere sospesa, le bolle di schiuma non
scoppiare.
Sophie aveva
espresso la sua opinione ed in maniera piuttosto decisa.
La fissarono
entrambi ancora inebetiti, mentre lei batteva sul seggiolone con il
cucchiaio ridendo.
“Ha
parlato...”, mormorò Jared.
“Sì.”
Jay si
fiondò su sua figlia, ormai felice come una Pasqua di essere
liberata da quella sedia di torture cinesi, la prese in braccio e la
fece volare per la cucina, mentre la piccola rideva impazzita.
Monica scosse
il capo: la sua prima parola era stata papà.
Certo che era
veramente inadatta.
“Voglio
andare a scuola con papà.”
“E ci
vai con tuo padre, ma permettimi che voglio venire anche io.”
Sophie mise il broncio: quella mattina sarebbe andata per la prima
volta a scuola e Monica le stava sistemando i lacci delle scarpine.
“Perchè
sento la mia piccola brontolare?” Per quel giorno Jared aveva
perfino deciso di vestirsi bene: pantaloni neri, una maglietta seria e
una camicia, ovviamente a quadri. Ai piedi delle sobrie scarpe da
ginnastica. Si era sbarbato, quindi non dimostrava neanche
quarant’anni, a parte le zampette di gallina che iniziavano
prepotenti a farsi vedere.
“Mi
porti tu a scuola, non la mamma.”
“No,
ci andiamo tutti assieme.”, rispose Monica sbuffando.
“Voglio vedere la mia bimba dove si siederà in
classe. E conoscere la sua nuova maestra.”
Monica
guardò con soddisfazione Sophie: jeans nuovi azzurro chiaro
con dei brillantini molto Girlish sulle tasche, una bella maglietta
rosa con un coniglietto che zompettava nell’erba e i codini a
tenere fermi quella massa incredibile di capelli scuri. Le scarpe da
ginnastica bianche e rosa completavano il tutto. “Sei
bellissima, amore!”, esclamò Monica.
“La
mamma ha Ragione, sarai la più bella.” Sophie
sorrise, permettendo ai suoi due occhi blu di scintillare.
Monica aveva
sempre pensato che fosse un miracolo che quel misero genere recessivo
degli occhi chiari che c’era in lei, fosse riuscito a battere
il gene dominante degli occhi castani. Era felicissima che avesse gli
stessi occhi di Jared e non solo per il colore, ma anche per la forma
leggermente a palla. Le davano un’espressione di perenne di
sorpresa e ingenuità, quella che mancava nettamente nella
vita di suo padre.
Davanti alla
scuola c’erano già i primi bambini che attendevano
le aperture dei cancelli. Sophie andò a nascondersi dietro
le gambe di Jared che scoppiò a ridere: sua figlia era un
vulcano, sempre in eruzione, eppure quando iniziava un qualcosa di
nuovo o si trovava davanti a gente che non conosceva, si chiudeva a
riccio intimorita.
Insieme
entrarono nell’edificio colorato e
ancora ben tenuto seguendo la freccia che indicava la nuova classe di
Sophie: i banchi erano quindici, puliti e scintillanti, pronti per il
nuovo anno.
“Papà...”,
sussurrò Sophie.
“Dimmi.”
“Non
voglio stare qui.” Aveva sporto il labbro inferiore e
sgranato gli occhi nella classica espressione 'Faccio Fare a Mio Padre
Tutto Quello che Voglio Io', peccato che questa volta non poteva
attaccare perchè si parlava di scuola.
“Amore,
guarda quanti amici nuovi che hai.”
Mentre Jared
cercava di convincere la bambina ad andare a sedersi, Monica era andata
a fare la conoscenza della maestra: bassa, molto magra, vestita come
una vecchietta anche se doveva avere pochi anni in meno di lei. I
capelli erano di un triste color castano chiaro, ma lasciati molto
andare. Ci mancava solo lo scialle sulle spalle e poteva sembrare la
nonna di Cappuccetto Rosso. Però negli occhi aveva una luce
maliziosa, felice di essere lì, pronta per iniziare ad
insegnare.
“Salve,
io sono la mamma di Sophie Leto.”
“Salve,
io sono la signorina Granger* ed è un piacere conoscerla.
Devo sapere qualcosa di particolare su Sophie?”
“No,
l’unica cosa è che qualche volta si ostina a non
voler mangiare la carne. Le piace molto, ma ha la fastidiosa tendenza
di voler seguire suo padre e le sue fisse alimentari.”
“Vegetariano?”
“Già.”,
esalò sofferente Monica.
“Va
bene, cercherò di ricordarmelo. Ci vediamo alla fine della
lezione, sa preferisco che i genitori non assistano.”
“Certo,
lo capisco. Vado a recuperare Jared allora.” La signorina
Granger diventò leggermente rossa.
“Jared
Leto? Il Cantante?”
Monica Sorrise:
ci mancava pure la maestra con la cotta per il suo ragazzo. “Sì
lui.”
“Oh
bene... bene...”
Monica
ritrovò Jared mentre teneva per
Mano Sophie che ancora non ne voleva sapere di andare a sedersi e
parlava con alcune giovani mamme che ridacchiavano alle sue battutine
allusive. La bambina le guardava con sguardo assassino.
“Jay,
dobbiamo andare.”, gli disse mettendogli delicatamente una
mano sulla spalla. “Sophie, vai a sederti, guarda che
c’è un posticino libero vicino quella bambina
vestita di giallo.”
Sophie prese
anche Monica per mano, alzando il mento verso le altre mamme che la
guardavano interdette e trascinò i due genitori verso
l’unica seggiolina vuota rimasta.
“Io
mi siedo qui!”
“Va
benissimo.”
“Voi
state qui?”
“No,
dobbiamo andare a casa. Tu resti con la maestra. Mi raccomando, fai la
brava e fai la simpatica.”, le rispose Jared, sorridendo.
“Bacino!”
Monica sospirò: eccolo momento bacino al papà,
momento per il quale Jared avrebbe venduto l’anima, e
soprattutto momento dal quale lei era esclusa a priori.
“Bacino Mamma.” Monica la fissò
sorpresa, ma si abbassò e si lasciò dare un bacio
sulla guancia. Erano così rari quei momenti di affetto puro
e genuino da parte di Sophia verso di lei, che quasi si stava
commuovendo.
Uscirono sotto
il sole splendente di settembre, con Jared che le circondava le spalle,
mentre Monica lo abbracciava in vita. La donna non se ne rendeva conto,
ma stava sorridendo come un’ebete.
“La
nostra bambina cresce ad un ritmo incredibile.”
“Cresce
normale, Jay. Mica può accelerare il tempo solo per lei
no?”, ribattè Monica.
“Tu
mi rovini tutta la poesia, amore.”
“Io
ti riporto con i piedi per terra, tesoro. Comunque è proprio
diventata grande.”
Sapeva che
prima o poi avrebbe dovuto affrontare quel discorso. Era normale, lei
era sua madre, con chi avrebbe dovuto parlare di quel genere di cose.
Sospirò e andò nella sua stanza.
Sophie era
distesa a letto, sfogliava distratta una rivista, mentre canticchiava,
cuffie nelle orecchie. Era diventata più alta di Monica,
prendendo da lei anche la linea delle curve, cosa che le portava ad
avere un bel seno sodo già a 16 anni.
La sua camera
era quanto di più adolescenziale si potesse chiere: non
c’era un solo centimetro di muro libero dai poster dei suoi
cantanti preferiti e da un attore per il quale avrebbe fatto qualsiasi
cosa, tra cui andare al cinema 20 volte in una settimana appena uscito
il suo ultimo film, cose che aveva fatto impazzire Jared non poco.
“Sophie.”,
la ragazza non rispose. “Sophie!” Vide gli occhi di
sua figlia, così simili a quelli di Jared girarsi verso di
lei. La guardavano un po’ annoiata e con aria scocciata per
essere stata interrotta.
“Che
c’è?”
“Cerca
di fare attenzione quando butti a lavare i Jeans. Dentro le tasche ci
possono essere cose che è meglio non lavare, o comunque non
buttare in acqua calda.” Le pose sul cuscino, vicino al
giornale, una piccola confezione metallica contenente, inconfondibile,
un preservativo. Sophie prese fuoco immediatamente, sgranando gli occhi
e balbettando presa in fallo.
“Non
è mio!”
Monica
alzà le sopraciglia e sorrise maliziosa. “Considerando
che non sono nè marca nè misura di quelli di tuo
padre e che io non li compro perchè ci pensa lui quando ci
servono, deduco che sia per forza tua. Anche perchè stava,
appunto, nei tuoi jeans. A meno che in casa non abbiamo anche un
fantasma e io non ne sapevo nulla.”
“Mamma!
Per favore, smettila!”
“Bhe
che c’è? Non è che sto dicendo cose
così terribili. In fondo sono decisamente sollevata sapendo
che mia figlia fa sesso protetto.”
Sophie divenne
ancora più scarlatta. “Per
piacere, la vuoi finire. Non è mio quel coso, è
di.... Janet.”, finì soddisfatta.
Monica
sospirò e si sedette sul letto vino a lei.
“Sophie,
siamo oneste tra noi. Hai sedici anni e da che mondo e mondo non esiste
un genitore che sia mai riuscito a proibire ai propri figli di fare
sesso. È natura, sono ormoni, è
naturale.”
“Ma...”
“Lasciami
finire. Non sarò io a proibirti di andare fuori con i
ragazzi, ovviamente mi aspetto da te un determinato criterio e non che
mi esci con qualsiasi cosa abbia un pene per il gusto di
farlo.”
“Non
ho mai fatto sesso con nessuno mamma!”, rispose Sophie a
denti stretti.
“Meglio.
Non fraintendermi, il sesso è una delle cose migliori del
mondo, subito dopo una montagna di cioccolata, ma per quanto possa
suonare retrò e noioso, la prima volta dovrebbe essere
veramente fatta per amore, o almeno per qualcosa che ci somiglia. Rende
il tutto molto più bello.”
“Perchè
mi dici questo?”
“Preferisci
che mandi tuo padre a farti sti discorsi?”,
domandò sarcastica “Almeno finirebbero presto, si
arriverebbe ad un ‘Sophie non uscirai fino a quando non sarai
sposata’.” La ragazza inorridì.
“No,
oddio no! Sabato ho la festa di Jenny!”
“Quindi
tieniti caro il preservativo. E non ubriacarti, rimarrei parecchio
delusa se perdessi la verginità con il sapore della bile in
bocca.”
Capì
l’espressione della figlia e uscì: fuori dalla
porta si permise di allargare il sorriso vittoriosa.
L’acqua
bollente era sempre stata un toccasana per loro, soprattutto se si
permettevano un bagno nell’idromassaggio quando Sophie era ad
una festa.
Peccato che il
borbottare di Jared stava un po’ rovinando
l’atmosfera simil romantica che Monica era riuscita a
costruire con le candele piazzate in maniera tattica da dare alla
stanza una calda luce arancionata.
“Jay
la smetti?”
In quei ultimi
anni i capelli di Jared avevano preso un’interessante
sfumatura grigia, anzi, sale e pepe, come amava definirsi lui. Era
ancora in ottima forma, nonostante l’età e
continuava a girare il mondo, anche se con meno frequenza. Monica si
stava divertendo ad accarezzargli pigramente il 30 sul braccio.
“Sono
preoccupato, va bene? Chi è questo Dean con cui è
uscita questa sera?”
“Un
suo compagno di scuola, Jared. Un ragazzo normalissimo: suo padre ha
una officina e sua madre fa la casalinga. Ah sì, suo
fratello si chiama Sam ed è più giovane. Vuoi
sapere altro di Dean?**”
“Bah,
che non si azzardi a toccare la mia bambina.”
“Non
è più una bambina, ormai sta divenando una donna
e devi metteti in testa, anche se è difficile, che prima o
poi troverà un ragazzo da amare e con cui, esattamente come
facciamo noi due, farà l’amore. Capito?”
“Razionalmente
lo capisco, ma non mi sta bene.” Monica rise.
“Ti
prego, tu a 40 anni giocavi ancora con le bambole? No, non rispondere,
lo so che lo facevi, ci sono le foto che dimostano che ti slinguavi le
bambole gonfiabili. Comunque prima o poi, speriamo un po’
poi, anche Sophie farà sesso. Renditene conto.”
Jared spense
l’idro e la abbracciò con il broncio. “Che
brava mamma che sei.”
“Non
esageriamo, diciamo che sono una donna e che forse capisco le cose
meglio di te, che ormai sei lo zerbino/cavalier servente di tua
figlia.”
“Ah,
ah, ah, sto ridendo come un pazzo.”, rispose sarcastico
“Sophie è fortunata ad averti.”
“Vorrei
che lo capisse anche lei.”
“Uhm?”
Monica
sospirò e aprì il rubinetto dell’acqua
calda per scaldarsi un po’. “Ormai
ho imparato ad accettarlo, mi sta bene: tu sei il genitore buono,
quello perfetto, io sono il genitore cattivo, quello che mette i
paletti. È normale, è ok, ma vorrei tanto che
Sophie capisse che la amo quanto la ami tu. Invece mi sembra soltanto
che io sia quella sbagliata o di troppo in casa.”
“Non
dire cazzate, Sophie ti vuole bene, lo sai, sei sua madre, non potrebbe
essere altrimenti.”
“Non
ne sono sicura. La sua prima parola, i primi passi per venire da te,
quando si andava in giro dava la manina soltanto a te, voleva solo te
quando stava male... insomma, è abbastanza chiaro dove va la
sua preferenza. Sei tu il suo genitore e ok, va bene, l’ho
accettato da tanto. Mi basterebbe soltanto che mi dicesse che mi vuole
bene, cosa che credo non faccia da quando aveva sette anni.”
Jared la strinse baciandola sul collo: onestamente non sapeva cosa
dirle. Monica l’aveva sempre preso in giro per quel suo
attaccamento a Sophie, dicendogli che alla fine loro figlia era
l’unica donna che riuscisse a fargli fare qualsiasi cosa,
anche le più stupide ed inutili. Aveva sempre immaginato che
questa cosa la facesse divertire, invece pareva fosse una cosa che la
faceva soffrire e pure tanto. “Sono una pessima madre, questa
è la verità. Non sono riuscita a farmi apprezzare
neppure da mia figlia.”
Jared la
sentì tremare, ma sapeva perfettamente che facendo scendere
altra acqua calda, non avrebbe sistemato nulla.
Per quanto
amasse suo padre, guardare vecchi film sul divano con lui, non era
quello che lei avrebbe voluto per un sabato sera, soprattutto se quel
sabato c’era una delle feste più importanti per la
sua classe. Jenny Miller, figlia di un imprenditore multimiliardario,
aveva aperto la sua enorme villa sulle colline per festeggiare il suo
compleanno. Praticamente non solo tutta la sua classe era invitata, ma,
soprattutto, c’era anche la classe dei senior e quindi Dean.
Stava con lui da qualche settimana ed era come stare in Paradiso.
Peccato che quella sera lui sarebbe stato circondato da una decina e
più di galline che avrebbero provato a mettergli le mani
addosso e lei era lì a guardare suo padre mentre tirava
fuori dalle borse della spesa un pacco nuovo di semini per pop corn.
“Mamma
ti ucciderà quando torna. Non mi hai preso neanche una
bistecca.”, fece lei leccando un gelato quasi finito: odiava
il sapore del legno del bastoncino.
“Rimarrà
il nostro piccolo segreto, ok? Se hai voglia di carne aspetti che torni
lei.” Sophie ridacchiò sotto i denti: da che
ricordava i litigi più forti che avevano avuto i suoi
genitori erano riguardati prettamente la sua dieta. Fin da piccola
avrebbe voluto seguire le orme di suo padre, ma la mamma metteva i
bastoni tra le route.
A pensarci bene
era l’unica cosa su cui sua madre si impuntava: le aveva
lasciato campo libero di fare quello che voleva delle sue scelte, sia a
livello di studi, che sportivi. Eppure non le lasciava essere
vegetariana. Doveva anche ammettere, però, che ogni tanto le
piaceva mangiare un hamburger con le sue amiche dopo scuola.
Era decisamente
confusa.
“È
la prima volta che mamma sta via così tanto tempo, mi fa
strano non averla sempre per casa.”
“Veramente
quando avevi 4 anni è andata a fare promozione per un libro
ed è stata via una settimana... credevo di
impazzire.”
“Perchè?”
Jared si
sedette davanti a lei: nonostante gli occhi fossero decisamente i suoi,
il resto era la copia quasi sputata di Monica. Gli pareva di rivederla
nel periodo in cui l’aveva conosciuta. “Perchè
non sapevo cosa fare con te. Io avevo praticamente sempre e solo
giocato con te quando eri piccola, era Monica a darti da mangiare, a
portarti a dormire, a lavarti. Sapeva lei dove metteva la biancheria, o
come tu stessa gestivi il bagnetto.”, rise, “Avevi
la mania di fare i Mix di tutti gli shampi e bagnoschiuma e di usarlo
per lavare i tuoi giochi. Mamma te ne faceva sempre trovare la giusta
quantità nelle bottigliette piccoline, in modo da non
consumarne troppo. Io non lo sapevo e ho dovuto pulire schiuma per il
resto della notte mentre tu dormivi.”
Risero
assieme.
“Dimmi
ancora qualcosa di quando ero piccola, mamma non ne parla
mai.”
Jared
tornò serio. “Ti prendi
mai la briga di ascoltarla?”
“Cosa
intendi?”
“Dico...”,
iniziò lui, camminando sulle metaforiche uova,
“Che spesso dai per scontata tua madre e che forse dovresti
capire meglio quanto ti vuole bene.”
“Mi
stai sgridando?”
“No,
ti sto solo dicendo che potresti far affidamento su di lei, invece che
schivarla. Anche quando ti arrivarono le mestruazioni per la prima
volta sei corsa da me ed è stato un disastro.”, la
vide imporporarsi leggermente. “Mamma ha fatto di tutto per
te, non dimenticarlo mai.”
“Ok,
però non mi sembra che mamma abbia mai approfondito il
discorso con me.”
“Non
è facile avere a che fare con un’adolescente che
non ti sta mai ad ascoltare. Sophie, ti amo, bambina mia, ma a volte
sono io stesso a volerti prendere la testa e spaccartela contro il
muro. Sei di una testardaggine estrema e mi domando ancora da chi hai
preso.”
Sophie
sgranò gli occhi e sbuffò: ci mancava solo la
ramanzina di suo padre. Doveva cambiare argomento. “Allora
stasera posso andare da Jenny, giusto?”
“Ferma
lì, signorina, e chi te l’avrebbe
detto?”
“Ma
dai, Daddy, ci va tutta la scuola, mancherei solo io e i nerd del club
degli scacchi, anzi forse neanche loro, perchè Jessy Lowell
dà ripetizioni di chimica a Jenny e praticamente
è invitato anche lui con la sua cricca. Ti prego,
papà.”
“Ci
va anche Dean?”
“Ovviamente!”
“E
allora no. So come vanno a finire quelle feste, quindi non ci
vai.”
“Ma
papà!”
“Niente
ma papà, così è deciso. Questa sera
è il turno di 'Avatar' e ci guardiamo quello.”
Sophie
battè i piedi a terra frustrata.
“Quel
film è vecchio e noioso. Sarò l’unica
persona a non esserci, sarò un’emarginata sociale
grazie a te.”
La suoneria del
nuovo telefono di Jared interruppe la discussione, facendo salire in
camera una arrabbiatissima Sophie che borbottava su quanto fosse
terribile la sua vita.
“Adolescenti...
Pronto?”
“Ciao
Jared, come va?” La voce era leggermente ovattata a causa
della lontananza. Monica era volata a Torino per la Fiera del Libro,
evento di caratura mondiale. Era stata invitata per parlare di romanzo
rosa e delle figure di Camilla e Susan, sua nuova eroina cartacea, nel
mondo della letteratura moderna. Ed essendo una delle finaliste per il
premio letterario, doveva rimanere là fino alla fine del
festival. Era partita un po’ preoccupata dello stato che
avrebbe trovato in casa, ma sperava che Sophie fosse abbastanza adulta
anche per Jared e che insieme avrebbero cercato di mantenere un certo
decoro. Inoltre l’Italia la affascinava sempre parecchio.
“Uhm...
benissimo, direi.”, rispose lui guardando il sacchettino di
pop corn ancora sul tavolo.
“Perchè
non mi sembri molto gioioso? È successo qualcosa con
Sophie?”
“Nulla
che non riesca a sistemare.” Poi ci ripensò: aveva
appena detto a sua figlia di non darla troppo per scontata e adesso ce
la teneva lui lontana? “Diciamo che vuole andare ad una non
so quale mega festa di Jenny la simpatica e io le ho detto di
no.”
“E
perchè?”
“Monica,
lo sai come sono quelle feste: alcool, forse droga e sicuramente sesso.
Non manderò la mia bambina in un covo simile.”
Sentì
Monica ridere dall’altra parte dell’Oceano. “Sei
un’idiota cosmico. Non la puoi lasciare a casa,
sarà l’unica a non andarci. È un evento
importante nella sua crescita sociale, quasi come il ballo di fine
anno. Dai, guardati il tuo film del sabato sera da solo o con Shannon,
e lascia in pace Sophie. Dalle un coprifuoco, l’una al
massimo a casa e guai a lei se beve alcool. Dille che se lo fa, finisce
in punizione fino alla fine dell’anno e quindi oltre a scuola
non solo non uscirà con Janet, ma soprattutto non
vedrà Dean. Vedrai che se le fai abbastanza paura,
seguirà gli ordini alla lettera.”
“Non
sono molto d’accordo.”
“Jared,
non farmi mettere te in punizione al mio ritorno.”
Jay sorrise
alla cornetta. “E cosa mi
negheresti?”
“Non
lo so ancora, ma qualcosa posso sempre inventarmi. Ora passamela al
telefono, che devo dirle una cosa.”
“Sophie!!!
Scendi, mamma al telefono!” Urlò Jared dal primo
scalino delle scale. La ragazza scese ancora con il broncio, gli occhi
che lanciavano fuoco e fiamme verso suo padre.
“Ciao,
mamma, come va in Italia?”
“Tutto
ok, a brevissimo vado a mangiarmi una pizza di quelle veramente
buone.”
“Ti
invidio, qui prevedo solo pop corn.”
“Ma
figurati, tu hai la festa, questa sera. Ti ho stirato il vestito,
quello blu con le pailettes. È nella lavanderia, appeso in
modo che non si sgualcisca.”
Sophie
sbuffò: “Papà
non mi ci vuole mandare!”
“Ci
ho parlato io con tuo padre e ci vai. Però segui quello che
ti dice di fare, altrimenti quando torno ti pentirai amaramente di aver
disubbidito, va bene?”
Jared vide la
trasformazione di sua figlia in presa diretta: improvvisamente non solo
un sorriso era sbocciato, ma gli occhi azzurri brillavano felici e
l’ombra scura e poco attraente era scomparsa dal viso. In una
parola, sembrava un’altra.
“Oh
sì! Grazie mamma, sei fantastica! Ti adoro.”
Immaginò anche Monica dall’altra parte come doveva
sentirsi in quel momento. “Sì, adesso te lo passo.
Grazie mamma e divertiti. Ti voglio bene!”
Sophie
andò di corsa in lavanderia a prendere il vestito,
canticchiando felice e lui riprese a parlare con la sua compagna. “Adesso
passerò io per il cattivo e crudele.”
“Ma
figurati, sei sempre il suo Daddy, no? Vedrai che domani mattina
sarà tutta un miele su di te. E vedi di non aspettarla
alzata, non dà l’idea di un papà che si
fida. Vai a letto e aspettala, ma non chiamarla.”
“Monica,
lo so. Quindi stai buona. Vai a mangiarti la tua pizza e fai la brava.
Non dar corda a nessuno di quei scrittori italiani.”
“Geloso?”
“Io?
Mai, figurati.” Monica sorrise. “Buona serata
tesoro.
“Buona
giornata Jay. E non fare cazzate.”
*Citazione
d’onore per Miss Hermione Granger
**Citazione
d’Onore per Supernatural