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Autore: Meggie    24/10/2011    3 recensioni
Blaine Anderson non è abituato a capire gli altri, forse perché nessuno si è mai sforzato di capire lui. Ma Blaine Anderson non è stupido. Non lo è affatto. [Kurt/Blaine]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Dave Karofsky, Kurt Hummel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: One Step Back
Fandom: Glee
Pairing/Personaggi: Blaine (Kurt/Blaine); Kurt; Dave Karofsky
Rating: PG13
Genere: Angst, introspettivo
Warning: Slash
Disclaimer: No, chiaramente Glee non è mio e non ci guadagno nulla (purtroppo).
Note: Partecipa a diecielode con “Per questo viaggio ci vuole coraggio” della compilation wTunes Marzo.
Riassunto: Blaine Anderson non è abituato a capire gli altri, forse perché nessuno si è mai sforzato di capire lui. Ma Blaine Anderson non è stupido. Non lo è affatto.

ONE STEP BACK

Blaine non è stupido. E non importa cosa gli hanno ripetuto troppe volte gli altri, cosa gli hanno urlato addosso.
Blaine sa di non esserlo.
Sa anche di essere diventato più attento, da quando sta insieme a Kurt. E Nick non fa che prenderlo in giro su quanto sia impossibile stargli accanto quando c’è anche Kurt, perché sembra sempre non accorgersi del resto del mondo e no, non è vero, ok? Non è vero che non si accorge di nulla. Solo che la sua attenzione è tutta su Kurt, adesso.
Lo osserva di continuo e non può farci niente, è più forte di lui ed è qualcosa che lo mette in imbarazzo con i suoi amici, ma non è qualcosa di cui si vergogna. È qualcosa di cui non si vergognerà mai.
Blaine ha imparato un sacco di cose osservando Kurt. L’ha sempre fatto, fin da quando l’ha incontrato per la prima volta su quelle scale, fin da quando si è girato e se l’è trovato davanti ed ha pensato “Wow”, fin da quando gli ha offerto un caffè e si è ritrovato a pensare ad un “Oh”, fin da quando gli ha scritto il suo numero di telefono su un pezzetto di carta e ha pensato “Ok, sarò tuo amico”.
Blaine ha imparato a non avere così tanta paura di quella parte di mondo che non indossa una divisa blu. Ha imparato a rischiare e a rialzarsi quando, puntualmente, le cose non sono andate come aveva sperato. Ha imparato a non accontentarsi, ha imparato che può rimanere in piedi anche senza i suoi amici a sorreggerlo, ha imparato ad essere meno perso nel suo mondo, a badare di più agli altri.
Blaine ha imparato ad osservare Kurt e ad accorgersi di ciò che lo circonda, a non sentirsi in dovere di tenere tutti a distanza, tutti al di là di una divisa, di uno stemma, di una scuola.
Ha imparato a guardare Kurt e ad osservare i suoi amici e chi gli sta attorno e tutte le persone e…
A volte Blaine si ritrova a sperare di tornare ad essere quel ragazzino con la divisa che vedeva solo mura attorno a sé, mura che lui stesso si era premurato di costruire.
A volte Blaine si ritrova a sperare di tornare ad essere perso nel suo mondo.
Invece non lo è più.
E Blaine non è stupido, anche se troppe volte l’hanno chiamato così – e anche peggio. L’hanno chiamato in modi orribili e se chiude gli occhi riesce ancora a sentire le loro voci, riesce ancora a sentire le loro mani addosso mentre lo tengono premuto sul marciapiede, riesce ancora a vederli. Riesce ancora a vedersi, piccolo e spaventato e sanguinante -, anche se troppe volte l’hanno fatto sentire inferiore, incapace di capire, incapace di cambiare.
Blaine non è stupido, ma mentre intreccia le dita con quelle di Kurt, mentre guarda dall’altra parte della stanza e vede Karofsky sorseggiare quello che, presume, sia caffè, si chiede perché non possa tornare almeno ad essere cieco.  

*
 
Quando Blaine ha iniziato ad indossare una divisa, quando è fuggito via da una scuola che l’aveva fatto a pezzi, che l’avevo distrutto con le sue parole sussurrate, che l’aveva ferito con le sue mani, che gli aveva fatto capire quanto le persone potessero essere cattive, Blaine ha deciso anche che avrebbe tenuto tutti a distanza. Una distanza di sicurezza, abbastanza da non farli avvicinare così tanto da permettere loro di ferirlo di nuovo.
Sorrisi composti, educazione, conversazioni superficiali e maschere di facciata.
Poi è arrivato Kurt. E non ha fatto nulla di straordinario. È arrivato Kurt e non ha portato con sé altre maschere. Ha portato solo se stesso.
Blaine l’ha visto piangere e ha pensato “Non farlo”. L’ha visto piccolo e distrutto e gli è sembrata la persona più forte al mondo. L’ha visto mentre cercavano di schiacciarlo, mentre tentavano di strappargli via la certezza di chi fosse, e ha visto tutti gli altri fallire.
Kurt si è fatto vedere senza maschere a coprirlo. Senza la paura di essere ferito di nuovo.
Blaine ne è rimasto affascinato.
Blaine ne è affascinato tuttora.
Non sa se arriverà mai ad un livello tale di fiducia negli altri. Non sa se riuscirà mai ad essere come Kurt.
Kurt vede solo il meglio nelle persone. E possono ferirlo, ma non smetterà di vedere il loro lato migliore.
Blaine vede il meglio nelle persone perché non riesce a capirle. Ma una volta che si accorge di quanto possono anche fare male, non riesce più a vedere nient’altro.
Ecco perché Blaine è insieme ammirato e impaurito davanti alle macchinazioni di Santana. È un po’ la stessa reazione che provoca sempre in lui il McKinley.
Non ne è felice.
Blaine vede gli occhi di Kurt brillare mentre racconta che presto – troppo presto. Troppo. Blaine non riesce a pensare che solo in un paio di giorni… - sarà di nuovo con i suoi amici. E Blaine vorrebbe dirgli “Ma anche questi, anche i Warblers sono tuoi amici”, ma sa che non è lo stesso.
Non è felice di vederlo andare nelle mani di Santana. E di Karofsky. Non si fida di loro, non si fida di quella scuola, non si fida degli amici di Kurt. Non dice nulla, però, perché non ne ha alcun diritto.
E Blaine sa che è un pensiero egoistico. E sa che dovrebbe essere felice per Kurt. E lo è. Ma ha anche sedici anni e vorrebbe solo continuare ad avere quelle poche certezze nella sua vita. Vorrebbe continuare ad avere Kurt accanto a sé, prenderlo per mano mentre cammina per i corridoi, guardarlo entrare in classi che non condividono per poi ritrovarsi nuovamente insieme al termine delle lezioni, sentirlo armonizzare seduto accanto a lui durante le prove dei Warblers.
Sa che deve lasciarlo andare. Sa che lo deve fare perché Kurt non è suo, non può trattenerlo tra le sue mani, perché Kurt è più grande di qualsiasi cosa Blaine riesca a pensare. Kurt brilla e Blaine è felice di guardarlo risplendere.
Deve solo imparare ad essere felice di vederlo illuminare gli altri quando è così lontano da lui. Quando è nelle mani degli altri.
Non sa se ne sarà capace.

*

Blaine vorrebbe rimanere ancora un po’. Vorrebbe restare abbracciato a Kurt e non lasciarlo andare. Non pensa che Kurt abbia bisogno di lui. Forse c’è stato un momento in cui è stato così. Forse c’è stato un momento in cui sì, Kurt era troppo debole per stare in piedi da solo e allora si appoggiato per un po’ di tempo a lui, ma adesso quel tempo è passato.
Non è Kurt che ha bisogno di lui. È Blaine che ha bisogno di Kurt. Ne ha bisogno e non sa neppure spiegarlo. Ne ha bisogno per vedere gli altri. Ne ha bisogno per vedere il mondo. Ne ha bisogno per essere se stesso, per non aver paura di sorridere anche quando non sta cantando. Non può passare tutta la sua vita davanti ad un microfono, non può parlare sempre e solo attraverso le canzoni. A volte deve trovare lui le parole giuste e spesso sono sempre tutte sbagliate, ma è già qualcosa.
Kurt gli ha insegnato che, almeno, può provarci.
Blaine lo guarda abbracciare i suoi amici e non riesce a non pensare che gli mancherà, che gli mancherà terribilmente e che è stupido, perché non si stanno lasciando e possono farcela e Blaine non ne dubita, non veramente. Ma ogni tanto vorrebbe smetterla di essere un piccolo superuomo nascosto in una divisa. Ogni tanto vorrebbe essere abbracciato e basta.
Kurt lo abbraccia di continuo, ma è l’unico a farlo.
Sua madre ci prova ancora, ogni tanto. Ma neppure lei ci crede veramente. E suo padre ha smesso di abbracciarlo da tempo, forse dopo aver considerato che non è qualcosa di abbastanza virile da donare a suo figlio. Blaine non ne ha idea.
Blaine sospira, lancia un’ultima occhiata a Kurt e inizia a risalire le scale. Deve tornare alla Dalton e concentrarsi sulle lezioni del pomeriggio e poi dovrà chiamare Kurt per sapere com’è andata la prima giornata e-
Wes gli dà una pacca sulla spalla e Blaine si gira verso di lui per sorridergli. È in quel momento che lo vede. Karofsky. Appoggiato ad una delle ringhiere, insieme a quelli che sono, ipotizza, i suoi compagni di squadra. Ammasso uniforme che si aggira per la scuola con la divisa di football come protezione.
Karofsky lo sta guardando in un modo che Blaine non riesce a decifrare totalmente. Non è mai stato bravo a capire le persone, Kurt glielo ha fatto notare più volte e Blaine non ha mai avuto il coraggio di negarlo.
Ma Blaine non è stupido.
E forse si sbaglia, così come si è sbagliato un mucchio di altre volte, ma ciò che vede non gli piace. Non gli piace quello sguardo, non gli piace il modo in cui Karofsky lo sta guardando, non gli piace dover andare via.
E lasciare lì Kurt.
“Vieni?”
Blaine si gira verso Nick e annuisce. Non si gira più a guardare Karofsky, ma mentre sale l’ultimo scalino sente comunque i suoi occhi puntati addosso.
 
*

 “…e ammetto che avere Santana o Dave” – Dave, pensa Blaine con una smorfia. Dave. – “sempre incollati al mio fianco non è esattamente il massimo della vita, ma nessuno mi sta dando fastidio e… è già qualcosa, no?”
Blaine deglutisce, mentre cerca di catturare tutta la speranza della voce di Kurt e farla propria. Nessuno ti sta dando fastidio perché era Dave quello che ti sbatteva contro gli armadietti, pensa. “È già qualcosa, sì,” dice invece “e sono contento per te, Kurt,” aggiunge.
Lo è veramente. Solo che non dice tutto il resto. Lo tiene dentro, al sicuro, perché è così che deve comportarsi ed è così che è giusto ed è così che dev’essere.
Kurt riprende a parlare al telefono e quando Blaine lo sente descrivere di come ha cantato As if we never said goodbye davanti a tutto il glee club, il desiderio feroce di essere lì accanto a lui, di ascoltarlo, si fa ancora più pressante.
Ma chiude gli occhi e cerca di non pensarci, e l’unica cosa che riesce a dire, le uniche parole che riescono ad oltrepassare il nodo che ha in gola sono “Avrei voluto essere lì”.
È tutto ciò che riesce a dire.

*

 Blaine decide di fare una sorpresa a Kurt. Non importa se deve guidare per due ore e probabilmente non potranno neppure stare insieme molto, perché Kurt dovrà andare a casa a fare i compiti e poi inizierà a fare buio e-
Blaine ne ha bisogno. Deve vederlo e se ne frega se dovrà aspettare la fine delle prove del glee club, se ne frega se non potrà passare un intero pomeriggio a baciarlo, se ne frega e basta.
Si infila in macchina, percorre quelle strade che ormai ha imparato a memoria, armonizza con le canzoni che passano alla radio e cerca di non pensare ad altro. Non ci riesce molto bene. La sua mente è costellata di immagini di Kurt e della sua risata e del modo in cui arriccia le labbra quando sta per emettere uno dei suoi  commenti verso qualcuno o di come assottiglia gli occhi quando sta cercando di capire se una persona lo sta prendendo in giro o meno.
Blaine si chiede quando ha imparato a leggere così bene ogni più piccola espressione di Kurt, e forse è da quando ha iniziato a guardarlo veramente, forse il punto è sempre lì.
Quando Blaine entra nel parcheggio del McKinley, si guarda attorno per un momento, prima di notarlo.
Karofsky è appoggiato ad una macchina, la sua probabilmente, e Blaine non sa cosa pensare. Sembra che stia aspettando qualcosa – o qualcuno. Andiamo Blaine, non sei stupido. Non lo sei  – e Blaine vorrebbe non badarci, ma non ci riesce.
Quando vede la porta del McKinley aprirsi, quando vedere Kurt uscire affiancato da Finn, Blaine aspetta per un istante prima di scendere dalla macchina. Aspetta fino a quando non vede l’espressione di Karofsky. Aspetta fino a quando non sente qualcosa, all’altezza dello stomaco, che non gli piace per niente, che gli fa venire voglia di scendere dalla macchina e andare verso di lui e spingerlo via, via da lui, via da quella scuola, via da Kurt. Proprio come aveva cercato di fare quella sera quando se l’erano ritrovato tra i piedi, lui e Kurt.
Aspetta fino a quando non riconosce quello sguardo, perché Blaine non è stupido e quello sguardo lo conosce fin troppo bene.
È in quel momento che apre la portiera e scende dalla macchina.
“Kurt!” urla, forzando un sorriso che non può non diventare sincero quando Kurt si gira verso di lui. E quando si ritrova Kurt tra le braccia, quando può stringerselo addosso e respirare il profumo dei suoi capelli e sentirlo sotto le dita ed è lì, proprio lì, e nessuno può toglierglielo perché è suo, perché in quel momento si sente solo possessivo e geloso e piccolo e infantile, torna a respirare normalmente.
Quando solleva lo sguardo dalla spalla di Kurt, Karofsky lo sta guardando. E i suoi occhi sono diversi adesso che sono puntati addosso a lui, ma Blaine non si aspettava nient’altro.
Ricambia la sua occhiata, prima di chiudere gli occhi e stringersi maggiormente a Kurt. Quando li riapre, Karofsky è già in macchina.

*

Blaine non sa perché lo sta facendo. O forse sì, forse ha una risposta, ma non è quella che vorrebbe avere e quindi fa finta di nulla. È più facile. Ha imparato ad ignorare le cose anni prima e anche se Kurt l’ha migliorato non è ancora totalmente fuori da questo tunnel.
Quindi fa l’unica cosa che gli viene in mente per sapere qualcosa su Dave Karofsky. Non sa il perché – o forse sì -, ma il punto non è quello. Forse non c’è neppure, un punto.
Forse c’è solo un problema e il problema è che Dave Karofsky, al momento, per lui è solo un nome e delle azioni. Sa chi è, ma non lo capisce. E Blaine non sa perché gli importi tanto – o forse sì -, non sa perché gli serva sapere qualcosa in più. Blaine non ha mai voluto sapere nulla delle persone che lo tormentavano alla sua vecchia scuola. Non voleva sapere delle loro famiglie o dei loro hobby o di cosa passasse per la loro testa. Gli bastavano gli sguardi schifati e i “finocchio” urlati nel corridoio. Gli è bastato essere sbattuto su un marciapiede ed essere chiamato con nomi orribili, nomi a cui non vuole neppure pensare.
Non gli è mai interessato il perché di tutto quello.
Ma Kurt…
A Kurt interessano sempre tutti e sempre troppo. Troppo attento, troppo compassionevole, troppo gentile. E Blaine non pensa di essere cattivo, non lo pensa affatto, ma non riesce a perdonare in questo modo. Non ci riesce.
Quindi fa l’unica cosa che gli viene in mente per sapere qualcosa su Dave Karofsky… senza chiedere in giro di parlargli di Dave Karofsky.
Apre FaceBook e si mette a digitare il suo nome. E lo trova, lì, primo nell’elenco e con un amico in comune con lui. Finn. Ovviamente.
Cerca di non pensarci e clicca sul suo nome e poi… poi non accade nulla. Blaine non saprebbe dire cosa si aspettava, ma non c’è nulla di strano in quella pagina. Nulla di sconvolgente. Solo football, conversazioni con amici – e Blaine quasi si sorprende di quanto siano normali. Battute sui compiti o sui professori, il nuovo singolo di Dr. Dre da ascoltare, qualche organizzazione per una serata davanti ai videogiochi -, qualche foto. Non c’è nulla di strano.
È solo quando apre la pagina delle informazioni del suo profilo che si concede una smorfia. È solo quando legge quel “Mi piacciono: Donne”, che scuote la testa.
Non sa a cosa pensare.
È solo più confuso di prima. E le risposte che non stava cercando – o forse sì – non sono comunque su quella pagina di FaceBook. E Blaine ha paura di sapere dove si nascondono. Blaine ha paura che quello che non vuole sia in realtà quello che vede ogni volta negli occhi di Karofsky, quel qualcosa che non vuole riconoscere – ormai non fa neppure più finta di non sapere cosa sia. Blaine non è stupido, deve essere lui il primo a smettere di pensare di esserlo.

*

A Blaine non piace il McKinley. Non gli piace perché gli ricorda troppo la sua vecchia scuola. Troppo grande e troppo piena di persone che non ti rivolgeranno mai uno sguardo, non dopo che tutti hanno saputo che sei gay. Dal gradino più alto a quello più basso nel giro di un giorno. Dall’amico di tutti al lebbroso sociale.
Blaine odia il ricordo. Odia la sensazione di voler sparire, di voler essere inglobato dalle mura così da poter evitare gli sguardi e le risatine e le battute e i nomi e tutto.
A Blaine non piace il McKinley, ma lì nessuno sa chi sia. Può entrare indisturbato, camminare per i corridoi e aspettare Kurt direttamente vicino al suo armadietto.
A Blaine non piace quella scuola, ma l’idea di passare tutto il pomeriggio con Kurt lo rende incurante del resto. Niente prove del Glee Club per Kurt e niente lezioni pomeridiane per lui. È tutto perfetto.
Non presta troppa attenzione agli altri, continua a camminare verso gli armadietti, sperando di arrivare lì prima di Kurt. Quando svolta l’angolo, però, il sorriso che aveva sulle labbra si smorza.
Kurt è davanti a lui, ma non è solo. Karofksy gli è affianco, infilato in quella stupida giacca rossa. Blaine sa che è così che funziona, adesso. Kurt gliel’ha raccontato. Kurt glielo racconta ogni giorno. Solo che a Blaine non piace per niente quella vista. E non gli piace il modo in cui la spalla di Karofsky si sfrega contro quella di Kurt. Non gli piace come Karofsky volta leggermente la testa verso l’altro.
“Hey, Kurt!” esclama alla fine. E quando Kurt si gira con un sorriso sulle labbra, Blaine non può fare a meno di lanciare un’occhiata a Karofsky.
“Blaine!” e si vede che Kurt vorrebbe fare qualcosa di più. Sfiorargli il braccio, afferrargli la mano, baciarlo, ma non può.
Blaine odia quella scuola. Odia quella sensazione.
“Avresti potuto aspettarmi fuori, non c’era bisogno che entrassi,” prosegue Kurt, ignaro dell’occhiata che Karofksy sta rivolgendo a Blaine.
E Blaine si stringe nelle spalle. Non risponde, perché non c’è un motivo. O forse sì.
Ma non può dirlo ad alta voce. Non può dirgli che sì, volevo vederti il prima possibile e portarti via da questa scuola e portarti via da lui e non sopporto come ti guarda ok? Non lo sopporto più.
Non può dirglielo, perché sa che Kurt non si è accorto di nulla. Almeno lui.
“Ok, vado a mettere giù questo,” dice indicando il libro che ha in mano “e torno subito. Grazie Dave, a domani,” conclude rivolgendosi a Karofsky, prima di girarsi e dirigersi verso il suo armadietto.
Blaine deglutisce e infila le mani in tasca, mentre Karofsky si gira nuovamente verso di lui. E a Blaine non piace per niente il modo con cui lo sta guardando.
Come se fosse un insetto.
Come se fosse stupido e non capisse.
Blaine non è stupido.
“Senti,” e la sua voce esce senza essere programmata perché Blaine non aveva nessuna intenzione di parlare, ma…
E adesso Karofsky lo sta guardando come se si aspettasse qualcosa e probabilmente ha ragione perché è Blaine ad averlo bloccato. Il punto è che non ha idea di cosa dire.
“Vedi di lasciarlo in pace, ok?” borbotta poi, guardandolo negli occhi.
Karofsky aggrotta le sopracciglia. Sembra sorpreso e probabilmente lo è sul serio. “Non ho più fatto nulla da quando è tornato e controllo che anche-“
“Non intendo quello,” lo interrompe Blaine. E vorrebbe tirarsi un calcio da solo perché non è il momento e dovrebbe stare zitto e forse sarebbe meglio, ma non ci riesce. “intendo…” …come lo guardi, come lo vuoi, come lo sfiori e lo vorresti toccare, come pensi a lui, come non dovresti pensarci affatto, come non hai neppure il coraggio di ammetterlo.
Non finisce la frase e spera che Karofsky colga da solo il senso di quello che gli sta dicendo.
Fai un passo indietro, perché il momento in cui farai un passo verso di lui non riuscirò a trattenermi.
Karofsky assottiglia le labbra e si guarda velocemente attorno prima di rispondere. Non c’è quasi più nessuno, ma Kurt sta tornando, quindi non c’è tempo.
Lo guarda negli occhi e Blaine riconosce subito quello sguardo. “Io… ho tempo. E quando ti mollerà…” scuote la testa e lascia la frase in sospeso, lanciando l’ultima occhiata verso Kurt “io lo aspetterò,” conclude alla fine, allontanandosi da lui.
Blaine stringe le mani a pugno e non riesce a rilassarsi neppure quando Kurt gli annuncia che se ne possono andare.

*

Blaine è teso e non c’è modo di nasconderlo. Kurt lo sente e ogni volta che si gira a guardarlo gli rivolge un sorriso piccolo e timido, ma rassicurante. Sono qui. Sono qui, Blaine.
Aiuta, ma non è abbastanza.
E Blaine vorrebbe allungare una mano e afferrare quella di Kurt. Vorrebbe poter ballare con lui, proprio come stanno facendo tutti gli altri. Vorrebbe aggrapparsi alle sue spalle e ridere e baciarlo e godersi la serata e far divertire Kurt, perché è lì solo per quello, per Kurt, perché sa quanto sia importante per lui, perché sa che il ricordo del ballo è uno dei più dolci da portare con sé nell’età adulta. A Blaine non importa particolarmente. Gli è bastata la prima volta e non avrebbe voluto ripetere l’esperienza.
Ma Kurt…
Lo guarda con la coda dell’occhio, in piedi accanto a lui, e non sa che fare. Vorrebbe chiedergli di ballare. Lo vorrebbe così tanto. E sa che Kurt lo desidera, lo sa, non è stupido. Sa anche che Kurt non insisterà mai. Sa che non gli importerà se non troverà il coraggio di chiederglielo. E sa che lo lascerà scegliere. Kurt non gli chiederà di ballare, perché spetta a lui decidere cosa vuole fare.
E Blaine non lo sa.
Blaine guarda le altre coppie sulla pista e sembrano tutti così felici che quasi ha la tentazione di afferrare la mano di Kurt e trascinarlo a ballare, ma poi non capisce se è solo la sua immaginazione o cos’altro, ma gli sembra che qualcuno guardi dalla loro parte e allora torna ad immobilizzarsi e ad aver paura e non sa che fare.
Vede Kurt sorseggiare il suo cocktail alla frutta e si chiede perché non possa essere come lui. Un po’ più coraggioso. Non così tanto da indossare un kilt e far vedere a tutti di avere un ragazzo in una scuola che palesemente non lo capisce, ma abbastanza per permettergli di fare un passo in più.
Blaine sospira e torna ad osservare la pista e quando vede un abito rosso muoversi davanti a lui, non può fare a meno di serrare la mascella nel seguire gli spostamenti di Santana e Karofsky, abbracciati l’uno all’altra.
E da sopra la spalla di Santana, Karofsky lo guarda e la sua espressione gli fa male. Non dovrebbe. Non dovrebbe perché Blaine non si fida, non riesce a farlo, ma sa fin troppo bene cosa vuol dire quello sguardo. Sa fin troppo bene cosa vuol dire volere qualcosa, volerlo ardentemente, e non sapere come fare per ottenerlo.
Non si fida di Karofsky, ma ha paura di iniziare a capirlo.

*

Ha voglia di gridare, ha voglia di farsi strada in mezzo a quell’ammasso di idioti, prendere Kurt e portarlo via e Dio, perché?
Ha voglia di prenderli a pugni, tutti, dal primo all’ultimo e non importa se non l’hanno votato tutti, se li meriterebbero ugualmente perché hanno permesso che accadesse.
E invece è fermo immobile a guardare Kurt che sale sul palco e viene incoronato fottuta reginetta del ballo. È fermo immobile a pensare a quanto sia fiero di Kurt, a quanto sia forte e migliore di lui e a quanto vorrebbe assomigliargli anche solo un pochino, a quanto non lo sarà mai e a quanto si senta stupido per tutto quello.
Ha voglia di abbracciarlo e di tenerlo stretto e di non mostrarlo al mondo, perché il mondo, quel mondo, non riuscirà mai a capirlo. Ma sa che non può farlo, perché Kurt è troppo grande per essere trattenuto, è troppo grande per essere nascosto e lo sta dimostrando ancora una volta e Blaine vorrebbe puntargli il dito contro e gridare “Quello è il mio ragazzo”.
Quando Kurt inizia a scendere gli scalini, Blaine non riesce a non notare Karofsky.  A come faccia passare con gli occhi, uno per uno, tutte le persone attorno. A come le sue mani abbiano iniziato a tremare leggermente. A come, nel suo sguardo, ci sia in egual misura la voglia e la paura.
Quando Karofsky arriva a guardare Blaine negli occhi si blocca per un istante. E Blaine non sa di preciso cosa stia pensando, non lo sa, ma la voglia di andare verso di lui e spostarlo da Kurt è tanta. Non vuole che balli con lui. Non sa se lo farà o se ci sta pensando o cosa, ma non vuole.
Blaine fa un passo verso di lui, ma prima che possa fa qualsiasi cosa, Karofsky si gira verso Kurt.
“Non posso,” lo vede mormorare Blaine, prima di guardarlo allontanarsi da Kurt.
Fai un passo indietro.
Karofsky passa accanto a lui e Blaine solleva lo sguardo giusto in tempo per sentirgli mormorare “Non te lo lascerò per sempre”.
E Blaine avrebbe voglia di mettersi a ridere o di chiamarlo ipocrita, ma in realtà ha solo paura. Ha paura che un giorno qualcuno glielo porti via veramente. E potrebbe essere Karofsky o qualcun altro. Potrebbe essere chiunque e potrebbe succedere.
Ha paura di ritrovarsi di nuovo da solo e ferito. Di nuovo scoperto e senza maschere e con tagli che non sa se riuscirebbe a ricucire per l’ennesima volta.
C’è stato un tempo in cui nessuno avrebbe più potuto fargli così male, c’è stato un tempo in cui qualcuno come Karofsky non l’avrebbe neppure sfiorato, perché Blaine non aveva nulla di abbastanza vicino da toccarlo veramente.
Quando allunga la mano verso Kurt, quando si sente tutti gli occhi puntati addosso e pensa “Un tempo non l’avrei fatto. Un tempo sarei scappato. Un tempo non avevo Kurt a prendermi la mano, però”, quando si ritrova a ballare con lui in mezzo alla pista, Blaine decide che forse alcune cose ne valgono la pena. Che forse aprirsi agli altri, osservarli e ascoltarli e fargli intravedere qualcosa di sé, non è così male. Che forse un giorno questo lo porterà a soffrire di nuovo, ma non vuole pensarci.
Blaine si stringe a Kurt e ondeggia a ritmo di musica, e non pensa ad altro se non a quel momento. Non pensa alla corona che ha in testa Kurt, non pensa a ciò che è successo quella sera, non pensa a Karofksy.
Pensa che ballare con Kurt è bellissimo. E che forse farà tardi al coprifuoco perché passerà troppo tempo con lui sul sedile posteriore della macchina.

*

Dave ha una mano sulla maniglia della porta, ma si gira un’ultima volta verso Kurt. Lo guarda ballare stretto a Blaine, prima di sfilarsi la corona dalla testa e uscire da lì.
Non si sente un re. Non si sente un vincente.
Non fa che perdere perdere perdere e non ha idea di come cambiare le carte in tavola perché non ha ancora capito a che gioco sta giocando.
Non ha neppure capito chi ha iniziato la partita o perché.
E vorrebbe togliersi dal gioco, vorrebbe chiamarsi fuori, ma non sa come fare.
Solo passi indietro. Solo quello. Solo passi indietro. Indietro verso ciò che era prima, per accontentare suo padre. Indietro per allontanarsi da Kurt, perché non avrebbe neppure il coraggio di sfiorarlo.
Sempre e solo indietro.
Dave sospira, guardando la corona nelle proprie mani, e decide che per quella sera ne ha avuto abbastanza. Si allenta la cravatta ed esce dalla palestra. E a casa accenderà un po’ il computer e ammazzerà qualche zombie e…
Forse almeno con quello riuscirà a vincere.  

FINE

Ok, questa è la prima di due fic che ho scritto in un arco di tempo limitatissimo (una settimana, a dir tanto) ed è nata quando la liz (che ringrazio perché se l’è anche betata, fornendomi come sempre dei commenti bellissimi e voi non potete immaginare, ok? ;_;) ha linkato su twitter queste gif che poi hanno dato il via per la scena ambientata nel corridoio. In realtà è rimasto molto molto poco delle gif, perché non riuscivo a ritrovarle e non mi ricordavo il dialogo, ma insomma, dettagli X’D
Come sempre doveva essere una brevissima storia, ma come sempre con me, le storie, non sono mai brevissime. Quindi quella che doveva essere una fic di un pugno di parole si è trasformata in un viaggio all’interno della mente umana di Blaine Anderson, analisi completa parte uno. Ognuno ha i suoi problemi, io ho questi, che vogliamo farci? XD
Spero comunque che vi sia piaciuta, perché io mi sono divertita un mondo a scriverla e ad esplorare tutto ciò che c’è in quella sua testolina riccioluta <3
E domani o al massimo il giorno dopo, arriverà l’altra fic, questa volta CrissColfer :)

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