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Autore: LazyLuchi    25/10/2011    6 recensioni
“[…] Per il suo ultimo progetto, la L.B.S. ha scelto di puntare su una mente giovane. Gli scienziati più famosi al mondo under 30 hanno protestato quando hanno scoperto che la suddetta mente è Blaine Anderson, 22 anni, due lauree alla Central University e un futuro promettente nella scienza. […]”
Siamo nell'anno 2437.
Blaine crede che la sua vita sia perfetta. Un misterioso esperimento gli dimostrerà che non è così.
Perchè ciò che cerca vive in un altro secolo...
Genere: Introspettivo, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3 – Just begin to know you

 

Ok, no.

Perché diavolo mi fossi messo a pensare certe cose su uno sconosciuto proprio non mi era chiaro.

Kurt era oggettivamente bellissimo, i suoi modi e atteggiamenti avevano un che di affascinante. Ma rimaneva uno sconosciuto.

 

È lui significa che è lui che studierò. Non è lui in senso oh, eccoti. Ti ho cercato tutta la vita.

 

Rifiutavo di ammettere a me stesso che, guardando quel ragazzo, mi erano tornati in mente i ricordi di quando avevo 16 anni.

Mi ero convinto di non aver mai avuto 16 anni.

16 anni per me significavano solo un enorme sbaglio.

 

 

Il modo migliore per studiare da vicino una persona è vivere a stretto contatto con la persona in questione, avevo riflettuto. Ecco perché avevo passato due settimane a cercare un appartamento, prima di attirare Kurt nella mia “trappola”.

Una cosa che stava prendendo alla sprovvista la mia mente calcolatrice erano i tempi del XXI secolo. Credevo di dover cercare un soggetto per i miei studi per settimane e invece l’avevo trovato il primo giorno. Avevo previsto un periodo di ricerca di sei mesi per trovare un’abitazione, ma, dopo solo due settimane, una coppia di anziani mi aveva offerto il loro appartamento, poiché avevano necessità di affittare il prima possibile. Avevo detto loro che, se avessi trovato un inquilino disposto a dividere l’affitto con me, avrei accettato. Avevano percepito nel mio sguardo la convinzione che presto il locale sarebbe stato occupato.

Ed ora ero lì, con Kurt, per controllare che l’appartamento andasse bene anche a lui.

- Sai, devo ammettere che sono sorpreso. – disse, sbucando da una porta alle mie spalle.

Dovevo ancora abituarmi alla sua voce, acuta ma piacevole.

- Ecco dov’eri! Perché sei sorpreso? – chiesi. Mi affiancai a lui per proseguire nella stanza successiva.

- Perché mi hai davvero richiamato. Sinceramente, credevo che la tua fosse solo una proposta. Oppure che non avessi ancora effettivamente trovato un appartamento, siccome io sono mesi che ne cerco uno. Invece arrivi tu e hai già il contratto in mano. – rispose, sorridendomi.

- Sono un uomo pieno di risorse. – scherzai.

- Ma non economiche, a quanto pare, considerato che dovrai dividere l’affitto con me.

- Beh, quest-… Aspetta, era un modo per dire che accetti?

Ci guardammo. Abbassai subito gli occhi quando incrociai il suo sguardo. Non sapevo perché l’avevo fatto, era stato istintivo, meccanico.

Sorrise ancora, annuendo.

 

La settimana dopo stavamo firmando il contratto. Il mio cellulare continuava a vibrare, poiché Simone sprecava il suo tempo mandandomi sms di congratulazioni per “l’eccezionale rapidità e diligenza” che stavo dimostrando. A ogni messaggio mi scappava un sorrisetto e, considerando la quantità considerevole di sms che mi arrivavano – stavano forse sperimentando un modo per mandarli più velocemente da un secolo all’altro? -, non fui sorpreso quando Kurt se ne accorse.

- Perché continui a sorridere? – domandò, mentre uscivamo dallo studio legale. Mi guardava con un sopraciglio alzato, lo sguardo diceva vagamente “ma è pazzo o cosa?”.

- Oh, scusa, niente. È che… Niente.

Scossi la testa, una risatina ancora sulle labbra.

- Darren. – mi chiamò. Il mio cervello ci mise un decimo di secondo in più a reagire a quel nome e i miei occhi un secondo in più ad alzarsi.

- Nonostante tu sembri pazzo prima ancora di cominciare a convivere col sottoscritto, vorrei comunque conoscerti meglio, perciò che ne dici di-

- Vuoi prendere un caffè con me? – lo interruppi.

Ero abbastanza convinto che stesse per chiedermi esattamente quello. Sorrisi raggiante nel vedere la sua bocca effettivamente semiaperta e le sopraciglia aggrottate. Mi guardò senza rispondere, perciò lo presi per mano e lo tirai verso la mia macchina.

- Dai! – esclamai, ridendo ancora della sua teatrale espressività.

Imprecò sottovoce, rischiando di inciampare più volte.

- Usi qualcosa per avere delle mani così morbide? – chiesi, appena fui seduto al posto del guidatore.

Kurt, di fianco a me, si guardò le mani aperte di fronte a se. Aveva abbandonato la faccia stranita non appena la mia mano aveva abbandonato la sua.

- Effettivamente sì. Sei il primo che lo nota.

Sospirò, volgendo lo sguardo verso di me.

- Cosa? Sono morbidissime, non ci credo che nessuno l’ha mai- Oh.

Ci pensai solo dopo, troppo preso dall’incredulità.

Forse nessuno l’aveva notato perché nessuno l’aveva mai preso per mano.

Vidi un’ombra incupire i suoi occhi limpidi, perciò decisi di cambiare argomento. Sconosciuto finché vuoi, ma vedere qualcosa di negativo negli occhi di una persona dava sempre un certo dispiacere, nonostante non sapessi la causa di quell’alone.

- Aaaaaaaaallora, hai accennato alla convivenza con te in modo drammatico. Sei così…? – cominciai, cercando di distrarlo.

- Rompipalle? Oh, non ne hai idea. – completò.

Mentre guidavo verso il Lima Bean, Kurt mi esplicitò nei minimi dettagli le cose che potevo e non potevo fare e quello che dovevo e non dovevo fare. Era buffo vederlo così loquace ed espressivo. Lo vedevo molto più rilassato rispetto a pochi minuti prima e questo mi faceva sentire vagamente orgoglioso.

- Ok, mi stai demolendo l’ottimismo. – dissi, all’ennesimo “Non ti avvicinare neanche alle mie creme idratanti perché possiedo dei sai e conosco esattamente come usarli!”.

Sorrise.

- Oh, tranquillo. Spesso sono come una mamma. Cioè, Finn mi definisce così. Credo intenda dire che divento protettivo e premuroso in caso di bisogno.

- Questa parte mi piace già di più.

Non potevo fare a meno di sorridere davanti alla sua espressione serena.

- Chi è Finn?

- Il mio fratellastro.

- Oh. Prima o poi dovrai raccontarmi tutto della tua famiglia.

- Cos’è, una minaccia?

Risi, scuotendo la testa mentre parcheggiavo la macchina.

- Lima Bean? – domandò Kurt, con una nota di scetticismo nella voce, mentre spegnevo il motore.

Il panico mi assalì per un attimo. Gli avevo proposto solo un caffè, ma forse… Dovevo portarlo da qualche altra parte? Cosa pensava di me ora che lo avevo portato in una caffetteria?

- …Si? – dissi, non troppo convinto.

Mi fissò per un momento, prima di aprirsi in un sorriso.

- Esisti davvero?

- Eh?

- Io adoro il Lima Bean! Non ho idea di come tu facessi a saperlo, - scese dalla macchina. – ma è così!

Scoppiai a ridere, seguendolo all’interno del locale.

- Non ci credo. Anche io adoro questo posto. – confessai.

Posai una mano sulla sua per impedirgli di prendere il portafoglio – porca miseria, quanto era morbida!

Ribadii il concetto scuotendo la testa quando alzò lo sguardo interrogativo verso di me. Le sue gote erano più rosee di prima o era solo la distanza ravvicinata a farle sembrare tali? Evitai di chiedermelo e andai ad ordinare il caffè per entrambi.

- Ecco qua. Latte macchiato scremato per te e cappuccino medio per me.

Appoggiai le tazze e mi sedetti davanti a Kurt.

- Grazie mille.

Cominciammo a parlare. Per lo più davamo informazioni generali su noi stessi, riguardo alla scuola e i ritmi di vita – il minimo necessario per convivere, insomma.

- Non ti ho mai visto al McKinley. – disse.

- Perché non l’ho frequentato. Sono andato alla Dalton Accademy.

- Ci sono stato anche io lì! Dovevo spiare il loro Glee Club.

- Hai spiato i Warblers? – domandai incredulo.

Annuì soddisfatto, prima di bere un sorso del suo latte.

- Hai spiato i miei amati Warblers? – ripetei.

- Come mai la cosa ti sconvolge tanto?

- Perché ne facevo parte. Anzi, ero il solista!

La sua bocca era semiaperta.

- Strano. Non ti ho visto.

- Beh, sono un anno più giovane, magari non ero ancora iscritto.

Fece spallucce.

- Come mai li hai spiati?

- Mi avevano mandato quelli del mio Glee Club.

- Facevi parte del Glee Club?

Per un attimo, rividi quell’ombra attraversare il suo sguardo, mentre il suo sorriso si affievoliva.

- Sì. – sussurrò.

Mi ero trovato spesso in situazioni del genere. Nella compagnia, io ero Blaine, l’amico che c’è sempre per consolarti e strapparti qualche risata. Ma ora non ero Blaine, ora ero Darren. E, per quanto lo volessi, Kurt non era ancora mio amico. Nessuna pacca sulla spalla, nessuna stretta di mano, nessun abbraccio.

- I Warblers erano una cosa assurda! Sai che quando ci entri devi studiarti tutte le loro tradizioni? È un libro di 120 pagine!

Cominciai a parlare, raccontai aneddoti risalenti al mio periodo come cantante, riuscii a strappargli prima un sorriso e poi qualche risata.

- … e mi svegliai con qualche paio di occhiali in più e qualche ricciolo in meno!

Scoppiò a ridere per la centesima volta. Mi guardò col suo sguardo limpido, così puro e splendente da comunicare più delle sue parole. Nonostante avessi capito il messaggio che voleva esprimere, lo tradusse in suoni.

- Grazie, Darren.

Sorrisi, incontrando per la prima volta dopo settimane i suoi occhi.

- E di che?

 

- DARREN SEI UN INCAPACE!

- Che ho fatto adesso?!

Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, per evitare di farmi male fisicamente.

- Hai sbagliato il colore della vernice. Di nuovo! – sbottò, alzando le braccia.

- Eh? Ancora? Ma non è possibile!

- Lo credevo anche io, ma evidentemente sei più incapace di quanto pensassi!

- Ehi, piano con le parole!

- Oh, scusa se non c’è altro modo per definirti!

Sbuffai.

Kurt e io stavamo facendo dei lavori nel nuovo appartamento. Priorità: ridipingere le pareti. I proprietari non solo avevano acconsentito, ma ne erano stati addirittura felici, constatando da quanto tempo le pareti avessero bisogno di una rinfrescata.

Ci avevano dato carta bianca – forse questo era stato un errore. Quello che non avrei mai immaginato era che Kurt fosse così pignolo. Ero andato a riprendere la vernice già quattro volte e glielo feci presente.

- Cos’ha che non va questo azzurro? È stupendo! – tentai di giustificarmi.

- Su questo concordo, ma non è l’azzurro che ti avevo chiesto. Io volevo l’azzurro ghiaccio, questo è azzurro chiaro.

- E qual è la differenza?

- Che questo è più scuro.

In quel momento, guardandolo scettico, ebbi una folgorazione. Che idea bastarda che mi era venuta.

- Oh. Beh, magari sulle parenti si schiarisce.

- Non toccare i muri della mia camera!

Sapevo che avresti risposto così.

Affondai le punte delle dita nella vernice fresca, poi sollevai la mano. Mi avvicinai a Kurt molto lentamente, osservando con un ghigno la sua espressione terrorizzata.

- Darren, c-che vuoi fare?

- Niente, solo controllare come appare questa vernice su una superficie bianca. – sussurrai, a ormai pochi centimetri dal suo viso.

Lentamente accarezzai la pelle pallida della sua guancia con le dita sporche di vernice. Mi allontanai per guardarlo bene in faccia, sulle labbra ancora lo stesso ghigno.

Scoppiai a ridere. Aveva bocca e occhi spalancati, la vernice sulla guancia colava lentamente verso la mascella, una mano alzata a mezz’aria e l’altra appoggiata al petto. Il suo sguardo avrebbe potuto – veramente - bruciare una sostanza infiammabile di dimensioni e quantità ridotte.

- Darren.

- Sì?

Mi fissò per lunghi secondi con quello sguardo omicida, provocando solo la mia ilarità e un vago brivido lungo la spina dorsale che ricondussi alle risate incontrollate.

Si avvicinò al secchio di vernice, poco dietro di me.

- Voltati. – ordinò dopo qualche secondo.

Obbedii. Aveva entrambe le mani piene di vernice, feci appena in tempo a constatarlo prima che me le affondasse nei capelli.

Per un attimo mi paralizzai, mentre Kurt si piegava in due dal ridere.

- K-Kurt! – lo rimproverai per un attimo, prima di sorridere e cominciare quella che sarebbe stata una lunga battaglia di vernice, ricca di risate e pittura da tutte le parti, meno che sulle pareti.

Alla fine, Kurt e io eravamo sdraiati a terra, a pancia in su, le teste vicine. Io avevo braccia e gambe spalancate, mentre Kurt era più composto; entrambi avevamo ancora il fiatone e un sorriso sulle labbra.

- Ok, questo andava contro ogni mia regola, ma ammetto che è stato divertente. – disse, sollevandosi sul gomito per guardarmi in faccia.

- Regole? Quali regole? – domandai, sarcastico, aggrottando la fronte e arricciando le labbra.

- Quelle che mi permettono di sembrare una persona normale. Non come te. – rispose, alzando le sopraciglia.

- Io? Ma se sono un bravo bambino!

- Appunto. Sei un bambino.

Mi sollevai sui gomiti, avvicinando inavvertitamente il mio viso al suo.

Non potei evitare di guardarlo dritto negli occhi come non potei evitare di sentire improvvisamente le mie guance diventare tiepide. Per un attimo mi persi in quei chiari pozzi d’acqua cristallina. A quella distanza, potei facilmente notare le gote arrossate – ok, o era davvero la vicinanza a farmele vedere di quel colore, oppure questo ragazzo arrossiva incredibilmente spesso.

- Beh, eri tu quello che rideva mettendomi la vernice ovunque. – sussurrai.

Eravamo così vicini che potevo sentire il suo profumo, mischiato all’odore della pittura.

- Hai cominciato tu! – rispose, allontanandosi.

Mi misi a sedere e appoggiai i gomiti alle ginocchia, legando indici e medi tra loro. Voltai la testa per vederlo stendersi di nuovo a terra e mettersi a guardare il soffitto con un espressione assorta.

- A che pensi? – gli chiesi.

- Cerco di capire che tipo di ragazzo sei. – rispose.

- In che senso?

- In generale. Sto cominciando a conoscerti, ma parlare per ore al Lima Bean non mi dice molto, a parte che sei incredibilmente chiacchierone.

- Oh. Capito.

Ci scambiammo uno sguardo da cui già traspariva della complicità.

- E quindi? Cosa hai concluso?

- Che sei indubbiamente interessante.

- Mmh.

 

Riuscimmo a dare la prima mano di vernice entro quella sera stessa. Convinsi Kurt a usare quell’azzurro aggiungendoci del bianco, in modo anche da reintegrare la quantità di colore che avevamo buttato l’uno addosso all’altro.

Il giorno dopo avremmo concluso quella camera, ovvero quella di Kurt, e avremmo fatto la mia. Se non ci fossimo persi in altre battaglie con la vernice, ce l’avremmo fatta.

All’inizio dei corsi scolastici mancavano due mesi circa, durante i quali avremmo sistemato l’appartamento e avremmo cominciato a convivere. Fino ad allora, Kurt rimaneva a casa dei suoi genitori, mentre io restavo in albergo, nonostante avessi detto al mio futuro coinquilino che dormivo a giorni alterni da degli amici che vivevano non troppo lontano. Non potevo rivelare che la L.B.S. mi aveva dato una carta di credito con una cifra esorbitante e periodicamente rifornita, altrimenti la condivisione dell’affitto sarebbe risultata inutile.

Avrebbe scoperto una delle tante bugie che ero costretto a raccontargli.

La sera, rannicchiato tra le coperte dell’albergo, riflettevo a lungo, prima di addormentarmi. All’inizio, pensavo alla mia missione, alle parti più tecniche, ai ragionamenti, ai progressi. Poi, mi distraevo e pensavo al mio rapporto con Kurt. Ormai non pensavo più di essere costretto a legare con lui per lavoro, volevo farlo. Stavamo diventando amici e stavo scoprendo ogni giorno qualche nuovo aspetto del suo carattere, positivi e negativi. Forse proprio per questo mentirgli così spesso, così spudoratamente era fastidioso.

 

Una sera, l’ultima che avrei passato in albergo, mi misi a scrivere l’ennesimo rapporto. Estrassi il tablet – la tecnologia più avanzata che mi era concesso possedere - dalla borsa e aprii il programma, cominciando a sfiorare con velocità lo schermo in corrispondenza delle lettere.

 

Il Soggetto non mostra alcun sospetto, ne riguardo al passato di Darren, ne riguardo alla mia missione. I suoi comportamenti rientrano nei livelli calcolati da Brad Falchuck come normali per un ragazzo nella fascia d’età 20/25 anni, con le dovute variazioni dovute alla sessualità del Soggetto. Quest’ultimo fattore non si sta rivelando un problema che possa ostacolare la missione in alcun modo, poiché abitudini e mentalità che concernono il gruppo inteso come società non risentono minimamente della sopracitata sessualità.

 

Proseguii con la descrizione dettagliata della giornata, come facevo sempre. Una volta concluso il rapporto, lo archiviai e poi chiusi il programma. Con un sospiro aprii un altro programma e cominciai a scrivere anche in quello.

 

Oggi Kurt mi ha stupito. Ancora. Scommetto che se rileggo gli inizi delle note precedenti, cominciano tutte con questa stessa frase. D’altronde, che altro potevo aspettarmi? Kurt è strabiliante.

Mi stupisce che la sua sessualità non stia davvero creando problemi. Non so come spiegarlo senza sembrare egocentrico, ma credevo che almeno un po’ sarebbe stato attratto da me. E invece nulla. Niente. Zero. È quasi deludente, sinceramente.

Mi stupisce anche che io non stia sentendo troppo la mancanza di casa. Beh, mi mancano moltissimo i miei genitori – soprattutto mamma – e Wes e David coi loro dannatissimi, amatissimi scherzi idioti. Quella che non mi manca è Valerie. Credevo che avrei sentito l’assenza delle sue labbra appiccicose di lucidalabbra alla fragola – a cui sono allergico, e lo sa! – o della sua pelle sotto le mie dita. Eppure, sto scoprendo quanto sia bello non dover riordinare la sua biancheria e rifare il suo letto dopo una notte insieme, mentre lei cantava sotto la doccia.

Oh, il canto.

Valerie non canta, Valerie starnazza. Miagola. Insulta quello che significa cantare davvero. E se lo so, devo ringraziare Kurt. L’ho sentito più di una volta cantare sotto la doccia o in giro per casa e… no, neanche lui canta. Lui fa qualcosa di più. Non saprei come dirlo, la sua voce angelica si spiega da sola.

 

Scrissi ancora, per sfogare quei sentimenti di stima per Kurt che non potevo confidare a nessuno. Quando chiusi il programma e riposi il tablet, erano le due di notte passate. Mi rannicchiai sotto le coperte e chiusi gli occhi, scivolando rapidamente tra le braccia di Morfeo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’angolo di Sue Lu.

Ok. Mi odiate, lo so. E avete ragione. Sono in un ritardo spaventoso, anche se chiamarlo ritardo non è corretto, poiché non avevo promesso nulla. È che con la nuova scuola, un lutto non indifferente e altri problemi vari, non ho proprio avuto tempo. Ma non sono comunque giustificata, e questo capitolo non mi perdona nulla: non succede praticamente niente. Stanno imparando a conoscersi e a convivere, tutto qui.

Per farmi perdonare, un piccolo spoiler:

Blaine tornerà nel XV secolo nel prossimo capitolo.

Il resto alla vostra immaginazione, visto che la mia è già al lavoro da un bel pezzo.

Ho fatto qualche riferimento a qualche battuta originale, avete notato? Dai, una è proprio esplicita, lì, sotto il vostro bel nasino. Eccolo lì. L’avete visto? Bravittime ù.ù

Chiedo scusa anche se non ho risposto alle recensioni. I motivi sono gli stessi che ho detto sopra.

 

Chiedervi di recensire mi pare un azzardo, perciò non lo farò. Se decidete di onorare il mio cervellino bacato con le vostre opinioni, belle o brutte che siano, io comunque non mi offendo.

 

Un grazie enorme a chi legge (il prologo ha più di 200 visualizzazioni, che per me sono semplicemente un sogno!), mette nelle seguite barra preferite barra ricordate.

 

Ora mi eclisso, cominciando a pensare al capitolo che comincerò a scrivere da domani, promesso.

 

Di nuovo grazie a tutti, anche per la pazienza!

 

Un bacio

 

Luchi

 

P.S.: Virgy, tu una recensione me la DEVI lasciare, sei obbligata ù.ù

  
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