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Autore: saltlordofold    29/10/2011    5 recensioni
Chris è nell' aeroporto di Dakar, aspetta la sua corrispondenza per Kijuju. Un gruppo di bambini gioca a pallone, e il fatto di guardarli fa affiorare vecchi ricordi e ferite desiderose di riaprirsi. Se Jill è ancora viva, lo è anche Wesker, e Chris non è sicuro di avere la forza per salvarla.
"[...] agli occhi di Wesker, lui era sicuramente come quei bambini erano per lui. Piccoli, deboli, impotenti di fronte ad ogni suo possibile gesto. Qualunque cosa avesse fatto, per quanto sadico fosse stato il suo capriccio, non avrebbero potuto fare altro che sottomettersi."
Terza classificata al concorso FANDOM'S WARRIORS di Bluemary e Calbalacrab
Genere: Introspettivo, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chris Redfield
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Concorso_bluemary







Lineman






Un bel passaggio.
Una parabola tesa ed elegante, un impulso mirato, lo spostamento pulito della sfera di pelle lungo una traiettoria chiara.
Preciso, strategico, controllato . Come per molti altri giochi di squadra, nel calcio, per essere buono, un passaggio deve potersi avvalere di tutte queste qualità, ma anche e sopratutto di un' altra dote: quella dell' anticipo.
Un passaggio deve arrivare avanti al suo destinatario. E non "avanti" inteso come "a qualche decina di centimetri di distanza dal suo piede", avanti, non davanti. Il giocatore che passa la palla a un suo compagno non deve solo calcolare la forza e l' inclinazione del suo calcio in base all' andatura e alla velocità di corsa di questo compagno, deve aver previsto non solo la sua traiettoria, ma la sua strategia, le sue idee, le sue finte, in modo da far sì che la palla non arrivi solamente a una distanza ideale da lui, ma anche nel momento esatto in cui era necessario arrivasse, con la rotazione giusta e la velocità adatta.
Chris non era mai stato in anticipo su di lui. Lui era sempre avanti, lo era sempre stato. Arrivava e partiva per primo, svaniva come un fantasma, pur lasciando le traccie necessarie a far capire di essere passato di lì, di aver fregato nuovamente quelli che cercavano disperatamente di tenergli il passo. Chris per primo, ovviamente. Lui la chiamava "la sua firma", quella sensazione fosca, un' impronta che gli procurava un sentimento di impotenza  nauseante ogni volta che ne avvertiva la presenza. Era un brivido diverso dagli altri, da quelli che si potevano provare entrando in una stanza piena  di membra crivellate di pallottole, di toraci scoppiati come palloncini, di teste sfracellate contro le pareti, di resti umani a mollo nel sangue e nelle interiora. Era una sensazione simile a quella che si prova entrando in un salotto che si conosce bene e nel quale un oggetto è stato spostato leggermente. Qualcosa non va, ma ci vuole un pò prima di capire cosa, e in quel periodo di smarrimento la stanza che sappiamo essere la stessa di sempre appare come estranea, minacciosa, al sapore di trappola. Nello stesso identico modo, la scena di una strage commessa da Wesker era uguale ma diversa da tutte quelle che i suoi collaboratori si lasciavano dietro. E questo solo perché lui lasciava di proposito "la sua firma", per ricordare a Chris quanto fosse avanti rispetto a lui.

Ecco che ritorna, pensò Redfield, la nausea.

Avrebbe potuto attribuire quel vortice acido nello stomaco al calore unticcio che gli si appiccicava alla pelle e all' odore di spezie e vomito che aleggiava nei corridoi dell' aeroporto di Dakar, ma sarebbe stato troppo facile. Anche perchè era abituato a quel genere di atmosfera, la sapeva indissociabile da una calca di umani, e tutto sommato non gli dispiaceva, perché era segno di vita. Il suo disagio proveniva proprio ai ricordi legati ad Albert Wesker.
Tutto questo perché quei bambini giocavano a calcio, e lui li aveva visti. Non si era chiesto come facessero a giocare in quel forno umano di un aeroporto, perché sapeva benissimo che quando qualche maschietto incontra un pallone, il corpo diventa uno strumento più che un peso, e la fatica è una questione che va rimandata a un altro momento.
Chris giocava a football, al liceo. Un classico. Non sorprendeva nessuno, quando lo diceva: apparentemente non era difficile immaginarlo mentre macinava yard su un campo verde. Sorprendeva invece la sua posizione: lineman. O meglio, aveva sorpreso un tempo, prima che diventasse quel gigante pompato che era ora. In verità, tutto seguiva una logica: già a quell' epoca gli piaceva proteggere i suoi compagni di squadra dal muro avversario, frapporre il suo corpo ancora esile allo scontro fra la linea nemica e la corsa del suo running back, la preparazione del suo kicker o la concentrazione del suo quarterback. I muscoli con i quali aveva di recente avvolto il suo corpo non erano forse destinati a proteggere chi combatteva con lui?

Proteggere...

La nausea si fece più forte, un picco intenso che coprì la sua fronte di un ennesimo velo di sudore.
Non era riuscito a proteggerla. L' unica persona oltre sua sorella ad avere accesso alla verità dei suoi pensieri, a vedere guardandolo non il Chris pompato della B.S.A.A., ma il Chris severo e serio delle S.T.A.R.S., il vero lui senza la corazza di carne che si era costruito addosso... La sua mente saettò verso Claire, e strinse i pugni al ricordo di quanto fosse vuoto il suo suardo azzurro quando l'aveva  portata via dall' isola di Rockford. La ragazza non gli aveva mai detto cosa fosse successo durante la sua prigionia. Non era un argomento adatto a una discussione fra fratelli, aveva sussurrato quando lui l' aveva implorata di fidarsi di lui e confessargli tutto. Chris aveva cercato di impedirsene, di costringersi a non immaginare cosa fosse successo, ma non poteva fermare le immagini delle sevizie di Wesker ai danni dell' unica famiglia che gli era rimasta che la sua mente partoriva in continuazione. Forse erano stati quegli avvenimenti a fargli decidere di rafforzare il suo corpo. Il sapore dei colpi inarrestabili di Wesker, l' amaro della sua impotenza mischiato all' agrodolce ferruginoso del sangue, erano rimasti a perseguitarlo per molto tempo.
Ma mettere su muscoli non era servito a nulla:  era riuscito a portargli via Jill. E nello stesso modo in cui una parte della sua mente dichiarava autoritaria che la sua partner era ancora viva, un' altra sussurrava sorniona che in tal caso, lo era anche Wesker.
Ma Chris lo sapeva da tempo. Non poteva essere finita così, non poteva essere finito così. Non lui, oh no, sarebbe stato davvero troppo facile.
Mostri ed incubi si potevano sconfiggere. Ma un Dio...

Abbassò lo sguardo, sbalzato fuori dai suoi pensieri da un urto leggero contro il suo piede. Era il pallone da calcio, spedito da un colpo mal calibrato a rotolare fino a lui.
Si abbassò e lo raccolse.
La sensazione del cuoio contro le sue mani fece affiorare il peso delle protezioni sulle spalle, il ronzio alla testa che gli procuravano gli urti nella mischia, l' azzurro del cielo quando veniva sbalzato indietro da un qualche adolescente nerboruto, le grida della piccola folla degli studenti, dei genitori e dei professori, l' odore del sudore, della terra e dell' erba, e il tocco ruvido dell' ovale di cuoio sulle sue mani...
Quando distolse lo sguardo dai graffi che percorrevano la sfera bianca e nera, una piccola folla  di visetti scuri sgranava occhi ansiosi nella sua direzione. Il più piccolo dei bambini, facendosi coraggio, fece un passo avanti e gonfiò il petto nudo.

"Rends-moi le ballon." disse con un forte accento Senegalese " Il est à mon frère, il me l' a prêté pour jouer."

Chris aggrottò le sopracciglia.

"Je ne parle pas français." masticò sfoderando la sua pronuncia approssimativa da poliglotta improvvisato.

Era Jill quella brava con le lingue.
Battutacce a parte.
Il bambino si tuffò nell parlata stretta e colorita del Wolof, esprimendosi a grandi gesti con i suoi compagni, confabulando e dibattendo, prima di girarsi di nuovo verso l' agente B.S.A.A.

"Le ballon." articolò come se parlasse a un deficiente.

Chris sapeva perfettamente cosa voleva, ma non poteva impedirsi di provare un certo divertimento nel vedere i visetti di quel gruppetto tesi dall' ansia di perdere il loro pallone fra le braccia di quel gigantesco turista americano.
Il suo sguardo si perse nel vuoto: agli occhi di Wesker, lui era sicuramente come quei bambini erano per lui. Piccoli, deboli, impotenti di fronte ad ogni suo possibile gesto. Qualunque cosa avesse fatto, per quanto sadico fosse stato il suo capriccio, non avrebbero potuto fare altro che sottomettersi.

"Io ho il potere,‭ ‬Chris.‭ " lo sentiva mormorargli all' orecchio ad ogni momento della sua vita "‬Non c'è nulla che tu possa fare contro di me. ‭P‬er quanto tu ti sforzi,‭ ‬per quanto disperatamente tu possa cercare di aumentare le ridicole capacità del tuo corpo,‭ ‬io rimango più forte.‭ ‬Fra te e me vi è la stessa identica differenza che risiede fra un uomo adulto e un bambino. Fra un misero essere umano e un Dio.‭"

Il gioco era fermo, il pallone fra le sue mani era le redini della partita, che ora teneva in pugno. Tornò a guardare le sue mani, mani abituate a impugnare armi di ogni sorta, a lasciare che il rilievo del grip di un calcio incidesse il suo reticolo sulla sua pelle, che l' impugnatura di un coltello gli segasse le giunture, che il rinculo degli spari faccia sbattere le sue ossa le une contro le altre. Cosa aveva fatto, con quelle mani?
Fra di esse era scivolata la cosa più preziosa che avesse. E con esse, sarebbe stato in grado di riprendersela?

"M'sieur?" gemette il bambino, ormai disperato

Chris si inginocchiò di fronte al gruppetto, passò un' ultima volta le mani sul cuoio polveroso, facendo ruotare la palla fra le mani, e la tese al ragazzino con un sorriso.
Lui la prese, sembrò esitare, poi gli sorrise di ritorno mostrando tutti i bianchissimi denti da latte.

"Jerejef, américain!"

Chris mimò la sua incomprensione con una smorfia e un' alzata di mani, come ad arrendersi davanti alla barriera della lingua. In verità, ancora una volta, aveva capito perfettamente il messaggio.
Si rialzò mentre i bambini si allontanavano in un concerto di grida e strepitii. L' altoparlante non avrebbe tardato ad annunciare l 'inizio dell' imbarco del suo volo per Kijuju. Sentiva ancora il tocco del pallone sui suoi palmi.

Prese una grande boccata di aria umida e sospirò. Non avrebbe vacillato. Lui era la linea che proteggeva il resto della squadra. Doveva esserlo.
Jill era viva e aveva bisogno di aiuto. Wesker era il muro solidamente piantato fra lui e il suo touchdown.
Yard dopo yard, avrebbe fatto indietreggiare l' ostacolo che aveva davanti. Poteva anche sembrare impenetrabile, tutte le difese lo sembrano, ma lui l' avrebbe spezzata. E non gli importava di cadere o di prendere qualche botta nel tentativo: non avrebbe indietreggiato.
Il football è uno sport pericoloso e, si sà, sono i linemen ad incassare.






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Questa fanfiction partecipa al concorso FANDOM'S WARRIORS indotto da Bluemary e Calbalacrab. I personaggi appartengono alla CAPCOM e questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

Nel caso servisse, ecco una traduzione dei dialoghi in francese:
"Rends-moi le ballon. Il est à mon frère, il me l' a prêté pour jouer." = Ridammi il pallone. È di mio fratello, me l' ha prestato per giocare.

"Je ne parle pas français"= Non parlo francese

"Jerejef" = Grazie in Wolof, la seconda lingua nazionale in Senegal




Terza classificata: Glaucopis con Lineman


Giudizio di Bluemary e voto:
Per quanto tu abbia scelto di trattare il personaggio che meno preferisco, tra i tre che si dovevano scegliere per questo fandom, ho trovato molto piacevole questa storia con Chris come indiscusso protagonista.
Lo stile è scorrevole e abbastanza pulito; io avrei spezzato qualcuna delle frasi più lunghe, ma anche come le hai presentate tu risultano piuttosto chiare. Invece ho trovato alcuni errori veri e propri (uno su tutti: si scrive po', non pò) che hanno influito sul giudizio finale. Ci sono anche delle ripetizioni che andrebbero evitate (nella prima parte della storia c'è una sfilza di “perché” in poche righe), oltre che qualcosina da sistemare a livello di punteggiatura. A proposito, è consuetudine non lasciare alcuno spazio dopo l'apostrofo; non che questo ti abbia penalizzato, ma già che c'ero ho pensato di segnalartelo. E la prima parte è piuttosto macchinosa, si legge con più fatica rispetto al resto.
Passando al contenuto, di certo hai centrato senza problemi l'obbligo del contest. Hai approfondito Chris in maniera pregevole, integrando la personalità che emerge dai vari Resident Evil con pensieri tuoi, in modo da dotarlo di un certo spessore senza stravolgerlo. Sei riuscita a trasmettere nitidamente il suo senso di colpa e il dolore per la morte di Jill, morte che lui non riesce ad accettare ma che, negandola, conduce all'agghiacciante consapevolezza di non aver ancora chiuso i conti con il suo acerrimo nemico. Ho apprezzato molto anche l'accenno a Claire, l'unico affetto che gli sia rimasto, perché, sparita Jill, ha solo la sorella come persona che lo conosce davvero e che riesce a capirlo, malgrado gli strati di muscoli e la sua immagine da duro.
La metafora sportiva l'hai gestita bene e risulta anche plausibile con i vari personaggi che ne sono compresi, oltre a legare bene i ricordi di Chris e le varie digressioni sul suo passato con il presente.
E più lui, tra una metafora e un ricordo di quando giocava a football, si tormenta, più si capisce come Jill e Wesker lo abbiano segnato in profondità, ognuno in modo diverso, perché il suo pensiero è sempre lì: incentrato su Wesker, un avversario sempre in anticipo su di lui, e incentrato su Jill, la donna che non è riuscito a proteggere malgrado tutti i suoi muscoli. Mi è piaciuta molto quest'interpretazione di Chris che diventa un “gigante pompato” (credo che il pompato lo abbiamo pensato tutti, vedendolo nell'ultimo Resident Evil) per seguire il suo desiderio di proteggere i suoi compagni e al tempo stesso per avere una corazza con cui proteggere se stesso.
La presenza, seppur accennata e non diretta, di Wesker, è stata trattata in maniera ottima, è proprio da lui riuscire a mettere inquietudine e ad angosciare pur senza essere presente. Tutti i riferimenti a Wesker contribuiscono a mostrarlo decisamente IC, creando quell'idea di un dio sempre al di sopra dei comuni mortali, quasi onnipotente e impossibile da sconfiggere. La frase che Chris gli sente sussurrare al suo orecchio è perfetta, ribadisce l'impotenza degli esseri umani dinanzi a un dio, la stessa impotenza che deve aver devastato Chris quando si è ritrovato inerme dinanzi alle macchinazioni del suo vecchio capitano.
Bello il finale carico di determinazione, che contribuisce a mitigare l'angoscia e la tristezza che pervadevano la storia.
Non è una storia chissà quanto innovativa e rispetto ai primi posti non coinvolge appieno, ma presenta degli spunti davvero interessanti; peccato per gli errori che ne hanno penalizzato il voto finale.

Lo sport è stato trattato, anche se non sufficientemente da poterti garantire il punto pieno di bonus: c'è la metafora sportiva, ci sono i ricordi di Chris e si accenna al suo passato da lineman, ma la storia non è propriamente di genere sportivo, visto che non viene descritta una partita né altro del genere, così di comune accordo io e Calbalacrab abbiamo deciso di assegnarti metà del punto bonus previsto.

Voto: 7.7


Giudizio di Calbalacrab e voto:

Dare un giudizio a questa storia non è stato facile, perché a primo impatto la si riesce a definire solo “strana” e alla fin fine è vero: questa storia è particolare. Tratta di Resident Evil ed è perfettamente inseribile all'interno del fandom, ma al contempo lo fa in un modo nuovo. Siamo abituati a leggere storie di RE in tutti i modi e maniere, ma di solito le ritroviamo sempre con lo stesso comune denominatore, una sorta di profumo che le accomuna, l'odore di RE appunto. Questa storia invece è decisamente diversa, in senso buono.
Lo stile è buono, scorre quasi sempre bene esprimendo in modo chiaro concetti anche complessi.
La grammatica è buona e non mi esprimo di più visto che so che Bluemary vi spiegherà tutto molto meglio di me. Ci sono degli errori di battitura, non tanti, e un paio di punti in cui la scrittura è un po' più forzata, ma nulla di palesemente penalizzante.
Per quanto riguarda la pertinenza dell'elemento obbligatorio, nulla da eccepire: Chris è Chris, non è il mio preferito, ma riesci a farmelo piacere comunque.
Di lui traspare tutto, la severità e la determinazione di uno dei membri della S.T.A.R.S., l'amore per la sorella che lo rende quasi paranoico, anche io lo vedo sempre così, fratellone iperprotettivo e un po' impacciato, e il rapporto profondo che lo lega a Jill, non solo amore ma comunione di pensieri e sensazioni, nel vero concetto di partner in tutto e per tutto.
La pertinenza della trama o la sua coerenza ovviamente non sono in discussione: vanno benone.
Per quel che riguarda l'inserimento del genere sportivo invece ho qualche dubbio.
Mi piace molto questa metafora sportiva, in essa è descritto Chris: dalla sua necessità di essere sempre in prima linea per sentirsi sicuro di proteggere le persone a lui care, ai muscoli fatti appositamente per lo scopo (una splendida spiegazione del perché la Capcom l'abbia pompato da un videogioco all'altro), alla sensazione di disagio data dal sapere di avere a che fare con un avversario apparentemente imbattibile per forza ed intelligenza, sempre in vantaggio, sempre “avanti”.
Wesker non c'è ma si sente, si percepisce, e alla fine la sua aura maligna è con Chris in ogni luogo e bastano dei bambini che giocano a risvegliarlo. Di lui mi è piaciuto anche il concetto di “firma”, quel modo particolare che ha solo lui di fare tutto, come una sorta di eccessiva efficienza, e che è riconoscibile solo da chi lo conosce bene.
Purtroppo la storia non rientra appieno nel genere sportivo, i bambini giocano è vero, ma delle loro azioni viene descritto poco o niente, anche se li ho trovati molto teneri e plausibili. E Chris evoca ricordi, ma di carattere generale e non azioni sportive specifiche.
Ho notato inoltre che non hai inserito l'indicazione nei generi, il che mi ha messo ancora più nel dubbio.
Alla fine io e Bluemary abbiamo deciso di comune accordo di non assegnarti il punto intero in quanto non è perfettamente in genere, ma, apprezzando comunque lo sforzo e l'impegno, ed essendo innegabile la presenza dello sport, di darti mezzo punto.
In conclusione, la storia è bella ed ha nella metafora sportiva un elemento pregevole, tuttavia sembra un po' forzata, come se la necessità di inserire a tutti i costi la metafora ti abbia limitato nell'immaginarla e anche nel descriverla rendendo, a mio avviso, il tuo stile un po' rigido. Di conseguenza la storia è carina, e sono molto contenta che vada ad espandere il fandom di RE, ma purtroppo non in grado di competere per la testa della classifica.

Voto: 7.7

Media: 7.7


Voto finale (con bonus di 0.5): 8.2
   
 
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