~ Dreams we’ll never see.
9. And then we die.
O, Death
Il colpo parte inaspettato, perché un demone armato di pistola John non l’aveva mai visto. Non si tratta proprio di un demone, comunque, ma di un povero diavolo infettato dal Croatoan, impazzito dalla fame, per cui, d’accordo, non è strano. Per cui, d’accordo, va anche bene.
John non crolla a terra, non grida, perché la pallottola lo prende alla spalla, da dietro, e neppure gli frantuma la scapola. È fortunato. Si salvano, in qualche modo. Dean riesce a spingersi attraverso la finestrella che stavano tentando di spaccare quando l’orda di Croat è spuntata da dietro l’angolo, e John lo segue arrancando come un cretino, il braccio sinistro mezzo inutilizzabile, il destro che regge come può la mitraglietta e spara un po’ alla cieca verso i cadaveri marcescenti.
Il puzzo di morte che appesta ogni singola città in cui mettano piede è quasi nauseante, eppure John ha quasi voglia di ridere, di urlare sono vivo, vivo, vivo, sono vivo, contro qualsiasi speranza io sono vivo e tengo vivo mio figlio. Perché se non avesse preso la sua spalla, quella pallottola avrebbe centrato in pieno il cranio di Dean.
John sanguina talmente tanto che sviene come se si fosse addormentato, mentre tornano a Chitaqua sul suo pick-up. Dean, al volante, si spaventa così tanto che quasi vanno a sbattere contro il muro di cinta di un edificio abbandonato.
«Sono vivo,» mormora John, e non lo sa neppure lui se sia cosciente o meno. «Sono vivo.»
Ed è vivo, per carità. Sono tutti vivi. Il problema è che le loro vite non significano niente; stanno lì, ad aspettare che Morte se li venga a prendere, come tutte le generazioni di uomini prima di loro, naturalmente, ma in maniera ancora diversa. È molto più disperata, la loro, di vita.