Fandom: Merlin.
Pairing: Arthur/Merlin.
Rating: Pg;
Genere: Introspettivo, Romantico.
Warning: Reincarnation!AU, Pre-Slash.
Words: 883 (fiumidiparole).
Summary: Arthur era un ragazzo normale, figlio del preside del college Camelot, poi iniziarono i sogni.
Note: Scritta per il prompt: Merlin, Arthur/Merlin, Reincarnation!AU In cui è Arthur a ricordare tutto e non Merlin. Merlin che non sa come gestire la sua magia e Arthur deve aiutarlo di chibi_sare11 per la Notte Bianca di maridichallenge. Il titolo della storia è un verso di Stripped dei Depeche Mode.
DISCLAIMER: Non mi appartengono, non ci guadagno nulla ù_ù
Take my Hand, Come Back to the Land
I sogni cominciarono quando Arthur compì vent’anni – sogni bizzarri di duelli e di tornei, di dame
e di mostri – solo che lui sapeva che non erano sogni veri. Erano ricordi. Ricordi di una vita passata, e gli facevano
una paura fottuta, perché tutto quello… tutto quello non poteva essere reale,
andiamo. Draghi? Magia? E poi cosa,
avrebbe scoperto che Morgana era davvero
sua sorella e non la figlioccia di suo padre? Ridicolo. Il solo pensiero era
vagamente inquietante, perché Morgana era un po’ – molto – spaventosa ed Arthur
preferiva averci a che fare il meno possibile, grazie tante.
E non poteva parlarne con nessuno, perché anche se i suoi
genitori erano dei fan del ciclo arturiano, Uther – sì, be’, se Arthur si chiamava
così un motivo c’era – non avrebbe
esattamente fatto i salti di gioia se lui all’improvviso gli avesse detto: «Papà,
io sono Re Arthur. Quel Re Arthur».
E, insomma, lui era un ragazzo intelligente, non ci teneva a finire dallo
strizzacervelli.
Poi i sogni non erano così male, potevano anche essere
interessanti ed avvincenti, e ad Arthur faceva un po’ ridere come le cose
fossero state stravolte dalla letteratura, se pensava a quanto fosse tamarro Gwaine e al fatto che non ci
fosse un solo capello biondo tra i ricci della sua Guinevere, che – tra
parentesi – non era affatto una spocchiosa principessina delicata.
Ed era bello rivedere tutti loro, ritrovarli e sapere che ora
erano un po’ tutti più felici, avere la possibilità di conoscere sua madre e la
sua passione per il cibo cinese, giocare a football con Leon, Percival e Gwaine,
perfino vedere Gwen e Lancelot passeggiare mano nella mano – ad Arthur non
dava fastidio, perché il suo amore apparteneva ad un’altra vita, apparteneva al
sogno, e nel presente restava solo il calore dolce di un bacio.
Poi una mattina Arthur si era ritrovato nel cortile del
college – il Camelot e, sul serio, suo padre era il preside, ma doveva un
tantino smetterla con queste fisse – a fare qualche passaggio con i suoi amici,
quando Gwaine gli era arrivato addosso, passandogli un braccio attorno spalle ed
arruffandogli i capelli, e lui aveva mancato la palla. E siccome le disgrazie
non vengono mai sole, quella era andata a schiantarsi dritta dritta sulla
faccia di un ragazzetto mingherlino che stava passando lì accanto.
Arthur si era voltato per scusarsi – un «Ops! Tutto bene,
amico?» già sulla punta della lingua –, ma le parole non gli erano uscite di
bocca, perché gli occhi blu che lo stavano fissando erano in ogni suo sogno e
lui era possibilmente un po’ innamorato di loro, e li avrebbe riconosciuti
anche se non fossero stati accompagnati da quelle assurde orecchie.
«Non ti scusare, non c’è problema» ironizzò Merlin, con la
sua solita linguaccia, e all’improvviso Arthur ricordò tutti i motivi per i
quali adorava metterlo alla gogna.
«Scusa, sono stato distratto dalle parabole che ti spuntano
dai capelli» rispose, prima di riuscire a trattenersi, come se non avessero
fatto altro che battibeccare in questi toni fino ad un momento prima. Ma quando
gli altri ragazzi scoppiarono crudelmente a ridere e Merlin arrossì
imbarazzato, si rese conto che no,
razza di testa di legno che non era altro, non era affatto così, e aveva appena
sbeffeggiato uno sconosciuto senza alcuna delicatezza – essendo lui in torto, per di più.
La palla sembrò schizzare da sola da terra, dov’era caduta, e
piantarsi nella sua fronte, facendogli vedere le stelle per una manciata di
secondo. E, okay, Arthur se l’era meritato, ma qui non sì stava giocando ad
armi pari, maledetto prestigiatore da quattro soldi.
Quando si riprese, però, Merlin gli restituì uno sguardo
spaventato, prima di fuggire via. E di colpo Arthur capì. Merlin non sapeva,
non lo ricordava, proprio come gli altri; lui – il Re per sempre – era l’unico a ricordare. Merlin non sapeva della
magia, e se lei si era si svegliata da poco come i suoi ricordi, allora doveva
essere maledettamente terrorizzato.
Leon gli afferrò un braccio, quando lui fece per corrergli
dietro. «Dai, non infierire» disse, trattenendolo.
«Non-» iniziò lui «Voglio solo scusarmi» lo rassicurò, prima
di slanciarsi al suo inseguimento.
Lo trovò sul terrazzo del dormitorio B; Arthur non aveva idea
del perché si fosse diretto subito lì, ma era sicuro di sapere dove Merlin
sarebbe andato. Ed infatti eccolo là, i gomiti appoggiati al parapetto, le
spalle curve e le mani tra i capelli.
«Merlin» lo chiamò, e lui sussultò, ma lo sguardo che gli
rivolse quando si voltò era perplesso.
«Dici a me?» domandò. «Senti, se sei venuto per fare a
pugni-»
Arthur si accigliò, smettendo di ascoltarlo; era sicuro di
non essersi sbagliato, quello era Merlin,
il suo Merlin. Poi arrivò
l’illuminazione divina. «Emrys?» ritentò e lui sbatacchiò le ciglia, sorpreso.
«Come sai il mio nome?»
«So un sacco di cose» rispose quindi, accennando un sorriso
ed appoggiandosi di spalle contro la balaustra, accanto a lui. «So che abbiamo
la stessa età, che sono stato un idiota, prima, e…» che quel punto sotto l’orecchio, che ora stai lasciando scoperto, ti fa
mugolare ed arricciare le dita dal piacere «… che diventeremo ottimi
amici».
«Ah, sì?» replicò lui, sarcastico.
«Sì. Sono Arthur»
gli tese la mano, allora «Arthur Pendragon».
Quando Merlin la strinse, tutto tornò al posto giusto. Il
giorno dopo i sogni smisero di tormentarlo.
FINE.