Guardò quella frase, scritta sulla mensola sopra di lei. L’aveva
detta lui, quella frase, e lei l’aveva scritta lì, in modo da poterla vedere
prima di addormentarsi. Come se quelle due righe contenessero la sua essenza.
Una lacrima le solcò il viso. Lui non era lì, non vi era mai stato. Avrebbe
voluto aver la forza di cancellare quelle parole, ma non ci riusciva.
Continuava a fissarle, piangendo silenziosamente. Il suo viso era inespressivo,
gli occhi spalancati, come se fosse ancora persa in qualche fantasia. Come se fosse
stata catapultata indietro di qualche notte, quando ancora aveva il diritto di
sperare, il diritto di sognare.
Pensò a tutto quello che si erano detti, a quell’unica promessa che si erano
fatti. Che promessa stupida.
Non bisogna mai farne, di promesse, quando si è felici. Quante parole vane,
quanti discorsi vuoti, falsi, ingannevoli. Eppure lei ci aveva creduto fino in
fondo, aveva voluto riporre le proprie speranze in quell’assurda avventura. Era
l’unica cosa che l’aveva fatta stare bene in quel momento. Ed ora se n’era
andata. In un attimo, era bastato un attimo. Un attimo lontano, imprevedibile,
fuori dal controllo di lei, fuori da loro due. Un attimo fatale che aveva posto
la parola “fine” a quell’improvvisa felicità.
Era ricominciato tutto, tutto come prima. Ricominciati i pasti saltati,
ricominciato il sangue nel lavandino, ricominciato l’alcol. Ricominciata l’adolescenza
difficile di sempre, quello schifo di mondo che la circondava.
Ricordi. Doveva cancellare quella frase. Una parola per volta, se la mangiò
quasi tutta, mentre l’inchiostro scarlatto si mescolava all’acqua sporcandole i
vestiti.
“Senza di te, …” le prime tre parole, le ultime rimaste. Una fitta al cuore.
Lentamente, anche quell’ultima parte perse forma, perse significato. Non
avrebbe più voluto dire niente.
Senza di te, …
Io sono senza di te, pensò.