Blue Ribbon
Sul
pavimento, sul
tappeto, perfino attorno a me sul divano, regna il caos.
Ogni anno è sempre la
stessa storia, ci metto tutto l’impegno possibile ma
puntualmente, prima di
arrivare al risultato finale, combino solo un gran casino.
Il soggiorno sembra
ancora più piccolo, nonostante gli scatoloni aperti sul
tappeto siano solo un
paio. Puzzano incredibilmente di muffa, l’unico odore
schifoso al mondo che
viene associato a qualcosa di bello. Ricordi stipati in soffitta o in
cantina.
La cosa buffa è che questi due scatoloni non avrebbero
dovuto contenere nessun
pezzo di passato, nessuna bambola orribilmente spettinata, nessun
disegno con
uomini colorati di verde da mani di bambino. Li recupero dalla soffitta
ogni
anno e dentro ci trovo sempre le stesse cose, comprate quattro anni fa.
Conosco a memoria ogni
cianfrusaglia stipata in quel cartone impolverato, potrei tirarle fuori
bendato
una ad una nello stesso identico ordine in cui le ripongo ogni anno.
Eppure, stavolta sono
rimasto di sasso.
Sono in ginocchio sul
tappeto e sto per mettere via uno scatolone dopo averlo svuotato,
quando una
striscia colorata sul fondo attira il mio sguardo. Il cuore lo
riconosce ancora
prima della memoria, resto senza fiato. Come ci è finito qui
dentro? Lo cercavo
da anni.
Lentamente mi trascino a
sedere sul divano alle mie spalle che sbuffa sotto il mio peso. Dalla
finestra
alla mia sinistra entra un fascio di luce arancione davvero strano per
quest’ora
del mattino. Minuscole particelle di polvere danzano mentre lo
attraversano,
catturare nel loro movimento dai miei occhi sempre vigili. Inclino
leggermente
la testa di lato mentre osservo la luce arrivare dritta al palmo della
mia
mano, come un riflettore puntato sui miei ricordi e se in questo
momento lei mi
vedesse riderebbe come al solito, perché tu
non ti rendi conto, Jake, ma sei la copia sputata di un cucciolo.
Sorrido e
penso che potrebbe dirmi qualsiasi cosa con quella bocca e quegli occhi
che mi
hanno sempre fatto impazzire.
Con il pollice accarezzo
la seta morbida del nastro appena ritrovato e mi pare incredibile che
dopo
tutti questi anni sia ancora di quel blu così intenso che
ricordavo. Mi sento
davvero un fesso colossale, ho il cuore che batte come un tamburo ed
è la
seconda volta in tutta la mia vita da lupo che sudo per
l’emozione.
La prima è stata il
giorno in cui ho rubato questo nastro.
Quando
poggio la bottiglia di birra in vetro marrone sul
tettuccio dell’Hummer mi libero con un rutto che fa tremare
il finestrino del
passeggero. Cacchio, ci voleva.
Sto impazzendo dal caldo chiuso qui dentro.
Spalanco la
porta della rimessa e, pioggia a parte, non vengo investito da aria
gelida.
Butto un occhio al calendario di fianco all’interruttore.
E’ il 6 gennaio,
porca miseria, non dovrebbe far freddo? Dovremmo essere tutti sommersi
da un
metro abbondante di neve e con i denti che ci battono in bocca
– sì, perfino
noi lupi – invece mi ritrovo quasi a sudare e con uno schifo
di pioggia grigia
e sottile a riempirmi il terreno di pozzanghere.
Torno al motore del mostro di SUV che quel fesso
di Mike
Newton mi ha lasciato dopo le vacanze di Natale. Ci ripenso.
Più che lui, è il
padre ad essere un coglione. Come si fa a dare in mano ad un fesso come
Mike un
macchinone del genere, quando sono sicuro che non saprebbe prendersi
cura
nemmeno della catena di una bicicletta? La risposta è
semplice. Il signor
Newton in questi anni si è fatto tanti di quei soldi da far
schifo e per
l’estate ha fatto recapitare al bel figliolo un regalino
grigio metallizzato da
centomila dollari per l’ultimo anno di college e tanti cari
saluti. Chi se ne
frega se il figliolo è un idiota che ha trovato la patente
nella busta delle
patatine? Tanto, male che vada c’è sempre coso
lì, quell’indiano poveraccio che ripara
l’impossibile.
Quello che però papino non ha calcolato
è che il fesso del
figlio avrebbe ridotto il regalino a un rottame in meno di cinque mesi
e che,
questo indiano qui, ha intenzione di chiedergli una parcella
così alta quando
verrà a ritirarlo la settimana prossima che dovrà
ammetterlo perfino lui che il
figlio è coglione almeno quanto se stesso.
Sghignazzo a quella prospettiva. Sono giorni che
il mio
vecchio cerca di “farmi ragionare” e di convincermi
a non tirare troppo la
corda perché “soldi non ce ne sono, Jake,
altrimenti ti avrei mandato al
college. Cerca di tenerti buoni clienti come Newton”.
Non me ne fotte un cazzo. Del college, dei soldi,
dei
clienti, del progetto di una vera officina. Saranno passati anche anni
ma io
quel coglione di Mike Newton ce l’ho sempre sulle palle.
Accendo la vecchia radio che gracchia mentre si
sintonizza
sulla stessa stazione di sempre, alzo il volume al massimo, non voglio
sentire
i miei pensieri. Voglio che questo pezzo schifoso che stanno mandando
in onda
soffochi l’amaro che mi sale in bocca quando penso che tutti
stanno gettando le
basi per la loro vita, tranne me. Recupero una chiave dal banco da
lavoro e mi
immergo fino ai gomiti nel vano motore, sperando che
quell’assolo di chitarra
carbonizzi la voce che mi urla nel cervello che è per scelta
mia se non mi sono
mai mosso di qui, se non sono mai andato avanti. Immergo le mani nel
grasso
nero e familiare degli ingranaggi, mentre mi impongo di nascondere
sotto l’urlo
finale del cantante il vero motivo per il quale ogni anno scelgo di non
cambiare nulla nella mia vita. Sospiro.
La musica cambia proprio nel momento in cui non
dovrebbe
farlo, passando ad un pezzo a dir poco sdolcinato. Il mio udito da lupo
riconosce un suono ormai familiare quanto lo squittio delle ruote della
sedia
di Billy sulle piastrelle in cucina. Maledizione, il destino non la
smetterà
mai di prendermi per il culo?
Faccio finta di niente e continuo ad armeggiare
con il
motore mentre il cuore inizia a battermi in petto come una furia. Muovo
le mani
a casaccio, la verità è che non so nemmeno io
cosa sto facendo. Le orecchie si
tendono involontariamente a contare il rumore dei passi che si
avvicinano. In
questi anni ho imparato che impiega esattamente tra i cento e i
centodieci
passi per arrivare dal cortile alla rimessa. Novantacinque nei giorni
di
pioggia come questo, quando non inciampa per la fretta. Come ogni volta
cerco
di prepararmi.
Ottantatre.
Un bel respiro profondo. Non posso fare la figura
del
coglione.
Ottantanove.
Mi autoconvinco che in cinque anni ho imparato a
mascherare
l’effetto che mi fa e che non sono più il
ragazzino sconvolto dalle assurdità
di una nuova vita, alle prese con cose più grandi di lui
come succhiasangue e
palle di pelo giganti.
Novantuno.
Richiamo alla memoria il suo profumo, che ormai
conosco
meglio del mio, in modo che non mi stordisca quando entrerà
da quella porta.
Novantaquattro.
Ricordo a me stesso il vero motivo per cui lei
continua
sempre a ritornare. Lo stomaco mi si serra.
Novantacinque.
« Jake? »
Well go ahead,
baby, I got plenty of time
Per
quanto mi prepari ogni volta, finisce sempre
così. La sua voce mi arriva alle spalle, anche se annunciata
da un pezzo, e il
cuore mi balza in gola. Che coglione che sono.
Faccio finta di non aver sentito, in fondo la
musica è altissima e poco importa che lei sappia tutto di me, sta al gioco e la amo anche per
questo.
Amo lei e odio me stesso, ormai, per il semplice
fatto di amarla e di non essere riuscito a fare un bel niente a
riguardo. La
amo da sempre e la distanza in questi anni non ha modificato di un pelo
ciò che
provo. Il giorno in cui dopo il diploma – dopo averla vista
struggersi per
l’abbandono di quello stronzo di succhiasangue per un anno
intero e dopo tutto
l’impegno che mi ci era voluto per farla tornare almeno a
sorridere – l’ho
accompagnata all’aeroporto di Seattle insieme a Charlie
credevo che sarei
morto.
Avevo creduto di essere io il più
forte dei due. Quando
io e Charlie tentavamo di tutto per
convincerla a partire per il college mi
illudevo
di poter sopportare io tutto il dolore per entrambi, di poter essere la
sua
roccia ancora, anche oltre quell’anno infernale. E invece
quel giorno me ne
sono stato lì, fermo. L’ho semplicemente guardata
salire su un dannatissimo
aereo, combattuto tra l’orgoglio che la mia Bells stesse
ricominciando a vivere
ed una mitragliata dritta al centro del petto.
Il fatto è che io sono sempre stato un
coglione
totale, con tanto di sfiga sempre incollata addosso, e quel giorno
l’avrà
pensato anche Charlie. Sono fuggito via da vero codardo, rifugiandomi
nel corpo
del lupo appena fuori Seattle per tornare me stesso solo nei pressi
della riserva.
Pensavo che non l’avrei mai più rivista, che si
sarebbe rifatta una vita quanto
più diversa possibile da quella che aveva avuto qui. E
invece mi ero sbagliato.
Bella mi ha stupito, come ogni volta del resto.
Tornava a Forks ogni volta che poteva, all’inizio addirittura
ogni fine
settimana. Le mancava Charlie, diceva, ma io non le ho mai creduto. In
fondo è
come se non fosse mai partita per il college. Ancora oggi, che ormai il
college
l’ha quasi finito, tengo il numero di telefono di casa sua a
Vancouver su
post-it incollati dappertutto. Non sono mai riuscito ad impararlo, per
me è
come se davvero non fosse mai andata via.
Così, sono quattro anni che Bella
continua a
tornare, imperterrita e testarda come suo solito. E sempre con la
stessa
testardaggine continua a ripetere a tutti che sta bene, che
è tutto a posto,
che se la cava alla grande. Lo dice anche a me, ma anche a questo non
ho mai
creduto e sono certo che lei lo sappia. I suoi occhi non mi hanno mai
mentito.
Sad
eyes never lie
Sad eyes never lie
«
Santo cielo! » la sento ridere mentre abbassa il
volume della radio « Non puoi ascoltare questa roba
».
Mi volto e fingo di essere sorpreso. «
Per tutti
gli spiriti protettori della riserva, sei ancora qui? Ma ti puzza
proprio
l’aria di casa? »
Lei ride ancora e non posso nemmeno darle tutti i
torti, quella canzone è da vera checca depressa degli anni
’90. A proposito di
spiriti protettori, per la miseria, ma evitarmi qualche figura del
cazzo no,
eh?
Bella prova a dire qualcosa, ma un nuovo scoppio
di risa glielo impedisce. Ha quasi i lacrimoni, mi fa segno che proprio
non ce
la fa e si piega in due, con le mani poggiate sulle ginocchia. Sospiro,
raccolgo lo straccio dal cofano dell’Hummer e tento di darmi
una ripulita alle
mani incrostate di grasso. Anche se non so cosa sia più
sporco.
« Figurati, fa’ con
calma, Bells. Infierisci
pure. »
« Sc- … scusami è
che » tenta di riprendere fiato
inutilmente « mi imma- … immagino la faccia di
Paul qua- … quando glielo dirò!
» e riprende a ridere più forte di prima.
« Che simpatia. Siamo proprio di buon
umore oggi,
vedo. »
Mi appoggio con un piede al paraurti del SUV e in
realtà vedo anche qualcos’altro. Vedo una
bellissima ragazza che sta diventando
donna sotto i miei occhi. Dio, quanto adoro questa sua incongruenza.
Anche in
questo momento.
Si sta letteralmente svaccando dalle risate, come
direbbe
Seth, in pieno stille Bella-Swan-eterna-adolescente-scoordinata, ma il
suo
corpo è quello di una bellissima donna. Noto solo in questo
momento che, in
effetti, è più curata del solito. Nonostante
abbia ormai 22 anni e viva da
quattro da sola, la sua incompatibilità con
la moda e lo stile non è mai cambiata.
Per questo mi stupisco nel notare che oggi i suoi
soliti jeans scuri e t-shirt hanno lasciato il posto ad un vestito
bianco. Non
so perché, ma contrariamente a quanto ho sempre visto sulle
altre, il pallore
di Bella si sposa perfettamente con quello del vestito. La stoffa
morbida
strofina sulle sue cosce magre quando si afferra più
saldamente le ginocchia
con le mani mentre ride e io riesco a sentirne perfino il fruscio. Mi
si secca
la bocca e deglutisco a fatica, pensando con una punta di fastidio che
non
dovrebbe andarsene in giro con un vestito tanto corto. Bella si solleva
lentamente, lasciando scorrere le mani sottili sul suo corpo, su fino
ai
fianchi. Non c’è niente di sensuale nel modo in
cui si muove, sta solo cercando
di riprendere fiato goffamente come ha sempre fatto, ma il mio corpo
reagisce
comunque.
Non riesco a staccarle gli occhi di dosso, e
nemmeno voglio. Risalgo con lo sguardo anch’io lentamente,
insieme alle sue
mani, lungo i fianchi morbidi, la pancia piatta, per poi proseguire
senza
riuscire a fermarmi. E’ naturale arrivare a sbirciarle dentro
la scollatura
quadrata, che le fascia il seno talmente bene che le mani mi prudono
d’invidia.
Veramente non mi prudono solo le mani. Mi sento il collo e la faccia in
fiamme,
posso quasi sentire il sangue corrermi nelle vene sempre più
veloce,
specialmente dove proprio non dovrebbe. Mi rendo conto in un momento di
quello
che sta succedendo.
Porca puttana, ma si può essere
più coglioni?
Tolgo immediatamente il piede dal paraurti e
fingo
indifferenza quando abbasso lo straccio davanti a Black Junior che ha
deciso di
svegliarsi proprio adesso. Continuo a pulirmi le dita tranquillo, Bella
ha
appena smesso di ridere. Si asciuga le lacrime dagli occhi e poi mi
sorride.
Paul avrebbe altro buon materiale sul quale
prendermi per il culo se sapesse che quel sorriso e quegli occhi mi
eccitano
molto di più del suo corpo.
Mi do mentalmente del coglione per la milionesima
volta e mi costringo a riprendermi. Inutile scaldarsi tanto, io resto
sempre e
solo Jake, la spalla su cui piangere con il bonus del gene della
licantropia.
« Che dici, ce la fai a non ridere per
cinque
minuti e a dirmi chi si sposa oggi? »
Mi guarda perplessa, le faccio un cenno con la
testa verso il vestito e sollevo un sopracciglio. E’
più forte di me, non
riesco a trattenere un sorriso malizioso.
« Oh, già …
questo » sorride imbarazzata e abbassa
la testa per guardarlo.
Il viso viene completamente coperto per un attimo
dalla cascata scura dei suoi capelli. Si sarà acconciata
anche quelli perché delle
onde morbide e composte hanno preso il posto del solito arruffamento
che porta in
genere. Proprio al centro della testa spicca un nastro di raso del blu
più
intenso che abbia mai visto. Quando solleva di nuovo il viso il
contrasto tra
quel blu incredibile, il castano scurissimo dei capelli e degli occhi e
il
pallore del suo viso mi mandano per un secondo in tilt il cervello.
Come se non
avessi mai visto una bella ragazza, patetico.
« Come sto? Sono ridicola, vero?
» le guance le
vanno in fiamme e si morde le labbra.
I denti affondano nel labbro inferiore, coperto
di
un rossetto talmente chiaro che se non fosse stato lucido non
l’avrei nemmeno
notato. Riesco a vederlo da questa
distanza solo grazie ai miei occhi da lupo. Occhi da predatore. E mi
sento come
se davvero stessi fissando la mia preda. Mi passo la lingua sulle labbra per riflesso.
Well for a while I've been watching you steady
Ain't gonna move 'til you're good and ready
You show up and then you shy away
But I know pretty soon you'll be walkin' this way
Come stai, mi chiedi. Dovrei risponderti che
non
sei mai stata così bella. Se sei ridicola? Mai quanto questo
fesso che ti sta
di fronte. E chiamandomi fesso mi sono fatto proprio un complimento. A vent’anni sono
ancora qui che ti guardo da
lontano, rispettandoti e aspettando il momento in cui sarai pronta per
andare
avanti. Senza muovermi mai, semplicemente aspettandoti.
Ci sono state delle volte in cui mi ha sorriso
diversamente, guardato diversamente, ma subito dopo è
tornata a nascondersi
nella timidezza che la divora. Poche, pochissime volte. Riesco quasi a
contarle
sulle dita di una mano. Per questo mi sono convinto che fossero solo
dei viaggi
mentali che mi facevo, degli scherzi di questo cervello annacquato che
mi
ritrovo. Di sicuro saranno stati il riflesso di quello che mi sarebbe
piaciuto
vedere. Tutta un’illusione.
All’inizio questa storia che
continuasse a tornare
a Forks ogni volta che poteva mi ha mandato in pappa il cervello. Non
nego che
nei momenti di più totale idiozia ho fantasticato sul fatto
che magari tornasse
per me. Poi però ho capito.
Bella non riesce a stare lontana da Forks
perché
sono convinto che speri di veder tornare quel bastardo. Mi giocherei la
testa
che lo aspetta ancora. Quasi quanto io aspetto che lei ritorni ogni volta. Certo, non sono uno
stupido, so che anche lei tiene a me. In questi anni ho capito che
sì, non
riesce a lasciare Forks per la sanguisuga, ma ha bisogno di me per
andare
avanti.
Lo capisco dai suoi occhi, dalle sue parole, dai
suoi gesti. Torna a Forks e mi parla di tutto quello che succede nella
sua
vita, le scelte che fa, le persone che frequenta, e so che in quel
momento
cerca il mio sostegno. Ha bisogno di sapere che, nonostante tutto, io
sia
sempre lì a supportarla. E siccome ormai l’hanno
capito anche i muri che sono
un masochista testa di cazzo, non riesco a dirle di no. Mai.
« Sei bellissima.»
Quasi mi mordo la lingua dopo averlo detto. Ma
che
idiota! Mi preparo a qualche sberla o a qualche sfottò,
perché il Jacob di
sempre non l’avrebbe mai detta una cosa simile, piuttosto ci
avrebbe scherzato
su. Ma anch’io sono umano, e per quanto mi possa trattenere,
prima o poi la
cazzata mi scappa.
Invece Bella sorride, imbarazzata. Abbassa per un
attimo lo sguardo e sussurra « Grazie ».
E mi spiazza. Per la prima volta in tutta la mia
vita non so che fare. Penso che ci deve essere una muffa killer nella
rimessa
che ci sta friggendo il cervello, oggi. C’è un
attimo di imbarazzo, uno di
quelli che ti sembrano infiniti e che, soprattutto, fra me e lei non ci
sono
mai stati. Poi, così come è arrivato, il momento
passa.
Bella prende un grosso respiro e si avvicina con
la sua andatura scoordinata, sorridendo. Inizia a toccare
distrattamente gli attrezzi
puliti sul banco.
« Ancora alle prese con il macchinone
di Mike? »
lo dice con aria indifferente, ma lo vedo lontano un miglio che
è in
difficoltà.
« Non ci provare » le dico e
lei fa finta di non
capire a cosa mi stia riferendo. « Andiamo, Bells. Il vesito,
addirittura il
rossetto. Non cambiare argomento che tanto non mi freghi. Che succede?
»
La guardo spostare il peso da una gamba
all’altra,
passarsi una mano fra i capelli e mordersi il labbro e so
già che non mi
piacerà affatto quello che mi dirà.
« Io … sì
… beh, insomma, diciamo che … » sbuffa
infastidita e poi sussurra « … Dio! »
quasi si arrabbia con se stessa.
Mi viene da ridere, è troppo buffa
quando deve
vedersela con la sua timidezza.
« La vuoi smettere? »
ridacchio ma lei non sembra rilassarsi,
il che è strano. In genere mi basta sorridere per farle
cambiare umore.
« Giuro che non mi arrabbio se sei
stata invitata
a qualche festa qui in riserva senza che abbiano chiamato anche me.
Davvero, li
capisco, ormai passo più tempo qui dentro che …
»
« Ho un
appuntamento ».
I know you think you'd never be mine
Well that's okay, baby, I don't mind
That shy smile's sweet, that's a fact
Go ahead, I don't mind the act
Lo sputa fuori talmente veloce e basso che per
un
secondo credo di essermelo immaginato. Poi la sua faccia, rossa,
imbarazzata,
con gli occhi puntati sulle sue scarpe, mi da la conferma che invece ho
capito
benissimo. Mi manca l’aria. Sospetto di avere anche la bocca
spalancata e mi
sento anche coglione oltre che stordito.
Ha un appuntamento? Bella? La mia
Bella? Ma allora io sono proprio il campione mondiale dei
coglioni!
E involontariamente insisto nel definirla la mia Bella, come se non fosse abbastanza
chiaro. In questo momento è chiaro come la luce del sole che
lei non è mai stata mia.
Il punto è che fino ad oggi
non mi è mai pesato. Lo sapevo che non era davvero mia ma
solo perché pensavo
che il suo cuore appartenesse ancora a qualcun altro. E invece no,
invece sono
stato più idiota che mai.
Dio, come ho fatto? Il cervello mi gira a mille,
cercando di capire come diavolo ho fatto a non rendermi conto di
niente, a non
capire che era andata avanti. Poi
mi
rendo conto che il problema è sempre stato uno solo: io.
Io, il fesso che pensava che pur di vederla
felice
gli sarebbe stato bene saperla lontana.
Io, l’idiota che non ha mosso un
muscolo
credendola ancora troppo fragile.
Io, il coglione che non si è mai
esposto.
Io. Lo stronzo.
Quello che vorrebbe morire in questo stesso
istante perché, cazzo, ho un dolore che mi squarcia il cuore
ma allo stesso
tempo mi sento sollevato. Sollevato perché, hey, vuol dire
che sta bene. Ed io
mi odio, così profondamente che se fossi ancora il ragazzino
inesperto di
qualche anno fa mi trasformerei su due piedi dalla rabbia. Come si
può, nello
stesso istante, morire di dolore ed essere quasi felici?
Non lo so, non lo capisco. Sono sopraffatto dalle
emozioni e lei ha alzato lo sguardo. Mi fissa, si aspetta che dica
qualcosa. Ma
cosa? Cosa posso dirle se non so nemmeno cosa sto pensando davvero? Una
parte
di me vorrebbe chiederle come ha potuto farmi questo. Ma
all’altra parte di me,
quella più grande, in realtà non importa affatto.
Non mi interessa che non sia
io l’uomo giusto per lei. L’importante è
vederla felice.
Merda, devo dire qualcosa. Devo parlare, devo
fare
qualcosa, qualsiasi cosa per uscire da questo momento. Deglutisco a
fatica, mi
sento come se qualcuno mi stesse strozzando.
« Ehh … beh …
wow »
Oh,
complimenti! Il
dicorso dell’anno. Ma si può essere più
imbecilli? Mi passo una mano fra i
capelli e dalle labbra mi scappa una mezza risatina nervosa. Bella
sembra stare
peggio di me e per un nanosecondo quasi gioisco della sua posizione
più scomoda
della mia.
« L’ho conosciuto qualche
mese fa e … è un tipo a
posto ». Mi guarda di
sottecchi.
Forse si aspetta che dica qualcosa, ma proprio
non
ci riesco. Mi sento come se mi avessero strappato la lingua portandosi
dietro
anche cuore e polmoni. Cosa posso dirle? “Hey, sai, stai
facendo una cazzata
perché sono io
l’uomo della tua
vita” non mi sembrano proprio le parole più adatte
al momento ma sono le uniche
che mi vengono in mente.
Bella si tortura le mani, le labbra, ha
un’espressione quasi sofferente ed io mi sento in colpa. Sta
finalmente
ricominciando a vivere, era quello che volevo, no? Lei sospira ed
inizia a
riempire di nuovo il silenzio che io non riesco a rompere in nessun
modo.
« E’ di Seattle, ma segue una
ricerca a Vancouver
e ci siamo incontrati in biblioteca » si guarda per un attimo
intorno, poi
ricomincia a parlare senza guardarmi negli occhi « ti
piacerebbe, ha un debole
per i motori. »
Vorrei dirle che non me ne frega un cazzo dei
motori e che in questo momento se ce l’avessi davanti gli
spaccherei le ossa
una ad una. Vorrei sapere perché diavolo ha scelto di uscire
con lui proprio
mentre era qui a Forks ma è in questo momento che mi si
accende qualcosa in
testa.
Improvvisamente so esattamente cosa devo dire.
Nell’immensa confusione che ho nel cervello
c’è una cosa che spinge più delle
altre. L’unica cosa dalla quale può dipendere
tutto e non me ne fotte un cazzo
se sono parole da checca. Non provo vergogna quando me le sento
scivolare fuori
dalle labbra.
« Bells, tu … lui ti
… ti piace davvero? Insomma,
sei … sei felice? »
Esita.
Bella semplicemente esita, con il fiato sospeso e
in quel momento mi si aggroviglia lo stomaco. Perché per me
quest’esitazione
potrebbe significare tutto. Andiamo, dillo, mi ripeto nella testa,
dimmi di no.
E nello stesso momento mi maledico per il mio desiderio, che razza di
stronzo
posso essere se spero che mi dica che non è felice?
« Ah … » espira
forte, come se buttasse fuori
tutta l’aria dai polmoni.
Continua a guardare per terra, sposta il peso
sulle gambe e si passa una mano fra i capelli con le labbra increspate.
E’
imbarazzata, come suo solito, e non riesco a capire se sulle labbra ha
un
sorriso o una smorfia. Balbetta un paio di vocali a caso e
più secondi passano
più il mio cuore prende il volo.
« Ma che … che domande fai,
oggi? … Certo »
« Certo cosa? » le rispondo
immediatamente, ormai
ho il cuore in gola senza nemmeno sapere perché.
Bella finalmente alza gli occhi, li punta dritto
nei miei e poco importa che mi sembrino lucidi.
« Sono felice,
Jake ».
Sad eyes never lie
Sad eyes never lie
Sostiene
il mio sguardo ancora per qualche attimo
e nei suoi occhi vedo tutto tranne che felicità. Mi volta le
spalle, finge di
studiare gli attrezzi appesi alla parete, poggiata al bancone. Io
intanto sto
impazzendo. Bella non mi ha mai mentito, nemmeno una volta, ma
c’è qualcosa al
centro del petto che mi spinge a non crederle. Perché non mi
guarda negli
occhi? Perché non mi grida la sua felicità invece
di nascondermi il viso? Sa
che i suoi occhi mi hanno sempre parlato più delle sue
labbra.
Mi agito ancora di più, sento le mani
che mi
sudano per la prima volta nella mia vita e mi sento un tale cazzone che
vorrei
soltanto non aver mai fatto quella domanda. Perché ora
davvero non so più che
fare, cosa pensare. Che motivo avrebbe di mentirmi? Nessuno, quindi se
dice che
è felice vuol dire che lo è davvero, coglione di
un lupo, e tu ti devi
rassegnare.
Però … mi strofino le mani
fra i capelli, dietro
la nuca, perché, Dio, ho qualcosa dentro che proprio mi
impedisce di crederle.
La vedo lanciare una breve occhiata all’orologio e chiudo gli
occhi, sapendo
che mi rimane davvero poco tempo.
Cosa c’è, eh?
Cos’è che non ti torna, lupo? Chiedo
alla bestia che mi porto dentro, perché so che è
per colpa sua se non credo
alle parole di Bella. So che lui ha visto qualcosa che a me sfugge,
quindi per
la miseria, devo capire!
Stringo le palpebre, rivivo il momento in cui mi
ha risposto. Sono solo flash istantanei quelli che rivedo, eppure sono
particolari talmente minuscoli e ravvicinati che potrebbero appartenere
a
chiunque. Una guancia che arrossisce. Un minuscolo lembo di pelle della
nuca
sul quale si rizza una minuscola peluria.
Un battito di cuore che triplica. Ma cosa più
importante, degli occhi senza
luce.
Qualcuno una volta ha detto che la nostra anima
si
vede attraverso gli occhi, o una stronzata simile. Ma, cazzo se
è vero. L’anima
di Bella è tutta nei suoi occhi ed io, non per vantarmi, ma
ho sempre
comunicato molto meglio con quella, senza bisogno di parole. Ci sono
state
volte in cui gli occhi della mia Bells hanno brillato talmente tanto da
accecarmi. Poco fa, invece, tutto quello che ho visto sono stati dei
grandi
occhi di cioccolata. Punto. Magari leggermente lucidi, ma spenti. Non
voglio e
non posso credere che Bella mi dica di essere felice con quegli occhi.
Quando riapro i miei, di occhi, ho deciso: non le
credo.
Mi basta questo spiraglio di sicurezza per
sentirmi leggermente più forte, più sicuro.
Perché se Bella è pronta per andare
avanti allora deve essere felice, e io non
posso pensare di non poter far parte della sua felicità. La
sua felicità potrei
essere io, lo so, l’ho sempre saputo.
«
Sto facendo tardi, devo andare. Ci … ci sentiamo
domani, magari »
Here you come all dressed up for a date
Well one more step and it'll be too late
Mi
saluta con la mano e si volta, dirigendosi
verso la porta.
No, porca puttana, no.
Ho appena acquistato un briciolo di sicurezza e
lei me la butta al vento. Non può andarsene proprio adesso,
che sto finalmente cercando
di capire cosa devo fare. Prendo fiato un paio di volte, poi
però non dico
niente perché non
so che dire. Le mani mi
sudano tantissimo, tanto che penso che stia per venirmi un colpo. Mi sento il cuore praticamente dietro
le orecchie e, se non dovessi mantenere una certa dignità,
andrei in panico
totale.
Un passo, due, la guardo avvicinarsi all’uscita
della rimessa.
Ho la bocca più secca dello schifo di
arrosto del
mio vecchio di ieri sera eppure ingoio. A fatica, ma ingoio. Cerco di
mandare
giù il cuore, lo stomaco e tutte le budella che mi stanno
strozzando mentre
prego tutti i miei cazzo di antenati di darmi una mano, direi che ne
hanno di
debiti per questa storia della licantropia.
Bella è ormai alla porta, un ultimo
passo e sarà
fuori. Fuori dalla rimessa. Fuori
dalla mia vita. Fuori dal mio
futuro.
Un altro passo e sarà troppo tardi.
Mi basta questo pensiero per perdere la testa. In
un attimo impazzisco totalmente – o ritrovo la ragione, chi
può dirlo? – e mi è
improvvisamente tutto chiaro come il sole. Cos’è
che mi impedisce di fare
finalmente la mia mossa?
Blue blue ribbon in your hair
Like you're so sure I'll be standing here
Vedo
i suoi capelli scuri ondeggiare, con quel
nastro blu che sembra mi stia chiamando, quasi del tutto fuori dalla
rimessa. Mi
muovo senza pensare, senza nemmeno avere idea di cosa fare. In meno di
due
passi la raggiungo, le afferro un braccio e la volto senza dire niente.
La prima volta in cui mi do del coglione
è quando
i miei occhi incatenano i suoi. Li amo da morire, come ho fatto a stare
senza
fino ad oggi?
La seconda volta quando con una mano le avvolgo
il
fianco e mi accorgo con la coda dell’occhio di averle
sporcato il vestito di
grasso. Ma a lei sembra non importare tanto quanto a me. Quindi forse
questo lo
ritiro.
La terza è quando le mie labbra
toccano appena le
sue, fresche, dalle quali emette un sospiro altrettanto fresco. Quando
piuttosto che sfiorare la sua bocca, come si dovrebbe fare, quasi me la
mangio.
Ma soprattutto, quando sento le mani di Bella stringersi fra i miei
capelli e
rispondere al bacio quasi più intensamente di me.
Lì sì che mi do del
grandissimo coglione, senza
possibilità di ritirarlo. Coglione. Immenso, patetico,
stupido coglione senza
speranze. Perché tocco il cielo con un dito,
perché mi fa male il petto dalla
felicità, perché non avrei mai pensato che tanto
amore fosse possibile.
Coglione, a non averci provato prima.
Non smetto di baciarla, non ho intenzione di
farlo
per il resto della mia vita e a quanto pare nemmeno lei. Finalmente
mia. Le
sfilo con una mano il nastro dai capelli, mentre le mie labbra
sorridono sulle
sue.
In
questo momento sono quasi certo di avere lo stesso sorriso di allora
stampato in
faccia e quel ricordo talmente vivido mi fa sentire immediatamente la
mancanza
delle sue labbra sotto le mie. Quel giorno era il 6 Gennaio di quattro
anni fa.
Lo stesso in cui mi raccontò dell’Epifania, questa
sorta di strana festa
italiana in cui una vecchietta
porta
dei regali ai ragazzini. Mi disse che prima sua nonna – di
origini italiane – poi
Reneé, l’avevano costretta a festeggiarla ogni
anno e che, quell’anno,
evidentemente io ero stato il suo regalo.
Anche
per questo ci siamo sposati proprio il 6 gennaio, tre anni fa. E sempre
per
questo motivo, da allora, ogni 6 gennaio mi alzo all’alba per
addobbare il
nostro piccolo soggiorno con qualche calza appesa al caminetto, qualche
regalo
sul tappeto e circa un migliaio di caramelle e dolci vari sparsi in
giro per
casa.
Proprio
come in questo momento, che mi guardo intorno soddisfatto del mio
lavoro. Alla
fine del caos nessuna traccia, se non quello ricreato apposta delle
caramelle.
Sorrido e il mio udito infallibile registra prima lo sbuffo del
materasso e poi
lo scricchiolio del pavimento al piano di sopra, segno che si
è svegliata.
Cerco
di fare l’indifferente, provo a sedermi sul divano ma sono
troppo agitato. Dopo
anni, ritorno a darmi mentalmente del coglione, che non guasta. Cerco
di
guardare fuori dalla finestra, fingendo di non vederla quando
arriverà, ma
quando sento i passi sulle scale alle mie spalle mi rendo conto che
è una
stronzata. Sa che la sento, e anche se non lo sapesse sembrerei stupido
comunque, in tutti questi anni non le ho mai tolto gli occhi di dosso
nemmeno
per un momento.
Quindi
alla fine mi volto nello stesso istante in cui i suoi piedi bianchi
toccano il
parquet del soggiorno. Mi guarda con quegli occhi grandi e lucidi e io
mi sento
morire, come il primo giorno in cui ho capito di amarla. Mi sorride
sorpresa, e
io rido della sua ingenuità, ormai dovrebbe aspettarselo. I
capelli scuri sono
più lunghi di come li abbia mai portati e sfiorano la pancia
enorme e rotonda
dove tiene poggiate le mani.
«
Jake … »
Mi
viene incontro ed io non riesco più a resistere.
L’avvicino a me e la bacio,
prendendole il viso tra le mani.
«
Buon anniversario » un bacio sulla punta del naso «
e buona Epifania »
Sorride
e mi sciolgo come fossi ancora un ragazzino. Mi metto alle sue spalle e
l’abbraccio avvolgendo anche il pancione, non mi sembra vero.
La piccola Sarah
scalcia sotto le mie mani, come ogni volta che avverte il
calore del mio tocco. Insieme guardiamo il caminetto con le tre calze
che
penzolano con i nostri nomi, stracolme di dolci.
« Ti
amo » mi sussurra la mia Bells.
Tiro
fuori il nastro blu dalla tasca e glielo passo tra i capelli,
aggiustandolo
proprio come quel giorno di quattro anni fa, quando non sognavo neppure
di
avere quello che ho oggi.
Sarò
anche un coglione senza speranze, ma sono il coglione più
felice del mondo.
- Un sentito grazie a J., la miglior Beta che si possa desiderare. Se avete voglia di leggere qualcosa di STRAORDINARIO passate dal suo profilo e pescate a caso. Sono tutti pezzi unici per bellezza, stile ed emozioni. Mi ringrazierete.
- Questa shot è nata grazie ad un contest indetto da Palm, purtroppo non ho consegnato in tempo, ma ho pensato che fosse giusto pubblicarla comunque. Il prompt che mi era stato dato da rispettare era "epifania".
- Chi tra voi segue anche la mia long, Undisclosed Desires, beh ... chiedo umilmente perdono per aver interrotto la pubblicazione. Ho perso l'ispirazione in questi mesi ma, grazie anche a questa shot, pare che io l'abbia ritrovata. Vi chiedo solo un po' di pazienza e ricomincerò ad aggiornarla.