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Autore: Walpurgisnacht    18/11/2011    3 recensioni
Dal quattordicesimo capitolo di Secrets. Premetto che NON sarà quel che succede nel prosieguo della storia.
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Wei-Zan non è una persona con cui si possa ragionare oltre un certo punto. Ma non lo sono neanche il Mousse e la Shan-Pu ormai esasperati dagli usi e dai costumi della loro tribù. Cosa può succedere dopo che queste due forze si scontrano fra di loro, senza alcun controllo?
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akane Tendo, Mousse, Ranma Saotome, Shan-pu, Ukyo Kuonji
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Secretception!'
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"Credo non vi sia chiaro" disse Wei-Zan, rilasciando la sua aura contro quella di Cologne "che non vi è stata data una scelta, ma un ordine".
Il livello di guardia si alzò immediatamente: la nonna di Shan-Pu tenne il proprio ki espanso al massimo, mentre i tre giovani si misero in posizione di combattimento, scattando in piedi come saette. Mousse fece anche un movimento come ad estrarre qualcosa dalla manica. E non era di certo una decorazione per il festival del dragone blu.
“Dobbiamo proprio arrivare a tanto?” chiese Ku-Lun in lingua madre, tentando un'ultima mediazione. Mentre pronunciava queste parole non poté fare a meno di sudare, spaventata da come le cose stessero rischiando di precipitare.
La risposta che ricevette non fu per nulla rassicurante. Wei-Zan fece saltare per aria il tavolo attorno al quale erano stati seduti sino a pochi secondi prima. La posizione del suo mignolo era inequivocabile: Bakusai Tenketsu. Tutti i presenti, tranne Ukyo che non era per nulla familiare con la tecnica, capirono subito che quella voleva essere una dimostrazione di forza per rimetterli in riga.
“Non essere assurda” rispose beffarda l'altra matrona, schioccandole uno sguardo minaccioso “Hai voluto parlare, e ho acconsentito. Hai preteso di lasciare a questi poppanti la facoltà di potersi esprimere, e contro il mio buon senso ho acconsentito. Adesso non puoi permetterti di accampare simili, ridicole richieste. Ho espresso il mio giudizio e verrà rispettato, che vi piaccia o no. Questa è la vostra ultima possibilità di seguirmi senza opporvi in questa maniera testarda. Altrimenti del sangue verrà sparso, e non sarà il mio”.
L'atmosfera del Nekohanten era diventata improvvisamente invivibile. Le cinque persone che in quel momento occupavano la sala principale del ristorante respiravano pesantemente, in parte a causa della pressione spirituale delle due vecchie e in parte per la tensione che era venuta a crearsi. I ragazzi, inoltre, subivano molto più delle antiche mummie il peso psicologico della situazione. La più toccata era la giapponese, che si trovò con le mani tremanti sulla spatola che reggeva sulla schiena aspettando, con una discreta dose di terrore, il momento in cui avrebbe dovuto sfoderarla per menare le mani. E poi, per quel che ne poteva sapere, il Decano Millenario di Joketsuzoku poteva aver appena promesso di comminar loro la sentenza più crudele e la morte peggiore di cui fosse capace.
Lo sgomento di Shan-Pu e Mousse non era così palese, anche se non mancava di far sentire la propria esistenza picchiando forte sulle loro tempie.
Fu proprio l'anatroccolo a rompere l'impasse e, contrariamente al suo più recente andazzo, tentò di portare calma invece di seminare discordia: “Nobile Wei-Zan, la prego. Risparmi Ukyo. Lei davvero non c'entra nulla, come ha già detto Ku-Lun. Se noi dobbiamo portare le cose fino in fondo sono dispostissimo a farlo, ho preso la mia decisione e non intendo smuovermi. Ma lei è totalmente innocente ed estranea. La prego. La scongiuro. La tenga fuori”. La presa sulle sue armi si rafforzò, temendo il peggio.
Quella si limitò a sorridere. Uno di quei sorrisi che avrebbero potuto uccidere un rinoceronte a chilometri di distanza. Alzò le mani di fronte a sé, come se le avesse appoggiate su un muro invisibile, e si girò nella direzione di Ukyo. Un “uhn” dopo la poveretta volò all'indietro, colpita da una piccola frazione del suo potere. Travolse tavoli e sedie, disseminandoli per tutto l'ambiente, e si fermò solo quando la sua schiena fece la dolorosa conoscenza della parete.
“Questa è la mia risposta, Mu-Si” sentenziò, glaciale come l'Artico.
Lui non ebbe un attimo di esitazione e fu subito al fianco dell'amica, aiutandola a rialzarsi. Avvicinò la bocca al suo orecchio e le disse, più piano che poteva: “Scappa. Cercherò di guadagnare un po' di tempo per te. Non restare qui a farti ammazzare anche tu”. Al che lei si voltò nella sua direzione e, pur non nascondendo le fitte dovute alla forte botta, gli rispose: “No Mousse, ormai sono nella melma fino all'orlo della testa insieme a voi. A questo punto non me la sento di abbandonarvi. Ti ringrazio del pensiero, è gentile da parte tua. Ma Ukyo Kuonji non fugge lasciando i compagni in difficoltà. Se mi tocca affronterò la morte con dignità”. Fu un attimo: forti braccia cinesi la cinsero all'altezza delle spalle e qualche goccia calda le bagnò la schiena.
Lo accarezzò dolcemente sulla nuca: “Mousse, tesoro. Non serve questa scenata. Esattamente come hai detto tu prima ho preso la mia decisione, che è quella di starvi accanto fino alla fine. Chissà, magari sarà proprio perché sono rimasta che ci salveremo tutti. E ora, fossi in te, mi lascerei andare. Qualcuno qui non sta gradendo il tuo affetto nei miei confronti”. Il riferimento, peraltro piuttosto chiaro, era verso Shan-Pu che li stava guardando senza sprizzare gioia da ogni poro. Anzi, con quella bocca digrignante avrebbe potuto benissimo strappare qualche pezzo di carne da gente avventata.
“Ehi! Lascia stare Mousse!” abbaiò, decisamente contrariata.
“Va bene, va bene! Nessuno ti tocca il ragazzo, tranquilla” disse ridendo e rompendo l'abbraccio, ignorando volutamente l'imbarazzo della coetanea, per poi tornare a concentrarsi su Wei-Zan. La quale, per loro immensa fortuna, non aveva approfittato della distrazione per attaccarli. Forse la presenza di una Cologne al massimo dell'allerta e con l'aura completamente scatenata l'aveva fatta desistere dal proposito.
A questo punto è inutile tergiversare ulteriormente, pensò l'amazzone più giovane. Lanciò un'occhiata di intesa a sua nonna e si gettarono su Wei-Zan nello stesso istante, venendo ben presto raggiunti anche da Mousse e Ukyo.
Fu una lotta spettacolare: pur non muovendosi più di tanto, principalmente per volere delle due anziane che non intendevano sprecare inutilmente energia sin dai primi momenti, il loro rapidissimo accavallarsi di offensive e parate avrebbe lasciato estasiato Ranma, in quel momento impegnato a sbaciucchiarsi con Akane nel parco. Era un susseguirsi di affondi e blocchi degni dei migliori artisti marziali mondiali, cosa non difficile da credere dato il pedigree dei coinvolti. Pur in un rapporto numerico di quattro a uno il Decano si difendeva egregiamente e, ogni tanto, riusciva anche a mandare a segno qualche botta. Dovendo però contrastare così tanti avversari contemporaneamente era costretta a non potersi dedicare completamente a uno di loro, visto che il successivo era già partito al contrattacco. E poi, naturalmente, doveva comunque tenere un occhio e mezzo su Ku-Lun che rimaneva sempre l'ostacolo più difficile, sebbene pensò fra sé e sé che anche i marmocchi non erano niente male.
A un certo punto si stufò di combattere così. Alla lunga questo stallo si sarebbe risolto a suo sfavore perché, data l'età, il suo vigore fisico era inevitabilmente inferiore e avrebbero persino potuto sopraffarla. Lasciando molti buchi nella propria guardia sferrò una serie di pugni più pesanti che, finalmente, riuscirono ad allontanare i ragazzi. Cologne sfruttò il vantaggio, da buona arpia che era sempre stata, e riuscì a piantarle un secco affondo sul fianco sinistro. Il turbinio di mani che schizzavano alla velocità della luce si interruppe bruscamente e un piccolo fiotto di sangue cadde sul pavimento.
Stava per ribadire l'appena trovata superiorità quando il suo cervello registrò gli strani archi che le minuscole braccia di Wei-Zan avevano cominciato a tracciare nell'aria, come se stesse disegnando un cerchio. Le suonò un campanello d'allarme fortissimo in testa e fece per ritirarsi, ma l'altra fu più veloce.
Le mani, posizionate come le fauci di un drago, impattarono con violenza contro il suo petto.
Ci fu un attimo di stasi. Cologne non sembrò ferita, ma lei e la sua coetanea sapevano bene quali danni fossero stati provocati con quell'apparentemente innocuo colpo. Ben presto gli altri tre le furono di nuovo addosso e, forse stordita da quanto ricevuto e sicuramente affaticata dai precedenti sforzi, venne presto soverchiata dai più freschi nemici. Riuscirono a bloccarla a terra, semi-svenuta.
“Nonna! Vieni! Ce l'abbiamo fatta!” urlò Shan-Pu, rinvigorita da come il conflitto si fosse risolto con così poco. Si voltò all'indietro e la vide, ancora immobile da prima.
“Nonna?”.
“Cinque minuti” fu la criptica risposta che ricevette.
Ku-Lun balzò come un falco su Wei-Zan e cominciò a percuoterla senza sosta.
“Muori, bastarda! Muori! Muori! Muori! Colpirmi con il Gutou De Rou Dan Zhan Shu!”.
I ragazzi la guardarono stravolti. Non l'avevano mai immaginata capace di una simile furia omicida. Però, in cuor loro, non trovarono la forza di fermarla. Stava solo esprimendo, molto vocalmente e molto duramente, tutto ciò che pensavano e provavano verso la megera.
Quando ebbe finito di Wei-Zan non restava molto: la faccia era stata piagata da un'infinità di pugni, ognuno dei quali sarebbe stato abbastanza forte da incrinare una porta in acciaio. Nessuno di loro era in grado di cogliere il suo respiro.
“Vecchia” disse Mousse una volta alzatosi “cosa volevi dire con...”.
“Fra quattro minuti e undici secondi ogni singolo osso del mio corpo si spezzerà, come si potrebbe spezzare una canna di bambù” fu la laconica risposta.
“CHE COSA?”.
“Gutou De Rou Dan Zhan Shu. Tecnica di Frantumazione delle Ossa. Se viene eseguita perfettamente, e non vedo come Wei-Zan possa non averlo fatto, alla vittima restano cinque minuti prima che il suo scheletro diventi un brodino”.
“Nonna!” guaì Shan-Pu avventandosi su di lei e stringendola in un abbraccio da grizzly.
“Ehi, calma! Non anticipare i tempi! Ho ancora tre minuti e quarantadue. Piuttosto, devo avvisarvi di una cosa per quando sarò andata a fare compagnia ai miei avi. Il resto del Consiglio arriverà presto qui. Dovete andarvene. Adesso”.
“Cosa mi interessa del Consiglio? Non posso... non sopporterei... perché devi morire in questo modo...”.
“Shan-Pu, ascoltami. Ho vissuto a lungo, molto più a lungo di tutti voi messi assieme. Sapevamo cosa si rischiava a mettersi contro Wei-Zan. E sono contenta che sia io a pagarne le conseguenze, invece di voialtri. Ma ora non dovete permettere che Tsai-Fu e le altre vi trovino. Sareste spacciati e tutto questo sarebbe stato inutile”.
“Cologne...” sussurrò Ukyo.
Mousse si asciugò gli occhi con la manica.
Shan-Pu strinse ancora più forte la donna che l'aveva cresciuta come se fosse stata figlia sua. Non trattenne nulla: lacrime, urla, bestemmie, maledizioni.
Allo scadere dei cinque minuti si sentì un tremendo *crack* riecheggiare fra le pareti e il corpo della vecchia si afflosciò fra le braccia della nipote.
Wei-Zan, dall'oltretomba, rise come una psicopatica.

Dieci minuti dopo i cinque adolescenti erano seduti per terra, sul pavimento del Nekohanten. I corpi erano stati fatti sparire alla bell'è meglio.
Un coltello sarebbe stato eccessivo per tagliare la tensione. Bastava un grissino.
Akane, abbarbicata a Ranma come un'edera su un muro, ascoltava con occhi sbarrati il resoconto, gentilmente offerto da Mousse, di quanto era successo poco prima. Il suo sguardo terrorizzato faceva a botte con quello stoico e impassibile del fidanzato.
Ukyo era ancora scossa. Non proferiva parola, la testa fissa per terra. Nonostante sapesse che non era in suo potere fare di più di quanto aveva fatto si sentiva in colpa per quanto successo a Cologne, la quale aveva cercato a tutti i costi di tirarla fuori da quel pasticcio prima che fosse troppo tardi. Apprezzo il tentativo, vecchio ghoul.
Shan-Pu non aveva recuperato un aspetto presentabile. Singhiozzava come una bambina a cui hanno rubato il ciuccio e ogni tanto le usciva qualche improperio nei confronti del Consiglio.
“Ed è andata così. La vecchia, prima di lasciarci, ci ha caldamente suggerito di levare le tende all'istante. Se mi è concesso dire la mia sarei d'accordo con lei” concluse il cinese.
“Andarcene?” disse Ranma, irato, tirandosi improvvisamente in piedi e trascinandosi dietro Akane “Non esiste. Ranma Saotome non si tira indietro di fronte a una sfida. Ho sconfitto principi che padroneggiano il ki come se fosse un giocattolo, draghi a otto teste e divinità fenice. Non saranno delle mummie in miniatura a spaventarmi!”.
Le parole del ragazzo scatenarono una reazione inconsulta in Shan-Pu. Balzò dal suo posto, gli si fece sotto e gli rifilò uno schiaffo che fece il rumore di un bulldozer.
“Ranma! Tu cretino o cosa? Nonna morta per darci tempo di fuggire! Volere tu sprecare suo sacrificio?” sputò con ardore, mentre la faccia le si riempiva nuovamente di lacrime. Almeno ho superato il blocco psicologico di piangere di fronte alla gente, si disse sarcastica.
A lui venne prurito alle mani. Per la prima volta nella sua vita non sentiva remore nel picchiare una femmina. “Senti, mi spiace per tua nonna. Mi spiace davvero. Oggi il suo comportamento mi ha piacevolmente stupito più di una volta e penso che, se ne avessimo avuto il tempo, il nostro rapporto sarebbe migliorato moltissimo. Ma ora lei non c'è più, purtroppo. E questo non toglie che, anche se ci fosse stata, non mi avrebbe fatto desistere dal voler affrontare il Gran Consiglio. Anche tutto assieme, se serve!”.
“Questo conta niente! Noi rischiamo vita, qui! Tu rendi conto di questo?”.
“Certo che me ne rendo conto! Ma sarebbe solo l'ennesima volta che mi succede, e non solo a me. Tutti, qui, si è rischiato di morire almeno una volta. E non è successo. E poi non eravate tu e Mousse a volervi liberare dai lacci di Joketsuzoku? Bene, questa è la vostra grande occasione! Approfittatene”.
I due presero a scambiarsi insulti in maniera furibonda, circondati da volti costernati.
Dopo un po' Akane, sbuffando, si avvicinò a Mousse e gli chiese dove fosse il telefono. Quando lui volle sapere il perché la risposta fu: “Semplice. Avviso a casa che stasera non rientriamo. Quei due ne avranno ancora per parecchio, temo”.
La previsione fu disgraziatamente giusta. Erano passate poco più di due ore che Ranma e Shan-Pu, pur con alcune pause, non avevano ancora trovato un punto di incontro, entrambi arroccati sulle proprie posizioni. E, nella loro situazione, quello era solo tempo buttato nel cesso. A più riprese Mousse si era intromesso, sostenendo il punto di vista di Shan-Pu e cercando di convincere Ranma che il suo atteggiamento era il peggiore che potessero adottare. Ma fu tutto inutile, il giovane Saotome sapeva essere inamovibile quando si trattava di arti marziali.
Arrivò la sera.
Ormai tutti erano logorati dall'infinito litigio ancora in atto. Poi, improvvisamente, la porta venne sfondata. Per la seconda volta in un giorno solo.
Ci fu un voltarsi di teste verso la fonte di disturbo dalla quale emersero alcune corte figure, ancora parzialmente coperte dalla penombra proveniente dall'esterno.
“Chi siete? Cosa volete?” chiese Shan-Pu, allarmata.
“Eccola, la piccola Shan-Pu. Quanto tempo che non ci si vede, eh?”.
Il solo fatto che la risposta giunse in cinese gettò i presenti nel panico.
Il Consiglio era arrivato. In assurdo anticipo sul preventivato.
“N-Nobile... Tsai-Fu...” balbettò Mousse.
“E non sono sola, Mu-Si. Con me ci sono Ying-Bao. E Ping-Tan. E Xue-Shen. E Fang-Ma. Il governo di Joketsuzoku è qui, nella sua interezza. Siatene felici”.
Non ne hai proprio idea, dannata vecchiaccia.
Avanzarono con fare ieratico, come se fossero dei capi di stato in visita ufficiale all'estero. Tutte e cinque perfettamente allineate, sembravano delle fotocopie di Ku-Lun se non per il fatto che erano agghindate molto più riccamente. Vestiti con intarsi di creature mitiche, come unicorni a sei zampe e animali acquatici dall'aspetto minaccioso. Non che si vedesse benissimo, le modelle di questi stupendi abiti non ne rendevano giustizia. Un paio di loro portavano persino delle collane d'oro a simbolo dell'elevatissimo rango.
“Come potete essere già qui?” chiese Mousse “La Cina è lontana e...”.
“Silenzio, giovinastro. Vi basti sapere che il Decano del Gran Consiglio non va mai in giro senza un'adeguata scorta. I nostri emissari ci guardano come dei segugi, dall'ombra. E all'uopo si incaricano di avvisare il resto di noi. Inoltre, per spirito informativo, eravamo già in terra giapponese. La vostra questione meritava la presenza di tutti noi, ma Wei-Zan ha insistito per farsi avanti da sola. Quella sconsiderata”.
Il tempo dei salamelecchi finì quando quella che era stata chiamata Tsai-Fu fece un cenno con la testa alle altre, dicendo in maniera truce: “Sapete cosa fare”. Cinque folgori si mossero, ognuna dedicandosi a uno dei condannati.
Il copione fu lo stesso per tutti: il disgraziato, o la disgraziata, che vide una massa indistinta e grossa come un barattolo avventarsi su di lui/lei, un pessimo tentativo di difesa abilmente evitato e due colpi in rapida successione sul tan tien, centro energetico nel ventre. Ben presto ci furono cinque corpi senza sensi stesi per terra.
“Perfetto” gracchiò Tsai-Fu “e ora lasciamo che la tecnica faccia il suo dovere...”.

Ukyo si svegliò col mal di testa. La sala del Nekohanten era deserta, salvo la presenza di Ranma che le dava le spalle.
“Ehi” chiamò lei “cos'è successo? Dove sono finiti gli altri? E le cinesi? Non ricordo nulla”.
“Tranquilla” disse lui, voltandosi con un sorriso radioso sul volto “è tutto sistemato. Devi aver preso una bella botta se non te lo ricordi”.
Si avvicinò con passo calmo mentre la cuoca si rialzava, massaggiandosi il cranio ancora indolenzito.
“Gli altri se ne sono già andati. Io sono rimasto a vegliarti finché non ti saresti ripresa. Come va?”.
“Discretamente. Ho un concerto di maracas nel cervello ma, a parte quello, mi sento abbastanza bene. E allora? Qui che è accaduto?”.
“Prima di risponderti” fece soavemente, poggiandole le mani sulle spalle “volevo dirti una cosa”. Il suo sguardo si fece tenero come quello di un peluche, provocando in lei una reazione da scolaretta innamorata. Cosa che in effetti era, a ben guardare. La faccia le si riempì di imbarazzo fuori controllo e presero a fischiarle le orecchie.
“R-R-R-Ranma... che cosa... che cosa... fai?...”.
“Sssssssssh. Non parlare. Lascia gestire a me, ok?”.
“Questo... non è... reale... tu ami... Akane...”.
“No. Io amo te”.
Le venne la tentazione di staccarsi, subodorando qualcosa di sbagliato. Ma il suo tocco era così morbido, i suoi occhi così magnetici, il suo profumo così inebriante...
Si lasciò andare, abbracciandolo.
Proprio mentre chiudeva gli occhi e si accingeva a baciarlo... sentì uno spasimo acuto allo stomaco. Abbassò lo sguardo e vide un coltello penetrato nelle sue carni, già bagnato di sangue.
Intorpidita, non reagì mentre lui cominciava a rigirare la lama con lentezza atroce. Poi le afferrò il collo con entrambe le mani e strinse. Sempre più forte.
“Perdonami, Ukyo. Non avrei voluto che finisse così” disse. E a lei, nonostante tutto, suonava sincero.
Urlò fortissimo mentre riapriva gli occhi.
“Un... un incubo?” chiese a qualcuno che non c'era. Guardandosi attorno vide che si trovava in una stanza con le pareti bianche, per nulla familiare. Si accorse di essere distesa su un tavolo freddo e di... essere nuda. Quando provò a muoversi si accorse di non riuscirci. Come se le avessero iniettato una quantità da elefanti di tranquillanti. O forse no, la sensazione era diversa; sembrava più che avessero sostituito ai suoi muscoli dei massi di granito. Qualunque fosse la causa non poteva alzare un solo dito. Era completamente immobile.
“C'è qualcuno in questo posto?” gridò, sperando di avere una risposta. Che non venne.
Qualche minuto dopo si sentì un rumore, come di una porta che si apre. Finalmente qualcuno!
Avrebbe preferito che non arrivasse nessuno, però. La donna che era appena giunta, difatti, era vestita con un camice bianco e indossava dei guanti di gomma.
Sembrava...
La sconosciuta prese in mano un registratore portatile e lo accese, poi cominciò a parlarvi dentro: “Sono le undici e mezza del ventinove novembre e parla la dottoressa Kimiko Yashanagi. Il corpo è di una ragazza, sedici anni, di nome Ukyo Kuonji. Causa della morte: asfissia dovuta a strangolamento. C'è una ferita sul ventre ma non è stata neanche concausa del decesso. Non vi sono tracce di violenza sessuale”. E altri termini che, all'orecchio di Ukyo, persero pian piano di significato.
“Ehi! Che cos'è questa roba! Che succede! Chi sei! Cosa! Dove! Perché!” cominciò a sbraitare, ma l'altra la ignorò. O meglio, non diede neanche segno di aver recepito i suoi ululati. Come se non avesse sentito nulla.
E poi vide splendere la sinistra luce di un bisturi.
“Procedo con l'autopsia” disse ancora la dottoressa. Appoggiò piano lo strumento alla pancia, mentre la proprietaria della suddetta la guardava con occhi ricolmi di terrore. “Fermati! Cosa fai! Metti giù quell'affare! Non azzardarti a scuoiarmi come un agnello! Basta!”.
Quando venne operato il primo taglio sentì un'esplosione di dolore lancinante che la avvolse come una coperta di spine.
Poi si ritrovò in un prato, per terra. Di fronte a lei c'era una bimba dai boccoli biondi che si teneva un dito in bocca mentre la scrutava curiosa, chiedendosi cosa fosse successo a quella bella ragazza e perché la fissasse con aria spaventata.
“Kami... questo è molto peggio di un incubo...”.

E nelle menti degli altri non succedevano cose granché differenti: Shan-Pu che veniva investita da una macchina, Ranma che si ritrovò con le vertebre cervicali spezzate da Saffron, Akane che si spegneva nel suo letto dopo una lunga malattia che l'aveva ridotta a poco più di una larva sbavante, Mousse che in preda a un'ubriacatura senza precedenti attaccava briga con dei brutti ceffi e si faceva massacrare di botte.
Ma in realtà le loro spoglie fisiche giacevano sul parquet del Nekohanten, in una sorta di animazione sospesa. Non erano biologicamente morti ma, a una sommaria analisi, avrebbero di sicuro dato quell'impressione.
I cinque ghoul cinesi si guardarono, soddisfatte. Questa era la loro vendetta.
Tsai-Fu rivolse il suo più inquietante sorriso alle compagne, poi disse: “Ecco. Ora questi cinque farabutti sconteranno la loro pena per il resto dell'eternità. Intrappolati nelle loro peggiori paure in cui, inevitabilmente, finiscono col tirare le cuoia. Spero nella maniera più truculenta e infausta possibile. Niente di meno per chi si è macchiato dell'omicidio del Decano del Gran Consiglio di Joketsuzoku. Ora possiamo tornare a casa, amiche mie”.
E se ne andarono, in silenzio.
   
 
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