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Autore: Montana    02/12/2011    3 recensioni
Una ragazza scampata alla strage della sua famiglia a soli 5 anni, non parla, si esprime solo con la musica.
Il suo serial killer è tornato a cercarla.
Ma questa volta con lei ci sarà un ragazzo dai capelli castani, e la sua squadra di esperti, pronti a proteggerla.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Veronika Gordon 2007-2012'
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Un nuovo caso, un nuovo addio
 
Due settimane dopo
 
Erano passate due settimane dal giorno della chiusura del caso Sanders/Gordon.
Veronika aveva ricominciato ad andare a scuola e, come ho già detto, a pianoforte.
A quanto pare, dopo il suo ritorno a scuola tutti i compagni che avrebbero voluto escluderla per colpa dei suoi problemi le avevano chiesto scusa, e i rapporti con il tale Emme (che avevo scoperto chiamarsi Matthew) andavano a gonfie vele. Lui era stato persino invitato a sentire il concerto che Veronika avrebbe tenuto la sera della vigilia di Natale, ovvero tra poche settimane.
Non so come avesse fatto, ma in due settimane era riuscita a studiare e ad imparare tutti i pezzi della suite dello Schiaccianoci, per poter accompagnare un’orchestra intera. Era una sorta di regalo di Natale della sua insegnante, e lasciatevelo dire, se lo meritava proprio.
Ma io, in quanto suo Agente Preferito, ero stato inviato alla prima del suo concerto, quella sera nel suo studio. Mi ero fatto dire da sua nonna quale fosse il suo fiore preferito, e avevo purtroppo scoperto che era la rosa rossa. Che in quella stagione non cresceva assolutamente da nessuna parte.
Solo nel tardo pomeriggio mi ero ricordato del fioraio in città, ero corso lì ed ero riuscito a prendere una piccola rosa rosso carminio, molto bella.
Stavo giusto avviandomi verso lo studio, quando Hotch mi chiamò “Reid vieni dentro, abbiamo bisogno di te.”
“Che è successo? Altri omicidi? Non era Sanders?” chiesi preoccupato, entrando e vedendo tutti seduti attorno al tavolo con dei fascicoli in mano.
“No, no, Sanders è al sicuro all’obitorio. Abbiamo un nuovo caso.”
“Oh. Giusto.”
“Garcia, a te la parola!” disse Morgan, mentre io mi sedevo.
“Allora, siamo a Los Angeles! Quattro vittime, due uomini e due donne, tutti di colore. Storditi con il cloroformio, torturati, pugnalati. Dovrebbe essere routine per voi, no?”
“Dopo questo caso, qualunque cosa sarebbe routine. Quanti giorni sono passati tra un omicidio e l’altro?”
“Tra il primo e il secondo una settimana, tra il secondo e il terzo cinque giorni, tra il terzo e il quarto due. Sta bruciando le tappe...” disse Rossi sfogliando il fascicolo.
“Infatti. Garcia, quando si parte?”
“Il jet potrebbe già essere pronto per stanotte, ma è previsto un temporale lì dalle vostre parti. Domattina presto va bene?”
“Perfetto.”
Per tutto il tempo io ero rimasto zitto e fermo, ma a quel punto parlai “Ma Hotch... Dobbiamo partire con così poco preavviso?” chiesi, come un bambino che ha paura di ricevere una brutta risposta.
“Sì, Reid, ci tocca. Perché? Avevi qualcosa da fare?”
Non gli spiegai che sì, avevo qualcosa da fare, cioè dire addio ad una ragazzina di quindici anni che era sempre stata abbandonata da tutti e che era appena scampata per la seconda volta ad un serial killer che voleva ucciderla per mandarla a fare compagnia ai suoi genitori, e soprattutto che quella ragazzina aveva un talento innato per il pianoforte e sarebbe sicuramente diventata famosa e io ero stato formalmente invitato al suo primo concerto al quale non sarei potuto essere presente perché ero a Los Angeles o chissà dove altro a risolvere un altro caso.
Mi limitai a scuotere la testa “No, niente. Solo, non sono più abituato a ricevere i casi con così poco preavviso.”
“Nessuno lo è. Bene ragazzi, io vado a dire ai signori Gordon che domattina dovremo svegliarci presto e a ringraziarli, voi andate pure a fare le valige.”
La mia valigia in realtà non era mai stata disfatta. Per prima cosa, non avevo un armadio dove mettere la roba, e poi non volevo invadere più del necessario lo spazio vitale di Veronika.
E anche se fosse stata disfatta, di sicuro non sarei mancato al mio appuntamento con Veronika solo per raccogliere i miei vestiti.
JJ mi intercettò mentre andavo verso la porta del corridoio che portava allo studio “Spence... Come pensi di fare con lei?” mi chiese.
Sapevo che aveva capito tutto. Feci una smorfia “Non lo so, sinceramente. Credo che glielo dirò e basta, probabilmente capirà.”
JJ annuì “D’accordo, ma.. fa’ attenzione. So che sai com’è fatta.”
Appena entrato nello studio trovai Veronika seduta sul suo sgabello, intenta a mangiarsi nervosamente le unghie. Quando mi vide saltò su come se avesse una molla “Eccoti! Credevo ti fossi dimenticato...”
“Dimenticarmi di un concerto privato?! E come potrei mai? Ti ho anche portato questa...” le dissi con un sorriso, porgendole la rosa.
La colorazione del suo viso raggiunse una sfumatura leggermente più chiara di quella dei petali del fiore, ma lo prese con cura e lo annusò.
“È bellissima, grazie. Te l’ha detto nonna che è il mio fiore preferito, vero?”
“Mi hai scoperto. Purtroppo non esistono statistiche su quali sono i fiori preferiti dalle quindicenni, ma anche se ci fossero conoscendoti so che non ci rientreresti.”
Rise e posò il fiore sul pianoforte “Me lo metterei dietro l’orecchio ma so che mi cadrebbe centomila volte e mi distrarrebbe. Dopo lo metto in acqua. Sei pronto?”
“Prontissimo!” risposi, sedendomi sulla mia solita poltroncina.
 
Era davvero, davvero bravissima. Nonostante l’emozione sbagliò sì o no tre note in tutta la suite. O forse anche qualcuna in più, ma per il mio orecchio così poco allenato andava benissimo così.
Quando suonò l’ultimo accordo, e lo tenne anche un po’ più lungo del necessario per trarre finalmente un profondo respiro di sollievo, mi alzai in piedi applaudendole.
“Bravissima! Sei sempre più brava, ma come fai?”
Lei sorrise imbarazzata “Beh, sono ambidestra, quando ero piccola per certi pomeriggi non facevo altro, e poi mia madre quando aveva venti o venticinque anni suonava nell’orchestra del paese. Quindi dai, ho i geni predisposti!”
“Sei fantastica. A quel concerto farai una strage, tutti i conservatori ti vorranno, stanne certa.”
“Speriamo. Così finalmente me ne andrò dal Montana e da tutti i brutti ricordi che ho in questo stato...” mormorò lei, appoggiandosi coi gomiti al pianoforte “A proposito... Ho ancora due biglietti per quello spettacolo. Uno ce l’ha Emme, uno la nonna, uno il nonno... pensi che a te e a JJ possa interessare?” chiese, lasciando vagare lo sguardo qua e là per la stanza in preda all’imbarazzo.
Sospirai “Certo che ci interesserebbe.”
“Ma? So che c’è un ma, il 100% delle persone che parla con quel tono poi aggiunge un ma.”
Un geniale profiler smascherato da una quindicenne. Beccati questa, Spencer Reid.
“Ma abbiamo un nuovo caso. Partiamo domattina presto per Los Angeles. E dopo quello ne avremo un altro, e un altro, e un altro ancora. Non so se dopo un periodo così lungo nello stesso posto il Bureau ci darà delle ferie. Se lo farà, puoi star certa che verrò, ma...”
“Le probabilità sono così scarse che non conosci nemmeno una minima percentuale? Allora è veramente grave...” concluse lei, fissandosi le scarpe da ginnastica.
“Quindi è meglio se quei biglietti li dai a qualcun altro. Se riusciremo a venire, useremo i tesserini dell’FBI per entrare, e ti assicuro che sono dispostissimo a stare anche delle ore in piedi pur di ascoltarti suonare.” aggiunsi rapidamente.
“Va bene. Cercherò qualcun altro. Ora immagino che tu debba andare a fare i bagagli, quindi ti lascio libero.”
“In realtà non ho mai disfatto la mia valigia. Solo che è ora di cena, e credo che...”
“Veronika! Avete finito là dentro? È l’ultima cena coi nostri cari agenti, è meglio se ti sbrighi!”
La voce della nonna di Veronika ci arrivò forte e chiara nonostante la porta chiusa, e come evocata dalle mie parole. La ragazzina fece una smorfia “Arriviamo, nonna!”
 
Fu la cena più bella, buona e triste che la signora Gordon avesse preparato dal nostro arrivo. Aveva fatto, non so se apposta o per caso, gli stessi piatti della prima cena. E Veronika disse più o meno lo stesso numero di parole, anche se stavolta sapevo perfettamente cosa la portava a masticarle e inghiottirle come bocconi amari, e in più ero consapevole che era colpa anche un po’ mia.
Dopo cena ci riunimmo tutti nel salotto dei Gordon a bere qualcosa e a chiacchierare, lo sceriffo Jeck chiamò per dirci che ci sarebbe passati a prendere la mattina dopo con degli agenti per portarci al jet.
Veronika rimase praticamente zitta tutta la sera, scribacchiando ogni tanto qualcosa su un piccolo taccuino che non le avevo mai visto in mano.
Quando finalmente i signori Gordon ci lasciarono coricare, capii che era meglio parlarle.
“Che cos’è quello?” le chiesi, appena entrato in camera.
Lei sobbalzò “Quello? Un pentagramma.”
“Un... pentagramma? Ma il pentagramma è quello dove si scrivono le note musicali!”
“Sì, infatti mi sono espressa male. È un taccuino con diversi pentagrammi. Lo usano gli insegnanti e gli studenti dei conservatori, chi insegna solfeggio e... i compositori.”
“E tu? Non mi risulta che tu faccia parte di nessuna di queste categorie... O hai deciso di comporre?”
“Esattamente. E stasera ero abbastanza ispirata.”
Ero stupefatto: già componeva?!
“Davvero?? Posso leggere?”
“No. No, davvero, sono cose private. Sarebbe come se tu venissi in camera mia quando non ci sono e leggessi i miei diari.”
Fortunatamente nella stanza era buio, così Veronika non poté notare che ero arrossito: non capivo se quella era una provocazione o una semplice constatazione, ma mi sentivo oltremodo colpevole.
“Già. Vabbè, allora io dormo. Buonanotte, Veronika.”
Quella sera dovetti aspettare cinque minuti buoni prima di sentirla sospirare affranta “Buonanotte, Spencer Reid.”
 
La mattina dopo mi svegliai per le vibrazioni della sveglia del mio cellulare, che avevo messo sotto il cuscino per non svegliare Veronika.
Premura totalmente inutile, dato che lei era già perfettamente sveglia e chissà da quanto tempo.
Ci salutammo con un gesto della mano, senza nemmeno rivolgerci la parola. Andai in bagno a vestirmi e al momento di scendere per mangiare qualcosa prima di partire la trovai che mi aspettava sul pianerottolo, mezza vestita e mezza in pigiama.
“Veronika! Tu dopo devi andare a scuola, cosa ci fai già sveglia?” le chiese la nonna, quando ci vide entrare in cucina.
“Tranquilla, nonna. Ce la faccio.” rispose lei piano, sedendosi al suo solito posto.
Facemmo colazione in silenzio, JJ mi lanciava certe occhiate preoccupate e io mi limitavo ad alzare le spalle: non potevo farci niente, dopotutto.
Il signor Gordon mi aiutò a portare giù il trolley dalla soffitta, e un attimo prima che uscissi mi strinse la mano e disse “Grazie, Dott. Reid. Per tutto. Per il caso e... per quello che ha fatto con Veronika. Grazie mille.”
“Di niente, signor Gordon.” gli risposi, con un groppo in gola.
Veronika e sua nonna erano già fuori, Morgan parlava con lo sceriffo Jeck e gli altri stavano caricando le valige nelle macchine. Feci lo stesso, ma al momento di girarmi per salutare mi trovai Veronika a pochi centimetri di distanza, gli occhi marroni lucidi per le lacrime. Prima che potessi dire qualunque cosa mi abbracciò forte, sussurrando qualcosa che suonava come “Addio, Spencer Reid.”
Non avrei mai capito la sua tendenza a chiamarmi sia col nome che col cognome, ma ricambiai l’abbraccio. Lei si staccò e tornò dai suoi nonni, e io salii in macchina.
Mi convinsi a non guardare verso di loro per non mettermi a piangere come un cretino, e ci riuscii. Pochi secondi dopo le macchine partirono e mi lasciai alle spalle Veronika Gordon, una volta per tutte.
Arrivati all’aeroporto ci accorgemmo che la macchina dello sceriffo con Morgan non era con noi. Hotch lo chiamò e lui disse che era passato dall’obitorio a dare “un ultimo saluto a quel bastardo”
Quando tornò aveva un’espressione dubbiosa sul viso, e la mantenne anche quando salimmo sul jet.
“Morgan, che c’è?” gli chiesi, sedendomi vicino a lui mentre i campi verdi del Montana fuori dal finestrino lasciavano posto alle nuvole grigie.
“Nulla, nulla. Sono passato a trovare il cadavere di Sanders perché avevo un dubbio.”
“Dubbio? Di che tipo?”
Morgan sospirò “Mi chiedevo che razza di forza e di mira possa avere Veronika. Stando agli esami del coroner, nella colluttazione gli ha rotto una costola ante mortem. E il colpo è stato sparato quasi al centro della fronte. Tu che te ne intendi di percentuali, quante possibilità ci sono che ciò accada?”
Quell’ultima frase mi gelò il sangue nelle vene.
Non risposi, mi alzai e mi andai a sedere da qualche altra parte, il più lontano possibile da tutti gli altri.
E un solo pensiero girava in cerchio nella mia mente.
Ecco cos’altro è capace di fare Veronika Gordon.

  
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