Fandom: Men in Black/Supernatural.
Pairing: Castiel/Dean.
Rating: Pg.
Genere: Introspettivo, Romanico.
Warning: MIB!AU, Pre-Slash.
Words: 1011 (fiumidiparole).
Summary: L’agente D – Dean Winchester, un tempo – ha davvero bisogno di qualcosa da poter dire “suo”. Forse il suo partner, l’agente C, può aiutarlo.
Note: Scritta sul prompt Spie!AU, per il 3° giorno del Calendario dell’AUvvento di auverse. Il titolo – nemmeno troppo originale XD – è una strofa della mitica “Men in Black” di Will Smith.
DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù
Here come the Men in Black
L’agente in nero sospirò,
mettendosi gli occhiali da sole. Accanto a lui, C, il suo partner, fece lo
stesso.
«Era un cane. Ve lo giuro» riprese
la donna, isterica «E parlava!»
«Capisco» disse C, composto, ma D ne aveva avuto abbastanza.
Prese qualcosa dalla tasca, una
specie di bacchetta metallica. «A-ah. Guardi qui,
signora» richiamò la sua attenzione e, non appena
quella si voltò, un flash partì dalla bacchetta. «Mi stia a
sentire: ieri notte ha alzato un po’ troppo il gomito, colpa di suo
marito che è uscito di nuovo con l’amante, quindi si è addormentata e ha fatto
un sogno bizzarro. Ora uscirà, si comprerà un bel vestito e, quando rientrerà a
casa, getterà dalla finestra gli abiti di suo marito e farà cambiare serratura
alla porta».
La donna annuì con aria
trasognata e i due uomini in nero girarono sui tacchi, rientrando sulla Chevy Impala del ’67 parcheggiata accanto al marciapiede.
D – Dean Winchester, una volta,
ma quello era stato tanto tempo fa – sì volto a guardare il partner, seduto al
suo fianco, sul sedile passeggero.
Non sapeva molto di C, non sapeva nemmeno il suo vero nome, come per tutti gli altri
agenti dei MIB. Si erano incontrati una sera, quando Dean era ancora un
poliziotto – un ragazzo normale, che passava le sue serate libere nei bar a
sedurre belle ragazze e la domenica mattina faceva una
partita di basket con il fratello minore – e stava inseguendo un tizio assolutamente
assurdo; un alieno, ovviamente, ma allora D non poteva saperlo.
C era arrivato lì per risolvere
la situazione, era rimasto impressionato da lui e gli aveva proposto di
presentarsi ad un colloquio. Dean aveva passato
l’esame e da allora aveva cessato di esistere, era diventato D.
Ricordava ancora le parole che
F, quel bastardo del loro capo, gli aveva rivolto mentre lui iniziava la vestizione
e la sua vera identità – ogni documento che lo riguardava, le impronte digitali,
perfino la tessera della biblioteca che non aveva mai usato – veniva cancellata: «Vestirai solamente con abiti approvati dai
servizi speciali MIB, ti conformerai all’identità che ti daremo, mangerai dove
ti sarà indicato, vivrai dove ti sarà indicato. D’ora in poi non avrai segni di identificazione di alcun genere, non attirerai mai
l'attenzione, la tua immagine è plasmata in modo da non lasciare ricordi
duraturi nelle persone che incontri. Sei qualcosa di vago, identificabile
soltanto come un dejà vu, e cancellato altrettanto rapidamente. Tu non esisti,
non sei mai nato, l’anonimato è il tuo nome, il silenzio la
tua lingua madre. Tu non fai più parte del sistema, tu sei al
di là del sistema, sei al di sopra di esso, sei oltre. Noi siamo quelli,
siamo loro, siamo gli uomini in nero, siamo i Men in Black».
La parte più
difficile di tutta quella storia era stata sparaflashare Sam, suo fratello.
Dean avrebbe voluto portarlo con sé o restare con lui, ma non voleva che Sammy facesse quella vita e lui non poteva più tornare
indietro, non dopo aver saputo come stavano davvero le cose.
C si voltò
nella sua direzione, gli occhi blu, grandi e malinconici che sembravano capaci
di leggergli dentro, e D – non certo per la prima volta – si chiese chi fosse.
Il suo partner era l’unico dei MIB che portava un trench beige sopra l’anonimo
completo nero, ed era stato proprio quel soprabito ad
imprimersi nella memoria di Dean e risvegliare alcuni accenni dei ricordi che C
aveva tentato di cancellargli al loro primo incontro. A causa di quello, F
insisteva sempre perché abbandonasse il suo trench, ma
C sembrava incapace di farlo; l’unico segno di ribellione che avesse mai
mostrato.
D si chiese
cosa esattamente quel capo di vestiario significasse per lui, se appartenesse
alla sua vecchia vita. Si fidava di lui più che di chiunque altro, forse
perfino più che di se stesso, C aveva dimostrato di tenere a lui aldilà dei MIB
e D sarebbe stato pronto ad affidargli la propria vita, ma a volte… a volte, quando tutto ciò che gli sembrava di possedere era
quella vecchia Chevrolet, non era maledettamente abbastanza. E non era giusto,
perché C sapeva chi lui fosse – o fosse stato – e lui invece non sapeva niente,
niente, niente, dannazione.
«Chi sei, C? Chi eri, prima che i MIB ti
assoldassero?» gli domandò di colpo, sentendo il
bisogno di afferrarsi a qualcosa, qualcosa che potesse considerare solo suo –
loro – e che i MIB non avrebbero potuto togliergli.
La prima
volta che si erano incontrati e gli aveva posto quella
stessa domanda, C aveva risposto solo: «Sono un Man in Black».
«Se te lo
dicessi, poi dovrei usare di nuovo il neuralizzatore
su di te» disse, invece, stavolta.
«C…» ritentò
lui ed il partner di voltò ancora a guardarlo, le mani
abbandonate in grembo e la fronte corrugata. D si sporse e strinse lievemente
una manica del trench, incatenando i suoi occhi blu.
Le labbra di
C si strinsero appena, poi lui deviò lo sguardo,
puntandolo su qualcosa fuori dal finestrino, ma senza soffermarsi su nulla. D
fu sul punto di rinunciare e si raddrizzò, non arrabbiato – non davvero – ma
semplicemente amareggiato.
«Castiel».
«Come?» chiese D, sorpreso dalla voce roca del compagno, così bassa, in
quel momento, da essere quasi impercettibile.
«Una volta,
il mio nome era Castiel» ripeté C, riportando
finalmente lo sguardo nel suo.
D sentì
qualcosa dentro di sé spezzarsi ed allagargli il petto
come acqua calda; non esattamente un sensazione spiacevole, anzi.
Era una cosa
grossa, quella che il compagno aveva appena fatto per lui, una cosa importante.
Aveva appena infranto le regole, venendo meno al proprio giuramento e, di
fatto, tradendo i MIB – i MIB che erano tutta la sua vita. E lo aveva fatto
solo per lui.
D gli strinse
una spalla, desiderando essere capace di ricambiare in qualche modo il suo
gesto, di attirarlo a sé. «È un bel nome» disse solo, invece. E C gli fece un
piccolo sorriso – di quelli che sapeva fare solo lui, minuscoli, appena
accennati, ma che sembravano contenere tutto il necessario – quindi magari
andava bene anche così.
FINE.