. mio personale tributo a John Lennon. Tante lettere, tante righe, tante parole. Non bastano, non riesco a pubblicare niente se non questa. Grazie, John, e grazie ai tuoi sogni. E non è finito, il sogno, John. Non è finito perché basta a tutti ascoltare una tua canzone e sognare, vivere, piangere.
From Memphis to Mendips
La camera è disordinata, e zia Mimi verrà presto a dirti qualcosa.
O di rifare il letto, o di mettere a posto la scrivania, o di studiare, o di abbassare la musica.
Ma c’è ancora tempo. Il tempo di rubare qualche istante alla frenesia del quotidiano, il tempo per chiudere gli occhi e sognare.
Una chitarra, un palco, qualcuno che ti ascolti. Un concerto... Chissà se lo darai, un concerto vero.
Ti piacerebbe urlare, a volte. Suonare fino a ferirti le mani, con le scintille negli occhi e la musica ch’è un tutt’uno col tuo cuore.
Ed invece no. Sei un ragazzo, uno studente occhialuto come tanti altri, con la passione per la musica.
Eppure... Eppure ce la farai, John, o almeno vuoi crederci.
Diventerai come Elvis, magari. No, non come lui, che lui è Dio, ma diventerai qualcuno.
Ti piacerebbe essere nato a Memphis e non a Liverpool. Ti piacerebbe aver inciso la tua prima canzone per caso ed essere diventato la stella del rock n roll.
Chiudi gli occhi, John. Quando li riaprirai ti troverai su un palco, con un microfono.
Afferri un lembo di coperta. Magari ti teletrasporterà lei nei tuoi sogni.
Ed invece no. Ci sono sempre le tue pareti sottili come carta velina, con le foto della Bardot e di Elvis appese al muro.
C’è sempre la tua scrivania piena di fogli: spartiti, caricature dei docenti, abbozzi di poesie.
E c’è quella fotografia lì, in mezzo a tutto quel disordine, che riconosci sempre: la mamma.
Zia Mimi non lo sa, che hai una sua fotografia in camera. O forse lo sa, ma non ti dice niente perché lei, in fondo, ti vuole bene, anche se a volte vorresti solo che ti lasciasse stare.
La mamma in quella fotografia sorride. Sorride perché è felice, o almeno speri.
Ti manca tanto. Ti senti un bambino, o quasi, steso bocconi sul letto a pensare a lei.
Elvis
canta “Heartbreak Hotel” e tu lo
invidi, lo invidi da morire.
Vuoi
scappare, John. Scappare da
Liverpool e dalle sue fabbriche, scappare da quella gente che ad ogni
tua
battuta ride e quel poco di successo che ti sei guadagnato è
effimero e tu lo
sai, lo sai benissimo e fa male.
Vorresti
che tua mamma fosse qui. Per
una volta, una volta sola, metteresti da parte la maschera da duro e
lasceresti
che ti stringa la mano.
Ma
lei non c’è. Non c’è
più e l’unica
cosa che ti rimane di lei è un mucchietto di ritratti e
quegli accordi che ti
ha insegnato nei pomeriggi d’inverno in cui scappavi di
nascosto per
andare a trovarla.
“I
miss you...”, mormori alle pareti
della camera.
Nessuno
ti risponde. Solo Elvis continua
a cantare.
**
Note:
Memphis e Mendips sono rispettivamente la patria di Elvis Presley (che mito.... cioè, era un grande, anche se John riesce a regalarmi più lacrime) e Mendips era la casa di zia Mimi a liverpool.
Io.... Io continuo a chiedermi se John l’ha fatto, il collegamento mentale idiota.
Sono giorni che cerco di darmi una risposta. Non glielo potrò mai chiedere...
È.... è una storia difficile, questa.
Io quando scrivo di John mi c’immedesimo tanto, tantissimo.
Anche se non suono ed invece scrivo, a volte lo capisco così tanto...
Ne arriveranno altre, di storie su di lui.
Potrei anche iniziare una raccolta o qualcosa del genere, ma queste mi piacciono di più così.
Grazie a tutti.
Ceci