Titolo: Make
you stay
Personaggi: Barnaby,
Karina.
Pairing: none.
Rating: Verde.
Genere: missing
moment, angst.
Avvertimenti: One-shot.
Note: Scritta poco dopo il penultimo episodio, quindi, visto la piena che ha preso lo show dopo di esso, prendetela come una "what if...?" o una AU.
Disclaimer: Il solito... perché mi spreco ad inventare qualcosa da scrivere qui?
Make
you stay
La
prima cosa che Barnaby notò quando uscì di casa
furono quegli occhi nocciola
che lo fissavano indispettiti, arrabbiati e colmi di un sentimento che
inizialmente pensò fosse odio ma che poi, guardando
attentamente, si accorse
che non era qualcosa di così semplice; era un sentimento
più complesso, uno che
aveva probabilmente provato anche lui prima ma che aveva dimenticato
grazie a
quel raggio di sole che aveva illuminato la sua grigia esistenza fatta
di
vendetta e di dolore, di ricerca e di solitudine.
Distolse
lo sguardo velocemente, stringendo i pugni e mordendosi un labbro
appena –
quelle labbra poco curate, piene di tagli e spesso sanguinanti. Sentiva
ancora
la ferita sotto l'occhio pulsare, sentiva ancora la gamba cedere appena
sotto
il suo peso mentre camminava, ma quelli erano tutti dolori con i quali
poteva
tranquillamente convivere. Erano temporanei. Si sarebbe ripreso.
Avrebbe
smesso di zoppicare e la sua guancia sarebbe tornata come nuova.
Sarebbe
tornato a vivere come al solito. A vivere.
“Ehi,
ma è Barnaby!”
Si meravigliava a volte di come la gente si stupisse ancora di vederlo
– e gli
sembrava ancora più strano quando iniziavano a
complimentarsi con lui,
stringendogli le mani o acclamandolo a gran voce e chiedendo autografi.
Si
meravigliava di come per molti, moltissimi di loro, nulla sembrava
esser
cambiato.
Nessuno
sembrava mostrare riconoscenza a chi davvero se la meritava -
dimenticato,
fuori moda.
Eppure,
fra quegli occhi che lo scrutavano ansiosi, riusciva ancora a sentire
quello
sguardo penetrante fisso sulla sua nuca. Sapeva che lo stava guardando
da
tanto, sapeva che lo teneva d'occhio, sapeva che lo detestava per
averglielo
portato via. Non volevo non era bastata come scusa.
“...
Deve esser stato un duro colpo.”
“Come?”,
domandò distratto, sentendo parole differenti dalle solite.
“Perderlo.
Deve essere stato difficile. Sembravate molto vicini...”
“S-sì...”
Il
peso di quello sguardo lo costrinse ad abbassare il capo. Lo sentiva,
lo
sentiva e soffriva.
Salutò
con poche parole la gente che lo aveva fermato – saluti a dei
fan che di lui
non sapevano nulla, autografi fatti per accontentarli e bisbigli
sottili che
molti di loro non avrebbero colto.
Che
situazione strana e dolorosa, pensò. Non avrebbe mai creduto
di potersi sentire
ancora così. Credeva di aver perso tutto
quando morirono i suoi
genitori... e invece-
“Barnaby?”
Fu
la
folta chioma bionda che notò come prima cosa, seguita dalla
voce che conosceva
bene e quegli occhi che l'avevano guardato con orrore solo qualche
giorno
prima. Era calma ora, Karina, mentre lo guardava quasi perplessa, una
punta di
dolore e preoccupazione nella sua voce.
“Blue...
Rose?”
“Ssh,
non chiamarmi così per strada”, aveva iniziato a
guardarsi attorno frettolosa,
avvicinandosi a lui ed intimandogli piuttosto di non dire proprio il
suo nome.
“Scusa,
non ci avevo pensato...”
Accennò
un sorriso prima di abbassare il capo nuovamente –
un'abitudine che aveva preso
ultimamente, dopo tutte le scuse che aveva posto a tutti. Scuse vane,
che
avrebbe dovuto porgere solo a lui e alla famiglia a cui lo aveva
strappato
involontariamente.
“Dimmi...
non stai mangiando molto, vero?”
Karina
gli aveva afferrato un polso, congiungendo il proprio pollice con
l'indice con
estrema facilità. Osservò l'uomo che aveva
dinnanzi inizialmente con l'intento
di rimproverarlo e farlo ragionare ma, quando ricordò perché
fosse in
quello stato, perché fosse così triste, s'accorse
che lei era l'ultima persona
che poteva permettersi di fare prediche – lei che aveva
smesso di cantare nel
solito bar e che spesso aveva pianto facendosi consolare da Nathan.
“...
Manca a tutti.”
Le
voci dei passanti attorno a loro parvero annullarsi a quelle parole
appena
sussurrate e sofferte.
“Sono
sicura che non vorrebbe vederti in questo stato. Infondo lui era
sempre-”
“Lo
so perfettamente”, la sua voce sovrastò facilmente
quella sottile della ragazza
che lasciò andare all'istante il suo polso e si ritrasse
appena, un pugno
stretto al petto e gli occhi fissi sull'asfalto ancora bagnato dalla
notte
prima.
“Barnaby...”
“E'
stato un piace incontrarti. Arrivederci.”
Si
allontanò velocemente, il passo spedito e quegli occhi che
lo fissavano ancora
– colpevole, assassino, sembrano
volergli dire. Sentiva anche lo sguardo
di Karina fissò ancora sulla sua ombra che s'allontanava in
fretta ed aumentò
il passo, deciso e speranzoso di poter fuggire da tutti quegli occhi
indagatori
che lo incolpavano o cercavano, invano, di aiutarlo.
Non
voleva l'aiuto di nessuno. Non se lo merita nemmeno.
Non
era lui che aveva bisogno d'aiuto, infondo.
Non
era lui quello sotto terra, il cui respiro s'era fermato.
Non
era lui quello che se n'era andato, colui a cui non batteva
più il cuore.
Non
era lui quello la cui vita era stata strappata nel tentativo di
proteggere
tutti.
Non
era lui quello che era morto eroicamente, sussurrando le solite parole
imbarazzanti.
“Barnaby!”
Con
passi svelti, gli stivali che saltavano ogni pozzanghera, Karina lo
raggiunse –
il fiato corto, le guance rosee e gli occhi un po' lucidi.
“Barnaby...
io... io mi ero innamorata di lui...”, aveva il fiato corto
mentre parlava,
mentre si confessava senza alcun motivo con l'ultima persona con la
quale
avrebbe mai creduto di volersi aprire.
“Mi
manca, Barnaby. Mi manca... non passa giorno che non pensi a lui ed ai
suoi
stupidi modi di fare, alla sua risata...”
Barnaby
rimase impalato, fissandola senza vederla realmente – furono
quelle parole a
colpirlo, a farlo sentire smarrito. Perché lo stava dicendo
a lui? Perché?
Voleva solo farlo sentire ulteriormente in colpa raccontandogli di come
gli
avesse portato via la persona che amava?
“Quindi...
non sei il solo che sta male per ciò che è
successo. Parlane... parlane con
noi. Rock Bison e Kaede stanno probabilmente peggio di noi... Ma non
devi
tenerti tutto dentro, ci siamo noi, quindi-”
“Non
ho bisogno di parlarne.”
“Barnaby-”
“Non
voglio parlarne...”
E
per
la seconda volta in vita sua, Karina Lyle vide Barnaby Brooks Jr.
piangere. Lo
vide piangere e gli rimase accanto, accovacciandosi vicino a lui quando
l'uomo
cadde a terra ed iniziò a battere i pugni sull'asfalto,
rimase in silenzio e lo
ascoltò mentre si malediceva per non aver notato nulla prima
e lo aiutò ad
alzarsi quando smise di singhiozzare e balbettare che era stata tutta
colpa
sua.
Nessuno
dei due parlò più mentre si dirigevano
silenziosamente verso il solito centro
allenamenti, mentre il cielo tornava a tingersi di grigio come la notte
precedente.
“Grazie”,
sussurrò alla ragazza che camminava al suo fianco
– senza guardarla e cercando
di sorridere, anche se la cosa gli pareva ancora impossibile. E lo
sguardo
accusatorio che l'aveva perseguitato sin da quel giorno gli volse le
spalle. Il
peso di ciò che aveva fatto ed il dolore erano ancora
lì a tormentarlo, ancora
lì a ricordargli il suo gesto. Ma si era reso conto solo ora
che non era
l'unico che si portava appresso quel macigno – non era solo,
qualcuno lo capiva
e sentiva lo stesso dolore che sentiva lui.
“Di
niente...”