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Autore: Alchimista    18/12/2011    6 recensioni
La porta che si chiude dietro di loro sembra quasi dar sollievo, pur non potendo di certo salvarli da quello che li attende dietro di essa.
Watson si lascia scappare un sospiro immediatamente mozzato dal dolore lancinante allo stomaco. Non ha idea di dove siano, né se siano al sicuro – ma per il secondo interrogativo potrebbe scommettere su una risposta negativa.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tranne me.

 

 

 

La porta che si chiude dietro di loro sembra quasi dar sollievo, pur non potendo di certo salvarli da quello che li attende dietro di essa.

Watson si lascia scappare un sospiro immediatamente mozzato dal dolore lancinante allo stomaco. Non ha idea di dove siano, né se siano al sicuro – ma per il secondo interrogativo potrebbe scommettere su una risposta negativa.

La mente è completamente annebbiata dal dolore, il fisico cede agli spasmi e al sangue che a fiotti fugge da lui come da un nemico. Non sente nulla, non vede nulla. Tutto appare confuso e il respiro continua a spezzarsi senza che lui possa fare niente.

Holmes, che lo ha aiutato a fuggire fino a quel misero riparo, lo poggia con delicatezza sul pavimento di legno di quello che deve essere un piccolo rifugio in mezzo al bosco.

«Sono quasi certo che li abbiamo seminati», sussurra con affanno il detective «Tra poco potremmo cercare aiuto e tornare nella nostra amata Londra. Andrà bene, andrà bene, Watson».

«Non… non lo faccia», lo implora questi con un sorriso amarissimo «Non… non cominci a mentirmi… proprio alla fine».

«Non so a cosa si riferisca», fa con sfrontatezza Holmes, i suoi occhi che tradiscono però la disperazione di quel momento.

«Sono ferito, ma resto… un medico. So… quanto sia grave… mi ha preso allo stomaco…. Io… sto morendo, Holmes».

Impressionante come in un attimo gli occhi che Watson ha imparato a conoscere tanto bene cambino completamente, sciogliendosi in un mare di puro orrore. In essi si può leggere una preghiera silenziosa ed implorante.

Non muoia…

Un colpo di tosse violento scuote con crudeltà il ferito e a nulla serve la solida stretta con cui cerca di calmarlo il detective, in un atto di così intima amicizia, da sorprendere e riscaldare il cuore anche in un simile momento.

Watson sente un’improvvisa tristezza rapirlo e superare persino il dolore fisico: non vuole andarsene; non per un qualche egoistico ed umano attaccamento alla vita, ma per una semplice presa di coscienza. Non vuole lasciare Holmes. Dio solo sa quante ne hanno viste insieme, quante volte hanno rischiato e ne sono usciti, in quanti modi – con la loro pura amicizia – si sono salvati la vita.

Il sangue ormai ha invaso anche la bocca, tanto che tosse sporca comincia a macchiare i vestiti di entrambi.

«Hol-mes… mi… mi pro-metta… che si pre-nderà… cura di… se-se stesso».

Il detective rimane impassibile davanti a tale richiesta, le braccia che stringono ancora con forza il corpo del collega, dell’amico. Non risponde – e cosa mai potrebbe dire, poi? – e tanto basta perché entrambi comprendano il significato di tale silenzio.

Poi più nulla. Watson chiude gli occhi con semplicità, un lieve sorriso di stanchezza sotto i baffi curati ed Holmes si trova a lottare con l’intelligenza, che tanto in alto lo aveva portato, per convincersi che sta solo dormendo.

«Ma non dorme, non dorme…», sussurra a se stesso, senza lasciare quel corpo.

Tutto ciò che succede dopo è quanto di più assurdo si possa immaginare. Come i fantasmi dei migliori scritti, Watson ha l’impressione di essere sospeso ancora nella stanza e di guardare il proprio cadavere stretto dal detective come se fosse un terzo personaggio.

Osserva Holmes che non lo lascia andare, nonostante abbia capito che non ci sia più nulla da fare e vorrebbe urlargli di scappare perché il pericolo è ancora in agguato e basterebbe un nulla per-

Uno sparo.

Watson si sente mancare. Uno sparo. Chi? Quando? Come è stato possibile che qualcuno abbia sparato se sono soli in quella stanza?

Non ha tempo di farsi altre domande, di capire l’assurdità in cui è piombato dal momento in cui ha smesso di respirare perché quello che vede è sufficiente ad azzerare ogni cosa.

Holmes. Holmes si accascia a terra, le mani che sfiorano ancora il cadavere, il petto che perde sangue, il respiro che fugge dai polmoni per non tornarvi mai più.

Holmes muore. Muore davanti ai sui occhi, come aveva fatto anche lui. Muore in una stanza in cui non c’è altra persona che avrebbe potuto spararlo.

Muore.

 

*

 

Mentre apriva gli occhi con uno sforzo che non avrebbe mai considerato così ingente, si rese conto che il rumore stridulo e lontano che gli arrivava alle orecchie non era altro che la sua voce intenta a lanciare un grido disumano. Solo quando non ebbe più fiato nei polmoni, riuscì a fermarsi e davvero non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse andato avanti.

Il tempo continuava ad apparirgli sfasato, mentre un altro rumore entrò nel campo sonoro delle sue percezioni. Poi ci fu un cambiamento anche in quello visivo.

Un uomo.

Ci volle un po’ per riconoscere, nella figura che si muoveva quasi frenetica ed innaturale, il suo collega e coinquilino.

Holmes.

Holmes era lì con lui in quella che pareva essere la propria camera al 221b. Watson si sentì in un attimo la testa andare in fiamme. Che stava succedendo? La fuga, la propria ferita, il sangue… Lui… lui era morto! E… e anche Holmes! Qualcuno aveva sparato ad Holmes.

Mentre gli occhi ancora non riuscivano a mettere bene a fuoco ciò che gli era attorno, il dottore riuscì ad afferrare blandamente il braccio del detective e ad attirare la sua attenzione.

«Non faccia sforzi, Watson… Sta migliorando», lo ammonì questi, avvicinandosi e sedendosi accanto a lui.

«Siamo morti, Holmes?».

Il detective si sciolse in una risata che sembrò quasi liberatoria.

«Ho sempre detto che lei ha un’immaginazione davvero esagerata, mio caro Boswell. Come potremmo essere morti eppure avere una simile conversazione?».

Watson guardò il detective come se non comprendesse le sue parole – e in un certo senso era così. Se erano davvero vivi, allora che significavano quelle immagini ancora tanto vivide nella sua testa?

«Cos’è successo?», si decise allora a chiedere.

«Credo sia rimasto troppo a contatto con i suoi pazienti. Ieri sera è tornato stanco e ha detto che sarebbe andato subito in camera – se ha intenzione di chiederlo, sono le 5 del mattino. Ho subito capito che qualcosa non doveva andare e infatti, in breve, mi sono reso conto che aveva la febbre molto alta. Fortunatamente, dopo l’intera notte, è stato possibile farla scendere fino a che non ha ripreso conoscenza».

Ascoltando quella voce con un po’ di lucidità in più rispetto a quando si era risvegliato, Watson non poté fare a meno di notare quanto fosse tirata e controllata a difficoltà. Che le cose fossero state più gravi di quello che il detective gli aveva detto?

«Non le nascondo, in effetti, che all’inizio eravamo particolarmente preoccupati», lo incalzò Holmes, e il dottore non pensò nemmeno a chiedere come, stavolta, avesse letto i suoi pensieri «Delirava e non c’era modo di abbassare la temperatura. Abbiamo dovuto chiamare d’urgenza il Dottor Stensen e solo dopo la somministrazione di diverse medicine abbiamo ottenuto i primi risultati. Il medico è andato via poco meno di venti muniti fa, dicendo che sarebbe tornato in mattinata», concluse.

Watson sospirò, sentendosi immediatamente meglio. Non erano morti. Era tutta colpa della febbre alta, era solo il delirio di un malato. Solo un incubo.

«Cosa ha visto di tanto spaventoso, dunque?», chiese il detective con sguardo serio «Ha gridato come sotto le peggiori torture».

Watson sapeva che avrebbe dovuto essere semplicemente imbarazzato da un comportamento per nulla consono ad un gentiluomo, ma la verità – con molta probabilità era di nuovo colpa della febbre – era che sentiva il bisogno di raccontare ciò che aveva visto.

Fu così che parlò, spiegando il terrore e il dolore delle morti, l’inspiegabile assassino che lui non era stato in grado di vedere e il fatto che invece era stato in grado di vedere il resto nonostante fosse già spirato.

Il detective ascoltò tutto come se fosse davanti ad un interessante caso, ma non gli sfuggì la stanchezza che stava tormentando il dottore nell’ultima parte del suo racconto. Tuttavia non lo interruppe e ne attese la fine.

«Non c’era nessuno nella stanza. Non ho idea di chi l’abbia uccisa», concluse quello e si sarebbe potuto chiaramente distingue il rammarico nella voce sottile e stentata.

Holmes lasciò che il suo sguardo incontrasse quello di Watson per un po’, poi lo distolse alzandosi.

«La sua strabiliante immaginazione sembra poterle anche fare terribili scherzi, mio caro Watson… e di questo mi rammarico molto. Ma resta un sogno, quindi riposi e non dia peso ad esso. Deve rimettersi, questo è l’importante», consigliò e c’era qualcosa di diverso nei suoi occhi che il dottore colse e non seppie spiegare.

Avrebbe voluto porgere una nuova domanda, ma sentiva il sonno prenderlo sempre più. Ebbe tuttavia il tempo di rendersi conto che il detective si era fermato davanti alla porta, senza ancora uscire, come indeciso. Si rivoltò verso il coinquilino e mai come allora i suoi occhi brillarono nel buio quasi totale della stanza.

«Se ma dovesse cercare una risposta a quel mistero, Watson», riprese con voce completamente diversa «Non deve indagare tanto a lungo. Non c’era nessuno in quella stanza che avrebbe potuto spararmi».

«Ma allora… come è stato possibile che lei…?».

«Nessuno, Watson. Nessuno tranne me».

 

 

 

 

 

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 Questa storia è stata letta ed approvata da minnow.
-Diffidate delle imitazioni, solo le originali possiedono il bollino!-




Se vi state chiedendo da dove diavolo salti fuori questa cosa senza ne capo ne coda, beh… è stato un sogno che ho fatto qualche giorno fa… xD Visto che mente malata?

Anyway, sono particolarmente in ansia perché non sono ancora riuscita a vedere il nuovo adattamento cinematografico di Sherlock Holmes e ho deciso di sfogare un po’ di tensione dando forma al sogno.

Ci tengo a precisare che non ho inserito l’avvertimento “slash” perché per me non ce n’è, ma sono consapevole che la storia potrebbe essere letta anche come un preslash, quindi preciso ^^

Ringrazio Minnow per averla letta in anteprima ed avermi dato consigli e pareri – fosse stato per me, per come sto adesso, ci avrei messo secoli di indecisione a pubblicarla!

E boh, sono felice di essere tornata in questo fandom che amo davvero tanto! (ho vari progetti in cantiere che aspettano un po’ di tempo liberi per prendere completamente forma)

Alla prossima. Baci.

 

Alchimista :)

   
 
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