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Autore: Lillibeth_92    23/12/2011    1 recensioni
In un universo parallelo il giovane Merlin si trasforma in una lei, il destino di Camelot è totalmente rivoluzionato e anche quello dei suoi abitanti. L’arrivo della giovane strega porterà novità e tante sorprese nella città più misteriosa che sia mai esistita, ma non voglio anticiparvi altro. Quindi, non mi resta che augurare a tutti voi buona lettura.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima stagione
Capitoli:
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In una terra lontana caratterizzata da miti e magia. Il fato decide di prendere il sopravvento e riporre le sue speranze in una stella, che non è mai stata destinata a brillare in cielo, ma sulla terra. Il nome di questa stella è ignoto a molti, ma negli angoli più remoti della terra si vocifera che sia… Marlyn.

 

 

Ma credo che, a poco a poco, possiamo operare cambiamenti positivi.
Ogni giorno, quando ci alziamo, cerchiamo di orientare bene i nostri intenti, pensando: Vivrò questa giornata in maniera più positiva. Non devo sprecarla.
Dalai Lama, L’arte della felicità sul lavoro

 Marlyn:

<< Buongiorno, buongiorno, buongiorno! >>, esclamai, entrando nella stanza di mia madre, con una tazza colma di latte nella mano destra e un mazzo di fiori di campo nella sinistra. << Come sta la mia mammina oggi? >>, domandai, poggiando quello che avevo tra le mani sul tavolo. Nell’attesa di una sua risposta, aprii le tapparelle della finestra così da far filtrare un po’ di sole nella stanza.
 << Mmm >>, mugugnò l’interpellata, << tesoro >>, mormorò con voce roca.
Non appena udii i suoi sussurri, accorsi al suo capezzale e mi inginocchiai accanto a lei. << Sono qui >>, la rassicurai, accarezzandole la fronte, calda e allo stesso tempo sudata.
Le mie labbra formarono una smorfia. La temperatura corporea era piuttosto alta rispetto alla notte precedente. Avrei voluto sospirare, ma non me lo concessi, consapevole che se la mamma avesse colto quel mio stato d’animo, non avrebbe perso tempo a preoccuparsi.
<< Lo so che sei qui >>, rispose, rivolgendomi uno dei suoi sorrisi materni, prendendo la mia mano, ancora poggiata sulla sua fronte, e stringendola. << Sapevo che saresti venuta >>. Mi fissò con quei suoi occhi azzurri così simili ai miei. Quanto dolore potevo leggere in essi, ma siccome non riuscivo a sopportarne il peso, rinunciavo a immergermi dentro quelle pozze.
Scossi la testa, ridacchiando. << Certo che lo sapevi >>, le diedi ragione, alzandomi con l’intento di andare nell’altra stanza a prendere dell’acqua fredda e un panno. << Sei una veggente >>, alzando un po’ la voce, cosicché mi sentisse anche dalla stanza accanto.
<< Marlyn, ti prego >>, mi ammonì, non appena mi vide ritornare con una piccola scodella, << ti ho detto che non ho bisogno di aiuto >>.
Sospirai, scuotendo la testa. << Non cambierai mai >>, commentai, rivolgendole uno dei miei tanti sorrisi, che lei amava. << Sei sempre la solita testarda. Vuoi sempre fuoriuscire da tutte le situazioni da sola, così da prendere solo tu i meriti >>, la canzonai, per non farle pesare quella situazione in cui ci trovavamo da parecchi mesi.
Purtroppo mia madre si era ammalata e aveva preso una polmonite in pieno inverno. Fortunatamente, lei era una guaritrice, sul vero senso della parola, ed io avevo ereditato molte delle sue doti, che non comprendevano solo la conoscenza di alcune erbe benefiche, ma anche le così potenti, ma alquanto rare, arti magiche.
Grazie alle sue conoscenze e agli anni di esperienza, che avevo accumulato, osservandola mentre lei era all’opera, la stavo curando alla perfezione. Ogni giorno d’estate, infatti, andavo a lavorare nei campi, e in inverno preparavo anche i decotti curativi di mia madre così da guadagnare qualche tazza di latte, più che benefico per mia madre, o qualche pagnotta di pane, che era sempre accettata.
<< Oh tesoro >>, mormorò con un tono così intenso che mi fece venire i brividi, << non è questa la vita che avrei voluto per te >>, dichiarò, singhiozzando. 
<< Mamma >>, la ripresi, posizionando sulla sua fronte il panno inumidito, << lo sai che questa è la vita che piace a me >>, mentii, cercando di assumere un tono dolce in moda da convincerla.
<< Marlyn cara >>, mi guardò con compassione, << non sforzarti a dire ciò che non pensi veramente >>.
Le sue parole furono come uno schiaffo per me, ma nonostante questo, cercai di ignorarle. << Bevi questo >>, le porsi la tazza di latte, con fare sbrigativo, << ti farà bene >>.
<< Marlyn… >>, iniziò.
<< Io vado a lavorare >>, le comunicai, prima che potesse continuare, << faccio il giro di ronda tra i malati >>, presi la bisaccia, posta sul tavolo. << Non sei la sola confinata a letto >>, conclusi, strizzandole l’occhio. << Per fortuna ho avuto una brava maes… >>, a interrompermi furono dei tonfi alla porta. << Vado a vedere chi è >>, annunciai, dirigendomi verso la porta.
Scommettevo che fosse la moglie del capo villaggio, che chiedeva spiegazioni sul perché il marito non fosse ancora guarito.
Sbuffai al solo pensiero. La gente credeva che si potesse risolvere tutto con uno schioccar di dita. La medicina era un’arte lenta, a differenza della magia, una dote che non mi era permessa utilizzarla, poiché era vista come un fattore malvagio. Naturalmente tutto questo era dettato dall’ignoranza, che regnava sovrana in molti luoghi.
Aprii la porta e non appena vidi un’anziana figura dinanzi a me, le mie labbra si curvarono in un sorriso. << Olaf! >>, esclamai gioiosa.
Olaf era un vecchissimo druido, dalla barba bianca e i capelli dello stesso colore. Nonostante fosse anziano, non possedeva la gobba e i suoi occhi erano verdi e vispi come quelli di un ragazzo. Nessuno era a conoscenza del fatto che appartenesse a una congregazione magica qui al villaggio a parte mia madre ed io, ma era noto come un esperto medico, proveniente da una cittadella.
<< Sono lieto di vederti Marlyn >>, mi salutò, regalandomi un sorriso.
<< Prego accomodati >>, lo invitai a entrare e lo feci accomodare. << Mamma non mi ha detto nulla del tuo arrivo >>, dissi, facendogli strada verso la stanza dove dormiva mia madre.
<< Sai com’è Hunith. Dice sempre ciò che le va di dire >>, mi ricordò, seguendomi.
<< Mamma >>, la chiamai, entrando nella stanza, << è arrivato il tuo ospite >>, lo dissi con una punta d’ironia.
<< Olaf >>. Fui sul punto di strabuzzare gli occhi, quando mi accorsi che mia madre fece un’espressione piuttosto dispiaciuta nel vederlo. Lei era sempre stata molto legata al suo vecchio amico, mi chiedevo quale fosse il motivo per cui non gioisse del suo arrivo.
<< Hunith >>, lui ricambiò freddamente. E lì ebbi la conferma che fosse successo qualcosa dal loro ultimo incontro. Se non ricordavo male, l’ultima volta che Olaf ci aveva degnato della sua presenza, era stata circa due mesi fa.
<< Va bene >>, dissi alzando le mani in segno di arresa. << Io vado prima che io sia accusata di essere troppo piccola per ascoltare i vostri discorsi >>, dissi saggiamente, ripensando a tute le volte che mia madre mi avesse “invitato” a andare a cogliere dei fiori o a riempire dei secchi d’acqua.
<< Vedo che non perdi mai la tua insolenza >>, mi fece notare Olaf con un sorrisetto di chi la sapeva lunga.
<< E tu il tuo senso dell’umorismo >>, risposi a tono, essendo cosciente che Olaf fosse come uno zio per me e che potessi parlare tranquillamente con lui. << Ci vediamo dopo >>.
Dopo pochi passi, mi ritrovai fuori dalla casa. Vedere Olaf mi faceva sempre stare meglio. Lui era il perfetto modello da seguire per me, dopo mia madre. I suoi anni passati all’interno di comunità magiche, mi lasciavano intendere che la magia non fosse odiata da tutti e che ci fossero delle persone, che la praticavano in maniera pacifica, esattamente come me.
Feci le visite che dovevo fare e fui lieta di vedere che il capo villaggio stesse meglio in così poco tempo. La moglie era talmente felice che mi regalò un cesto di frutta, che accettai con piacere.
Una volta finite le visite, mi avviai verso casa. Durante il tragitto, mi domandai se Olaf si fermasse da noi per il pranzo, anche se mi sembrava improbabile vista la freddezza che si era istaurata tra lui e la mamma. Conoscendo mia madre, che era molto riservata, rinunciai in partenza nel capire cosa potesse essere successo, ma non mi stranii quando vidi mia madre salire sul cavallo di Olaf.
<< Che sta succedendo qui? >>, chiesi avvicinandomi ai due.
<< Porto tua madre alla congregazione >>, spiegò Olaf, salendo anche lui sul cavallo, << c’è una riunione molto importante, che… >>.
<< Sarebbe meglio che tu la saltassi >>, giudicai, guardando mia madre, << sei ancora debole e poi non stai ancora bene >>, più che a lei, mi riferii a Olaf, che m’ignorò tranquillamente.
<< Ma no, tesoro >>, mi rispose, accennando un sorriso, che io reputai forzato, << hanno bisogno di me >>, sospirò. << E poi lì sono esperti di malattie come la mia >>, tenne presente.
<< Appunto >>, s’intromise Olaf.
“Appunto sto cavolo” avrei voluto rispondergli, ma insistere era solo fiato sprecato, così non mi rimase che salutarli e augurargli buon viaggio.
<< Marlyn >>, mi chiamò mia madre.
<< Sì? >>, mi avvicinai a lei con naturalezza.
<< Dammi un bacio >>, fu una richiesta normale, ma in essa lessi un significato immenso, che forse solo io in quel momento potevo comprendere, però senza fare storie e domande, la accontentai, autoconvincendomi che mia madre volesse solo salutarmi.

Lei me ne diede uno sulla fronte, così come faceva sempre. << Abbi cura di te, tesoro >>, quella frase tenne vivo il sospetto che stesse succedendo qualcosa che non quadrasse.
<< E tu di te >>, ricambiai.
<< Ora dobbiamo andare >>, c’interruppe Olaf, spronando il cavallo a partire.
Io annuii, sospirando e girandomi per entrare in casa.
<< Tesoro >>, mi chiamò un’altra volta e, non sapendo il perché, fui invasa da un’ondata di brividi. Mi voltai nuovamente e fui sul punto di fermare il cavallo, che aveva già preso a camminare.
Gli occhi di mia madre erano lucidi. Stava piangendo. Lì, allora capii. Quella era l’ultima volta che l’avrei vista.
Mi morsi il labbro inferiore e le rivolsi un sorriso. << Ti voglio bene >>, le urlai, consapevole che non avrei potuto fare nulla per lei, poiché avevo imparato che quando il destino decideva di chiamare a se una persona, non c’era modo di fermarlo. E lei lo sapeva. Nessuno meglio di lei lo sapeva. Lei era la portatrice della vista.
<< Anch’io >>, rispose, mandandomi un bacio.
Quando vidi il cavallo sparire tra i boschi, corsi in casa e mi gettai sul mio pagliericcio. Iniziai a piangere e a singhiozzare, consapevole che non avrei mai più rivisto la mia mamma. Mi chiesi il perché fosse toccato proprio a me, anzi proprio a lei, dimenticandomi completamente di Olaf e del loro rapporto freddo.
Passarono cinque giorni. Ben cinque giorni da quando mia madre era partita. In questi giorni mi limitai solo a mangiare un pezzo di pane e qualche frutto, senza uscire da casa, dandomi malata. La gente credette che avessi contratto la malattia di mia madre e non venne a scocciarmi per i decotti. Il sesto giorno sentii un certo trambusto e quando udii una donna urlare, capii che erano giunti coloro che mi avrebbero annunciato la morte di mia madre erano arrivati.
Pronta alla triste notizia, prima che bussassero alla porta, andai ad aprire. Alla soglia trovai mia cugina Charlotte, che mi fissava con le lacrime agli occhi. Il nostro istinto ci fece abbracciare ed io le sussurrai: << è morta, vero? >>.
Lei annuì e mi carezzò i capelli. << Sì >>, mi sussurrò. Nessuna lacrima solcò il mio volto. Ne erano già scese troppe.
Invitai mia cugina a entrare e lei accettò. Preparai un infuso e non le chiesi nemmeno come avesse saputo una tale notizia. Mary, la madre di Charlotte nonché sorella di mia madre, possedeva anche lei la vista e sicuramente aveva incaricato la figlia di portarmi la triste novella.
<< Dov’è successo? >>, mi limitai a chiedere, servendo l’infuso.
<< Alla congregazione in cui si era recata >>, mi narrò, piangente. << Mia madre lo aveva predetto da settimane >>, confessò con voce straziata, << ma io non volevo crederci >>.
<< Com’è morta? >>, chiesi freddamente.
Lei mi guardò negli occhi e sospirò. << Si è aggravata >>.
<< Avrei dovuto immaginarlo >>, sentenziai, portandomi la tazza alle labbra. << Mi sono sopravvalutata molto nelle mie doti >>.
<< Non dirlo neanche per scherzo >>, mi rimproverò, severa, << tu hai fatto il possibile. La malattia purtroppo ha preso il sopravvento >>.
<< Non sarebbe successo se fossi stata più competente >>, affermai, portandomi una mano alle tempie.
<< Non farti divorare dal rimorso >>, mi consigliò, prendendomi la mano sinistra. << Perché tu non hai colpe e lo sai >>.
Fissai Charlotte negli occhi. Erano così diversi dai miei. Erano verdi e più piccoli. Nonostante fossimo cugine, non ci somigliava per niente. Lei era alta e formosa, e possedeva dei lunghi capelli biondi. E inoltre era molto dolce e sensibile. Io invece ero totalmente l’opposto: non ero molto alta, e purtroppo avevo una costituzione molto smilza. La mia pelle era diafana, un fattore che mi faceva sembrare anemica, quando non lo ero. Poi, i miei occhi erano azzurri e i miei capelli color nero corvino ondulati. Un particolare di cui non andavo fiera erano le mie orecchie, che era smisuratamente grandi. Una combinazione che mi faceva apparire molto strana.
L’unica cosa che accomunava me e Charlotte era la magia, ereditata dalle nostre madri, però con delle caratteristiche diverse. Solo che la mia adorata cugina aveva scelto di disconoscere tale pratica, poiché sosteneva che non l’avrebbe mai aiutata.
<< Sei molto buona con me Charlotte >>, apprezzai il suo tentativo di incoraggiarmi, << ma non merito le tue parole >>.
<< Invece sì >>, ribatté lei, << tu meriti di più >>.
<< Non merito nulla >>.
<< Vieni con me >>.
Le sue parole mi fecero spalancare la bocca. Charlotte lavorava da poco a Camelot, uno dei cinque regni, dove la magia era molto più che proibita. Infatti, l’unico motivo che l’aveva portata a lavorare lì era stata una visione della madre, che la vedeva sposata con un uomo giusto. Io, quando avevo appreso la notizia, mi ero chiesta se fosse giusto che mia zia la manipolasse in quel modo.
<< Stai scherzando, spero >>. Mi alzai dalla sedia e le dissi: << si è fatto tardi, è meglio che tu vada a letto >>.
Si alzò anche lei, << io spero che tu rifletta sulle mie parole >>, mi accarezzò una guancia, << Camelot è una città ricca, dove potresti approfondire i tuoi studi sulla medicina >>, mi annotò, << lì c’è un bravissimo medico di nome Gaius e… >>.
<< Buonanotte cugina >>, la interruppi inespressiva, << spero che riuscirai a dormire sul mio pagliericcio >>.
Lei sospirò e dandomi un bacio sulla guancia, uscì dalla stanza, lasciandomi lì, sola. La prima cosa che feci fu sdraiarmi sul pavimento. Non potevo usare il pagliericcio di mia madre che era infettato e non potevo nemmeno lasciare che Charlotte dormisse per terra.
Chiusi gli occhi e lasciai che l’oblio prendesse il sopravvento.
Quella notte feci uno strano sogno. Vidi un drago rosso raffigurato su una bandiera e poi magicamente prese vita, librandosi alto nel cielo.
Al mio risveglio, non potei negare che fui sommersa da dubbi. Quello che avevo appena sognato era il simbolo di Camelot, e questo significava soltanto una cosa: il fato mi voleva a Camelot. Non era stato un caso che Charlotte mi avesse proposto di seguirla e nemmeno che avessi sognato quel drago.
Ora la domanda, che mi ponevo, era una: cosa avrei dovuto fare? Lasciare Ealdor, il mio villaggio d’origine, o andare in luogo che avrebbe sicuramente cambiato la mia vita per sempre.

 

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Disclaimer: I personaggi citati in questo racconto non sono miei. Essi appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

 

 

Ciao a tutti, mi chiamo Lily e questa, come potete notare, è la mia prima storia.
Ho deciso di trasformare Merlin, il nostro amato beniamino, in una lei (non immagino quelle che mi succederebbe se lo venisse a sapere T_T), e ho rivoluzionato un pochino (molto) la storia. State tranquilli, se mai la leggerete, troverete quasi tutti i vecchi personaggi, solo che alcuni di loro subiranno qualche cambiamento. Spero possiate leggere e farmi sapere cosa ne pensiate, e soprattutto se ne valga la pena continuare con questa mia follia.
Ah, prima che me ne dimentichi, la citazione che avete trovato all’inizio rispecchia, a parer mio, il capitolo. Ne inserirò delle altre nei capitoli successivi.
Non mi rimane che augurare buona lettura a tutti voi e a ringraziarvi anticipatamente per il tempo che dedicherete alla mia storia.
Un bacino.
                                                                                                    Lillibeth_92
P.S. visto che è tardi, auguro a tutti voi una buonanotte e dei sogni merliniani e arturiani.

 

 

  
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