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Autore: BeaterNightFury    25/12/2011    5 recensioni
“Marcello! Svegliati. ORA!”
Marcello si mise a sedere sbadigliando e brontolando, e Flavia riuscì a distinguere, nei suoi borbottii, una o due delle imprecazioni che aveva imparato da Papà.
“Piantala di bestemmiare come un turco. È Natale”
“Non ancora. È la Vigilia” Marcello sbadigliò
“Papà non diceva parolacce la Vigilia di Natale”.
“Mi hai svegliato!”
“Disse il ragazzo che non voleva dormire”

SPOILER se non avete visto Embers. Quindi vi consiglio di andarvelo a cercare in rete. Ah, e Buon Natale.
Genere: Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Claudia Auditore
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Flavia non sapeva se quell’anno la neve sarebbe caduta

Vi presento la mia storia a tema natalizio di quest’anno.

Se conoscete Harry Potter, quella dell’anno scorso era “Light Up the Fireworks in me”. Sì, sono ispirate alla stessa canzone, ma in due maniere diverse.

SPOILER se non avete visto Embers.

 

 

 

A mia sorella: come Ezio sa bene, le sorelle minori sono una forza della natura!

 

Luci di Natale

 

Flavia non sapeva se quell’anno la neve sarebbe caduta.

Quasi ogni anno, la campagna si dipingeva di bianco all’arrivo dell’inverno, eppure anche adesso che il Natale era alle porte, non c’era un fiocco di neve per terra.

Normalmente avrebbe pensato che un Natale senza neve non sarebbe mai stato Natale ma quest’anno non lo era a prescindere.

L’anno prima, la vigilia di Natale, nonostante la neve Papà aveva tirato fuori il carro ed erano andati a Firenze, a festeggiare in strada, con altre persone e soprattutto altri bambini. Avevano guardato il fiume ghiacciato – e Marcello aveva persino tentato qualche passo sul ghiaccio prima che Papà lo afferrasse per i vestiti nel tentativo di impedirglielo.

Non sembrava affatto che fosse Natale, nemmeno con tutti gli amici e zia Claudia che erano venuti a trovarli.

Poteva sentire i capricci di Marcello anche dal piano superiore.

“Non voglio! Non voglio dormire!”

Si era sempre rifiutato di dormire di pomeriggio, e, in effetti, anche metterlo a letto di sera poteva diventare una battaglia. Almeno fino a quando Papà non si faceva avanti e cominciava a cantargli qualcosa.

Ad essere sinceri, Papà era stonato come una campana. Ma cantava comunque. Cantava canzoni scritte da lui stesso, su un pazzo chiamato Vieri, un depravato di nome Cesare, o una donna con tanti amanti e troppi pochi fratelli, Lucrezia, e le loro avventure un po’ tragiche. Marcello si sbellicava dalle risate a sentirle... e poi crollava addormentato.

Papà certe volte lo chiamava Macello. Più che altro perché combinava un macello quando sentiva quel soprannome!

Inaspettatamente, qualche attimo dopo il capriccio, Marcello entrò nella stanza, e non da solo.

“Salute, zia Claudia” Flavia salutò l’anziana signora con lui.

“Questo birbantello dovrebbe dormire un po’, o non arriverà alla mezzanotte”

“Chi sarebbe birbante?” Marcello brontolò

“Tu, Macello!”

Sentendo il soprannome scherzoso, Marcello impallidì di botto, per poi scoppiare in lacrime.

Si lasciò cadere per terra, e rimase lì rannicchiato, la faccia coperta dalle mani. A piangere.

“Marcello... cosa c’è che non va?”

“Tutto... quanto!” singhiozzò Marcello “Voglio Papà!”

“Era così che Papà lo chiamava” spiegò Flavia “Lui... noi... ”

“Va tutto bene, bambini” zia Claudia disse tentando di rimettere Marcello in piedi “Non lo sapevo. Marcello. Per favore. Alzati. Comportarti in quel modo non ti riporterà tuo padre. Devi essere forte. Per lui. Lui è felice adesso, sai? È con il suo, di papà. Con i suoi due fratelli. E anche con il suo amico Leo. Non vorrebbe vederti piangere”

Marcello tacque, ma non smise di singhiozzare in silenzio e strofinarsi gli occhi.

“Mi manca”

“Ovvio che ti manca, giovanotto! Manca anche a me. A tua madre. A tua sorella. Ai suoi amici. Sono passati tre mesi, Marcello. Asciugati gli occhi. Vuoi che ti racconti una storia?”

“No, no. Voglio la canzone di Cesare!”

“La canzone di Cesare?”

Flavia sorrise.

“Era una di quelle che Papà ci cantava per farci dormire” spiegò alla zia “Ma non sapeva cantare per niente!”

“Figurati, è sempre stato stonato. Ma con gli strumenti se la cavava” commentò zia Claudia “Dunque, com’era questa canzone di Cesare?”

“Ehm... ce ne erano due. Quella della caduta e quella del lancio”

“Una qualsiasi, Flavia!” Marcello disse, mentre sulla sua faccia riappariva l’ombra di un sorriso.

“Uh... va bene. Cesare o Cesare, uomo di gran depravazione... ” Flavia iniziò, cercando di ricordarsi il motivo “si riteneva immortale, ma dopo una caduta mutò di convinzione

“Oh, mio Dio!” zia Claudia sbottò, sul punto di ridere “L’ha scritta tuo padre?”

“Papà diceva sempre che lo lanciò in aria finendo per deludere qualcuno!” Marcello le disse sorridendo “Ma questo Cesare era davvero tanto cattivo?”

“Un giorno te lo dirò. Quando sarai grande abbastanza” zia Claudia disse “Ma posso raccontarti una storia sul tuo papà. Di quando vivevamo ancora a Firenze con i nonni e gli altri zii”

“E la canzone di Vieri invece?” chiese Marcello.

“Io voglio sentire la storia di Papà” disse Flavia sedendosi sul suo letto.

“Va beene” sbuffò Marcello buttandosi sul suo.

“Dunque... era Natale, non tanto diverso da com’è il vostro Natale adesso. Nostro padre era andato a Milano per sbrigare dei suoi affari. Noi ragazzi eravamo bloccati a casa, tutti e quattro, senza notizie da vostro nonno, e nessuno di noi era dell’umore per festeggiare. E quell’anno non aveva nemmeno nevicato, proprio come adesso. Pensavo che sarebbe stato il peggior Natale mai visto, ma poi... ”

 

Ezio guardava fuori dalla finestra la folla per strada. Molti dei ragazzi della sua età adesso erano insieme alle loro famiglie, felici, a festeggiare.

Doveva essere davvero tanto sfortunato da passare il Natale tappato in casa e senza suo padre?

Non era più così piccolo da potersi lamentare per la mancanza del padre, eppure quelli erano i momenti in cui avrebbe voluto avere sette anni, e non diciassette. Un uomo come lui non avrebbe dovuto lamentarsi come un moccioso.

Anche sua madre sembrava preoccupata, e di solito era lei a tranquillizzare tutti.

Era andata al Duomo per la messa di mezzanotte. Ezio e i suoi fratelli non se l’erano sentita di andarci: lui e Federico si sarebbero annoiati a morte, Claudia aveva litigato con le sue amiche e non voleva vedere nessuno, e Petruccio... beh, a malapena poteva andare da qualche parte che non fosse camera sua.

“Forse saremmo dovuti andare con nostra madre”

“Chiudi quel dannato becco, Federico” Ezio mormorò senza distogliere lo sguardo dalla strada.

“Non concluderai niente ad aspettarlo. Ci ha detto che non sarebbe tornato prima di San Silvestro, ricordi?”

“Cosa sai che io non so?”

“Niente che io possa dirti, mi spiace. Ma so che tornerà come ha sempre fatto. Nostro padre sa difendersi meglio di quanto pensi tu”

“Cosa te lo fa pensare?”

“Ehi, non è stato certo zio Mario ad insegnarmi! Oh, ed è Natale, comunque, non dovresti sparare parolacce come se niente fosse”

“Ringrazia che non ho detto fottuto becco

“Ora l’hai detto, però!” concluse Federico “Comunque, saremmo dovuti andarci, con nostra madre. Il tuo umoraccio non può che peggiorare se te ne rimani qui come un ghiro in letargo”

“Non mi andava. Non mi va

“Neanche a me. Ma aspettare qualcosa che non arriverà, non cambierà nulla”

Ezio si appoggiò nuovamente contro la finestra. Federico aveva dannatamente ragione. Suo padre non sarebbe tornato per il momento, e aspettarlo sarebbe stato sprecare tempo. Comunque, non voleva... beh, festeggiare come aveva sempre fatto.

“E se facessimo due passi?”

“Due passi?”

“Sì, noi quattro. Fino a Santa Maria Novella e ritorno. Almeno prenderemmo un po’ d’aria”

“Nostra madre ci ammazza se scopre che portiamo fuori Petruccio”

“Non vorrà mai rimanere qui da solo. Sai com’è fatto. Come noi alla sua età”

“Sperando che lui arrivi alla nostra” Ezio disse, lasciando una volta per tutte la finestra “Andiamo. E di’ a Claudia di coprirlo per bene, magari anche di prendere una coperta se ci riesce”

In poco tempo, i quattro fratelli erano fuori di casa, il più piccolo di loro infagottato in ogni abito pesante che i maggiori erano riusciti a infilargli, e si mescolarono rapidamente alla folla per strada.

La via per Piazza Santa Maria Novella non era lunga, e non gli ci volle molto per trovare un gruppo di ragazzi più grandi che giocavano a pallone, noncuranti degli strilli di protesta di alcuni monaci rimasti in piazza.

“L’anno prossimo voglio vederti giocare, Ezio. Ti manca poco per avere l’età, e la nostra squadra ha bisogno di uomini come te” Federico disse sorridendo.

“Già, saresti il migliore” Petruccio ansimò contro la sciarpa.

“Andiamo, adesso non esagerate” ribatté Ezio tirando fuori qualche candela da un borsello.

“Che ci vuoi fare con quelle?” gli chiese Claudia.

“Indovina!” rispose Ezio arrampicandosi sul muro della chiesa.

“Piccolo idiota!” Federico gli gridò dietro, e dal rumore che faceva, Ezio dedusse che lo stava inseguendo.

“Aspetta, Federico, voglio salire anch’io!” Petruccio squittì dietro di loro.

A giudicare dal rumore, Federico si era allontanato, ma in poco tempo si avvicinò di nuovo, anche se il suo passo era più lento e pesante. Doveva essersi sicuramente caricato Petruccio sulle spalle.

Quello avrebbe senz’altro pareggiato i conti: Federico era decisamente più veloce di lui.

Arrivarono sul tetto insieme, Federico fece scendere Petruccio dalle sue spalle, ed Ezio tirò fuori esca e acciarino e accese una delle candele, per poi sciogliere un po’ la cera e attaccare le tre candele che aveva preso sulle tegole.

“Accenderle in una cappella no, eh?” Federico gli chiese sogghignando.

“Meglio che non ti dica quello che penso di te” disse Ezio mentre le campane suonavano dodici rintocchi “Ormai è Natale, fratello. A proposito, buon Natale a tutti e due”

Abbracciò i suoi due fratelli, poi salutò Claudia, che era rimasta giù in piazza, agitando la mano.

“Vi voglio bene, lo sapete, vero?”

 

“Marcello?”

“Hm”

“Marcello!”

“Hmm?”

“Svegliati. ORA!”

Marcello si mise a sedere sbadigliando e brontolando, e Flavia riuscì a distinguere, nei suoi borbottii, una o due delle imprecazioni che aveva imparato da Papà.

“Piantala di bestemmiare come un turco. È Natale”

“Non ancora. È la Vigilia” Marcello sbadigliò

“Papà non diceva parolacce la Vigilia di Natale”.

“Mi hai svegliato!”

“Disse il ragazzo che non voleva dormire”

“E poi non ci hanno ancora chiamato, i grandi. Perché mi hai svegliato?”

A-ha?” fece Flavia, tirando fuori alcune candele da dietro la schiena.

Dunque?”

“Pensavo tu sapessi scalare un muro”

“Quale muro?”

“Mamma ha proprio ragione. Sei andato, come Papà prima che s’incontrassero”

“Chi sarebbe andato?”

Flavia sorrise e alzò le spalle mentre Marcello si rimetteva in piedi, si lavava la faccia con l’acqua nel catino, e si rivestiva in fretta.

“Pronto?”

“Pronto. Allora, che muro dobbiamo scalare? E non dirmi che devo farlo io, l’idea è la tua e la facciamo insieme”

“Ma...”

“Niente ma. Ricordi quello che Papà diceva sempre? Lo facciamo insieme”

“Marcello... ”

“Se il problema è quello, ti posso prestare i miei pantaloni di riserva. La tipa aveva i pantaloni, ricordi?”

“La tipa ha un nome. Shao Jun

“Chi se ne frega del nome? Tanto non torna qu... ahi! Che ho detto?” quasi gridò quando Flavia gli diede uno schiaffo.

Flavia non rispose. La straniera, che era stata per qualche tempo a casa sua, l’ era stata decisamente simpatica, ma nei giorni dopo la sua partenza, aveva avuto un pensiero orribile: e se quello che era accaduto a casa mentre lei, sua madre e suo fratello erano da zio Niccolò era stata la causa di quello che era successo... quello che era successo quando erano stati a Firenze?

A quanto pareva, Marcello aveva ripreso il suo ruolo di voce della ragione, perché Flavia ebbe appena il tempo di accorgersi che suo fratello aveva intuito il suo cambio di umore prima che Marcello la abbracciasse.

“Ti voglio bene, lo sai, vero?” le disse facendo un passo indietro “Andiamo, su. Prendi i miei pantaloni di riserva, mettiteli sotto il vestito e saliamo”

Salire sul tetto portò via un po’ di tempo ai due bambini, nonostante l’abbondanza di appigli, e per di più era la prima volta che Flavia si arrampicava, e Marcello dovette fermarsi più volte per darle una mano.

Ma alla fine ci riuscirono.

“Spero tu abbia preso esca e acciarino” Marcello disse mentre Flavia gli passava la prima candela

“Bambino di poca fede” Flavia disse passandogli l’acciarino “Avanti, accendila”

Accesero una, due, tre, quattro, e poi cinque candele. Fecero sciogliere un po’ di cera e le attaccarono sul tetto.

Forse nessuno si era accorto di loro, e probabilmente, nessuno l’avrebbe mai fatto.

Ma non importava.

Quello che importava veramente era che erano lassù, insieme, come Papà aveva fatto molti anni prima.

Flavia circondò le spalle di Marcello con un braccio, e il suo fratellino fece lo stesso.

Probabilmente, non sarebbe mai stato il miglior Natale della loro vita.
Forse lo avrebbero ricordato come il peggiore.

Ma Flavia, per la prima volta dopo mesi, si sentiva felice.

Aveva avuto un padre che le aveva voluto bene. Aveva ancora una famiglia che le voleva bene.

Aveva un fratellino straordinario.

Ci sarebbe stato tempo per pensare al futuro incerto davanti a loro, ma non era quello.

Erano insieme e basta, per il loro ultimo omaggio all’uomo che era stato il mondo negli undici anni di Flavia e nei dieci di Marcello.

 

Nessuno avrebbe potuto riportare Ezio Auditore a casa, eppure, per una sera, Claudia, guardando i suoi nipoti dal cortile sul retro, capì che suo fratello non li avrebbe mai davvero lasciati.

 

La felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce.

 

 

 

 

 

E anche quest’anno ho scritto una storia a tema natalizio!

Spero che piaccia, davvero, perché non è che io sia chissà cosa.

Prima di tutto ringrazio soarez per il betaggio grammaticale. Avendo steso questa storia prima in inglese, volevo assicurarmi che rendesse bene.

Questa storia avrebbe dovuto avere un’illustrazione, ma la ragazza a cui ho chiesto non ce l’ha fatta per oggi. Pazienza.

Comunque sì, mi immagino Marcello con i capelli rossi. E se scriverò mai una long, capirete perché.

 

La frase alla fine è una citazione dal terzo film di Harry Potter (i Potteriani perdono i libri, ma non il vizio! Anzi nemmeno i libri, dato che ho trovato l’edizione 2011 della Camera dei Segreti sotto l’albero...) ed effettivamente, non mi è venuta frase migliore da inserire come conclusione.

 

Comunque... buon Natale, gente!

 

   
 
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