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Autore: PhoenixOfLight    25/12/2011    5 recensioni
Alcuni dicono che i miracoli di Natale non esistono. Altri, che sono così presenti che ti sconvolgono la vita. Io dico che i miracoli sono così semplici, da non riconoscerli subito. Potrebbero essere un gesto, un segno, una persona. Quando troverai il tuo, tienilo stretto e custodiscilo. Sarà una delle cose più preziose della tua vita.
"Sei un angelo?"
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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E quel sorriso – oh, quel sorriso – che era in grado di illuminare la stanza, la casa, il mondo intero, e che si estendeva ai grandi occhi color caramello

Piccola shot senza pretese, che mi frullava in mente da giorni...

Arrivo in ritardo come al solito, ma l’importante è il pensiero, no?

 

Dedico questa breve storiella ai miei parenti,

che possano ritrovare la serenità e la pace perduta,

ai miei amici,

che mi sono stati accanto e mi hanno aiutata in mille situazioni,

a voi,

sperando che gradiate questo piccolo pensiero,

alle mie migliori amiche, le mie ragioni di vita,

semplicemente per il fatto di esistere,

al gruppo You’re killing me now – animal inside of you,

perché sono dei ragazzi fantastici, a cui voglio un mondo di bene,

e a me,

anche se non sento molto l’aria del Natale quest’anno, spero di farla ritrovare in voi con questa storia.

 

 

 

 

 

 

 

Il piccolo Blaine amava il Natale.

Amava aiutare i suoi genitori ad addobbare la casa, amava scartare i regali, amava preparare i biscotti col latte per Babbo Natale, amava quando il padre leggeva “A Christmas Carol” la sera della Vigilia e lui lo ascoltava seduto sul divano accanto alla madre, che gli carezzava i capelli.

Ma, soprattutto, Blaine amava la neve.

Ogni volta che vedeva quei fiocchi cadere dal cielo si attaccava alla finestra a guardarli, per poi implorare i suoi genitori a mandarlo fuori a giocare.

E quel sorriso – oh, quel sorriso – che era in grado di illuminare la stanza, la casa, il mondo intero, e che si estendeva ai grandi occhi color caramello. Occhi che li fissavano imploranti e i suoi genitori non potevano fare altro che sorridere – per l’ennesima volta.

«D’accordo, Blaine, puoi andare a giocare nella neve, ma devi coprirti o ti verrà la febbre!».

Poi il bambino li abbracciava e saltellava, contento, e usciva nel cortile bianco, imbacuccato dalla testa ai piedi, con solo gli occhi fuori, quegli occhi che illuminavano la notte più delle luci di Natale.

 

Era intento ad ammassare palle di neve per creare un pupazzo, quando notò qualcosa.

O meglio, qualcuno.

Era un bambino – no, no, era una bambola di porcellana.

No, nemmeno.

Un angelo.

Sì, un angelo.

Come quelli raffigurati in alcuni quadri a casa sua.

Anche se, a dirla tutta, lui era molto più bello.

Il bambino passeggiava nella strada, osservando gli addobbi attorno a sé.

Blaine s’incantò a fissarlo, e non si accorse che aveva abbandonato il suo pupazzo e si era inconsciamente avvicinato a lui.

«Sei un angelo?».

Il bambino si voltò verso di lui e lo fissò.

Sì, è un angelo.

Solo gli angeli possono avere degli occhi così belli.

«Sei un angelo?» ripeté Blaine all’espressione interrogativa del piccolo.

La pelle candida del fanciullo si tinse di un rosa scuro sulle guance.

«No... no, io non sono un angelo...» rispose.

«Sì, invece! Sei troppo bello, devi per forza essere un angelo! Hai la pelle bianchissima, gli occhi azzurri azzurri, la voce dolce... tu sei un angelo! Guarda che non lo dico a nessuno, lo so che dovete nascondervi, altrimenti gli uomini cattivi vi catturano e vi fanno male».

Il bambino-angelo lo fissò stupito per qualche secondo. Poi, gli angoli della bocca si curvarono all’insù, terminando in due deliziose fossette, gli occhi s’illuminarono di gioia e divertimento e scoppiò a ridere.

Fu Blaine a fissarlo incredulo, quella volta, prima di abbandonarsi anche lui a una sonora risata.

Nessuno di loro due sapeva perché stessero ridendo.

Eppure, non riuscivano a smettere.

A volte, le azioni non hanno bisogno necessariamente di un motivo per essere compiute.

«Sei strano, sai?» disse il bambino-angelo, quando si furono ripresi.

Blaine perse il sorriso.

Il bambino-angelo se ne accorse ed esclamò: «No! Strano non è brutto, è... significa... è bello, capito? Strano perché non... non ho visto nessun bambino come te e... scusa» balbettò, fissandosi le scarpe.

Il piccolo Blaine lo guardò per un po’, prima di appoggiare le mani sulle sue spalle.

Il bambino-angelo alzò la testa e sgranò gli occhi quando venne abbracciato.

«C-cosa stai...?».

«Sì, sei proprio un angelo. Non c’è nessuno più gentile e bravo di te» mormorò Blaine.

Il bambino-angelo sorrise e rispose alla stretta, chiudendo gli occhi.

Era confortevole.

Era caldo.

Era perfetto.

Quando, a malincuore, si staccarono dall’abbraccio, erano entrambi arrossiti.

«Vuoi giocare con me?» domandò Blaine con un luccichio nelle iridi color caramello.

«Io... mi dispiace, ma... devo tornare a casa, tra poco viene sera e ho paura di stare al buio...».

«Puoi restare qui a cena, se vuoi!».

«No, non posso. Stanotte me ne vado. Cambiamo casa».

Il sorriso di Blaine si spense un’altra volta e i suoi bellissimi occhi iniziarono a diventare lucidi.

Il bambino-angelo si sentì male. Perché la colpa era sua.

«No, per favore, non piangere...» mormorò il bambino-angelo, avvicinandosi a lui e poggiando una mano sul suo braccio.

Blaine tirò su col naso e lo guardò.

Il bambino-angelo sentì chiaramente spezzarsi qualcosa dentro di lui. E fu abbastanza sicuro che si trattava del suo cuore. Perché quegli occhi così belli erano rossi, gonfi e pieni di lacrime, tristezza e malinconia.

«Perché te ne vai? Non ti piace qui?».

«Non lo so... mamma e papà hanno detto che a Lima, dove dobbiamo trasferirci, è più comodo, che “costa meno”, ma non ho capito che cosa...».

Blaine annuì. Era la casa, ovvio. Sentiva spesso i suoi genitori parlare di soldi, investimenti e cose del genere e, anche se odiava quei termini così difficili, aveva iniziato a capire qualcosa dei loro discorsi. Forse i genitori del bambino-angelo non avevano abbastanza soldi per una casa. Forse erano in... com’è che si diceva? Affitto? Sì, affitto.

«Ma poi tornerai?» chiese Blaine.

«Non lo so» rispose il bambino, mordendosi il labbro inferiore.

Blaine annuì un’altra volta, ma non pianse. «S-se... se tornerai, mi verrai a trovare?».

Il bambino-angelo sorrise. «Ma certo!».

Blaine ricambiò il sorriso e lo abbracciò di nuovo.

Il bambino-angelo appoggiò la testa sul petto del fanciullo e inspirò il suo profumo. Sapeva di biscotti al cioccolato appena sfornati e di famiglia. Non sapeva bene quale fosse il profumo di una famiglia. Ma, se qualcuno un giorno gli avesse chiesto di descriverla, lui avrebbe parlato di quel profumo.

«Ora devo andare» mormorò il bambino-angelo, una volta staccatosi dall’abbraccio.

«Non mi dimenticherai mai, vero?» chiese Blaine, con voce lieve.

Il bambino-angelo si morse un labbro. Si avvicinò a lui e poggiò la fronte alla sua. «Mai» sussurrò.

A quel gesto, il cuore di Blaine si fermò per un secondo, letteralmente, per poi ricominciare a battere più furioso di prima. Il freddo che li circondava sparì, sostituito dal fiato caldo dell’angelo sulla sua pelle.

Sarebbe voluto restare così per sempre.

Le cose belle, però, prima o poi finiscono. Perciò, il bambino-angelo si staccò da lui.

Blaine stava per protestare, ma l’angelo si avvicinò nuovamente e gli lasciò un piccolo, dolce bacio sulla guancia sinistra.

Il fanciullo sgranò gli occhi mentre il cuore ricominciava a battere furioso nel petto.

Le labbra dell’angelo erano fredde, ma il punto in cui le aveva poggiate sembrava bruciare.

Blaine lo fissò per qualche secondo, mentre sfiorava i polpastrelli sulla guancia.

Il bambino-angelo sorrise timidamente e fece un passo indietro. «Devo andare».

Si guardarono di nuovo, prima che il bambino dagli occhi azzurri si voltasse e se ne andasse.

Il piccolo Blaine lo guardò camminare sul marciapiedi innevato, ancora sotto shock per quello che era successo.

Quel bambino era speciale, e non solo perché era un angelo. Avevano parlato poco, eppure si sentiva già legato a lui. L’abbraccio e il bacio lo avevano scosso, ma erano stati bellissimi. Lo avevano toccato nel profondo.

Sperava solo di poterlo incontrare un giorno.

Sì, si sarebbero rivisti, ne era certo.

Così avrebbero potuto giocare con la neve, e correre per il cortile, e mangiare i dolci, e... e...

Sgranò gli occhi.

Ma... come farà a trovarmi, se non conosce il mio nome?

«Ehi, angelo!» esclamò.

Il bambino si voltò – fortunatamente non era troppo lontano.

«M chiamo Blaine!».

Non poteva vederlo, ma seppe che stava sorridendo. «Kurt!» e se ne andò.

Blaine si sentì più leggero.

Kurt.

Kurt.

Persino il suo nome mi ricorda un angelo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Passarono gli anni.

Blaine divenne un bel ragazzo, non troppo alto, ma ben proporzionato, con i capelli neri riccissimi e quel sorriso gentile perennemente sulle labbra.

Era cresciuto.

Eppure, Blaine credeva ancora nel Natale.

Certo, la favola di Babbo Natale era più che superata – anche se pianse per un mese intero, quando lo scoprì – ma lui riusciva ancora a percepire la magia del Natale.

Persino quando i vicini non accettavano più i dolci preparati da un omosessuale – «Ma sono sempre io, lo stesso bambino che vi chiedeva di costruire i pupazzi di neve con lui!» – o quando ogni occhiata, parola, gesto dei suoi genitori diventavano sempre più pesanti e pressanti, finché Blaine non decise semplicemente di smetterla di pranzare con loro nella Vigilia di Natale – «Andrò alla Mensa dei Poveri. L’anno scorso è stato bellissimo, mi sento bene lì».

E Blaine ci andò alla Mensa dei Poveri, aiutò, e si sentì così bene che ci tornò l’anno successivo, e quello dopo, e quello dopo ancora, per poi entrare a far parte di un’associazione di volontariato, in cui allietava vecchi, poveri e bambini con la sua voce e la sua chitarra.

Quell’anno le cose non erano cambiate, e Blaine era già dietro il bancone, a riempire i piatti con zuppe calde e pezzi di carne.

«Blaine, c’è un ragazzo che vuole aiutarci. Puoi mostrargli come si fa?» gli chiese Katherine, una donna robusta che serviva accanto a lui.

Blaine si voltò, già con il sorriso sulle labbra, quando il suo cuore perse un battito.

Il ragazzo che Katherine gli aveva affidato aveva i capelli castano chiaro, la pelle candida come le bambole di porcellana e gli occhi di un azzurro così chiaro da sembrare grigio.

Blaine s’incantò a fissarlo.

Era così bello da sembrare...

«... un angelo. Sei un angelo».

Il ragazzo sgranò gli occhi e arrossì. Poi lo guardò attentamente, avvicinandosi.

I cuori dei due ragazzi battevano all’impazzata.

Blaine gli poggiò entrambe le mani sulle spalle e fece appoggiare le loro fronti.

Il ragazzo-angelo fu attraversato da un brivido. I suoi occhi divennero lucidi e sorrise, un sorriso di consapevolezza.

«Blaine...» sussurrò.

«Kurt...».

 

 

Sei tornato.

Sono qui.

Ricordi?

Come posso dimenticarlo?

Non te ne andrai?

Non me ne andrò.

Mi sei mancato.

Anche tu.

Buon Natale.

Buon Natale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BUON NATALE A VOI E ALLE VOSTRE FAMIGLIE!

   
 
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