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Autore: titania76    03/01/2012    5 recensioni
La vita di Shion Hayes, giovane uomo d'affari di successo, viene rivoluzionata da un messaggio che non può ignorare e al quale non può sottrarsi; viene così attirato a un appuntamento in un luogo fuori mano, in un freddo e lugubre pomeriggio autunnale. Qualcuno dal suo passato, che pensava di aver cancellato per sempre, torna nella sua vita e lo fa nella maniera più inaspettata e indelebile.
Anni dopo, l'infinita catena degli eventi innescata quel lontano giorno, sconvolge la quotidianità di una tranquilla e serena famiglia americana, portandola a cambiamenti radicali e allontanandola dalla propria casa e dalla propria città.
Quello stesso destino che in passato ha tolto, nel presente dona di nuovo.
La giovane Caroline Miller, da sempre sogna di tornare alla sua natia Boston; un incontro casuale e drammatico le dà la spinta decisiva per realizzare il suo desiderio. Ed è proprio a Boston, quando meno se lo aspetta, che incontra Saga.
Il colpo di fulmine è reciproco, ma fin da subito niente è facile per loro.
Ombre provenienti dal passato di entrambi sembrano spingerli in una direzione dove segreti e omissioni rischiano di spezzare per sempre il loro legame. Saranno in grado di resistere e rimanere assieme?
Genere: Romantico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Aries Shion, Capricorn Shura, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Sagittarius Aiolos
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Legacy'
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I


Ci vollero più di due ore e mezzo da Springfield, luogo dell'appuntamento, sul confine col Connecticut, a Winchester, piccolo centro abitato alle porte di Boston, nel Massachusetts. Il viaggio si rivelò decisamente più lungo del previsto e scomodo, troppo scomodo. La nebbia era stata una compagna costante che non li aveva abbandonati sin da quando avevano lasciato il deposito dei treni. Li aveva seguiti, circondati, nascosti alla vista di occhi indiscreti, per proteggerli e farli arrivare a destinazione nella sicurezza dell'anonimato. Ma era stata anche una compagna inquietante, che portava con sé ombre e inganni.
Per buona parte del tragitto, il vecchio Fernando Morales, il fedele autista della famiglia Hayes, aveva rivolto discretamente lo sguardo a osservare il suo giovane padrone. Lo aveva visto sempre più teso e nervoso a ogni telefonata che faceva. Fin quando non aveva appoggiato la testa al finestrino, chiudendo gli occhi e cedendo a un leggero sonno. Il vecchio sorrise nostalgico al ricordo di quel ragazzino sempre all'inseguimento dell'approvazione del padre che era dovuto crescere in fretta e caricarsi sulle spalle responsabilità troppo grandi per un animo sensibile qual era stato. Scosse la testa, rivolgendo poi l'attenzione al carico che stavano portando. Si grattò la fronte, mormorando che una volta arrivati a casa sarebbe toccato a lui dare parecchie spiegazione.
Erano passate le sette di sera quando l'auto lasciò la statale per immettersi sulla strada privata che attraversava l'immensa proprietà della famiglia Hayes. Rallentò, una volta imboccato il viale ghiaioso e si arrestò di fronte all'ingresso della villa.
Villa Hayes era una vecchia costruzione di tre piani in stile Liberty, risalente agli anni '30, appena fuori Winchester e si affacciava direttamente sulle sponde del lago Mystic.
Shion Hayes aprì gli occhi non appena sentì il crepitio della ghiaia sotto le ruote dell'auto. Il suo viso era tirato per il sonno scomodo e la giornata così stancante per lui. Si sentiva indolenzito. Col dorso della mano nascose uno sbadiglio; poi, scostò per un momento la coperta che celava il contenuto dello scatolone, assicurandosi che tutto fosse in ordine. In quel momento sentì dentro di sé una moltitudine di sensazioni che non riusciva a comprendere.
Aprì la portiera senza attendere che lo facesse l'autista per lui e scese. Non badò ai grossi fiocchi di neve che avevano preso a cadere da qualche minuto e che ora imbiancavano le sue spalle. La nebbia, che era stata tanto amica nella prima parte del viaggio, era diventata un lontano ricordo, sostituita dalle candide mani di un'altra amica, silenziosa e più rassicurante, che con la sua coltre copriva ogni traccia, ogni colpa e ogni dolore passato.
Si guardò attorno, stringendo il borsalino nella mano. L'aria era pungente. Rabbrividì. Poi, senza altro indugio, entrò in casa.
«Shura! Nanny!» tuonò, secco e impaziente, avvicinandosi allo scalone principale.
Si sentiva un leone in gabbia ogni volta che rientrava in quella casa, che viveva come il reliquiario del padre. Fece qualche passo nell'atrio, spolverando la neve dal cappotto con la mano.
«Shura! Nanny! Dove diavolo vi siete cacciati?» chiamò ancora, più irritato di prima, camminando impaziente. «Ma non c'è nessuno in questa casa?»
«Cosa succede, Shion? Perché urli in questo modo?» chiese un giovane moro, affacciandosi nell'ampio atrio già addobbato per Natale. Era alto e longilineo, poco più che ventenne, con uno spiccato accento spagnolo e dall'atteggiamento fin troppo confidente e disinvolto verso il padrone di casa.
Stretto fra le labbra penzolava il mezzo corpo di un omino di pan di zenzero, mentre altri due o tre erano malamente avvolti in un tovagliolino di carta rosso e oro, che teneva in mano.
Forse era ancora troppo presto per iniziare a preparare i dolci natalizi, del resto il Ringraziamento era passato da appena una settimana, ma Nanny amava avere tutto già bello e pronto, per non trovarsi in seguito impreparata. Quel giorno in particolare poi, più del solito la donna aveva sentito la necessità di tenersi occupata.
«Dai una mano a tuo padre», ordinò Shion Hayes, spolverandosi ancora una volta il cappotto dalla neve, nonostante non ce ne fosse ormai più traccia. «Portali da Nanny, che se ne occupi immediatamente! Ma che fine ha fatto quella donna?» borbottò, posando un piede sul primo gradino dello scalone e guardando su, verso il piano superiore.
Sospirò e tornò sui suoi passi. Posò il borsalino su una poltroncina dorata Luigi XVI, appoggiata alla parete e, alzando lo sguardo, i suoi occhi indugiarono sullo specchio antico. Ciò che esso gli rimandava non gli piacque affatto. Era la figura di un uomo d'affari con lo sguardo cinico e arido, nonostante la sua giovane età, senza veri legami e senza una famiglia, con il solo lavoro come ragione di vita.
«Quando hai fatto, vieni in biblioteca», si rivolse ancora a Shura, abbandonando la contemplazione del suo riflesso e slacciandosi il cappotto scuro. «E chiama il vecchio Doc! Fallo venire il prima possibile. E mi raccomando, metti in chiaro che non deve fare parola con nessuno di questa visita!» terminò, prima di chiudersi in biblioteca.

*****

Rimase per qualche secondo di fronte alla doppia porta di legno massiccio della biblioteca, con la mano appoggiata sulla pesante maniglia di ottone lucido, senza riuscire ad aprirla. Poi, entrò nella stanza come un uragano, dirigendosi verso il monumentale camino di marmo rosso. Riattizzò il fuoco che languiva e si sedette sulla poltrona.
Di nuovo si concesse il lusso di chiudere gli occhi, scivolando piano in una rilassatezza pericolosa, che lo stava avvolgendo nel torpore. La stanchezza di quella giornata gli pesava addosso. I suoi respiri si fecero lenti e profondi, finalmente calmi, ma non si addormentò. Avvertiva l'odore familiare e nostalgico dei libri riposti sugli scaffali di mogano pregiato delle librerie che occupavano per intero ogni parete della stanza. Gli sembrava di riconoscere il lieve odore della muffa che gli riportava alla mente il vecchio e antiquato padre. E c'era anche l'odore acre della legna che bruciava nel camino, che di tanto in tanto scoppietava, facendo zampillare scintille e piccoli pezzetti di brace oltre il parascintille. Trovava confortate il calore che si diffondeva nella stanza, anche se non era sufficiente a dissolvere il freddo che si era insinuato nelle sue ossa in quel pomeriggio nebbioso.
«Shion, ma si può sapere cos'hai combinato?» chiese Shura, entrando nella biblioteca dopo pochi minuti, sfregandosi le braccia per il freddo.
L'uomo non parve dar peso a quella domanda, borbottando invece fra sé, con lo sguardo ora fisso sulle fiamme nel camino. «Quel bastardo lo ha fatto ancora. Mi ha fregato un'altra volta.»
«Di chi stai parlando? Chi ti ha fregato?» gli chiese nuovamente il giovane, avvicinandosi al camino. Ancora una volta però, era stato ignorato dal padrone di casa, troppo concentrato sui suoi pensieri, ma che Shura immaginava dovessero riguardare il lavoro.
L'uomo infatti, Shion William Hayes, era l'unico erede della Hayes Corporation e, nonostante avesse solo ventotto anni, già da tempo era a capo del gruppo finanziario di famiglia che controllava ben dodici fra aziende, società ed enti di beneficienza.
Shion si alzò con molta lentezza dalla poltrona, si sfilò il cappotto e la giacca grigia e abbandonò entrambi sull'altra poltrona lì vicino. Si avvicinò al camino, vi gettò un ciocco di legno e rimase appoggiato con il braccio alla cornice di marmo rosso, illuminato da quelle fiamme rinvigorite.
Era innegabilmente un uomo attraente, uno scapolo molto ambito nell'alta società di Boston, anche in quella parte più tradizionalista e bigotta. “Dal fascino esotico”, dicevano di lui le donne che lo frequentavano, per via dei leggeri tratti orientali ereditati dalla madre. E forse era anche per quella sua caratteristica che si mostravano interessate. A vederlo, il suo corpo poteva sembrare esile; in realtà era atletico e ben proporzionato. Un altro pregio che gli veniva sempre riconosciuto era l'impeccabile eleganza; la stessa che sfoggiava anche quel giorno: camicia celeste con colletto e polsini bianchi, cravatta blu scuro perfettamente annodata e gilet dal taglio classico in gessato grigio.
La sua storia non era diversa da quella di tanti altri rampolli delle famiglie più blasonate del New England, non solo di Boston. Figlio di Abraham Harrison Hayes, era nato dal secondo matrimonio del ricco imprenditore, un uomo che si era costruito la sua fortuna tutto da solo, con una giovane orientale. Ad appena ventidue anni, costretto a rinunciare ai propri sogni – ritenuti troppo poco ambiziosi dal padre – subentrò suo malgrado al genitore nella gestione degli affari di famiglia quando il vecchio Hayes, ormai settantaduenne, aveva dovuto “forzatamente” lasciare il mondo degli affari per concedersi una duratura vacanza in un paese senza accordi di estradizione. In realtà, com'era facilmente intuibile, quel suo repentino ritiro fu solo una scaltra misura d'emergenza per sfuggire alle affabili cure della Giustizia e del Fisco statunitense.

«Shion, in che traffici ti sei immischiato?» provò a scuoterlo ancora una volta Shura, ricordando come alcuni mesi addietro si erano presentati alla porta di casa della residenza principale in città, alcuni poliziotti per interrogarli.
Il giovane era il figlio di Fernando Morales senior, l'autista di famiglia e, quando era ancora vivo Abraham Hayes, confidente e braccio destro del vecchio. Nessuno però lo chiamava con il suo nome di battesimo, persino i suoi genitori. Fin dall'adolescenza preferiva farsi chiamare con il suo nome di battaglia, datogli dai suoi compagni della gang, ovvero Shura, come i feroci e litigiosi demoni della tradizione buddista giapponese. Era sempre stato un grande appassionato di tutto quello che riguardava il Giappone, soprattutto il kendo, tanto da riuscire a partecipare alle finali di Stato dei campionati scolastici per tutti gli anni delle superiori. Ed ora, proprio com'era accaduto per i loro padri, Shura era diventato, oltre che amico fraterno, anche confidente e uomo di fiducia di Shion.
«Shion, ti senti bene?» gli domandò Shura, ora un poco preoccupato dal silenzio dell'altro.
«Come?» si riscosse all'improvviso l'uomo, ma ancora con un'espressione imbambolata sul volto. «Niente, niente», scrollò lentamente la testa, per rassicurarlo. Si passò una mano sugli occhi e fece una sorta di sospiro silenzioso, ricomponendosi. «Hai fatto come ti ho chiesto?» si informò distrattamente, avvicinandosi al mobile bar.
«Il dottore è di sopra già da mezzogiorno. Georgie...» risposte Shura, esprimendo con un'eloquente smorfia ciò che aveva volutamente lasciato sottinteso. «Quella ragazzina è una gran scocciatura. Si è lamentata per tutto il giorno che non ne poteva più, ma con quel dannato campanello ci ha dato dentro! Eccome se ci ha dato dentro! Pare che il momento sia ormai imminente», sbuffò.
Rimase ancora qualche secondo vicino al camino, sfregandosi per bene le braccia e poi si avvicinò anche lui al mobile bar. Quei pochi minuti che era stato fuori lo avevano raggelato neanche avesse fatto il bagno nel lago.
«A proposito, bello il regalo che ci hai portato a casa dal tuo viaggetto fuori programma. Anche se a Natale manca ancora un mese», scherzò, nonostante il momento non fosse dei più adatti. Poi, si fece un poco più serio. «Siamo rimasti tutti allibiti nel vedere cosa c'era nel “pacco”. Nanny non sembrava affatto contenta. Anzi, era a dir poco furibonda. Già non sta prendendo bene quello che la figlia le sta scodellando sul letto. Quando scenderà, preparati al finimondo.»
Per un momento, Shura si voltò verso la porta della biblioteca, pensando di aver udito delle voci – le urla della giovane – provenire da una delle camere degli ospiti.  Si aspettava di sentire anche il vagito del neonato, ma c'era solo il crepitio delle fiamme nel camino. Sbuffò di nuovo, grattandosi la testa.
«Prima che me ne dimentichi e me lo porti in giro tutta la notte, c'era questo nascosto nella coperta, sul fondo dello scatolone.»
Dalla tasca posteriore dei jeans prese una cartelletta di cuoio, lunga e stretta, tenuta legata con un cordoncino nero, e la porse a Shion senza fare domande.

*****

«È nato! È nato!»
Le urla giubilanti di Nanny riecheggiarono per tutta la casa, in quel momento avvolta da una strana quiete d'attesa, amplificata dalla grande nevicata che in quelle ore stava imbiancando tutta la zona del lago. Poi, arrivarono i potenti vagiti di un bimbo, sano e forte, che si fece sentire a pieni polmoni, sovrastando gli ansimi della giovane madre, che invece si sciolse in un pianto di gioia e di sollievo, per aver portato a termine il proprio compito e perché tutto era andato per il meglio.
Scapicollandosi giù per le scale, ancora euforica, la donna fece irruzione nella biblioteca, spalancando i due battenti e sostando lì, per qualche secondo, con il fiatone e il viso sconvolto dalla felicità.
«Il mio nipotino è nato! Sano, robusto e bello come il sole!» annunciò, con tutto l'orgoglio di donna, madre e ora anche nonna.
Era raggiante. Entrò e, a passo di carica, si diresse verso Shion, che in quel momento la fissava impietrito con un bicchiere di scotch in mano già vicino alla bocca. Gli prese il viso fra le mani e gli schioccò un bacio sulle labbra, lasciandolo ancora più di stucco. Poi, gli prese il bicchiere e bevve tutto d'un fiato, posandolo infine con veemenza sul piano del mobile bar, chiudendo gli occhi e barcollando un poco, aggrappandosi a lui.
La donna era mrs Angelina Foster. Al secolo Angelina Potter, prima di sposare, a ventidue anni, un cameriere suo coetaneo: Franklin Foster. Oggi, Nanny si presentava come una robusta e vigorosa signora di quarantacinque anni, forte nel corpo e nello spirito. Caratteristiche che l'avevano distinta anche in gioventù, tanto da cacciare il marito dal talamo nuziale – e da casa – dopo quattro anni di turbolenta vita coniugale fatta di tradimenti e occasioni sprecate. Ma nonostante tutto, era stata troppo buona d'animo da perdonarlo e riprenderlo ogni volta, nei successivi quattro anni, provando a recuperare il matrimonio. Da una di quelle che lei aveva definito come “scappatelle”, proprio per la natura occasionale delle loro riconciliazioni, era poi arrivata Georgina, che all'inizio era sembrata il giusto collante per tenere insieme il matrimonio. Non era stato destino e lei si era ritrovata divorziata, con il giovane adolescente Shion da accudire e una figlia a carico.
A dispetto dei dispiaceri familiari che l'avevano segnata, Nanny aveva ancora un aspetto decisamente giovanile e dinamico; era discretamente attraente nonostante iniziasse a intravedersi sul suo viso qualche timido segno del duro lavoro che da quasi trent'anni svolgeva in quella casa: dapprima come semplice cameriera – appena arrivata da un paesino del sud dell'Inghilterra – passando con gli anni al ruolo di tata di Shion, e successivamente di Fernando jr. Il suo ruolo nella famiglia Hayes si era fatto poi sempre più fondamentale quando, con l'avanzare dell'età di Concita Morales, la madre di Shura, ne aveva preso il posto come governante della casa.

Sciaff!
Un improvviso ceffone si stampò con forza sulla guancia pallida del giovane padrone di casa, facendole prendere subito colore. Dopo l'euforia adrenalinica dimostrata poco prima, l'espressione della donna mutò in una più severa, da sergente di ferro.
«E questo per cosa sarebbe?» domandò un esterrefatto Shion, massaggiandosi la guancia dolorante con la mano, mentre un poco compassionevole sogghigno gli faceva eco alle sue spalle.
«Incosciente!» esclamò la donna, per tutta risposta. E il tono usato in quel momento non ammetteva repliche. Anche se un attimo prima lo aveva abbracciato e baciato, non si era certo lasciata sfuggire l'odore dell'alcool che aveva sentito venire da lui. «Bere così alla tua giovane età! Vuoi forse diventare in tutto e per tutto come tuo padre? E poi, adesso che ci sono dei bambini in casa hai delle responsabilità!» lo rimproverò aspramente.
«Ma se ho quasi trent'anni! Non sono certo un bambino e un bicchiere ogni tanto non mi farà certo diventare un ubriacone», obiettò Shion con voce contrita, continuando a massaggiarsi la guancia. Non era il tipo da farsi mettere i piedi in testa da nessuno, ma di fronte a Nanny, l'unico riferimento materno che avesse mai avuto nella sua vita, si sentiva ridimensionato e insicuro.
La donna però non stava già più ascoltando, intenta a passare ai fatti anche con il mascalzone che si nascondeva alle sue spalle.
Sciaff!
Un altro poderoso ceffone scosse l'atmosfera quasi sacrale della biblioteca e fece sparire all'istante il sorrisetto beffardo sul volto imberbe del giovane. Ma questa volta, lo schiocco risuonò addirittura più pungente del precedente.
«E questo è per te, Fernando Morales jr!» esclamò. E quando usava il suo nome completo voleva dire che era davvero arrabbiata.
«E io cosa c'entro?» domandò Shura, massaggiandosi anch'esso la guancia offesa. Era stato il suo turno di assumere un'espressione instupidita.
«Visto che quel tuo amico, responsabile della situazione su, al piano di sopra, se n'è scappato in Europa con la coda fra le gambe per evitare le conseguenze e le responsabilità, sarai tu a farne le veci!» lo apostrofò con veemenza la donna. Al solo ripensare a quel disgraziato che aveva messo incinta sua figlia ancora minorenne, le ribolliva il sangue. Se avesse potuto lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani. Era stato un bene per lui scappare il più lontano possibile dalle sue grinfie.
«Non è scappato in Europa. Si è arruolato nei Marines, quell'idiota», precisò Shura, lanciando mentalmente una lunga sequela di maledizioni all'indirizzo dell'ex compagno di corsi, reo di quel pasticcio e di aver scansato la punizione di Nanny.
Dopo un respiro profondo, per recuperare un po' di calma, la governante di casa Hayes si girò di nuovo verso Shion, trovandolo di nuovo con il bicchiere in mano, intento a portarselo alla bocca. Questa volta glielo tolse con un gesto più calmo, ricompensandolo con una carezza affettuosa e uno sguardo che si stava velando di lacrime.
«Mio dolcissimo tesoro», gli disse, con la voce rotta dalla commozione. Si prese ancora qualche secondo e lo abbracciò; ma lo fece con tale trasporto che si sentirono distintamente le vertebre del giovane scricchiolare. «Finalmente la casa è piena di pargoli. Quei due piccoli... sono così belli e delicati, due angioletti biondi. Ormai non ci speravo più, perché se aspettavo che tu ti decidessi a fare sul serio con almeno una di quelle donne che frequenti... ma il Signore ha esaudito le mie preghiere», terminò in un sospiro. Gli fece un'altra carezza e lo guardò con orgoglio materno.

L'espressione sul volto dei due giovani era a dir poco interdetta, soprattutto per i repentini cambi di atteggiamento della donna. Non era mai successa una cosa del genere. Entrambi si chiesero tacitamente cosa avesse fatto accettare tanto facilmente la situazione a Nanny, invece di trasformarla in una bomba pronta a esplodere. Forse era dovuta alla tensione di quella giornata, strana per tutti; forse era stata la gioia nel vedere nascere il nipotino, che le aveva aperto il cuore e fatto accettare quelle due nuove presenze in casa. E pensare che per tutti i nove mesi della gravidanza della figlia era stata un continuo borbottare su come sarebbe stato duro e impegnativo per lei, con tutto quello che aveva da fare, crescere un bambino. Perché una cosa era certa, e lo andava ripetendo ormai da settimane, intanto che il parto si avvicinava: non avrebbe lasciato quella piccola creatura innocente nelle mani di quell'irresponsabile della figlia se prima non le avesse dimostrato di essere in grado di badare a se stessa, cominciando con il prendere il diploma delle superiori e poi trovandosi un lavoro.
Ora invece... tutto sembrava cambiato. Aveva accolto con entisiasmo quella nuova vita e anzi, ne aveva accolte ben tre.
«E ora dimmi, Shion Hayes», riprese Nanny, puntando il dito accusatore contro il petto del giovane padrone di casa. «È questo il modo di trattare quei due bimbi? Come dei pacchi postali? Chi è quella madre snaturata che si disfa così delle sue creature? Forse quella Janette, che fa solo finta di essere una filantropa? Non mi è mai piaciuta... Oppure è quella Sarah, erede dei grandi magazzini Mainor? No, decisamente no! È troppo concentrata sulle sfilate di moda, le feste e a mantenere la sua “perfetta” linea scheletrica, per pensare di fare figli. Allora deve essere...»
Nel riversare quel fiume di parole, gli occhi Nanny non smisero di esprimere il suo disappunto e il suo dispiacere per quello che avevano passato quei due bimbi.
«Non è nessuna di cui tu ti debba preoccupare, Nanny. I miei figli sono solo miei», la interruppe Shion, dandole un bacio sulla guancia.

*****

«Ma questo bambino è enorme!» esclamò Shion, strabuzzando gli occhi, quando la giovane madre glielo mostrò, avvolto con cura nella copertina calda e soffice di lana bianca che Nanny aveva confezionato a maglia apposta per lui.
Era rimasto sorpreso dalle dimensioni del neonato, soprattutto se messo a confronto con i due gemelli che in quel momento erano stati sistemati sul letto, accanto a Georgina.
Ora erano svegli, con i loro grandi occhi verdi ben aperti, ma sembravano un po' spaesati. Indossavano due pigiamini azzurri, uguali, mentre le tutine imbottite e i cappellini di lana – con i quali erano stati vestiti quel giorno – erano stati ripiegati con cura e messi sul comodino libero, dall'altra parte del letto.
La giovane mamma, comprensibilmente stravolta, in quel momento sembrava tutto fuorché felice di quell'invasione di uomini nella sua camera e soprattutto del commento del padrone di casa sul suo bambino.
«Si chiama Aiolos, signore. E non è affatto enorme!» rispose piccata.
Georgie, come veniva chiama in famiglia, era una scapestrata adolescente di quindici anni compiuti da poco, ma dentro un corpo di donna già ben sviluppato e che attirava non poco le attenzioni degli uomini. Era il ritratto della madre Angelina, ma di carattere era fin troppo simile a suo padre, ovvero un'inguaribile romantica che crede che la vita sia un eterno gioco, e dal quale aveva ereditato anche l'indole da artista. Infatti, alla vita agiata e più conformista che le offriva la madre – e la generosità degli Hayes – aveva preferito quella precaria e bohémien del padre, fatta di arte, divertimento e spensieratezza.
«No, no, mr Hayes», intervenne una voce maschile, roca e dal tono professionale, nella quale però si avvertiva tutta la fatica e la stanchezza dell'anziano medico per quella giornata. «La nostra Georgina è stata molto brava e ha dato alla luce un bambino perfettamente normale. Più o meno sarà sui tre chili e mezzo, forse poco più», rassicurò i presenti, mentre terminava di risistemare le ultime cose nella sua vecchia borsa di pelle. «Sono gli altri due bimbi, i gemelli che avete portato, che sono troppo piccoli per il tempo che hanno. E... credo che siamo attorno ai cinque o sei mesi, dico bene?» disse, guardando in tralice il padrone di casa. Fece un respiro profondo, srotolando le maniche della camicia e risistemandosi a dovere i polsini, prima di proseguire. «A una visita preliminare sono disidratati e molto sottopeso, ma potrò fare una diagnosi più precisa quando li visiterò in ospedale», terminò, prendendo la giacca dalla sedia lì vicino.

Facendo piano, per non spaventarli, Nanny si avvicinò ai gemelli e ne prese uno in braccio. Dopo averlo cullato per qualche momento, intanto che si avvicinava a Shion, senza dire nulla glielo mise davanti, limitandosi a sorridere indulgente. L'uomo fu preso totalmente alla sprovvista e il forte imbarazzo dipinto sul suo volto ne era la prova evidente. Con movimenti goffi, Shion lo prese sotto le ascelle, tenendolo scostato da sé e guardandolo come un animale strano. Era chiaro a tutti che non aveva mai avuto a che fare con i neonati, ma nessuno dei presenti accennò una parola in proposito.
Con pazienza materna, Nanny lo corresse, mostrandogli il modo migliore per tenere in braccio il pargolo. Poi, diede una carezza a entrambi. La stessa cosa fece col fratellino che mise in mano a Shura, imbarazzato almeno quanto Shion, soprattutto quando il bimbo – un poco più reattivo del suo gemello – gli afferrò il naso, gorgogliando felice.
«Due bimbi innocenti, mezzi assiderati, narcotizzati; lasciati per strada con il clima di questi giorni...» borbottò con rabbia il dottore, nell'osservare quella scena tanto tenera attraverso lo specchio del comò, mentre faceva scattare la chiusura della sua borsa. Fece un respiro profondo, scrollando la testa.
«Bene, adesso però tutti via da qui. Sciò! Sciò! Georgie e i piccoli hanno bisogno di calma e di tanto riposo!» ordinò Nanny, riprendendo in mano la situazione e scacciando gli uomini dalla stanza.
Poi, sistemò meglio i gemelli sul lettone. Con cura e attenzione li coprì – quasi li infagottò – con una coperta calda, lasciandoli accanto alla giovane mamma che già era intenta ad allattare il piccolo Aiolos che poppava felice. Quindi rivolse tutta la sua attenzione a sua figlia e al suo nipotino. Si sedette sul bordo del letto e per qualche momento li osservò con affetto, prima di tornare a darsi da fare e risolvere il problema che era venuto a crearsi: non erano preparati per ospitare tre neonati in quella casa.

*****

Gli uomini si ritirarono in biblioteca, dove il vecchio Doc fu fatto accomodare sulla poltrona vicino al camino e Shion Hayes gli offrì del buon whisky, preso dalla riserva speciale di suo padre. Occupando l'altra poltrona, il padrone di casa offrì all'uomo anche un prezioso cubano: per festeggiare la nascita di Aiolos.
«Come stanno veramente, dottore?» domandò in tono serio Shion, mentre Shura alimentava il fuoco con un altro ciocco di legno.
«Tutto sommato stanno bene», confermò il dottore, sbuffando fuori dalla bocca una nuvoletta di fumo azzurrognola. Poi, ci fu qualche momento di silenzio, nel quale assaporò anche un sorso di whisky. «Come ho detto anche di sopra, sono disidratati, denutriti e presentano una strana letargia, dovuta sicuramente alla somministrazione di qualche leggero sonnifero. Forse per farli stare tranquilli. Dove li avete trovati, mr Hayes?» domandò, portandosi di nuovo il sigaro alla bocca.
«Questo non la riguarda, dottore.»
L'anziano Doc ribatté con uno sbuffo di protesta, ma non insistette troppo. D'altronde, era abituato ad avere a che fare con vicende che si potevano definire “nebulose”: sapeva quando fare domande e quando no.
«Come preferisce», sospirò.
Da quasi quarant'anni, Arthur Mitchell era il medico di casa Hayes. Stimato primario di chirurgia al Boston Medical Center, negli ultimi anni aveva diradato i suoi interventi in sala operatoria per dedicarsi all'ambulatorio gratuito che aveva aperto in uno dei quartieri più disagiati della città.
«Dottore, hanno subito... abusi?» chiese con un certo disagio Shura, sentendosi subito immensamente stupido per aver posto una domanda del genere.
«Giovanotto, se per abusi intendi affamarli, drogarli e lasciarli morire assiderati... allora sì!» lo rimbrottò il dottore, tossicchiando poi per qualche secondo. «Ma riflettendoci, erano ben vestiti, puliti, e non avevano alcun segno di maltrattamenti fisici. Erano sicuramente amati», sospirò in ultimo, svuotando il bicchiere.
Ancora una volta, nella biblioteca si fece tutto silenzio, lasciando spazio al crepitio del fuoco nel camino.
«Bisognerà comunque portarli in ospedale per fare le analisi e degli esami più approfonditi», riprese il vecchio.
«No! Niente ospedali», dissentì Shion, con un tono di voce intriso di un nervosismo stonato.
«Ma, mr Hayes, è necessario! Non si può fare altrimenti, i bambini devono essere visitati», obiettò il dottore.
Con un sorriso conciliante, da bravo affarista qual era, Shion Hayes offrì al dottore un altro bicchiere di quell'ottimo whisky, quindi lasciò la bottiglia sul tavolino lì vicino, a portata di mano, affinché il suo graditissimo ospite se ne servisse ancora, se ne avesse avuto voglia. Si accomodò meglio sulla poltrona e rilassò le braccia sui braccioli, tamburellando distrattamente le dita sul tessuto di broccato verde. Il suo respiro si fece più calmo, mentre fissava il fuoco nel camino.
«Va bene, Doc. Ha vinto lei. Ma li porteremo al suo ambulatorio», acconsentì il padrone di casa. «Ho però bisogno di un favore da lei. Dovrà provvedere a preparare due certificati di nascita per quei bambini: sono nati oggi, mercoledì 30 novembre. Siamo intesi?»
Non spostò lo sguardo di un millimetro, sempre concentrato su quelle fiamme scoppiettanti, nonostante sentisse su di sé due paia di occhi carichi di stupore e perplessità che lo stavano fissano con insistenza.
«Naturalmente sarà ben ricompensato per il suo lavoro», aggiunse Shion Hayes, anticipando con un gesto della mano l'obiezione che sicuramente l'integerrimo Dr. Mitchell avrebbe sollevato.
Tutti sapevano che la reputazione di Arthur Mitchell era solida e cristallina. Non si parlava quindi di bustarelle, ciò che Shion Hayes intendeva era una ricompensa di ben altra natura, forse meno discreta, ma più legale.
«Se le può rendere più facile prendere la decisione giusta, posso farle avere un defibrillatore per l'ambulatorio e una fornitura di attrezzature e medicinali generici per almeno un paio di mesi. E il prossimo anno, tramite una delle mie imprese edili, si potrebbe intervenire dove lei riterrà necessario.»
Il vecchio Doc tossicchiò per qualche secondo; poi si bagnò la gola con il whisky e ci riflettè seriamente.
«Beh, se la mette su questo piano...» Il dottore si prese un altro minuto per pensarci, portandosi il sigaro alla bocca. «Dovrò riscuotere parecchi favori, ma non è impossibile arrangiare la cosa», cedette alla fine.
Con non poco sforzo, a causa degli acciacchi dell'età, si alzò dalla poltrona e si chinò a prendere la sua borsa di pelle che per tutto il tempo aveva tenuto ai suoi piedi. Si soffermò per un momento con lo sguardo sul ritratto del suo vecchio amico, Abraham Hayes, appeso alla parete. Gli rivolse un vago pensiero, considerando che ora sarebbe stato fiero e orgoglioso del figlio, della persona importante che era diventato e di come sapesse condurre in modo vantaggioso gli affari, anche quelli privati. Poi, zoppicando un poco, accennò ad avvicinarsi alla porta della biblioteca.
«Non si affanni a riprendere la via di casa, dottore. Le strade per Boston sono impraticabili per la neve che è caduta in queste ore e anche tornare adesso alla sua casa di Winchester è quasi impossibile. Per questa notte lei sarà mio graditissimo ospite. E domani mattina la farò accompagnare da Shura.»
Shion Hayes non si mosse dalla poltrona, né spostò lo sguardo. Avvicinò il bicchiere di whisky – che ancora non aveva assaggiato in quell'occasione – e bevve un piccolo sorso, assaporandolo con grande piacere.



Note del capitolo:
- Nel 1983 il Thanksgiving Day, ovvero il giorno del Ringraziamento, (che solitamente si festeggia il quarto giovedì di Novembre) cadeva il 24 di Novembre.
Dalle ricerche che ho fatto, pare che non ci siano vere e proprie tradizioni tipiche americane, per quel che riguarda la preparazione al Natale, come da noi che invece in quasi la totalità della penisola iniziamo a preparare gli addobbi l’8 Dicembre. Almeno, dalle mie parti è così! E da voi?
Le tradizioni americane sono quindi “affidate” alle singole famiglie (o gruppi etnici, o città, ecc...), ovvero ognuna ha le proprie, considerando che l’America è multi etnica.
Dunque, facendo riferimento ai tanti film di genere, ho notato che si tende ad iniziare ad addobbare le case e le strade già per il Ringraziamento. Quindi ho preferito anch’io appoggiarmi a questa “tradizione” cinematografica.
- L’omino di pan di zenzero è un classico dolce natalizio della tradizione anglosassone, a forma appunto di omino, decorato con glassa bianca e marrone per simulare i tratti del viso e altri dettagli, ma arricchito anche con palline di zucchero colorate, bottoncini di cioccolato confettati (tipo gli smarties) e chi più ne ha, più ne metta!


   
 
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