Io.
Una stanza vuota.
Umida e fredda.
E grigia.
Dove sono?
Mi giro attorno.
O forse è la stanza che gira attorno a me.
Sai, come quando sei ubriaco e tutto intorno a te si muove al rallentatore.
Arranchi cercando l’appiglio giusto ma non lo trovi.
E cadi.
Cosa faccio?Mi rialzo?
Ma sì dai. Piano.
Ora sono in piedi.
Sento che sto riacquistando un po’ di lucidità.
Vedo un fascio di luce intorno a me.
E un ombra. Dietro.
Mi giro di scatto.
Cosa c’è, ti chiedi?
Uno specchio.
E mi viene da ridere.
Oh sì, una di quelle risate di gola ed un po’ amare.
Quelle ti capita di sentire nei manicomi, quando sei circondato dai matti.
Perchè, ti chiedi?
Perchè, ti dico, sono io che mi chiedo...
Chi sono?
Non lo so.
Ma come, non lo sai?
No.
Barcollo.
Annaspo, solo per un attimo.
Sogno?
Sono sveglio?
Sono vivo?
Magari sono morto.
Aspetta. Com’è possibile?
Cosa?
Come posso pensare cose che non so, cose che non sono mai state nella mia testa?
Cos’è la vita? Cos’è la morte?
Come ho fatto a pensare tutte le cose che ho pensato prima?
Io non le conosco, non le ho mai provate, ne sono sicuro.
E allora?
Non è possibile.
Ma cos’è il possibile? E l’impossibile?
Oh, sì. La storia.
Che storia?
La storia dell’impossibile, ovvio.
Non so come, ma la so. La so, ti dico.
Inizia così. Ascoltala. Ascoltami.
Un giorno, di sera
mentre il sole splendeva a larghe falde
e la luna con i suoi raggi illuminava la terra,
m’incamminai per una strada
lunga, larga, corta e stretta.
Improvvisamente mi giro verso lo specchio.
Mi guardo.
Guardo all’interno dei miei occhi, in profondità.
E vedo l’universo infinito.
Lo vedo tutto.
E capisco.
Io non esisto.
(Ancora)