Disegni senza colore

Blu, bianco, nero.
Sul cartoncino grigio, Naminé traccia i colori della tempesta che vede fuori dalla finestra della stanza, la stessa che agita il mare finché diventi tutt’uno col cielo.
Afferra il temperino e fa una punta sottilissima al bianco, tracciando qualche linea di luce nelle nuvole plumbee e pesanti.
Le sembra di poterle toccare, di sentire l’acqua piovana che le scorre sulle dita fredde e bianche, di sentire l’odore acceso della salsedine che le solletica le narici del naso piccino. Guarda ancora fuori dalla finestra, ma il grigio cielo di una città caotica è tutto quello che vede.

Probabilmente Naminé non sa nemmeno come è fatto davvero il mondo, né avrà mai l’opportunità di farlo: i suoi occhi e la sua pelle non sopportano la luce forte del sole, né tantomeno quella artificiale, ed è costretta a sottoporsi a cure continuamente.
Immagina un mondo che sia oltre quella città grigia e scura, dove non ci sia il caos dei clacson né quello delle sirene d’allarme.
Le piace pensare di vivere in una piccola stanza bianca vicino ad un mare tempestoso, oppure su una collina dove il fiume straripa per la troppa pioggia.
Il sole, probabilmente, non ha nemmeno idea di che colore sia.

Rosso, grigio, nero.
Sul foglio bianco prende forma la sagoma di un cimitero abbandonato, dove l’unico sprazzo di colore è il sangue che macchia quella terra arida e malmessa.
Le piace molto, il colore del sangue.
In quel letto che non riesce mai a riscaldarla come farebbe quello di una vera casa, aspetta con ansia il momento in cui l’ago le buchi la pelle, per portare via quel liquido scarlatto: sembra che brilli, e probabilmente è l’unica cosa che potrà mai vedere brillare.
Sospira silenziosamente, abbandonando i colori al proprio grembo, rilassandosi con la schiena contro il grande cuscino. Fissa ancora fuori dalla finestra: c’è troppo smog, probabilmente nemmeno quel giorno riuscirà a vedere vividamente i colori del tramonto.

Che colore è il verde, Naminé?
Quello del muschio del sottobosco ombroso e umido, che si appiccica ai piedi nudi e lividi.

Che colore è il celeste, Naminé?
Quello di un’anima che sospira, una volta liberatasi dal corpo.

Che colore è il giallo, Naminé?
Quello smorto del grano ormai secco.

Gira lentamente la testa, in un modo tanto delicato da farla apparire una sottile bambola di porcellana, e fissa le dita sporche delle proprie mani, macchiate della tempera di tutti i colori che ha adoperato quel giorno: sembrano sporche del petrolio più denso e, chiudendo gli occhi, non riesce a non immaginare un gabbiano che si dibatte disperatamente cercando di liberare le ali da quella melma che lo tiene imprigionato.

Di che colore è la felicità, Naminé?
Non l’ha mai vista.

Uhm... depressione portami via?
No, non sono depressa, ma trovo che questa flashfic lo sia terribilmente <3
E mi piace, sinceramente.
In realtà questa sarebbe dovuta essere una Kairi/Naminé, ma non volevo rovinare l'atmosfera grigia con l'intervento di qualcun altro, chiunque fosse: è Naminé la protagonista di queste righe, e solo lei doveva occuparle.
Spero sia piaciuta, e che in realtà non faccia schifo D:
Ah, la malattia che è accennata in questa fic è la fotofobia :3
Alla prossima, gentagliaHH!!
Fatemi sapere :D

See ya!