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Autore: DontMindMe    04/01/2012    0 recensioni
Il dottor John Watson è annoiato dalla sua nuova vita dopo la guerra...
(prompt: Without Him, there can be no me)
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Noia.
Era tutto quello che riusciva a sentire in quell’interminabile sequenza di giorni il dottor John Watson, noia che fu accresciuta quella mattina dalla lettura dell’ultima pagina di un libro. 
Pensò che avrebbe dovuto scriverne uno egli stesso, che avrebbe potuto inventarsi una vita più emozionante della sua. Non sarebbe occorso molto, del resto: una vita normale sarebbe bastata.
Guardava dalla finestra alcuni piccioni passare in volo contro il grigio, ma non del cielo, piuttosto della facciata spoglia e opprimente dell’edificio di fronte, e si sentì schiacciare le spalle e la testa da un peso fastidioso. Per lottare contro la depressione incalzante, che lo faceva sentire sedato, o completamente immerso in acqua, si convinse a chiudere il suo deserto studio medico e ad uscire. 
La sua modesta pensione da militare non l’aveva favorito granché, naturalmente, e la posizione in cui era stato costretto ad aprire il suo studio non era delle migliori in città. Nel circondario vi erano almeno altri due ambulatori ben avviati a sottrargli i pazienti, e sebbene avesse cercato in qualsiasi modo di stringere buone alleanze con i colleghi, gli ammalati non erano evidentemente abbastanza per tutti. 
La sensazione di fluttuare l’aveva accompagnato sulla carrozza a nolo e poi nelle strade della City, dove vagava alla ricerca di qualcosa di indefinito che di conseguenza non avrebbe trovato, e anche in mezzo alla folla frenetica era sempre e ancora noia quella che sentiva, e aveva dovuto forzarsi non poco per impedirsi di trovare un bar e di scolare una bottiglia intera per scacciare quel fastidio.
Come trasportato dalle correnti, si ritrovò poi fermo in una massa di persone accalcata all’esterno di un’abitazione dal bel giardino, ma l’annebbiamento dei sensi che si era portato a spasso gli impedì di domandare ai presenti cosa stesse succedendo e si limitò ad osservare la scena che gli si parava di fronte. C’erano almeno cinque poliziotti in divisa a sorvegliare il luogo, mentre un omino basso con la faccia da furetto vegliava il cadavere di una donna dal cranio fracassato. 
Watson era abbastanza vicino da vedere con chiarezza la ferita, che sembrava ritagliata fra i capelli dolcemente bronzati della bella vittima con il manico di un bastone da passeggio.
Nonostante la singolarità dell’evento, nulla di quella scena interessò Watson quanto la figura che aveva infine calamitato il suo sguardo, come se più nulla intorno a loro esistesse: l’uomo in questione era sdraiato in terra e stava esaminando il selciato con una lente d’ingrandimento – alla ricerca di impronte, presumibilmente – e quando fu abbastanza soddisfatto si rimise in piedi. 
Sembrava continuare a crescere all’infinito. Non era solo alto e molto magro, ma possedeva qualcosa come una grandezza intellettuale che lo alienava dal contesto al punto da farne una realtà a parte, tutta sua. 
Il dottore pensò che dovesse essere l’ispettore capo, nonostante la sua giovane età, poi si ritrovò ad analizzare il suo aspetto in ogni dettaglio, con una attenzione che a ripensarci definì quasi morbosa; gli occhi grigi, svegli e sporgenti, il naso aquilino, il volto sottile e affilato, l’abbigliamento sobrio ma non particolarmente studiato, i suoi movimenti, misurati e poi d’un tratto scattanti come quelli di un felino. Per interrompere le sue fantasticherie, decise che avrebbe scoperto qualcosa di quell’assassinio e di quell’ispettore il giorno dopo, sulle pagine di un quotidiano, e se ne andò via in fretta. 
Sebbene fosse ormai ben lontano da quella scena e dal centro di Londra, i pensieri, suo malgrado, tornarono a quel curioso individuo. Il fascino che aveva esercitato su di lui lo spaventò quasi, ma per consolarsi pensò che probabilmente la sua era solo invidia: una vita del genere, senza dubbio, doveva riservare molte sorprese e probabilmente quell’uomo non si trovava mai a patire la noia come lui. Comunque la sua paga, di sicuro superiore alla pensione da militare e agli introiti dello studio medico messi insieme, gli avrebbe permesso di fuggirla in modi che il dottore non poteva permettersi.
Ecco, forse una vita del genere avrebbe voluto avere John Watson, una vita colma di quelle emozioni che dopo la guerra non aveva più provato. Azione, mistero, pericolo, già, gli sarebbe piaciuto, si ripeteva nella mente ripulendo la sua pistola, un rituale che compiva ogni giorno. Poi la sua ferita di guerra con una fitta gli ricordò i tempi andati e anche senza scrutare il cielo seppe già che l’indomani sarebbe piovuto di nuovo.
Solo nella modesta stanza attaccata al suo ufficio, sedette sul letto. Prese dal comodino un taccuino, comprato per raccogliere in veloci note le emozioni della sua vita dopo il fronte e perciò ancora in bianco, e scrisse al centro della prima pagina: “Le avventure dell’ispettore…” ma non seppe decidersi su un nome. Lasciò quindi perdere e passò alla seconda pagina, dove buttò giù una descrizione romanzata dell’individuo di quella mattina, e pensò che da quel momento sarebbe diventato il personaggio principale del suo primo racconto e forse anche il suo migliore amico immaginario. 
Probabilmente la noia iniziava a diradarsi, con in mente un nuovo scopo. Dall’indomani mattina Watson avrebbe iniziato i suoi studi, le sue indagini, per così dire, per dare forma al suo personaggio, per renderlo vivo, più vivo di se stesso. E chissà che forse un giorno quel prodotto della sua fantasia di uomo frustrato non l’avrebbe anche reso noto a qualcuno.
  
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