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Autore: Aoimoku_kitsune    06/01/2012    4 recensioni
Naruto si è appena trasferito a Konoha, la città più piovosa del Giappone. E' il primo giorno di scuola e, quando incontra Sasuke Uchiha, la sua vita prende una piega inaspettata. Sasuke è algido e impenetrabile, talmente bello da sembrare irreale. Tra i due nasce un'amicizia dapprima sospettosa, poi più intima, che presto si trasforma in un'attrazione travolgente.
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Note dell'autore:
Questa è proprio una vera scemenza. L'idea mi vorticava già da un pò in testa e l'altro giorno ho voluta scriverla. Praticamente la storia è basata sulla trama originale di Twilight, il romanzo in un mix tra la graphic novel e il film ispirato alla storia. Ovviamente i personaggi non sono la dolce Bella e il tenebroso ma affascinante Edward, bensì gli erori di Naruto. Vi dirò, all'inizio è stato difficile collocare i vari personaggi di Kishimoto nel mondo diella Meyer. Sono stata giorni e giorni a pensare " dove mettere quello", "interpreta bene il personaggio?" e via dicendo. Alla fine con l'aiuto del mio migliore amico ho trovato il giusto equilibrio, pensando anche se porterò avanti la storia scrivendo i sequel della seirie di Twilight. Bè! Che altro dire, se vi piace Naruto e siete amanti del mondo vampiresco creato da Stephenie Meyer, ecco a voi la storia che ne è venuta fuori! Cercherò in tutti i modi di pubblicare un capitolo ogni due settimane; vi starete chiedendo perchè così tanto; basti guardare il primo capitolo! Seguirò i capitoli del libro, ma non saranno tutti, alcuni li taglierò fuori unendoli ad alti, e così via.
Scrivo qui anche un veloce avviso per che segue "Attraverso la tua voce": l'ho cancellata. Non mi piaceva come era venuta, assolutamente no! Non sono neanche stata a postare gli altri 6 capitoli perchè non aveva senso. Quando l'avrò aggiustata a modo l'ha riposterò. Per "Luna di sangue", ragaaaa!! Mi sono boccata ma non voglio renderla incompleta, questa no! Ho scritto il finale e alcuni capitoli, ma non riesco a inocllarli insieme, non so se mi sono spiegata a modo! He he he! Adesso basta, che non voglio annoiarvi prima della storia.
Come detto prima la storia è ispirata a Twilight quindi ci saranno frasi della Meyer.
Buona lettura.
Eddy.




PROLOGO



Non avevo mai pensato seriamente alla mia morte, nonostante nei mesi precedenti ne avessi avuta più di un’occasione, ma di sicuro non l‘averi immaginata così.
Con il fiato sospeso, fissavo gli occhi scuri del cacciatore, dall’altra parte della stanza stretta e lunga, e lui ricambiava con uno sguardo garbato.
Era senza’altro una bella maniera di morire,sacrificandomi per un’altra persona, qualcuno che amavo. Una maniera nobile, anche. Conterà pur qualcosa.
Sapevo che se non fossi mai andato a Konoha non mi sarei trovato di fronte alla morte. Per quanto fossi terrorizzato, però, non riuscivo a pentirmi di quella scelta. Se la vita ti offre un sogno che supera qualsiasi aspettativa, non è giusto lamentarsi perché alla fine si conclude.
Il cacciatore fece un sorriso amichevole e si avvicinò con passo lento e sfrontato, pronto a uccidermi.

***




A prima vista

 California venticinque gradi in gennaio.

Lui e sua madre viaggiavano verso l’aeroporto con i finestrini dell’auto abbassati. In California c’erano venticinque gradi, il cielo era blu, terso e perfetto. Indossava la sua maglietta preferita, a maniche corte, di cotone arancione; la indossava come un segno d’addio. Il suo bagaglio a mano era una giacca a vento.
Nell’isola Giapponese, nel nord ovest di Tokio, nascosta da una perpetua coltre di nuvole, esiste la cittadina di Konoha.
Fu da quella città che su madre scappò, portandoselo con sé quando aveva soltanto pochi mesi.
Fu in quella città che obbligarono Naruto a passare un mese di vacanza, ogni estate, fino all’età di quattordici anni. A quel punto, riuscii finalmente ad opporsi, nelle tre estati precedenti era stato suo padre, Minato, a trascorrere con lui due settimane in California.

Avevo scelto io di andare in esilio nella minuscola cittadina di Konoha, nell’isola giapponese, a nord ovest di Tokyo, dove viveva Minato, mio padre… Rinunciando alla California, la calda, assolata caotica città che amavo, per la grigia Konoha con la sua quasi eterna coltre di nubi.

Detestava Konoha. Amava la California. Amava il sole e il caldo soffocante. Amava quella città energica e caotica.
-Naruto!
Ripeté Kushina al figlio un ultima volta, forse la millesima, mentre saliva sull’aereo.
-Non sei obbligato.
Sua madre non gli assomigliava, portava i lunghi capelli rosso fuoco legati a coda di cavallo, e mentre, Naruto, fissava i suoi occhi verdi e grandi, da bambina, gli prese il panico.

Adesso c’era Kakashi… A badare alla mia tenera, sventata e imprevedibile mamma.
Eppure…

-Ci voglio andare.
Mentì.
Non era mai stato bravo a dire bugie, ma aveva ripetuto quella frase talmente spesso che ormai suonava quasi convincente.
-Salutami Minato!
-Certo.
-Ci vediamo presto.
Insistette.
-Puoi tornare quando vuoi. Se hai bisogno di me vengo a prenderti.
Ma capiva, Naruto, dal suo sguardo che dietro a quella promesse c’era il sacrificio.
-Non preoccuparti per me.
Tagliò corto.
-Andrà benone. Ti voglio bene mamma.
Kushina lo abbracciò stretto per un minuto, poi lo lasciò salire sull’aereo e quando Naruto si voltò lei non c’era più.
Per arrivare in Giappone dalla California ci volevano otto ore, più un’altra ora su un piccolo aereo per raggiungere Sapporo; Konoha era a un’ora da li.
Non lo disturbava volare; era il viaggio in auto con Minato, invece, a preoccuparlo un po’.
Minato si era sempre comportato molto bene dal primo all’ultimo istante in quella faccenda. Sembrava fargli sinceramente piacere che, per la prima volta, Naruto andasse a vivere con lui con l’intenzione di rimanerci per un po’.
Lo aveva già iscritto a una scuola e gli avrebbe dato una mano a cercare un’auto tutta per lui.
Ma Naruto era sicuro che tra di loro ci sarebbe stato dell’imbarazzo.
Nessuno dei due, con l’altro, era quel che si dice un tipo logorroico, e comunque non riusciva ad immaginare di cosa avrebbero potuto parlare.
Sapeva che per Minato la sua decisione era tutto tranne che comprensibile: come sua madre prima di lui, non aveva mai nascosto che Konoha lo ripugnava.
Quando atterrò a Sapporo, pioveva.
Non lo interpretò come un presagio: era inevitabile. Aveva già detto addio per sempre al sole.

Minato mi aspettava sull’auto della polizia. Anche questo era inevitabile. Per la brava gente di Konoha, Minato è l’ispettore capo Namikaze.

Il motivo principale perché voleva una macchina tutta per se, malgrado i suoi pochi risparmi, era che si rifiutava di farsi accompagnare in giro per la città su un auto con le luci rosse e blu sul tetto. Niente rallentava il traffico come un poliziotto.
Minato lo accolse stringendolo goffamente con un braccio, quando Naruto, inciampando, scese dall’aereo.
-E’ un piacere rivederti Naru.
Gli disse sorridendo, mentre lo afferrava automaticamente per non lasciarlo cadere.
-Non sei cambiato molto. Kushina come sta?
-Mamma sta bene. È bello rivederti papà.
In sua presenza non aveva il permesso di chiamarlo Minato.
Aveva poche valige. La maggior parte dei vestiti che portava in California erano troppo permeabili. Lui e sua madre avevano unito le loro risorse per arricchire il suo guardaroba invernale, senza riuscirci ed era per quello che nel baule della macchina le valige ci stavano tranquillamente.

-Ho trovato una buona macchina per te, un affarone.
Annunciò Minato, una volta allacciate le cinture.
-Che genere di macchina?
Chiese Naruto visto che il modo in cui lo aveva detto “buona macchina per te”, anziché “buona macchina” e basta lo aveva insospettito.
-Bé! In realtà è un pick-up. Un Chevy.
-Dove l’hai trovato?
-Ti ricordi di Kirobi Inuzuka, quello che sta alla riserva?
-No.
-Veniva con noi quando andavamo a pescare, d’estate.
Suggerì allora Minato con una nota di speranza nella voce.
Ecco perché non lo ricordava, Naruto. Era molto bravo a rimuovere dalla memoria tutte le esperienze dolorose e inutili.
-E’ finito sulla sedia a rotelle.
Continuò Minato in assenza di una risposta dal figlio.
-.. E non può più guidare, perciò mi ha offerto il pick-up a un prezzo davvero basso.
-Di che anno è?
Il repentino cambio d’espressione di Minato, fece capire a Naruto che quella era l’ultima domanda che sperava gli rivolgesse.
-Bé, Kirobi ha sistemato il motore per bene.. Ha giusto qualche annetto, ecco.
Naruto sperava tanto che non lo sottovalutasse tanto da credere di poterlo zittire con una risposta del genere.
-Quando l’ha comprato?
-Nel 1984, penso.
-Nuovo?
-.. Eh eh! No. Penso che fosse nuovo nei primi anni sessanta, o al massimo nei tardi cinquanta.
Ammise imbarazzato il padre ridacchiando.
-Min.. papà, io di auto non so niente. Se si rompesse non saprei dove mettere le mani, e non potrei permettermi un meccanico..
-Sul serio, Naruto, quell’aggeggio va alla grande. Mezzi così robusti non li fabbricano più.
L’aggeggio, pensò tra se e se.
Se non altro come soprannome poteva andare.
-Per prezzo basso cosa intendi?
In fin dei conti, suoi soldi non poteva scendere a compromessi.
-Bé, più o meno te l’ho già comprato. Come regalo di benvenuto.
Minato lo guardò di sottecchi, con aria speranzosa.
Naruto in se esultò, avrebbe avuto una macchina gratis.
-Non c’era bisogno, papà. Mi sarei comprato una macchina con i miei soldi.
-Non mi interessa. Voglio che tu sia felice.
Quando pronunciò quelle parole, Minato , aveva gli occhi fissi sulla strada.
Non era mai a suo agio nell’esprimere i proprio sentimenti ad alta voce. Quel tratto si poteva tranquillamente riscontrare nel carattere di Naruto e perciò anche lui aveva lo sguardo fisso sul panorama che si muoveva veloce di fianco a lui.
-E’ un bellissimo regalo papà. Grazie.
 Mi fa davvero piacere.

 Inutile aggiungere che la possibilità di essere felice a Konoha mi sembrava irrealizzabile.
Non c’era bisogno che compatisse le mie sofferenze.

-Bé, perciò.. Benvenuto!
Farfugliò Minato confuso dai ringraziamenti del figlio.
Scambiarono qualche veloce commento sul tempo e sulla pioggia, e la conversazione più o meno finì.
Silenziosi guardavano fuori dai finestrini.
Certo, il panorama era bellissimo; Naruto questo non poteva negarlo. Tuttavia era verde: gli alberi, i tronchi coperti di muschio, che ne avvolgeva anche i rami come un baldacchino, la terra coperta di felci. Persino l’aria, filtrata dalle foglie, sembrava verdastra.
C’era troppo verde per i suoi gusti, era un pianeta alieno per lui.
Alla fine giunsero a casa di Minato. Viveva ancora nel piccolo stabile con due stanze da letto che aveva comprato con sua madre nei primi giorni del loro matrimonio. I primi e gli unici, per altro.
Lì, parcheggiato sul vialetto di fronte alla casa, rimasta sempre uguale nel tempo, c’era il suo nuovo- nuovo per lui- pick-up.
Era di un rosso scolorito, con i paraurti grossi e arrotondati e un abitacolo che sembrava un bulbo.

Con mia grandissima sorpresa, mi piacque il mio nuovo  -bè, almeno per me-  pick-up.

Naruto non sapeva se si sarebbe mosso da li ma ci si vedeva in quell’abitacolo.
-Ehi papà è fantastico! Grazie!
L’orrendo domani che si era immaginato Naruto, adesso sembrava già un po’ meno spaventoso.
Per andare a scuola non avrebbe dovuto scegliere tra camminare per tre chilometri sotto la pioggia o farsi dare un passaggio sull’auto del capo della polizia.
-Sono contento che ti piaccia.
Balbettò Minato, di nuovo a disagio.

Con un solo viaggio riuscimmo a portare tutte le mie cose al piano di sopra. Ogni dettaglio della stanza era legato alla mia infanzia… C’era perfino la sedia a dondolo di quand’ero bambino.

La stanza di Naruto era quella a ovest, e dava sul prato di fronte a casa. La camera era familiare, appena nato lo avevano messo lì. Il pavimento di legno, le pareti azzurre come i suoi occhi, il soffitto a punta, le tendine arancioni sbiadite alla finestra: tutto quello era parte della sua infanzia.
Negli anni Minato aveva provveduto soltanto a cambiare il lettino con un vero letto e ad aggiungere una scrivania.
Sulla scrivania si poteva intravedere un computer di seconda mano, e sul pavimento strisciava il cavetto per il collegamento al modem, connesso alla presa del telefono più vicina.
Quello faceva parte delle condizioni poste da Kushina, perché potessero restare in contatto più facilmente.
Nell’angolo, Naruto ritrovò la sedia a dondolo di quand’era bambino.
C’era solo un piccolo bagno in cima alle scale, che avrebbe dovuto condividere con Minato. Cercava di non farci troppo caso o sarebbe scappato a gambe levate.
Lui era sempre stato abituato a un bagno solo suo.

Una delle qualità migliori di Minato è che si fa gli affari suoi. Perciò non ero obbligato a sorridere e mostrarmi contento.

Naruto disfò le valige con calma e si sistemò seduto sul cornicione interno della finestra.
Era bello per lui starsene per conto suo, senza essere obbligato a sorridere e mostrarsi contento; un sollievo, starsene a guardare avvilito la pioggia fitta fuori dalla finestra e lasciar cadere soltanto poche lacrime.
Non era dell’umore giusto per una vera crisi di pianto. Quella se la sarebbe conservata per l’ora di andare a dormire, al pensiero di ciò che lo avrebbe atteso l’indomani.
La scuola superiore di Konoha vantava la spaventosa cifra di trecentocinquantasette iscritti più uno, dopo il suo arrivo; in California, la prima classe da sola ne aveva più di settecento.
Tutti i ragazzi erano cresciuti insieme, anche i loro nonni si conoscevano fin da bambini. Lui sarebbe stato il ragazzo nuovo che viene dalla grande città, una curiosità, un mostro.
Ciò sarebbe stato un vantaggio, se solo avesse avuto davvero l’aria da vero californiano.
Ok! La pelle bronzea non gli mancava, certo ma sembrava quella di una ragazza, priva di peli e liscia come il culetto di un bambino appena nato.
Era sempre stato smilzo, privo di quei muscoli possenti che piacevano tanto alle ragazze americane, non che non ne avesse ma appariva sempre snello e gracile; anche se mangiava davvero tanto.
Molte volte lo scambiavano per una ragazza dai capelli corti, avendo occhi simili a quelli di un cerbiatto; grandi e luminosi.
Ripose i vestiti nella vecchia cassettiera di abete, entrò nel bagno comune armato di beauty case, per darsi una ripulita dopo la giornata di viaggio. Si guardò allo specchiò, mentre cercava di dare un senso alle sue ciocche bionde annodate e umide.
Forse era la luce, ma già gli sembrava di essere più giallastro, malaticcio. La sua pelle poteva anche essere bella ma tutto dipendeva dal colore.
Li non aveva colori.
Osservando il suo viso pallido riflesso nello specchio, fu costretto ad ammettere che si stava prendendo in giro da solo.
Non sarebbe mai stato capace di inserirsi e non era solo colpa del suo aspetto. Non era riuscito a ritagliarsi un posto in una scuola con tremila studenti, quante possibilità poteva mai averi, li?

Non ero capace di entrare in sintonia con le persone della mia stessa età. Forse dovrei dire che non sapevo entrare in sintonia con le persone, punto. Non riuscivo a vivere in armonia con la mia stessa madre, la donna che in assoluto sentivo più vicino, quasi non parlassimo mai davvero la stessa lingua, figuriamoci con gente che non conoscevo!

Ogni tanto si chiedeva se i suoi occhi e quelli del resto del mondo vedessero le stesse cose. Forse il suo cervello era difettoso.
Ma la causa non importava, l’effetto si. E il giorno dopo sarebbe stato soltanto l’inizio.

Quella notte non riuscì a dormire bene, neanche dopo aver pianto a dirotto. Lo sbuffo continuo del vento e della pioggia sul tetto non tacquero neanche per un istante. Si coprii la testa con il vecchio plaid scolorito, poi aggiunse anche un cuscino.
Prese sonno soltanto dopo la mezzanotte, quando finalmente l’acquazzone si trasformò in una pioggerella silenziosa.
Il mattino dopo, dalla sua finestra non vedeva altro che nebbia densa, e si sentii assalire dalla claustrofobia.
La colazione con Minato fu tranquilla, gli augurò buona fortuna per il primo giorno di scuola. Naruto lo ringraziò, ma sapeva già di non aver speranze.
La fortuna, di solito, gli stava alla larga. Minato uscì per primo per andare alla centrale di polizia che per lui era una moglie e una famiglia. Rimasto solo, si sedette al vecchio tavolo quadrato in quercia, su una delle tre sedie spaiate, ed esaminò la piccola cucina, con le pareti rivestite di pannelli scuri, gli armadietti giallo chiaro e il pavimento bianco.
Non era cambiato niente. Sua madre aveva dipinto gli armadietti diciotto anni prima, nella speranza di portarci un po’ di sole in casa. Sopra il caminetto, nel salotto adiacente alla cucina, erano poste una sfilata di fotografie.
Per prima un immagine del matrimonio di Minato e Kushina; poi una di loro tre scattata subito dopo la sua nascita; infine una processione di sue foto scolastiche, un anno dopo anno. Quelle erano veramente imbarazzanti, doveva farle scomparire, almeno finché avrebbe vissuto in quella casa.
Bastava uno sguardo alla casa per accorgersi che Minato non aveva dimenticato sua madre e questo lo metteva a disagio.
Non voleva arrivare in anticipo a scuola, ma non riusciva a stare un minuto di più in quella casa. Indossò in giubbotto e uscii sotto la pioggia.
Siccome piovigginava, s’inzuppò per cercare la chiave di casa, nascosta sempre sotto lo zerbino, e a chiudere la porta.
Lo sciaguattare dei suoi nuovi stivali impermeabili gli aveva portato nostalgia dello scricchiolio familiare della gaia sotto i piedi.
L’abitacolo era ordinato e pulito ma il rivestimento di pelle dei sedili puzzava ancora un po’ di tabacco, benzina e deodorante alla menta. Il motore, con sua grande sorpresa, si accese subito, ma prese vita con un rombo che lo fece sobbalzare appena.
Trovare la scuola non fu difficile, malgrado non ci fosse mai stato prima. Come quasi tutto, a Konoha, era poco lontana dall’autostrada.
Parcheggiò davanti al primo edificio, sulla cui entrata spiccava .
Uscì di mala voglia dal caldo abitacolo e seguii un sentierino di ciottoli tra due siepi.
Fece un respiro profondo prima di aprire la porta, non sapendo cosa ci avrebbe trovato oltre.
All’interno c’era più caldo e luce di quanto avesse immaginato.
Guardò la stanza soffermandosi sui divanetti rossi posti ai lati del corridoio.
Avanzò fermandosi poi davanti ad una scrivania dove una donna imponente, occhialuta e rossa stava leggendo un giornalino.
La donna dai capelli rossi alzò lo sguardo posando il giornale sfoggiando un tirato sorriso.
-Posso esserle utile?
-Sono Naruto Uzumaki Namikaze.
La informò, e immediatamente vide i suoi occhi accendersi.
Lo aspettava, lo stavano aspettando tutti, senza dubbio era già al centro dei loro pettegolezzi.
Il figlio dell’ex moglie fuggita dall’ispettore, che finalmente torna a casa.
-Certo.
Disse per poi rovistare con la mano in una pila di documenti sopra alla scrivania, finché non estrasse quello che cercava.
-Qui c’è il tuo orario, assieme a una pianta della scuola.
Sistemò sul banco parecchi fogli e glieli mostrò.
Gli indicò sulla pianta le aule delle sue lezioni e il percorso migliore per raggiungerle, poi gli diede un modulo da fare controfirmare a ognuno dei suoi professori e da riportare in segreteria a fine giornata.
Gli sorrise e, come Minato, gli augurò di trovarsi bene, li a Konoha.
Naruto le rivolse il sorriso più convincente che aveva in repertorio e ritornò verso il suo pick-up.
Seguii il traffico degli altri studenti arrivati e fece un giro attorno alla scuola.
Trovato un parcheggiò si affrettò di spegnere il motore per non attirare l’attenzione con quel rombo assordante.
Prima di scendere osservò la mappa, cercando di memorizzarla; così magari non avrebbe camminato tutto il giorno con la mappa sotto il naso.
La ficcò nello zaino nero a nuvole rosse e bianche e fece un altro respiro profondissimo.
Camminava con il volto nascosto dal cappuccio sul marciapiede affollato di ragazzi. Si accorse con sollievo che il suo semplice giubbotto nero non dava nell’occhio.
Giunse alla mensa facilmente dove, seguendo due ragazze, le imitò quando posarono le giacche a degli appendi abiti.
Portò il suo modulo al professore, un uomo alto e vecchio, che secondo la targhetta si chiamava Sarutobi.
Quando lesse il suo nome, fissò il ragazzo biondo con l’aria di chi casca dalle nuvole e ovviamente Naruto arrossì violentemente.
Almeno lo fece sedere in fondo alla classe, senza presentarlo ai suoi nuovi compagni.
Per loro era difficile osservarlo ma in qualche modo ci riuscirono lo stesso.
Naruto teneva lo sguardo basso sulla lista di letture che aveva ricevuto dal professore.
Aveva già letto tutto; tanto bastò per farlo tranquillizzare e annoiare.
Chissà se sua madre avrebbe acconsentito a spedirgli i suoi vecchi appunti e temi, o se l’avrebbe giudicato sleale.
Accompagnato dal mormorio di sottofondo si immaginò le varie discussioni con Kushina.
Quando si diffuse il suono nasale e ronzante della campana, un ragazzo alto, impacciato e con uno strano taglio di capelli si avvicinò al banco di Naruto con un sorriso, che per il biondo era inquietante.
-Tu sei Uzumaki, vero?
Aveva l’aria di chi la sapeva sempre lunga.
-Naruto
Precisò. Nel raggio di tre banchi dal suo, tutti si voltarono a guardarlo.
-Dov’è la tua prossima lezione?
Chiese lui sporgendosi ancora in avanti.
Dovette controllare nello zaino e dopo aver guardato il foglio rispose, alzando lo sguardo.
-Emh, educazione civica, con Asuma, edificio 6.
Ovunque, Naruto guardasse incontrava occhi curiosi.
-Io sto andando al 4, se vuoi ti mostro la strada… Mi chiamo Lee!
Aggiunse poi.
Il biondo abbozzò un sorriso.
-Grazie.
Si infilarono i giubbotti e uscirono sotto la pioggia, che cadeva più fitta. Naruto avrebbe giurato che la nutrita folla che li seguiva a pochi passi di distanza fosse intenta a origliare la conversazione e sperò tanto di non diventare anche paranoico.
-Così, c’è una bella differenza tra qui e la California, eh?
Chiese Lee.
-Già.
Girarono attorno alla mensa e passarono accanto alla palestra, diretti verso l’ala sud della scuola. Lee lo accompagnò fino all’ingresso dell’aula, nonostante le indicazioni fossero chiarissime.
-Be’, buona fortuna
Disse, mentre apriva la porta.
-Magari ci vediamo a qualche altra lezione.
Sembrava speranzoso.
Naruto gli rivolse un sorriso debole ed entrò.
In resto della mattinata trascorse più o meno allo stesso modo. Il professore di trigonometria, che avrebbe odiato in ogni caso soltanto per la materia che insegnava, era stato l’unico che lo presentò ufficialmente alla classe, costringendolo a salutare i suoi nuovi compagni, impalato di fronte alla cattedra. Balbettò, arrossii e inciampò nei suoi stessi stivali mentre tornava al posto.
Dopo due lezioni riuscì a riconoscere qualche volto e conobbe alcune ragazze.
Una di questa lo accompagnò in mensa e si sedette al suo stesso tavolo.
Era piccola, molti centimetri più bassa di Naruto, i suoi capelli erano di uno strano colore confetto lunghi fino alle spalle e gli incorniciavano il viso pallido e giovanile.
Naruto non si ricordava il suo nome e non riusciva ad ascoltare in pieno quello che la ragazza ciarlava.
Poco dopo il tavolo si riempì di suoi amici che si presentarono ma ogni nome detto veniva dimenticato all’istante da Naruto.

Fu in quel momento, seduto a pranzo, impegnato a conversare con sette estranei curiosi, che li vidi per la prima volta.

Erano seduti nell’angolo più lontano e isolato della mensa, erano in cinque. Non parlavano e non mangiavano. Non lo stavano squadrando, a differenze della maggior parte degli studenti, perciò poteva osservarli tranquillamente, senza temere di incontrare uno sguardo un po’ troppo curioso. Ma non furono quei particolari ad attirare l’attenzione di Naruto.
Non si assomigliavano affatto. Dei tre ragazzi, uno era grosso, nerboruto come un sollevatore di pesi, i capelli ricci e rossicci, quasi arancioni. Uno era più alto e magro, ma comunque muscoloso, moro. Il terzo era smilzo, meno robusto, con i capelli albini e spettinati.
Le ragazze erano sedute di fronte a loro, quella più alta era statuaria. Il genere di bellezza che si vede nei cataloghi di costumi da bagno, di quelle che infiggono duri colpi all’autostima delle donne. Aveva i capelli rosso fuoco, che le ricadevano come un onda delicata dietro alla schiena. La ragazza più bassa era una specie di folletto, magrissima, dai tratti molto delicati. I suoi capelli erano biondi, lunghi e con una corta frangetta scompigliata e due ciocche a incorniciargli il viso.
Eppure, c’era qualcosa che li rendeva tutti somiglianti.
Ognuno di loro era pallido come il gesso, più pallidi di tutti gli altri abitanti di Konoha.
Tutti avevano occhi molto chiari, a dispetto del diverso colore di capelli, e cerchiati da ombre pesanti, violacee, simili a lividi. Quasi avessero tutti trascorsi la notte senza chiudere un occhio. Eppure, il resto dei loro lineamenti era dritto, perfetto, spigoloso.
Ma non era questo il motivo perché Naruto non riusciva a distogliere lo sguardo.
Li fissava perché i loro volti erano tutti di una bellezza devastante, inumana.
Difficile decidere chi fosse il più bello: forse la ragazza rossa e perfetta, forse il ragazzo con i capelli corvino.
-E quelli chi sono?
Chiese alla ragazza della lezione di Inglese, di cui aveva dimenticato il nome.
Mentre lei si preparava a rispondere, il ragazzo moro, quello dall’aria da ragazzino osservò la rosa per poi spostare lo sguardo su Naruto.
Il moro distolse lo sguardo all’istante, ancora più in fretta di Naruto, che avvampando di imbarazzo chinò subito il capo.
L’espressione del moro rimase neutra, come se la vicina di Naruto lo avesse chiamato e lui avesse alzato gli occhi involontariamente, ma già deciso a non rispondere.
La ragazza dai lunghi capelli rosa rise e come Naruto guardò verso di loro.
-Sono Sasuke e Suigetsu Uchiha, assieme a Karin e Jugo Taka. Quella che si è appena alzata è Shion Uchiha; vivono tutti assieme al dottor Uchiha e sua moglie.
Disse con un filo di voce.
Naruto guardò di sottecchi quel bel ragazzo, che ora osservava il proprio vassoio e, con le dita affusolate e pallide sbriciolava una pastina. La sua bocca si muoveva velocissima, le labbra perfette e sottile si aprivano appena. Gli altri tre continuavano a guardare altrove, eppure per Naruto sembrava che stessete parlando, piano, con loro.

Nomi strani, poco diffusi, pensai. Nomi da nonni. Ma forse qui andava di moda: nomi da cittadina di provincia? Infine ricordai che la mia vicina si chiamava Sakura, un nome comunissimo.

-Sono … Molto carini.
Naruto si sforzò di minimizzare, ma non era credibile.
-Si!
Congedò Sakura con un’altra risatina.
-Però stanno assieme. Voglio dire Karin e Suigetsu, e Jugo e Shion. E vivono assieme.
In quella voce, Naruto sentì tutta l’indignazione e la condanna della cittadina, così almeno sembrava al suo orecchio critico. In realtà doveva ammettere che anche in California sarebbe stato un pettegolezzo ghiotto.
-Quali sono gli Uchiha?
Chiese il biondo.
-Non sembrano parenti …
-Oh non lo sono. Il dottor Uchiha è molto giovane, ha trent’anni, forse meno. Sono tutti figli addottivi. I Taka, invece, sono davvero fratello e sorella e sono in affidamento.
-Sembrano un po’ grandi per essere ancora in affidamento.
-Adesso si, Jugo e Karin hanno diciotto anni, ma vivono con Uchiha Sama da quando ne hanno otto. È una specie di zio.
-E’ davvero un bel gesto..
-Direi di si!
Ammise Sakura senza troppo entusiasmo, e fece intuire a Naruto che un motivo o per l’altro il dottore e sua moglie non le piacevano. A giudicare dagli sguardi che lanciava ai loro figlio doveva trattarsi di gelosia.
-Comunque penso che la signora Uchiha non possa avere bambini.
Aggiunse.
Durante quella conversazione, Naruto non poté fare a meno di lanciare qualche sguardo al tavolo di quei giovani.
Mentre li studiava, il più giovane degli Uchiha, quello moro, alzò lo sguardo e incrociò il suo, e stavolta le sua espressione era evidentemente incuriosita.
Naruto si voltò di scatto, e allora gli sembrò di notare che il ragazzo fosse stranamente sorpreso, quasi deluso.
-Chi è quello con i capelli mori?
Chiese. Lo sbirciava con la coda dell’occhio, lui continuava a guardarlo con un espressione frustata.
-Si chiama Sasuke. È uno schianto, ovviamente. Non esce con nessuna. A quanto pare qui non ci sono ragazze abbastanza carine per lui.
Disse con disprezzo.
Naruto si morse un labbro per non riderle in faccia, poi guardò di nuovo il ragazzo. I suo occhi erano rivolti altrove, ma le guance gli parvero alzarsi come se stesse ridendo anche lui.
Rimase seduto con il gruppo in mensa più di quanto ci fosse rimasto se fosse stato da solo.
Non voleva tardare alle lezioni il suo primo giorno di scuola.
Una delle sue nuove conoscenze, Hinata, aveva biologia con lui. Si diressero verso l‘aula in silenzio essendo che la mora era molto timida.
Quando entrarono in classe, Hinata andò a sedersi a un tavolo nero per gli esprimenti.
Aveva già un compagno. Anzi tutti i tavoli erano già al completo tranne uno.
Accanto al corridoio centrale, riconobbe gli strani capelli di Sasuke Uchiha, seduto accanto all’unico posto libero.
Camminò lungo le file di banchi per presentarsi al professore e fargli vedere il modulo, mentre guardava Sasuke di sottecchi.
Quando gli passò accanto, il moro di irrigidì.
Fissò Naruto ancora una volta, con la più strana delle espressioni sul volto: era ostile, furioso. Naruto guardò subito altrove, sbalordito, rosso di vergogna.
Il signor Umino firmò il modulo e gli diede un libro, senza perdersi in presentazioni. Sentiva che sarebbero andati subito d’accordo. Ovviamente, non avendo scelta, lo fece sedere nell’unico posto libero.
Naruto tenne lo sguardo basso, mentre si accomodava accanto a lui, ancora scosso dell’occhiata ostile di prima.
Non osava guardarlo, mentre sistemava il libro sul tavolo e si metteva a sedere, ma con la coda dell’occhio lo vide cambiare posizione. Si stava allontanando da Naruto, seduto sul bordo della sedia e voltato dall’altra parte, come per evitare una tremenda puzza.
Senza farsi notare, Naruto si annusò il colletto della felpa. Profumava di fragola, come il suo shampoo preferito e il bagnoschiuma. Come odore gli sembrava piuttosto innocente.
Cercò di concentrarsi sulla lezione ma purtroppo era sull’anatomia cellulare, un argomento che aveva già studiato.
Non poteva trattenersi dallo sbirciare di tanto in tanto verso lo strano ragazzo che gli era seduto accanto. Non si rilassò nemmeno per un istante durante l’intera lezione e rimase rigido, sull’orlo della sedia, il più lontano possibile da Naruto.
Il biondo riusciva a vedere il pungo chiuso appoggiato sulla gamba sinistra, i tendini in tensione sotto la pelle pallida. Teneva le maniche della camicia bianca arrotolate fino al gomito, e l’avambraccio che ne spuntava era sorprendentemente sodo e muscoloso. Non era affatto smilzo come gli era sembrato accanto al fratello corpulento.
La lezione pareva durare più delle altre. Era perché finalmente la giornata stava finendo o perché aspettasse che quel pungo si aprisse? Non lo fece, restò sempre talmente immobile che sembrava non respirasse nemmeno. Cosa c’era che non andava? Si comportava sempre così? Naruto ripensò alle malignità di Sakura, a pranzo. Forse non aveva esagerato con il risentimento.

Non poteva essere a causa mia. Non sapeva niente di me.

Naruto sbirciò di nuovo verso di lui, e se ne pentì. Lo stava di nuovo squadrando, con gli occhi pieni di disprezzo. Mentre si ritraeva, stretto alla sedia, improvvisamente pensò a quel modo di dire: se gli sguardi potessero uccidere …
In quel momento la campana suonò e lui sobbalzò, e Sasuke Uchiha si alzò dal suo posto con un movimento fluido, dandogli le spalle e lasciando velocemente l’aula.
Naruto rimase pietrificato al suo posto, incredulo, a guardarlo.
Che cattivo. Non era giusto. Iniziò a raccogliere le sue cose lentamente, cercando di arginare la rabbia che gli lo aveva preso, per non mettersi a piangere. Per qualche motivo, il suo umore e i suoi occhi erano legati a doppio filo. Di solito, quando era arrabbiato piangeva, una reazione umiliante.
-Sei tu Naruto Namikaze?
Chiese una voce maschile.
Alzò lo sguardo e vide un ragazzo molto carino, con il viso simile a quello di Sasuke ma diverso al tempo stesso, i capelli corti neri corvino raccolti in punte ordinate, che gli sorrideva con aria amichevole. Evidentemente, lui non pensava che avesse un cattivo odore.
-Naruto.
Precisò con un sorriso.
-Io sono Sai.
-Ciao Sai.
-Serve aiuto per trovare la prossima lezione?
-Devo andare in palestra, credo di potercela fare.
-Ci vado anch’io.
Sembrava entusiasta, benché una coincidenza del genere non fosse poi strana, in una scuola così piccola.
Uscirono dalla classe insieme e, Naruto scoprì che conversare con Sai era piacevole, ed era la persona più gradevole tra le nuove conoscenze di quel giorno.
-Scusa ma hai accoltellato Sasuke Uchiha con la matita, o cosa? Non l’ho mai visto comportarsi così.
Domandò divertito Sai mentre entravano nella palestra.
Naruto rimpicciolì. Così, non era stato l’unico ad accorgersene.
E a quanto pare, quello non era il solito comportamento di Sasuke Uchiha. Decise di fare il finto tonto.
-Parli del ragazzo seduto accanto a me durante biologia?
Chiese ingenuamente.
-Si.
Rispose.
-Sembrava gli fosse venuto un attacco di qualcosa.
-Non so. Non gli ho nemmeno rivolto la parola.
-E’ un tipo strano.
Sai continuava a ronzargli attorno anziché dirigersi verso lo spogliatoio.
-Se io fossi stato tanto fortunato ad esserti seduto accanto, ti avrei rivolto la parola.
Prima di voltarsi verso l’entrata dello stanzino gli sorrise. Era cortese, e da quella frase aveva capito che senza dubbio gli piaceva.
Passò anche quell’ora e finalmente si ritrovò davanti alla segreteria.
Quando entrò nell’ufficio caldo, fu sul punto di riuscirne immediatamente.
Di fronte a lui, alla scrivania, c’era Sasuke Uchiha. Riconobbe di nuovo quella massa di capelli corvino sparati verso l’alto.
Non sembrò averlo visto, e Naruto rimase accanto al muro, in attesa che la segreteria si liberasse.
Sasuke stava discutendo con lei con un tono di voce basso, seducente. Riuscì a captare l’argomento della discussione. Stava cercando di spostare biologia a un altro orario, qualsiasi altro orario.

Non potevo credere che fosse a causa mia. Doveva esserci qualche altra ragione, qualcosa successo prima che io entrassi in aula. Il suo atteggiamento doveva avere un motivo totalmente diverso. Era impossibile che quello sconosciuto potesse odiarmi in maniera tanto improvvisa e intensa.

La porta si aprì, e il vento freddo che invase la stanza sfiorò dei documenti della scrivania e scompigliò i capelli biondi di Naruto. La ragazza che era entrata si allungò semplicemente verso il banco, depositò un foglio in un cestino e uscì di nuovo. Ma Sasuke Uchiha si irrigidì e lentamente si voltò per fulminare Naruto con uno sguardo penetrante, pieno d’odio.
Naruto provò un brivido di paura, sulle braccia gli venne la pelle d’oca.
Lo sguardo durò un secondo, ma lo gelò più del vento freddo. Sasuke tornò a rivolgersi alla segretaria.
-Non fa niente
Disse svelto, con la sua voce vellutata.
-Mi rendo conto che è impossibile. Molte grazie lo stesso
Girò i tacchi senza degnarlo di uno sguardo e si dileguò dalla stanza.
Naruto si avvicinò timido al banco, pallido, per una volta, anziché rosso in viso e consegnò il modulo delle firme.
-Come è andato il primo girono, caro?
Chiese la segretaria con aria materna.
-Bene
Mentì a mezza voce. La dona non sembrò convinta.
Tornò al suo pick-up, uno degli ultimi mezzi rimasti al parcheggio. Era un posto sicuro, la cosa più simile a una casa che avesse, in quel buco verde e umido.
Per un po’ rimase sul sedile a fissare il parabrezza, ma dopo qualche minuto iniziò a fare freddo e per accendere il riscaldamento gli toccò avviare il motore, che partì con un rombo. Tornò a casa di Minato, sforzandosi per tutto il tragitto di non piangere.
   
 
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