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Autore: madeitpossible    06/01/2012    7 recensioni
Cosi corri, senza farti vedere da tuo padre, in bagno e vomiti mettendoti due dita in gola. Vomiti fin l’anima. Gli occhi diventano rossi e scendono alcune lacrime sulle tue guance, la tua faccia diventa calda, rossa. Ti vergogni di te stessa in quei momenti
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kate Beckett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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fghjklòà

A volte succede di sentirsi in adatti in qualche luogo, in qualche circostanza in cui volontariamente o meno ci si è ritrovati. A volte capita che le persone che si credono più furbi degli altri, ti guardino con occhi giudicatori e ti senti sotto pressione, non sai cosa dire, dove guardare, cosi rimani zitta tutto il tempo e ti senti esclusa da quei discorsi che tanto sembrano coinvolgere gli altri. Cerchi di ridere anche se non sai per cosa, vuoi con tutta te stessa far parte di quel gruppo, perché credi che loro potrebbero essere le persone giuste per te, potrebbero essere quelle che finalmente, dopo tanti tentativi falliti, ti potrebbero far sentire libera come una farfalla che svolazza allegra in un campo di girasoli. Ti vuoi sentire bene, non chiedi tanto, sai di essere una persona complicata e quegli eventi che adesso e per sempre faranno parte della tua vita di hanno reso ancora meno facile adattarsi con gli altri.

Ti senti diversa, incatenata, imprigionata, vorresti tornare ad essere quella che eri prima con il sorriso sempre sulle labbra, con la tua risata che faceva scoppiare dal ridere anche i tuoi amici, quella che credevano pazza perché sembrava non ti importasse nulla di nessuno, e invece quei pochi che ti conoscevano davvero sapevano che avevi un cuore grande e che sebbene non fosse facile entrare in esso, quando qualcuno ci riusciva, restava li, in quell’angolino di cuore che adesso gli sarebbe sempre appartenuto. Ovviamente le delusioni di alcune di quelle persone non mancavano, ma hai sempre cercato di andare avanti come potevi, piangendo di nascosto nel tuo letto e facendoti vedere quella che sempre sei stata, non volevi che gli altri pensassero che fossi una debole. Ma adesso, era tutto cambiato. La morte di tua madre era stata quella goccia che ha fatto traboccare il vaso, quell’evento che ti ha fatto cadere la maschera. Non ti sentivi più adatta a loro. Quei tuoi amici che ti avevano tanto delusa c’erano ancora, ed erano proprio quelli che meno ti aspettavi di trovare al tuo fianco. Ti chiamavano, ti chiedevano di uscire, cercavano di farti tornare quella persona allegra, ma il sorriso aveva lasciato spazio a una linea retta, che si muoveva soltanto per spiaccicare quelle parole che sono d’obbligo, come i saluti, le varie domande stupide che tutti fanno come per esempio: Come stai? Che fai?  Poni quelle domande, ma odi allo stesso tempo coloro che le pongono a te. Alla fine a pochi importa davvero come stai, o cosa stai facendo, ma i genitori insegnano che è educazione, e  pian piano quelle domande iniziano a far parte di noi. Ti piacerebbe che ti chiedessero piuttosto: Come sta tuo padre? Ma a chi importa davvero cosa sta passando nella testa di tuo padre? A chi importa se tu devi vederlo ogni sera ubriaco fradicio che torna a casa da chissà quale bar, barcollando e cadendo ogni volta dalle scale, cosicché tu, che non riesci a dormire finché non torna a casa, devi scendere al piano terra ed aiutarlo ad alzarsi, lo porti a letto e lui ogni notte ti chiede scusa. È la parte più difficile della tua giornata sentire quella parola uscire dalla bocca di tuo padre, ma vai avanti, vai avanti come puoi.

Sei dimagrita parecchio in quei mesi, il cibo non riesce ad entrare nella tua bocca, il tuo stomaco ha mandato un segnale al tuo cervello e non lo senti più brontolare. Ti devi sforzare di preparare da mangiare a mezzogiorno per tuo padre e te, e ciò ti da il volta stomaco. Di solito mangiate la pastasciutta a pranzo. Scaldi l’acqua, quando bolle, butti dentro i soliti spaghetti che ama tanto tuo padre. E poi li guardi scendere piano man mano che l’acqua li ammorbidisce. Intanto prepari il sugo, che cerchi di cambiare ogni giorno. L’odore del sugo ti da fastidio, cosi tu la mangi sempre solo con un filo d’olio d’oliva. Poi la scoli e fai le parti per voi due. Ogni giorno tuo padre ti chiede perché ne mangi cosi poca e tu con la scusa più banale gli rispondi che hai fatto una colazione abbondante. Dopo aver sparecchiato la tavola e pulito i piatti, i bicchieri e le posate che avete utilizzato, ti senti un rigurgito salire fino alla tua gola. Cosi corri, senza farti vedere da tuo padre, in bagno e vomiti mettendoti due dita in gola. Vomiti fin l’anima. Gli occhi diventano rossi e scendono alcune lacrime sulle tue guance, la tua faccia diventa calda, rossa. Ti vergogni di te stessa in quei momenti. La stessa cosa si ripete anche per la cena e per ogni volta che sei obbligata a mangiare qualcosa.

Ti senti molto più debole, adesso. Non riesci comunque a dormire per la preoccupazione che tuo padre ti reca.

I giorni passano, i mesi anche. I tuoi amici, quei pochi con cui ancora ti senti e esci di tanto in tanto, hanno notato che sei dimagrita, che hai la faccia scavata, che sembra non dormi più, che l’indice e il medio della mano destra sono martoriate. Ti chiedono sempre come stai, e un giorno sei scoppiata. Non ce la fai più a continuare in quel modo. Hai detto loro che non sono fatti loro come stai, che in verità non gliene importa un cazzo di te e di tuo padre. Correndo te ne sei andata e dopo pochi passi sei caduta e sei svenuta, dopo aver sbattuto la testa.

Ti svegli in ospedale con la flebo che ti nutre. Apri un po’ gli occhi e sbatti più volte le palpebre per renderti conto del luogo in cui ti trovi. Non è una stanza grande, ma di fianco a te, c’è anche un altro letto, vuoto.

Dopo qualche minuto in cui ricordi tutto, si apre una porta sempre dentro la tua stanza. Ne esce un ragazzo, anche lui con la flebo. È più grande di te a vista. Ti saluta e cerca di farti un sorriso sforzato. Ricambi e dopo il silenzio incombe su di voi. Ti intriga quel ragazzo, vuoi conoscerlo, vuoi sapere se anche lui ha il tuo stesso problema, i suoi occhi erano cosi espressivi, cosi azzurri che ti hanno subito rapito. Cosi, ti metti sul fianco sinistro e lo fissi. Non è da te fissare le persone, ma non puoi fare a meno di osservarlo. Vuoi impararlo a memoria per ricordarlo anche quando non lo rivedrai mai più. Poi semplicemente ti lasci andare e cerchi di attirare la sua attenzione.

“ Io mi chiamo Kate.. tu?” Ti stupisci. Da quanto non ti sentivi cosi bene?

Lui si volta verso di te e ti risponde con un tono di voce calmo.

“Rick. Piacere.”

 

 

Commento: Non ha molto senso questa storia. Cioè spero sia un po’ chiara, azzurra, gialla, verde.. insomma il colore che avete voglia. :)

A presto, Madeitpossible.

  
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