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Autore: Tiifa Rokkuhato    07/01/2012    3 recensioni
Fan fic scritta su The Legend Of Zelda con però particolarità. Quì infatti Sheik e Zelda sono due persone distinte, e l'evoluzione avverrà fondamentalmente al di fuori del mondo di Zelda.
Parla del figlio della balia della principessa, che mentre è alle prese con la sua lotta con il mondo, e il suo poco senso di appartenenza, dovrà prendere in mano il destino del regno.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Princess Zelda, Sheik
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Io sono nato a Hyrule, nei pressi del palazzo reale.

Mia madre si chiama Impa, lei è la balia della principessina Zelda, unica figlia del re di questo paese.

Sin da bambino venni addestrato a l'arte della lama, a 20 anni ero già un ottimo spadaccino. Imparai le regole dei cavalieri, le regole della civiltà, imparai l'onore e il rispetto, la stima e l'invidia. Ma non appresi mai l'amore.

Non che mia madre non mi amasse, ma sua figlia doveva essere Zelda, e con me stava nei ritagli di tempo, quando non era troppo stanca e riusciva a reggersi in piedi.

Nonostante già mi distinguessi dagli altri per talento e abilità nel combattimento, non ero mai considerato, non mi chiedevano mai consigli.
Io rimanevo in silenzio. All'inizio faceva male, poi però la lingua sempre tranquilla nella mia bocca cominciò a divenire un sollievo, e quando dovevo parlare mi sentivo infastidito e nudo, nudo come un verme.

Più crescevo, più anche mia madre cominciò a farsi lontana. Anche Zelda cresceva, anche più velocemente di me, e lei doveva prestare cura alla ragazza. Io me la sarei saputa cavare.

Camminavo nella folla, tra la gente. Mi conoscevano, il figlio della balia della principessa, mi guardavano incuriositi e affamati, come se guardandomi potessero avere un pezzetto della ricchezza in cui credevano vivessi. Ma a parte quello non volevano altro da me, non interessava a nessuno come potevo stare io, se stavo bene, se avevo fame, se avevo freddo oppure caldo, se avessi voglia di piangere o di giocare con qualcuno. Dopo tutto ero un bambino anch'io. Eppure mi guardavano mi guardavano, ma se ricambiavo lo sguardo si ritraevano, e distoglievano gli occhi. Mi venne voglia di odiarli, di odiare tutti, anche la principessa, anche mia madre. Ma non sapendo amare, anche odiare era impossibile. Così più passava il tempo, più io diventavo invisibile, perfettamente mimetizzato, inconsistente quasi, così com'ero nel cuore degli altri.

L'unica cosa che mi dava soddisfazione, era che nessuno mi sottovalutava. Presi la strada dell'assassino, della spia, e non del cavaliere. Mi aggiravo nell'ombra diventavo ombra e con essa vivevo e svolgevo i miei piccoli incarichi. Armi piccole, silenziose, leggere, che quasi non fanno neanche sibilare l'aria quando la tagliano. E la mia vita continuava, tranquilla o meno non aveva importanza, non se ne sarebbe accorto nessuno. Ero sempre ad allenarmi, e mia madre più che esserne triste ne pareva sollevata.

Un giorno dei cavalieri con dei grandi stendardi entrarono in città, e davanti alle porte del palazzo chiesero udienza.
Passarono i giorni, e il re sembrava molto indaffarato, io lo vedevo di sfuggita, a volte, quando presenziava agli allenamenti o quando portavo a mia madre qualcosa che aveva dimenticato.

Poi venne annunciato un patto d'alleanza con un regno nomade venuto dal deserto. Io non me ne curavo, non mi interessava sapere se magari nel regno ora alleato qualcuno mi avrebbe amato, o semplicemente chiesto un'opinione. Io dovevo solo spiare, rubare. No, io dovevo fare il mio tornaconto personale. Sempre.

Il re del regno alleato era un gran buffone, o almeno così pensavo. Sfarzoso e frivolo amava sempre fare le cose in grande, e anche per un semplice spettacolo teatrale veniva scortato da tutta la cavalleria, impegnata a sostenere grandi bandiere o a suonare in suo onore.

Ormai nemmeno io mi stupivo più se durante un giro di controllo vedevo arrivare un esercito degno delle guerre più famose verso le porte della città.

Accadde tutto molto in fretta. Una notte sentii delle urla, come di terrore, chiedevano aiuto. Poi sentii il cigolare dei pesanti portoni. La notte venne squarciata da due urla strazianti e il silenziò calò per un istante, poi interrotto dallo scompiglio delle guardie e delle genti in strada.

Io dovevo correre al castello, dovevo correre più veloce di tutti gli altri.
Penetrai nel castello da un passaggio segreto che solo io, mia madre e la principessa conoscevamo.

Sentii clangore di lame in lontananza, l'odore dolciastro e metallico del sangue mi riempii le narici sin quasi a farmi vomitare. Sorpassai i cadaveri in fretta e raggiunsi le stanze del re.
Erano vuote e distrutte, stavo per andar via quando vidi il corpo straziato della regina tra le lensuola di seta e velluto, mi sentii male. Il bellissimo corpo nudo era riverso su un fianco, rifiutai a me stesso anche solo di pensare a cosa le avessero potuto fare, mentre la spostavo, le sistemavo i capelli e la coprivo, pensai alla principessa, ridotta nello stesso stato, o a mia madre. Presi a correre con quanta più forza avessi, il mio cuore scoppiava, martellava forte il petto e i polmoni mi dolevano, ma non potevo fermarmi. Il mio regno, i miei superiori, la regina, la principessa, mia madre. Improvvisamente capii che io sapevo amare, anche se mai ero stato amato, o se d'amore me ne era stato dato poco. Sentivo di volerli salvare, volevo salvare Hyrule.

Arrivai sino alla stanza di mia madre, sentii rumore di spade, sentii parlare. Una ragazza piangeva, un'altra urlava. Urlava che non non gli avrebbe permesso di prendere Zelda. Poi una voce maschile, più bassa, e calma con tono divertito del diceva che il re era morto, e che lui si sarebbe preso l'intero regno con Zelda come regina.
Mi schiantai contro la porta distruggendola, l'impatto si confuse ma non coprì il grido disperato di mia madre. Il tempo di alzare gli occhi, di muovere un passo. E vidi mia madre sostenuta quasi solo da una lama che la trafiggeva da parte a parte. Urlai con tutta la voce che avevo, come se quell'urlo avrebbe potuto salvarla, rinasarle il cuore trafitto. Lei mi guardò e con un filo di voce soltanto mi chiese di perdonarla, e di proteggere la principessa. Anche le sue ultime parole erano state per Zelda, ma io amavo tanto mia madre, e così mi sforzai di ignorare il suo cadavere e tentai di tutto per portare in salvo la principessa.
Il re traditore rideva, col capo cinto dalla corona del padre di Zelda. In un attimo fui su Zelda, e lui su di me. Avendolo così felice ed ebbro di soffisfazione riuscì a colpirlo con un pugnale cosparso di veleno paralizzante, a prendere la principessa e a fuggire.
Correvo per il palazzo, che conoscevo meglio di casa mia. Puntavo alle cucine. Arrivato lì mi fermai un'istante, pregai Zelda di perdonarmi e la schiaffeggiai sino a farla divenire livida in volto, le tagliai i capelli e le misi un sacco addosso. I suoi gioielli li misi in un sacchetto che le feci nascondere sotto a quello squallido vestito di fortuna. Presi un sacco di riso su cui posai il vestito e ci legai i capelli così che fosserò bene in evidenza. Sentii l'urlo disumano del nemico, segno che l'effetto del paralizzante era svanito e che ora le sue guardie erano state allertate. Per l'uscita della cucina scortai Zelda sino al passaggio segreto e le dissi di scappare. Lei non voleva, non parlava ma scuoteva la testa. Allora la minacciai, le intimai di andarsene ma lei era sempre lì con gli occhi gonfi e il viso livido delle mie botte e io persi la testa.:” Mi sei solo d'intralcio maledetta ragazzina vattene via!” Ansimavo dopo averlo detto, vidi gli occhi di lei spalancarsi e riempirsi di lacrime. La guardai, che piano esitante cercava di forzarsi ad andar via ma poi sentì le guardie sempre più vicine, di certo con quel dannato urlo avevo segnalato la mia posizione.

“Non c'è più tempo scappa, tu devi vivere, e con te dovrà tornare a vivere Hyrule!” La spinsi oltre il passaggio e salì sulle siepi che gingono il palazzo, con i capelli di zelda sventolanti, attaccati a quel sacco coperto dalla preziosa veste rosa, mentre Zelda correva, correva verso una terra ignota, nella speranza che non ci fosse più male.

Continuai a correre su quelle siepi, a schivare i loro attacchi per dare tempo alla principessa. Ero ormai circondato, non potevo fare più nulla. Infine ormai consapevole del mio destino lanciai via il sacco, tra i soldati che si incazzarono più che mai nel scoprire l'inganno e scesi nella mischia.
Combattei, per orgoglio e onore, combattei per me stesso. Ma ero stanco, stremato, sfinito, continuavo a combattere, ma piano piano non riuscii più a schivare i colpi, non riuscivo nemmeno più ad incassarli, mi muovevo rallentato, la spada era pesante. A colpi di scudo mi gettarono a terra, sanguinante e morente, alzai gli occhi e vidi l'artefice di tutto, nei suoi occhi che brillavano sinistri vidi la regina, il re, mia madre. Vidi la gente straziata, impoverita, in fuga. Vidi una bambina per disgrazia principessa vagare da sola in un posto sperduto. Vidi me stesso alzarmi in piedi e gettarmi contro quell'uomo con la chiara intenzione di uccidere, il mio cuore gridava e cantava in desiderio del sangue. Così con un balzo, dall'alto verso il basso trafissi quell'essere schifoso e ne dannai l'anima, e sul suo corpo in fin di vita mi accasciai anch'io. Un solo sussurro, una sola speranza, un solo desiderio: Zelda doveva vivere.

Intorno a me tutto si faceva più buio e confuso, sorrisi quando capii di aver ucciso una marionetta. In fin di vita sorrisi quando vidi il vero re sfilare la corona al corpo morente sotto di me, e posarsela in capo. Non era possibile... poi tutto si spense.

  
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