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Autore: detoxIretox    08/01/2012    3 recensioni
[COMPLETA]
Come regalo di Natale/Capodanno ecco a voi una nuova mini-longfic sui nostri adorati Kagamine. Si applicano tutti gli avvertimenti che si applicano sempre ai Kagamine: tristezza, angst, no happy ending, ugh, why, e via discorrendo.
***
Era stata una serata orribile, il che era tutto dire. Rin era stata vagheggiata e corteggiata da quasi tutti i giovani presenti nel salone da ballo, ma non perché fosse bella. Non era da buttare, o almeno così si considerava lei: ma l’unico vero motivo per cui in tanti le avevano chiesto di ballare - uno dopo l’altro, senza sosta, quasi si fossero messi d’accordo sui turni - era che Rin aveva soldi. Molti soldi.
***
[Len/tragedia, Rin/tragedia, Gumi/tragedia, insomma vedete dove sta andando a parare]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2~ I'll definitely be playing the violin here tomorrow
 

“Ti rendi conto di averci fatti preoccupare inutilmente?”
“Sì, padre.”
“E che le tue azioni avranno sempre delle conseguenze?”
Rin sospirò. “Sì, padre. Mi dispiace tanto.”
Il ritorno alla sala da ballo dopo l’incontro con il violinista non era stato certo piacevole quanto l’incontro in sé, ma quasi nulla del resto della sua serata lo era veramente stato. Una volta messo piede al ballo tutti gli invitati avevano smesso di muoversi e parlare, e, neanche il tempo si fosse arrestato, si erano volti all’entrata con un sincronismo perfetto, a guardarla.
Nell’immobilità generale l’unico a muoversi era stato il padre, che l’aveva raggiunta a passo di marcia e con cipiglio più severo di quanto lo avesse mai visto. L’aveva presa per un polso, senza dire una sola parola, e lei si era lasciata trascinare passivamente fuori dal salone seguita a ruota da sua madre, e accompagnata dal brusio insopportabile di tutta la gente che aveva assistito alla scena con curiosità piuttosto fastidiosa.
Quello sì che sarebbe stato un argomento bello caldo di cui parlare in paese.
Ad ogni modo, lei non avrebbe mai potuto sapere di cosa si sarebbe parlato in paese, siccome, per il suo comportamento inadeguato, venne reclusa nelle sue stanze fino a nuovo ordine.
Non che fosse poi così diverso dalla vita che conduceva normalmente. La regola era che non le era permesso uscire dalla loro enorme abitazione se non per andare a visitare i suoi parenti, e in ogni caso non poteva essere sola. Quindi relegata nell’intera casa o solo in un paio di camere, che differenza faceva, in fondo? Il tempo lo passava nello stesso medesimo modo: osservando il paesaggio fuori dalle finestre.
Ora però una nuova fantasia si era aggiunta alle sue solite; infatti, dovunque spostasse lo sguardo, vedeva Len, il violinista. Sapeva bene che erano immaginazioni - che, a dirla tutta, non gli rendevano nemmeno un briciolo di giustizia - ma non poteva fare a meno di sentire un piacevole vuoto alla bocca dello stomaco ogni volta che la sua mente le giocava quegli scherzi di pessimo gusto.
Non faceva che chiedersi se lui fosse lì, nella radura della sera precedente, a suonare il suo violino per un pubblico inesistente. Aveva detto che vi andava tutti i giorni per onorare la memoria dei suoi genitori, questo voleva dire che ci era sempre andato? E lei non lo aveva mai notato?
Si imbronciò solamente a un pensiero del genere. Come poteva essersi persa, per tutto quel tempo, una cosa del genere? Poter frequentare un ragazzo al di fuori di casa sua o dell’approvazione del padre era impensabile - se la gente ne fosse venuta a conoscenza, ovviamente. Ma se solo fosse rimasto un segreto, allora avrebbe potuto passare del tempo in sua compagnia. In fondo, suo padre era sempre a palazzo per volere dell’imperatore; sua madre e le sue ancelle passeggiavano per intere ore per i parchi e le strade della città, mentre il resto della servitù della casa non era certo ossessivamente interessata a ciò che faceva Rin nel suo tempo libero. Nessuno si sarebbe accorto se fosse mancata per un paio d’ore.
Ma il problema era proprio questo; Len aveva detto che andava nella radura tutti i giorni, ma non aveva precisato esattamente quando. Era impossibile che ci andasse di sera, se no lo avrebbe specificato; ciò restringeva il campo alla mattina e il pomeriggio.
Rin, da parte sua, pregava che si trattasse della seconda opzione; la mattina sua madre era presente e le dedicava del tempo per insegnare alcuni lavori che, una volta diventata moglie e madre, le sarebbero stati utili. Prima dell’ora di pranzo, quindi, non sarebbe riuscita mai a liberarsi.
Guardò attentamente fuori dalla finestra della sua stanza a pian terreno: uscire da lì sarebbe stato un giochetto. La camera dava sul giardinetto sul retro della casa, che a sua volta lasciava il via libera a un boschetto di rovi che, una volta oltrepassato, se non sbagliava... portava dritto alla radura di ciliegi.
Quella stessa mattina controllò scrupolosamente che il giardino avesse un’uscita per il bosco di rovi; quando lo ebbe appurato del tutto, sorrise sentendosi invadere da una bizzarra, quasi insensata gioia. Decise che avrebbe tentato la sorte quel pomeriggio. Di più non sarebbe riuscita ad attendere.
 

***

 
Come aveva sperato, non senza una certa sorpresa per le sue supposizioni azzeccate, Len andava a suonare il violino nella radura di ciliegi ogni pomeriggio. Vi rimaneva per almeno un’ora, poi raccoglieva strumento, archetto e custodia e silenzioso se ne andava com’era arrivato.
Sulle prime Rin avrebbe voluto mostrarsi a lui e parlare un po’, ma poi si sarebbe sentita un mostro, come una profanatrice di quel rito che Len compiva ogni giorno per i suoi genitori. Quella prima sera aveva avvertito quanto amore mettesse in quel gesto abituale, e non aveva alcuna intenzione di interromperlo solo per fare quattro chiacchiere. Inoltre, ascoltare la sua musica di nascosto si era rivelato un qualcosa di così tranquillizzante e spontaneo che Rin si sorprendeva di quanto un’ora durasse poco in sua compagnia.
Sin dal primo pomeriggio che era sgattaiolata fuori di casa, con la stessa eccitazione che contraddistingue chi fa qualcosa di sbagliato e sa di infrangere le regole, era giunta alla radura prima di Len. Si era chiesta a lungo se aspettarlo nel bel mezzo del prato o nascondersi dietro un albero, e aveva iniziato un’ardua battaglia con se stessa su come sarebbe stato meglio farsi vedere. Ma una volta che lo aveva sentito avvicinarsi aveva dimenticato tutti i suoi ragionamenti e gli arti avevano agito al posto suo, facendola appostare dietro il primo tronco che aveva trovato.
E così era rimasta per tutto il tempo che Len aveva suonato; seduta, la testa abbandonata sulla corteccia e gli occhi chiusi, mentre stava ben attenta a non fare un solo rumore che potesse interrompere quella melodia, com’era già successo.
I giorni si susseguirono così: Rin fuggiva ogni pomeriggio da casa e raggiungeva la radura appena pochi minuti prima che arrivasse Len. Poi godeva in silenzio della musica che il ragazzo creava, motivi sempre diversi ma che conservavano perennemente un che di tormentato. Si sentiva benissimo che quel ragazzo doveva aver sofferto parecchio. Rin avrebbe voluto aiutarlo in qualche modo, farlo parlare, ma non aveva mai il coraggio di alzarsi e interrompere i suoi componimenti. Per quanto belli erano così personali che la ragazza ogni tanto si vergognava ad assistervi così di nascosto.
Un pomeriggio di quelli Rin era più stanca del solito. Aveva fatto di tutto, la mattina, pur di liberarsi dei suoi impegni, siccome la madre aveva in programma di insegnarle a cucire per tutto il giorno. Arrivò appena in tempo per sedersi sotto il solito albero e appoggiare la schiena all’arbusto, poi abbassò le palpebre già pesanti e tutto intorno a lei divenne ovattato: si stava addormentando. Solo la dolce melodia rimaneva nitida nella sua testa e la trasportava attraverso un vortice indefinito e caldo di colori e profumi...
Finché una voce non la riportò, brusca, alla realtà.
“Oggi ti sei addormentata? In effetti questo è uno dei miei pezzi più lenti in assoluto” ridacchiò con tono divertito.
Rin ci mise un po’ per mettere a fuoco la scena, ma già dalle prime immagini sfocate aveva capito chi si era rannicchiato di fianco a lei e la stava guardando da vicino. Portò le mani al viso imbarazzata, per nascondere l’improvviso rossore, e imprecò mentalmente - questa volta non aveva il buio dalla sua parte. “Mi... mi dispiace!” pigolò. “Non volevo...”
“Cosa? Addormentarti? Spiarmi?”
Quelle parole la colpirono come un pugno, e i suoi occhi cercarono un piccolo indizio di irritazione o presa in giro nell’espressione di Len, che tuttavia sembrava serena. Allora stava solo scherzando, o cosa?
“Non fare quella faccia!” rise Len, risata che fece arrossire la ragazza ancora di più. “Sul serio, smettila di sentirti così a disagio. Insomma, per tutte le volte che sei venuta ad ascoltarmi ormai dovresti esserti abituata alla mia presenza, come io mi sono abituata alla tua.”
“Tu... sapevi...?”. L’aria le si mozzò in gola per l’improvvisa scoperta. Non avrebbe mai immaginato che Len sapesse sul serio di essere origliato da quasi una settimana a quella parte.
“Certo, fin dall’inizio. Ma mi stava bene così, davvero.”
“Allora non ti ho offeso?” chiese lei preoccupata.
Len le sorrise con dolcezza. “Mi fa molto piacere che qualcuno apprezzi ciò faccio, Rin”.
Non lo aveva ancora sentito pronunciare il suo nome, e la sensazione che ne derivò le piacque parecchio.
“Quindi... non hai nulla in contrario se rimango? Non sono invadente o fastidiosa, vero?”
“Ti fai troppi problemi”. Len si alzò e le tese la mano per aiutarla a fare lo stesso; lei accettò cercando di controllare il tremore delle dita. “Non è mica una pratica segreta o cos’altro. Il suono di un qualsiasi strumento musicale, come quello di una voce, è stato inventato apposta perché appaghi le orecchie e i sensi di qualcuno che ascolta.”
“Ami molto la musica, vero?” chiese Rin premurosa. Non aveva mai potuto fare a meno di notare il tono reverenziale con il quale Len ne parlava.
“Be’, è ovvio. Vedi, dopo il... il... terremoto” sembrava che pronunciare quella parola fosse stato molto difficile per lui, tuttavia continuò imperterrito, “insomma... dopo che i miei genitori sono morti, mi è rimasta solo la quella.”
“Non hai nessuno che ti accudisca?”
“Sì, certo. Però non è come prima. Le cose sono tornate lentamente alla normalità, o quasi... però certe cose come una catastrofe naturale... non si dimenticano molto facilmente.” Si portò una mano al petto, dove batteva il cuore. “Alcune volte sento che mi fa male, come se si stesse stritolando, e penso che forse sto per morire. Poi ricomincio a suonare e le note mi entrano dentro... è difficile spiegarlo. Però mi salvano. È come un lenitivo. Ed è per questo che davvero non posso fare a meno della musica. È la mia ancora di salvezza e l’unica cosa a cui aggrapparmi per andare avanti.”
“Se hai bisogno di qualcos’altro a cui aggrapparti, ci sono io adesso” propose audacemente Rin, sentendosi poi invadere le guance da un’ulteriore vampata di calore. Non si era resa subito conto di ciò che aveva detto, ma poco dopo avrebbe preferito mordersi la lingua per punirsi della sua sfacciataggine.
Len però non sembrava pensarla allo stesso modo. “Ti ringrazio molto, Rin. Sei...” sembrava stesse cercando la parola adatta per descriverla, e quando la trovò, la pronunciò fissando gli occhi limpidi in quelli di Rin, “particolare. In senso buono, però. Nessun altro si avvicinerebbe a uno come me, lo sai, vero?”
Prese in mano il violino, poi le lanciò uno sguardo interrogativo. “Ti dispiace se continuo? So che ormai ne avrai abbastanza, ma proprio non riesco a stare senza.”
“Ti ascolto, Len” disse solo la ragazza, ferma in piedi di fronte a lui.
Così Len ricominciò a suonare, e ogni altro suono molesto parve tacere per tutto il tempo che la melodia riempì l’aria della radura; come se tutto il mondo avesse smesso di girare, solo per non disturbare quell’atto di rispetto e passione che il ragazzo creava passando un archetto sulle corde tese. Se Rin non fosse stata in piedi, ma avesse continuano a sonnecchiare all’ombra dell’albero di ciliegio dove Len l’aveva trovata, avrebbe giurato che quell’armonia fosse frutto di un suo sogno; era davvero troppo bella per essere vera. Però era diversa da quelle con cui si era esibito in precedenza: era sempre triste, certo... ma sembrava conservare un tono di speranza.
Quando terminò, gli altri suoni e rumori ricominciarono e tutto ciò che era rimasto sospeso per non interromperla iniziò di nuovo a vivere.
“E’ una delle migliori che tu abbia suonato” mormorò Rin quasi folgorata. “Ce l’ha un titolo?”
“Non proprio... pensavo...”, sembrò esitare un attimo, “...ma no. È difficile da spiegare.”
Rin lo guardò curiosa. “A cosa avevi pensato?”
“Ecco, il fatto è che questa l’ho composta di recente... e forse... credo di essermi ispirato a te per scriverla” confessò, gli occhi bassi e il tono di chi sta rivelando un qualcosa di molto segreto e personale. “Quindi pensavo di chiamarla... Yume Sakura*. Non chiedermi perché, però.”
“Va bene, non ti chiederò il perché”. Rin acconsentì alla sua richiesta e si sentì colmare di una gioia e compiacenza ingenua, sentimenti che ormai non le appartenevano più da troppo tempo. Era come se fosse rinata. Alzò gli occhi per incontrare quelli chiari, sofferenti di Len. “Non è che potresti suonarmela di nuovo?” pregò.
Len annuì e la magia ricominciò, avvolgendo il mondo in un barlume di luce soffusa che lo fece divenire un sogno invaso dai fiori di ciliegio.

 
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*Yume Sakura = Sogno dei fiori di ciliegio. (O almeno è la traduzione più decente che sia riuscita a fare... Martina aiutami, tu che hai una conoscenza dell'inglese illimitata 
)
Non lo so. Sta diventando sempre più smielato. Non è un po' troppo esagerato, secondo voi?
E anche voi, non vi avrò davvero provocato una seduta d'urgenza dal dentista per le troppe carie, vero?
BTW, vi ringrazio per le recensioni e per chi ha già messo la storia tra i preferiti/ricordati/seguiti.
Nel prossimo capitolo arriveranno altre Vocaloid. Simpatiche. Davvero. AncheMikucoooooff.
Bacio e vi voglio taaaaaaanto bene 
  
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