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Autore: Cucuzza2    08/01/2012    1 recensioni
La convergenza dei nostri modi di fare era una strana materia.
Gelosie, giovani promettenti e una storia finita nell'ultimo modo nel quale si sarebbe voluto succedesse.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Partecipa alla maritombola di maridichallenge, con il prompt 3, Lampione.
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Benché fra me e Holmes io fossi di gran lunga il meno avventato, lui era fra noi quello maggiormente in grado di esercitare la propria poca prudenza ad un livello pratico, essendo in maggior misura in grado di carpire gli indizi che avrebbero portato a gravi conseguenze. Da qui è al limite dell'ovvio arguire che discussioni in merito fra me ed Holmes non fossero certo mancate; avevo però com'è intuibile finito per imparare a fidarmi di lui anche da questo punto di vista, e mai avevo avuto occasione di pentirmene.
La convergenza dei nostri modi di fare era una strana materia. Si trattava forse di un paradosso, o di una bizzarra coincidenza del destino: eppure per quanto le nostre caratteristiche fossero complementari la risoluzione non era mai del tutto ottimale, considerato come lui non ascoltasse che di rado le mie parole.
Correva l'anno 1897, quando avvennero i fatti che sto per narrare; l'inverno londinese non mostrava pietà per gli indigenti. La neve era arrivata presto, ed era stata portatrice di numerosi casi; ma anche, a tratti, di quell'apatia tanto odiata che spesso finiva per essere veicolo di un’insolita calma, della quale Holmes era naturalmente infastidito, ma che sopportava probabilmente solo grazie alla mia influenza.
Era il ventuno del mese - si era a pochi giorni dalla Vigilia - mentre avveniva fra noi uno di quei momenti che garantivano come la mia fiducia fosse nonostante tutto ben riposta; nello specifico, avevo già aperto i primi tre bottoni della sua camicia - in totale erano nove, e dubito scorderò mai questo particolare - e le sue mani si erano insinuate sotto i miei abiti quando Holmes, in meno di un paio di secondi netti, aveva portato le stesse nelle proprie tasche e si era ricomposto, sistemando i bottoni e badando a non lasciar tracce visibili neppure da lui stesso; con uno sguardo mi fece intendere che avrei dovuto agire ugualmente, e mi fidai.
«Di chi si tratta?» domandai, sedendo sulla poltrona; lui aveva invece raggiunto il violino.
«Di uno dei nostri amici di Scotland Yard, suppongo. Il passo mi riporta alla mente Hopkins - e sarebbe oltremodo bizzarro che si trattasse proprio di lui, considerati i nostri discorsi di pochi minuti fa. Discorsi dei quali mi auguro nessun ispettore di polizia venga mai a conoscenza, beninteso.»
«Anche se Hopkins...»
«L'omosessualità di Hopkins è ancora tutta da verificare; in ogni caso, credo che la tua gelosia sia superflua, per non dire molesta oltre ogni limite.»
Alzai gli occhi al cielo. «Non ho mai manifestato della gelosia, Holmes.»
«”Un ispettore promettente, certo, per quanto giovane; ma ti dirò che il tuo apprezzamento nei suoi confronti mi sembra sufficientemente...” e qui avresti sicuramente concluso con “sospetto”, se non ti avessi interrotto facendoti notare l'assurdità della tua affermazione, considerato che ho l’enorme, enorme sfortuna di ritrovarmi come coinquilino...»
«Avrei concluso con 'eccessivo', a dire la verità.» Si trattava di un cinquanta per cento di verità - avrei davvero concluso con quel termine, ma la mia gelosia non era certo uno scherzo delle facoltà intellettive di Holmes.
Se io fossi stato uomo da ingelosirmi al pari di una ragazzina alle prime esperienze, Stanley Hopkins sarebbe in effetti immediatamente divenuto la prima vittima di tale mia ipotetica furia da innamorato - aveva tutti gli elementi, certo, per essere un rivale. Ma, essendo io un uomo a metà strada fra i quaranta e i cinquant’anni e spero non privo di una comune maturità, non badai a un'ipotesi tanto infantile finché non vi fui tirato dentro, nello specifico, dal supporre di Holmes che anche lui fosse, al pari nostro, attratto dagli uomini - e questo era stato da lui dedotto da una serie di indizi che avevo avuto il buonsenso di fermarlo dall'elencare. A questo si erano aggiunte le sue lodi, unite a rimproveri, certo, ma pur sempre lodi, che a me aveva riservato a malapena un paio di volte nei numerosi anni trascorsi insieme; e il mio usuale contegno era venuto meno.
Nonostante ciò, Holmes aveva avuto prove sufficienti per dimostrarmi il contrario - e devo ammettere che molto probabilmente tutto il suo discorso era stato probabilmente imbastito al fine di provare la resistenza del mio sistema nervoso alle provocazioni, oltre all'altro motivo non indifferente di divertirsi, pur dissimulando l’ilarità, osservando la mia reazione.
Non vi avevo più dato peso, anche perché la conclusione della nostra conversazione era stata decisamente men che convenzionale; ed era certo un buffo scherzo del destino che la nostra successiva attività fosse così troncata sul nascere dall'arrivo di Hopkins stesso, ed ovviamente ignaro.
«Un altro caso complesso fra le mani, ispettore? Mi lasci indovinare, si tratta del decesso, peraltro banalissimo, di Jonathan Rockland, avvenuto ben due settimane fa e le impronte relative al quale sono state ormai cancellate da questo inverno terribile?» Ripose il violino, tenendosi di spalle, e voltandosi solo in quel momento come per accertarsi di star parlando con la persona esatta.
«Mi meraviglia che lei si sbagli a tal modo, Holmes, ma non è così» rispose Hopkins, mentre per la prima volta vedevo un genuino sorriso sul suo volto. «Stavo giusto augurandole delle buone feste.»
«Peccato. Era un caso banale, ma l'avrebbe aiutato a potenziare le sue capacità nel valutare le alternative. Tenga in conto l’eventualità, la prossima volta.»
«Quello l'ho risolto giusto oggi, è per questo che la stampa non è ancora aggiornata. Come può notare non sono un completo sprovveduto, signor Holmes, non quanto lei sarebbe indotto a credere.» Sembrava irritato; e lo credo bene, considerato anche il non dar segno di Holmes di apprezzare o anche solo notare gli auguri. «Volevo appunto anche ringraziarla per quanto mi ha insegnato, ma considerato che lei non lo ritiene sufficiente...»
«Non ho mai detto di non ritenerlo sufficiente, solo di reputare il suo apprendimento non ancora completo; né lo è il mio, né potrà mai esserlo. In ogni caso mi ha sorpreso: non la reputavo ancora in grado di dare un senso agli eventi collegati al suicidio di Rockland.»
«Come sa del suicidio?»
«Avevo esaminato i fatti di mio, anche se essendo il caso assegnato a lei ho preferito non interferire. Ero certo che sarebbe venuto comunque a chiedere il mio aiuto, e che non avrebbe valutato l'ipotesi del suicidio che in un secondo momento.»
«In effetti la seconda supposizione era corretta.»
«Ne ero certo. Ha anche coinvolto Taddeo Winter ed il fratello minore Francis, entrambi innocenti?»
«Solo il fratello. Era stato precedentemente sospettato per altri due omicidi, anche se mai condannato, entrambi effettuati tramite impiccagione, e lei ha avuto modo di insegnarmi che dalla pennellata si riconosce l’... l’artista, aveva detto così.»
«Un ottimo lavoro, per far parte di Scotland Yard» riconobbe Holmes. «Ma non ha mai pensato che potesse trattarsi di un tentativo del suicida di far ricadere la colpa su di lui?»
«Non saprei dire. In realtà, a sviarmi era stata la lettera che stava scrivendo Rockland.»
«Una lettera, dice.»
«Sì, signore. Credo l'avesse già spedita, ma ho notato delle tracce esaminando il tavolo come mi aveva insegnato lei.»
«Ma non era utile al caso» ovviò Holmes, ritenendo evidentemente che Hopkins desse erroneamente per scontato che lo fosse.
«Solo poche righe, dirette ad un tale... ad una tale Olivia Norrow, della quale Rockland era innamorato.»
Holmes aggrottò la fronte, ascoltando ogni inclinazione della voce dell’ispettore. «Ha davvero valutato ogni alternativa?»
«Ma Holmes, mi aveva appena dato ragione.»
«Non ha ancora scoperto il movente.» Lo sguardo che gli rivolse avrebbe contenuto un mondo, se solo Hopkins avesse avuto le chiavi per comprenderne la lingua. «Leggendo i resoconti dei miei casi qualunque sciocco avrà capito quanto diffidi della polizia. Se lei è acuto come io credo, avrà anche notato che spesso non ripongo la mia fiducia neppure nella Legge; se ne era accorto, ispettore Stanley Hopkins?»
«Si riferisce a Charles Augustus Milverton, o a coloro costretti al crimine dalle circostanze che in molteplici casi ha preferito non denunciare?»
«Precisamente a Charles Augustus Milverton.» Il baluginare che notai nei suoi occhi e il sorrisetto non scevro di malizia mi confermarono che non avevo frainteso; come temevo, non era alla rapina che si riferiva, ma alla mano; e non bisognava certo essere lui per capire che a tal punto i suoi sospetti avevano trovato conferma.
«Certo, signor Holmes. Ma non credo sia necessario un movente; non c'è stata istigazione, non c'è interesse nei motivi che lo hanno spinto a...»
«Se lei vuole essere un mero ispettoruncolo come mille altri, è il benvenuto. Ma se ciò che vuole è eccellere, e se vuole svolgere sino in fondo il suo mestiere, non si limiti allo stretto necessario, chiarisca ogni dubbio, deduca da ogni oggetto, noti gli errori; e non dimentichi mai di valutare spesso se esistono alternative.»
«È ciò che farò da ora in poi, signor Holmes.» Nella sua voce c'era tutta la referenza che l'allievo porta al maestro. «Ma a quali errori si riferisce, di preciso?»
«A quelli del mondo, Hopkins. A quelli del mondo.» L'espressione si fece sibillina. «Le auguro un sereno Natale, ispettore. Non sarà tale per tutti.»
Hopkins lo prese come un congedo. Salutò, lanciandoci un'occhiata perplessa, poi lasciò l'appartamento.
«Holmes!» protestai io.
«Era necessario.»
«Era un tuo capriccio.»
«Era collegato al caso di Rockland.»
«Sul quale non mi hai mai detto nulla.»
«Né ho intenzione di farlo ora. Ti dico solo, Watson, che io e te non siamo i soli invertiti coinvolti in questa faccenda. E neppure io, te ed Hopkins, nel caso te lo stessi chiedendo.»
Rinunciai a trovare un capo od una coda a quella conversazione - ero d’altronde certo che presto ne avrei sentito parlare.
«Mancavano sei bottoni, ora sono nove» commentò quando fummo in un’altra stanza, con quell'ironia sottile e quell'attenzione ai dettagli che era tutta deformazione professionale. «Che gravoso problema...»
In tutta risposta presi ad armeggiare con la sua cravatta.

Dai finestrini del treno il paesaggio innevato dell'Hampshire era un presagio, per quanto dolce, del gelo pungente che ci avrebbe colti all'arrivo. Quella neve era quanto di natalizio avessi visto negli ultimi giorni; esclusi qualche carola cantata dai trovatelli e gli auguri di Hopkins, i giorni si erano susseguiti come quelli di un qualunque altro periodo d'inverno. Mancavano solo due giorni alla Vigilia di Natale, ma Holmes non sembrava essersene accorto; non era la prima volta che dimenticava una ricorrenza importante, ma le altre volte era sempre stato troppo assuefatto da un caso per badare ad altro. Quell'anno, non lo sapevo; non mi aveva detto nulla sui motivi che l'avevano spinto a partire per l'Hampshire in modo apparentemente così repentino. Erano le sei di mattina del ventidue dicembre, e quella mattina non avevo trovato il tempo di nulla - ero affamato, e non avevo dato neppure uno sguardo al Daily Telegraph. Il mio umore non era dei migliori.
«Ti stai occupando del caso di Jonathan Rockland?» chiesi, spazientito, rivolgendo lo sguardo esclusivamente al candore esterno.
«Sì, direi di sì» fu la risposta, inaspettata. Fumava, e nonostante avesse del tutto saltato il primo pasto della giornata sembrava in ottima forma.
«Su richiesta del tuo caro Hopkins?»
«Tutto il contrario. Non ho intenzione di interferire, ma si tratta si un caso interessante. Credo che lo precederemo, ma lasceremo in ogni caso che faccia del suo meglio prima di aiutarlo in modo concreto.»
«Lo hai preso troppo a cuore, a parer mio.»
«Modererei la tua gelosia, non è un sentimento positivo.»
Socchiusi un occhio, evitando di chiedergli quale fosse, precisamente, il suo concetto di “sentimento positivo”.
«Come fai a definire Hopkins con certezza...»
«Non su un treno, Watson. Scompartimenti o meno, non è sicuro.»
Tacqui - dopo un momento nel quale avrei voluto rispondere inserendo nel mio commento un riferimento alla sua cosiddetta prudenza, provai ancora una volta quel rimpianto unito a rabbia verso le disposizioni della legge e la mentalità comune, lo stesso che provavo tutte le volte che venivo a conoscenza dell'applicazione di quelle stesse disposizioni, come era anche avvenuto agli inizi del mese. Per un altro uomo, un tale Borrow, un altro Natale di disperazione - non potevo credere di trovarmi davvero in una società civile, non in un luogo dove qualcosa di naturale come l’amore, quand’anche omosessuale, era considerato in modo simile. Strinsi le labbra, confidando intimamente che ad Holmes e me non sarebbe mai accaduto nulla del genere.
Giungemmo infine ad una località situata al limitare dell'Hampshire, dalle parti di New Forest. Eri lì che avremmo dovuto, a quanto pareva, precedere Hopkins; e certo il nostro intento era andato a buon fine.
Il cappotto non era neppure lontanamente sufficiente a ripararmi dalle intemperie. «Non spererai certo di trovare delle impronte qui» commentai, mentre i miei stivali affondavano nella neve.
«Non avrei avuto speranze in ogni caso, considerato che il suicidio risale al settimo giorno del mese.» Mi rivolse un sorriso malizioso che rivelava quale attività febbrile si svolgesse nella sua mente in quel momento. «Non sono qui per esaminare l’ambiente - l'ho fatto diversi giorni fa, se ben ricorda, rimasi lontano da Baker Street per diverse ore senza un motivo apparente - bensì per accertarmi di alcuni particolari.»
«Olivia Norrow?»
«Olivia Norrow.»
Ero riuscito a grandi linee a seguire il suo ragionamento: partendo dall'assioma della presenza di almeno un invertito coinvolto nella vicenda - dedotto da cosa, non lo si chieda a me - tale Olivia Norrow avrebbe potuto, in effetti, non esistere affatto; o più precisamente essere stata studiata a tavolino per dissimulare la presenza di un suo corrispettivo maschile.
Ma se ogni cosa era tanto abbordabile, non potevo spiegare l'indubbio fermento di ogni fibra di Holmes. Qualcosa mi era certamente sfuggito; dovevo ancora comprendere cosa.
Ed io lo sapevo - entrambi lo sapevamo - che se lo seguivo tollerando il suo silenzio il motivo era uno solo; e non uno del quale fosse possibile mettere a parte un ispettore di Scotland Yard rimanendone impuniti.

Olivia Norrow esisteva. L'uomo che ci indicò dove abitasse la sua famiglia fu sospettoso oltre ogni limite - «I Norrow! Cosa mai potranno volere due uomini dalla coscienza pulita dai Norrow?» - ma Holmes aveva l'aria di aver previsto una reazione simile, così non mostrò una piega; assunse l'identità di un ipotetico Frederick Watson e si presentò come mio fratello, con un tacito invito diretto a me a stare al gioco. Al termine della conversazione il nostro informatore dall'aria corrucciata sembrava piuttosto insospettito, ma conoscevamo l'indirizzo - 128a, Dermann Road - e avevamo avuto modo di comprendere che la famiglia che avevamo intenzione di interrogare era stata coinvolta di recente in uno scandalo.
«È quasi chiaro, Watson» mi confidò Holmes, mentre ci avviamo a piedi verso Dermann Avenue e lui prestava una particolare attenzione che nessuno dei due sfiorasse l'altro neppure con il gomito. «Se ogni cosa va come previsto, Miss Norrow sarà in grado di fornirci l'ultimo tassello.»
«Non sarà ancora fermo alla sua ipotesi della donna sostituita all'uomo!»
«In una forma molto, molto più sottile, ma la mia risposta è affermativa. Intanto, sappiamo già chi è coinvolto in tutto ciò - Jonathan Rockland, Olivia Norrow, una figura ancora da delineare e, in parte, anche Stanley Hopkins, per quanto involontariamente; le nostre comparse sono i Winter, che a loro modo suppongo abbiano avuto un ruolo indiretto nella vicenda. Ad ogni modo, siamo arrivati; ma quando una famiglia è guardata di sottecchi, solitamente questa tende a diventare estremamente sospettosa. Watson, per loro io sono tuo fratello, e i nostri saranno all'apparenza goffi tentativi di corteggiamento. Ho sentito dire che Miss Norrow sia piuttosto attraente» concluse, ironico, poi bussò.
Ad accoglierci fu una cameriera, che ci portò alla presenza di Mrs. Norrow, una donna di mezza età, che teneva ancora in mano una scodella che doveva star usando per la cena. «Prego, signori; ho l'onore di parlare con...» la sua espressione era diffidente, e sembrava considerare l'averci incontrati più un onere che un privilegio.
«Frederick Watson; lui è mio fratello John. La signorina...»
«Olivia non ha nessuna intenzione di ricevere due tali farabutti, a maggior ragione a così breve distanza dalla tragica fine del suo fidanzato.»
Holmes dissimulò la sorpresa, per quanto io lo conoscessi troppo bene per non accorgermi della messinscena. A tal punto cambiò radicalmente tattica. «È per questo che avevo intenzione di discutere con sua figlia, signora Norrow. Ho scoperto numerosi particolari... bizzarri, riguardanti la morte di Rockland.»
L'espressione di Mrs. Norrow si fece perplessa; valutò per un attimo il nostro aspetto. «Cosa può importarvene, signori? Eravate amici del defunto?»
«Non esattamente, signora» rispose Holmes. «Il mio nome è in realtà Sherlock Holmes, e sono un consulente investigativo. Mi voglia scusare se le ho mentito, ma se...»
«Ho letto di lei, signor Holmes» lo interruppe la signora Norrow, stupita. «So di potermi fidare. Entrate pure; dirò a mia figlia di aprirsi, sapendo che così potrete solo aiutarla a comprendere le ragioni di tale tragedia. Non che le ragioni resuscitino i morti; ma se si dovesse scoprire la presenza di un colpevole, sarebbe un disonore per la Legge Inglese che anche un sol uomo che l’abbia infranta circoli a piede libero sotto questa giurisdizione.» Non perdemmo neppure tempo nello spiegarle che il suo era un modo assai ingenuo di pensare, se davvero riteneva che la giustizia fosse assoluta; che la Legge fosse la Giustizia, ancora di più.
Olivia Norrow era una giovane donna sui venti o venticinque anni; e io pur dovevo ammettere che il suo volto era di una certa, oggettiva bellezza, pur non essendone per ovvie ragioni attratto. Gli occhi verdi guizzavano su di noi, seppur arrossati dal pianto; indossava con eleganza il nero del lutto.
«Buongiorno, signori» salutò, con tutta la grazia propria del suo sesso e che tanto più mi appariva scialba se comparata con la durezza che nonostante tutto amavo di Holmes. «Mia madre sostiene che abbiate scoperto qualcosa sul lutto che mi ha colpita qualche giorno addietro. Per l’amor del cielo, voglio sperare non abbia preso un abbaglio!»
«Sua madre non si sbaglia, signorina; ma ci è necessaria la sua massima collaborazione per arrivare a qualcosa di concreto.» Il tono di Holmes si era fatto conciliante, come sempre in occasioni simili; stava inducendo la donna ad aprirsi quanto ci era congeniale. «Jonathan Rockland era suo fidanzato da molto tempo?»
«No, buon Dio, no, purtroppo no. Fra noi era amore da molto, molto tempo, ma abbiamo avuto modo di avvedercene reciprocamente solo qualche giorno prima della tragedia. Solo ora mi rendo conto del troppo tempo perduto, fra noi.»
Deglutì, sull’orlo delle lacrime; e fui mosso a pietà dal suo dolore, giacché mi ricordava quanto avevo provato, seppur in modo assai più nascosto e contegnoso, dopo l'accadimento di Reichenbach.
«Le assicuro, signorina, che faremo il possibile per aiutarla a comprendere le ragioni di tale disgrazia» intervenni, con tono rassicurante. «Se solo lei volesse dirci...»
«Se il signor Rockland le ha mai scritto» concluse Holmes in mia vece, e se ci fossimo trovati in privato in quel momento sicuramente l'avrei baciato, perché in attimi come quelli sentivo l'approvazione nella sua voce - e, per l'amor del cielo, era l'intonazione più rara che vi si possa attendere da quelle labbra, quella che tanto invidiavo Hopkins per aver conquistato.
«No, mai» rispose la donna, del tutto ignara dello scambio di sguardi avvenuto fra noi.
Alcuni passi e delle voci all’ingresso dell’abitazione ci avvisarono dell'arrivo di qualcuno; pochi attimi dopo Stanley Hopkins, in borghese come il buonsenso e probabilmente qualche dritta di Holmes imponevano, si fermò sulla soglia della camera.
Stava ritto sul posto, evidentemente stupito dalla nostra presenza. «Anche lei qui?» chiese, con un tono di voce stranamente distaccato.
«Hopkins, ma che sorpresa! Mi perdoni per pochi attimi, Miss Norrow, si tratta di un vecchio amico.» Si rivolse poi nuovamente all'ispettore. «Io e Watson stavamo pensando di chiedere qualche informazione alla signorina.»
«Era quanto anch’io volevo fare, francamente» sfilò il cappello, sedendo di fianco a noi; il suo aspetto era a tratti trafelato, a tratti cercava vanamente di atteggiarsi nel modo più compunto. «Ma ciò che più di ogni cosa mi preme è essere informato riguardo ai fatti concernenti al suo gemello, Miss Norrow.»
Indugiò con lo sguardo in direzione di Holmes, dando evidenti segni di nervosismo e alla ricerca della sua beneamata approvazione; e lui contro ogni previsione si illuminò. Era probabilmente quello il tassello mancante, il gemello - seppur Holmes si ostinasse a tenere segreti i propri ragionamenti, nessun altro avrebbe potuto essergli vicino quanto me; e per quanto io non riuscissi ad intuire pressoché nulla di quanto pensasse, riuscivo a seguire i mille percorsi della sua mente, e a percepire ognuno dei suoi cambiamenti d’umore.
«Ah, certo, il mio gemello!» sbottò Olivia Norrow, improvvisamente furiosa - evidentemente non era in buoni rapporti col fratello. «Era uno dei suoi amici, prima che lo arrestassero, non è vero?»
«Non capisco cosa intenda, davvero...» si schermì l’ispettore, sincero.
«Non vedo perché un uomo avrebbe dovuto interessarsi a mio fratello per motivi differenti - non vedo perché qualcuno dovrebbe desiderare di avere a che fare con un... con un sodomita» pronunciò ogni sillaba con un disprezzo che mi colpì in prima persona, anche se fui sufficientemente attento da non farlo trapelare - per quanto le mie capacità di recitazione siano pressoché nulle, e infatti probabilmente devo ringraziare che la signorina fosse tanto infervorata nel proprio discorso da non badare a me «se non essendo della sua stessa specie!»
«Si calmi, signorina» intervenne Holmes, apparentemente pacato. «Non sospettavamo neppure di tale scandalo legato al signor Norrow. Conosco bene Watson, il signor Hopkins e me stesso, e posso garantirle che non un invertito si trova in questa stanza.» Rimasi impassibile, troppo preso dall'ansietà e piccato per l’odio puro percepibile nella voce di Miss Norrow per rendermi pienamente conto delle dimensioni della menzogna di Holmes.
«È pronto a giurarlo?» sfidò la donna, con nella voce una malizia che non avrei ritenuto capace di nascondersi dietro quel volto.
«La prego, signorina, non ci induca a giurare per motivi tanto futili» appariva diplomatico. «Il qui presente Watson è stato regolarmente sposato, per quanto purtroppo abbia perso la moglie; quanto a me, se al pari di sua madre ha letto qualcuno dei resoconti delle mie avventure stilati dal dottor Watson stesso, saprà bene che non sono interessato a sentimenti di sorta. L’ispettore Hopkins è fidanzato e spera di convolare a giuste nozze quanto prima; e infine, la pregherei di concludere qui tali moleste insinuazioni - riesco a comprendere come possa essere tanto scossa dalla morte di Jonathan Rockland e dalla scoperta delle gravi colpe delle quali si è macchiato il suo gemello, ma si renda conto che quanto ha detto sarebbe perfettamente sufficiente a causarle una denuncia per diffamazione.»
Aveva parlato in modo duro - duro, freddo e spudorato; eppure, non una traccia di menzogna compariva sul suo volto, né nulla del suo atteggiamento avrebbe potuto portare alla mente una recita. Strinsi le labbra.
«Riconosco di aver esagerato, signori» ammise Miss Norrow, abbassando lo sguardo con grazia. «Vi porgo le mie scuse. Signor Holmes, le interesserebbe sapere altro?»
«Temo di sì, signorina» assentì Holmes, ancora una volta conciliante. «Lei sospetta di Taddeo o Francis Winter, per caso?»
«Niente affatto, sono onesti cittadini; reputo che in molti dovrebbero prendere esempio da loro. Circola però la disdicevole voce che io mi sia concessa al più giovane dei due fratelli, Francis, e che il mio Jonathan si sia suicidato in seguito alla notizia. Credo sia scontato confermarle che sono unicamente discorsi del popolo, ai quali nessun credito va dato.»
«È perfetto, a questo punto, è perfetto» concluse Holmes. «Le faremo sapere.»
Una lacrima scivolò sulla pelle diafana di Miss Norrow; mi ricordò quella stessa che aveva bagnato il volto di Mary dopo il mio ennesimo “Mi trasferisco da Holmes per qualche giorno.” Quel momento fu da annoverare fra i numerosi che avevano divorato la mia anima durante il tempo del mio matrimonio - per l'unica volta, però, era per Mary che ero stato in pena. Credo sia l'unico sentimento che io abbia mai condiviso con lei, per quanto non ne vada fiero.
Prendemmo congedo, avviandoci fra le case innevate di Dermann Road. Giunti ad un vicolo deserto e silenzioso, Holmes strinse la sua mano nella mia per un attimo fugace, ma sufficiente perché Hopkins vedesse. Gli lanciai un sguardo allarmato.
«Le deduzioni sono una strana materia. Con esse si possono conoscere ogni informazione altrui, ma si è spesso costretti a fingere di non sapere; tenere segreto di essere a parte di un segreto.» Rallentò il passo. «Per l’amor del cielo, è un bene che io non abbia dovuto giurare» disse a mezza voce, ma lasciando che sia io che Hopkins potessimo sentirlo. «Tre invertiti nella stessa stanza sono una strana circostanza, ma spesso non del tutto casuale.»
Vidi Hopkins impallidire, prendere a respirare più lentamente e mormorare a malapena un «Lo sa, Holmes? Le sue deduzioni mi colpiscono sempre»; e fissai Holmes, per poi esclamare «Per l’amor del cielo, Holmes! Riesci a renderti conto che stai parlando con un ispettore?»
«Un ispettore macchiatosi dello stesso nostro reato non è da noi considerabile un rischio, come ben puoi intuire» fu la risposta.
«Ma mio caro Holmes, avresti potuto essere in errore!» dovevo riuscire a fargli comprendere quale avventatezza fosse stata la sua, considerato che la sua smisurata intelligenza a quanto pareva non era sufficiente atta a rendersi conto di una verità tanto abbordabile.
«Avrei potuto?» protestò lui. «Ma hai avuto modo di osservarlo piuttosto che vederlo anche solo per pochi istanti, Watson?»
Non risposi, limitandomi a lanciargli uno sguardo di evidente rimprovero che non dette segno di notare.
Hopkins tacque, in evidente disagio.

Al 34b, Moarl Street, non si vedevano cadaveri né sangue; eppure la morte era nell'aria. Finalmente potei conoscere i dettagli relativi al suicidio di Rockland; e fui ben lieto di riuscire finalmente ad avere un’idea più chiara della faccenda. «Si è impiccato a questo stesso lampione, mio caro Watson, usando probabilmente come appoggio la base stessa. Durante il mio sopralluogo di diverso tempo fa ebbi modo di esaminare la corda, e solo lui l'aveva toccata.»
«L'avevo notato anch'io, signore» intervenne Hopkins, a metà fra il disagio per l'essere stato scoperto e una sorta di sollievo quasi gioioso nell'apprendere che la persona che più stimava al mondo era anch'essa attratta dagli uomini. Evitò lo sguardo di entrambi, osservando il lampione ancora una volta.
Era quanto di più comune all’illuminazione di una via; di metallo scuro, si innalzava per qualche metro. Da lì si dipartiva un braccio curvo, al quale era certo stato fissato il cappio, e a breve distanza si trovava, pendente verso il basso, la fonte di luce. Fu una visione principalmente melanconica, accompagnata com’era dal nostro assoluto silenzio, che dopo qualche momento fu rotto da Holmes.
«Una volta appurato che si tratti di suicidio, anche tramite l'altezza e le orme, questo lampione non ha da dirci molto altro.» Colpì la porta della casa ormai vuota; non era chiusa a chiave. «Solo che tutto era organizzato per far ricadere la colpa sui fratelli Winter, ma in maniera piuttosto maldestra. Aveva ricreato una doppia fila d'impronte calzando due diverse paia di stivali, ma ha lasciato il primo abbandonato sulla porta della casa, così da rendere palese l'inganno. Nient'altro; piuttosto esaminerei lo scrittoio.»
Guidò me e l'ispettore verso quello che era stato lo studio del signor Rockland.
«Quanto ha scoperto della lettera?» chiese ad Hopkins, senza badare al suo imbarazzo evidente.
«È stata scritta al termine di novembre.» L'ispettore aveva recuperato la calma. «Il fine era certo quello di concordare un appuntamento piuttosto intimo, ma non ho avuto modo di verificarne il luogo o la data, potendo esaminare esclusivamente la carta sottostante, sulla quale si era a tratti inciso ma di certo non con chiarezza. Era diretto a Miss Norrow.»
«Alla Norrow, dice? Assurdo. Rockland non le ha mai scritto» smentì Holmes. «Questo cosa ti suggerisce, Watson?»
«Che la signorina non abbia mai ricevuto la lettera, suppongo» risposi, notando con una certa personale soddisfazione che finalmente aveva ripreso a rivolgersi a me.
«Alla fine di novembre? Non si amavano ancora, se ricordi. Possiamo affermare con una certa sicurezza che la soluzione si trovi precisamente sotto i nostri occhi.» Così si chinò sullo scrittoio, esaminando le parole che vi erano scritte. «Proprio come supponevo.» Stranamente non v'era trionfo, nel suo tono di voce; per la prima volta, non appariva lieto dell'esito che stava avendo la sua indagine. «Watson, se tu dovessi malauguratamente decidere di risposarti...»
«Non supporlo nemmeno.»
«In via ipotetica, intendo; e se avessi dalla tua signora due gemelli, di sesso opposto l’uno all’altra, scegliesti mai per loro lo stesso nome, nelle forme atte ai due generi?»
Non capivo dove cercasse di arrivare, ma lo assecondai. «Può darsi. Credo che lascerei la scelta alla mia consorte, a dire la verità; ma è possibile.»
«L'uomo intende ciò che è predisposto a intendere, vede quanto vuole vedere, ode quanto il suo orecchio ha intenzione di udire. La prego, Hopkins, esamini il nome del destinatario di questa lettera ancora una volta.»
Hopkins si chinò, prevedendo già in cuor suo l’esito di quell’azione. «Il nome, frainteso, era forse Oliver Norrow?» la sua voce era come rassegnata, di chi ha ormai intuito lo svolgersi dei fatti. «Il gemello della signorina, l'uomo che sappiamo essere un invertito?»
«Certamente, Hopkins; e a dir la verità avevo in mente un'ipotesi simile sin dall'inizio, sin dal suo incespicare sul genere del mittente della lettera. Francamente sospettavo che lei fosse stato il solo a considerare l’eventualità, pur non volendone parlare apertamente, e sembra che non mi sbagliassi. Non mi tornava il problema del nome, ma se vede le ultime lettere della parola sono piuttosto sbiadite, e la grafia orribile.» Estrasse una copia del Daily Telegraph - mi maledissi per non averla letta, per quanto per ogni londinese il giornale mattutino fosse un'istituzione. «Oliver Norrow» lesse. «Accusato di atti di sodomia sin dagli inizi del mese, scagionato per insufficienza di prove.»
«Ricordavo si chiamasse Borrow, altrimenti avrei certo fatto il collegamento» intervenni.
«Tutt'ora non ha alcuna importanza. Piuttosto, mi concentrerei più che altro sul motivo dell'insufficienza di prove.» Aveva recuperato l’usuale freddezza analitica - mi astenni per decoro dal protestare.
«Francamente, Holmes, non potrei esserne più lieto» intervenne Hopkins, ed io assentii col capo.
«Neppure io, ma è irrilevante per le indagini.Il tutto era nato a causa di una lettera definita compromettente, e dalla denuncia della sua scoperta da parte dei vicini, i fratelli Winter.» Estrasse una pipa, l'accese. «Il destinatario non fu, inizialmente, reso noto alla stampa; contavano, suppongo, di arrestarlo al termine del processo, così da prolungare l'influenza dell'avvenimento nella mente della gente - è sempre utile un buon impatto sul pubblico.» Parlava con una calma innaturale, quasi non fosse stato coinvolto nella faccenda - quasi che la stessa cosa non rischiasse di accadere a lui o a me; e sono pronto a giurare che, se non avessi avuto i miei ottimi, ottimi motivi - ma li avevo, in nome di tutti i Santi, li avevo - di credere il contrario, avrei seriamente valutato l'ipotesi che la sua fosse un'enorme, astuta trappola per arrestare me ed Hopkins. Una trappola durata per più di diciassette anni, comunque, era davvero cosa troppo improbabile.
«Ma Jonathan Rockland non visse sufficientemente a lungo...» intervenne Hopkins.
Holmes annuì. «Posso supporre a ragione che Jonathan Rockland abbia diffuso in prima persona la voce della quale ci ha informato la signorina Norrow, poco dopo l’aver scelto di fidanzarsi con lei nella vana speranza di evitare così un processo a sé e all'amato - e quando dico amato, non intendo amante o simili, ma amato nel senso più stretto del termine, poiché Rockland ha sacrificato per Oliver Norrow quanto aveva di più prezioso - e si sia poi suicidato in modo da cercare di far ricadere la colpa sui Winter o, come minimo, di recitare la parte dell’innamorato in pena. In ambo i casi, avrebbe evitato a Norrow ogni condanna; fidanzarsi o sposarsi è qualcosa che molti invertiti hanno fatto, suicidarsi per una donna è quanto di inedito - non che questo abbia salvato Norrow dal disprezzo comune. Rockland ha ovviamente scelto l’impiccagione per cercare di far ricadere la colpa su Francis Winter. Un errore grossolano; Winter è stato sospettato due volte per omicidio, ma era innocente entrambe le volte; in ogni caso Rockland desiderava anche vendicarsi per la denuncia.»
«Se l'avessi saputo li avrei fatti arrestare» commentò Hopkins, amareggiato. «Ho imparato troppe cose da lei, Holmes.»
«Lei è ancora in alto mare, ma ha delle potenzialità. Ha notato la strana coincidenza delle nostre iniziali? Credo poco nel destino, ma devo riconoscere che talvolta dice il vero.»
«Capisco. Ma, la prego, mi dica se la mia omosessualità era davvero tanto visibile all'esterno.»
«E lei, Hopkins, mi dica se sono tanto sprovveduto da essere in grado di notare esclusivamente ciò che salta immediatamente all'occhio. Per comprendere questa sorta d'inclinazioni di un uomo bisogna seguirne lo sguardo. Neppure l'uomo più contegnoso lo controlla perfettamente, una larga parte non tenta neppure; sta di fatto che la figlia di Peter Carey era una fanciulla giovane ed attraente, nonostante le circostanze, ma lei non ha fatto cenno di averla notata neppure per un attimo. Certo, non era una prova inconfutabile, ma insinuava il sospetto. L'ho osservata, Hopkins, ed ho tratto le mie conclusioni; l'elemento di maggiore conferma è però stato il suo sguardo ogni volta che veniva citato un invertito; diveniva immediatamente a disagio, per quanto badasse a non darlo a vedere.»
«Lei è indubbiamente geniale, Holmes, ma, vede, io sono un ispettore. Cosa avrebbe fatto se avesse scoperto troppo tardi di essersi sbagliato?»
«È l'ineluttabilità della vita. Questo, oppure lasciare il caso irrisolto. Ho rischiato la mia stessa vita per molto meno.» Spense la pipa. Mentiva - sapeva bene di non aver mai rischiato nulla, poiché tendeva ad essere costantemente certo delle sue opinioni. «Credo che per me e Watson sia venuto il momento di andare; suppongo sia così anche per lei.»
«Un buon Natale» fu l’asciutto congedo dell’ispettore.
«Non sarà tale per l'assolto Oliver Norrow.» Lo credevo bene; per l'amor del cielo, nei tre anni durante i quali avevo ritenuto Holmes annegato fra le acque di un abisso avevo maledetto migliaia di volte il mio non essermi voltato indietro - se avessi saputo di un sacrificio del genere, non avrei mai più avuto pace. «A spero non troppo presto, Hopkins. Un giorno sarà in grado di risolvere molti dei casi che ora la mettono in difficoltà senza che sia necessario un mio intervento; sarebbe egoistico dispiacermene» salutò, ed era palese che se ne dispiacesse, invece, per quanto fosse a sua detta poco altruistico.
Si chiuse così un caso senza colpevoli né vittime - o, più esattamente, con quell'unico, onnicomprensivo colpevole che è l'iniquo, legale odio per coloro che vengono considerati lontani dalla normalità.

«E così avevi ragione ancora una volta.»
«Ne hai mai dubitato?» Smise di suonare, continuando però a sedere sulla poltrona con il violino poggiato sulle mani sottili. «John Watson, probabilmente ti illudi di farlo, ma nel tuo intimo non saresti in grado di dubitare di una delle mie deduzioni neppure se sospettassi a torto di te in persona!»
«Mi riferivo ad Hopkins, a dire la verità. L'hai detto tu stesso, al primo impatto la tua asserzione aveva insinuato in me l'ombra del sospetto.»
«E un sospetto non del tutto errato, aggiungerei, considerando che Hopkins prova un'attrazione non corrisposta verso il sottoscritto.»
«Ma mio caro Holmes!»
«Riesci ancora a stupirmi, Watson. Contraddici palesemente ogni mia affermazione sul tuo conto nel giro di non più di un'ora, e lo fai con candida ingenuità.»
Lo ignorai. «Mio caro Holmes» ripresi. «Non vorrai certo continuare ad intervenire nei casi più complessi che gli sono affidati dopo una scoperta del genere!»
«Puoi definirla tale, Watson, ma a dire il vero lo avevo notato sin dall’inizio. La figlia di Peter il Pirata non era oggettivamente una gran cosa, in effetti.»
«Holmes, per l'amor del Cielo, potresti rispondere alla mia domanda?»
«Hopkins è un uomo ragionevole» asserì, e riposto lo Stradivari si avvicinò a me. «Antepone il raziocinio ai biechi sentimentalismi, o almeno tenta di farlo. In ogni caso non si curerà dei sentimenti che prova per me ed accetterà di soffrire, se capirà - e probabilmente lo ha già fatto - quanto questo sia un prezzo irrisorio per ottenere qualcosa di più duraturo. Non ho motivo di far emergere questi sentimenti, poiché farlo equivarrebbe ad accompagnare l'ispettore alla porta; a meno che tu non voglia esattamente questo.»
Sussultai alla mia menzione; che Holmes ponesse sulle mie spalle una decisione che lo riguardava personalmente era quanto di inaudito.
«Comprendo il tuo stupore, amico mio» convenne, ed in quel momento ebbi la lapidaria certezza che non avrebbe mai smesso di apostrofarmi con tale improprietà. «È la prima volta che lascio si scelga al mio posto.» Sedette al mio fianco, nonostante la poltrona fosse decisamente troppo stretta per entrambi. Mi baciò in un modo che non voleva essere seducente, né romantico, né duro - solo stranamente sincero, non perché solitamente non lo fosse, ma perché quella volta mostrò inconsciamente, o forse con perfetta volontarietà e consapevolezza, una parte del suo intimo.
«Dovrei volerlo? Mi credi forse una fanciulla gelosa, o supponi che io dubiti di te?»
Holmes alzò le spalle. «Non so fino a che segno essere certo di ciò; ma d'altra parte solo se nessuno dei due dubiterà dell'altro potremo avere un futuro, oltre che un passato e un presente. In nome di tutti i Santi, Watson, talvolta i miei discorsi perdono la loro usuale razionalità in maniera oltremodo inquietante!»
Ignorai la frecciata, perdendomi con lo sguardo fra le crepe della parete davanti a noi. «Domani è la Vigilia di Natale.»
«Ti ringrazio molto per avermelo fatto notare, senza il tuo aiuto mi sarebbe stato davvero impossibile.»
«Se non lo avessi fatto io se ne sarebbe certo occupata Mrs Hudson, anche se probabilmente lo avrebbe fatto la sera stessa.»
«Mrs Hudson! In nome di tutti i Santi, ceniamo con lei anche quest’anno?»
Assentii col capo con una decisione che lasciava trapelare come ritenessi ovvia ogni cosa - e fu, in qualche modo, una rivincita per le innumerevoli volte nelle quali lo aveva fatto lui. «È naturale. Non vorrai certo dirmi che ti aspettavi rimanessimo soli, la notte di Natale - lo ha detto lei stessa.»
«Soli? Ha usato proprio questo termine?»
Annuii; la sua espressione era imperscrutabile. Non disse altro - e solo riflettendo a freddo mi resi conto che aveva voluto sottolineare, in modo enigmatico per evitare di manifestarmi apertamente la mia importanza nella sua vita, come il ritenesse assurda la prospettiva di essere definito solo se in mia presenza.
«Holmes» intervenni io. «Pensavo - per l'amor del cielo, Hopkins non ha famiglia. Considerato che già la cena non sarà nulla di intimo e che a te farebbe sicuramente piacere una prova della mia fiducia...»
Si voltò verso di me. «Eccesso di zelo» commentò, ma annuendo. «Se ti è d'aiuto, posso aggiungere che il fascino dell'insegnante spesso colpisce gli allievi, ma raramente sono rapiti i maestri da quello opposto.»
Non risposi, ritornando verso la finestra e scostando le tende, mentre una strada di un bianco accecante colpiva i miei occhi.
«Ne sei proprio sicuro, Watson?» dal suo sguardo capii che si riferiva al mio gesto riguardante la finestra, e a null’altro. «E per quanto riguarda i nove bottoni?»
«Il tuo rinomato spirito d'osservazione perde colpi, mio caro. Oggi non sono più di sette.»
«Dimentichi i polsini.»
«Sei nel giusto; come sempre, d’altronde.»
Sapevo bene che non sarei mai riuscito ad arrendermi del tutto di fronte a quell’evidenza, ma non era certo quella la prima volta che mi trovato a constatare che il paradosso, le virtù complementari mal utilizzate, il suo ostinarsi a seguire esclusivamente se stesso e perfino l’idea di non possedere neppure solo un po’ dell’intelletto che invece era per lui scontato, e per Hopkins abbordabile, erano un prezzo irrisorio per quanto mi ritrovavo a vivere. Mi sovvenne per l’ennesima volta che avrei dovuto portare i miei ringraziamenti a Stamford; mascherandoli da auguri di Natale, naturalmente.
   
 
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