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Autore: _iridescentyack    09/01/2012    1 recensioni
Victoria era sempre sembrata una ragazza difficile, una di quelle che odiano avere contatti con qualcuno diverso da loro, che danno continuamente problemi ai genitori, la solita sedicenne isolata dal resto del mondo.
Invece nessuno l’aveva mai capita davvero, forse nemmeno lei stessa si era mai capita ma cosa importava? Poco e nulla, anzi se l’avessero capita sarebbe stato ancora peggio, l’avrebbero ritenuta una pazza e sarebbe diventata ancora più emarginata. Chi potrebbe però dar torto a qualcuno che definisce strana una ragazza capace di comunicare con L'altro Mondo?
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La notte continuo ad addormentarmi a fatica, pensando al fardello che Julia aveva posato sulle mie spalle incolpandomi della morte di Camille, del trasferimento di Marianne e dell’allontanamento di Emilie. Sogno continuamente la morte, la distruzione, il sangue che scorre copioso dalla testa di uno sconosciuto, la cicatrice rosea che mi squarcia la fronte, il vestito di Camille madido del suo stesso sangue. Ai sogni ci si può fare l’abitudine ma non alla vita reale, cosa che ho scoperto a mie spese col tempo. Riesco ancora a ricordare e a rivedere la scena di me seduta in quell’auto grigia al tramonto, aspettando Julia di fronte casa sua. Ricordo il mio vestito verde smeraldo che mi dava un fastidio tremendo alle gambe essendo di tulle, Camille con le sue sneakers rosse decisamente fuori luogo, Marianne in preda al panico da primo ballo scolastico, Emilie seduta sul sedile anteriore mentre sgranocchiava un paio di creakers e scambiava messaggi con un tipo. Alcune volte risento il rumore delle sue dita sui tasti del cellulare come se fosse ancora seduta accanto a mio padre in quell’auto. Noi quattro,con Julia, eravamo amiche praticamente da sempre. Caratterialmente ci somigliavamo più di quanto ci tenessimo ad ammettere e fu proprio questo ad unirci. Tra le tante passioni che ci accomunavano c’era Harry Potter, avevamo iniziato a leggerlo insieme e ci eravamo innamorate dell’intera serie. Ognuna di noi apparteneva ad una casa di Hogwarts, Emilie, per esempio, era una Tassorosso; Marianne, la più saggia tra noi, era una Corvonero; Camille era una Grifondoro, era lei l’unica tra noi che non aveva timore di uscire dagli schemi; Julia era una maganò poiché aveva sempre odiato i libri fantasy. Come si può dedurre, io ero Serpeverde ma non me la presi molto quando lo annunciarono ridendo, perché i Serpeverde sono astuti. Nessuna di noi vide quella macchina nera arrivare velocemente dal vicolo di fronte il giardino di Julia e schiantarsi sul lato sinistro della nostra auto se non io quando ormai era a pochi metri da noi. Sentii il rumore dello schianto, le urla della madre di Julia che poco prima chiacchierava animatamente con mio padre aspettando la figlia e le altre ragazze che cercavano una borsa poi più niente. Ancora cosciente vidi la mano di Camille sollevarsi verso la mia e poi cadere all’improvviso come se quello sforzo l’avesse stancata fin troppo. Fui io a stringere la sua mano e ad aspettare che qualcuno ci aiutasse ad uscire da quell’agglomerato di ferro e fumo. In quel momento immaginavo il sole all’orizzonte mentre calava e i suoi raggi lasciavano spazio alla cupa notte, volevo ardentemente osservare quello spettacolo magnifico che avevo sempre dato per scontato ma che ora era il mio unico desiderio. “Solo uno sguardo, solo uno sguardo” era quello che ripetevo insistentemente nella mia mente, forse per tutto quel fumo o forse per la paura. Dopo quegli ultimi momenti mi addormentai e i ricordi di ciò che vennero dopo rimangono sconnessi e confusi. Ed eccomi seduta di fronte alla finestra della soffitta ad osservare le nuvole colme di pioggia avvicinarsi alla mia città dimenticata dal resto del mondo e fulmini che illuminano le campagne per pochi secondi, veloci e spesso disastrosi. Mi stendo sul parquet di legno e chiudo gli occhi assaporando pochi secondi di beato silenzio. Ma ecco che ritornano le voci, insistenti come bambini ad un parco giochi. «Victoria… Victoria…» sussurrano, quasi riesco a vedere i corpi perlacei di coloro che mi chiamano. Senza urlare, imprecare o arrabbiarmi mi alzo e vado verso lo specchio con la cornice d’oro e volto la mia collanina –a forma di specchio anch’essa- e appena il secondo si riflette nel primo io scompaio e inizio a fluttuare in una nebbia grigio-azzurra fin troppo familiare. La treccia di capelli rosso fuoco si muove in modo impercettibile come il lembo del maglione bordeaux. Poi improvvisamente cado su un terriccio umido, morbido e avvolto dalla nebbia. Chissà dove sono capitata stavolta. Cammino con passo svelto, le mani in tasca e gli occhi verdi puntati in basso, apparentemente interessati ai lacci bianchi delle mie sneakers rosse. "Eccola, Victoria Mitchell, la ragazza che è sopravvissuta. Sei fiera di te stessa? Sei scappata dalla morte e ora ne paghi il prezzo." sussurra una voce nella mia testa, tento di zittirla e continuo a camminare raggiungendo con passi pesanti la riva del lago. Ma le parole di Julia risuonano ancora nella mia testa, ormai sul punto di esplodere. "Ti odio." Era stata l'ultima cosa che mi aveva detto con voce fredda e distaccata quando mi ero avvicinata lentamente a lei il giorno del funerale di Camille. Loro due erano le più legate, si conoscevano ancor prima di conoscere noi altre e Julia è palesemente convinta che non debba essere io quella ancora in vita. Immersa nei miei pensieri a stento mi accorgo che è appena apparsa una donna semi-trasparente o, come chiamo io tutti loro, le Anime Vaganti, ovvero anime legate a questo luogo di mezzo dal quale spesso è difficile farli andare via. La donna sorride flebilmente e mi ritrovo a fronteggiare i ricordi più orribili della mia infanzia. Odio questo posto.

  
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