Titolo: Una Forma di Esagerazione
Autore:
Nemeryal
Rating: Giallo
Genere: Slice of Life,
Malinconico, Introspettivo
Avvertimenti:, Missing Moments,
One Shot
Personaggi: Francis Bonnefoy/Francia, Sorpresa
Pairing: Nessuno
Citazione: N.20: “Adoro i piaceri
semplici, sono l'ultimo rifugio delle persone complicate”
Dedica:
A Silentsky, perché sì. A Rota perché le ho spaccato le palle
mandandole le fic di prova del concorso e mi ha aiutato e consigliato, quindi
il primo posto è pure suo U_U Ad Harinezumi,
perché mi sono fatta attendere *passa bustina di tea* e spero di non deluderla!
Grazie a pucchykø_girl
per aver ideato
il contest [Hetalia] D~ is for Dorian's quote // «definire è limitare»!
Note:
- 1. La
Belle Époque ~
- 2. Impressionismo ~
- 3. La Tour Eiffel è stata
inaugurata nel 1889
- 4. Sono in qualche modo convinta che le Nazioni possano “sentire” quando una guerra in arrivo. Non tanto una
sensazione tangibile, quanto un brivido, una sensazione di disagio, una morsa
lo stomaco, insomma qualcosa. Soprattutto
dopo aver vissuto qualche secolo e qualche millennio, credo abbiano sviluppato
una sorta di sesto senso a riguardo. Poi, questa è una mia Headcanon, ed è
ovviamente opinabile!
- 5. Note sul personaggio introdotto e Francia a fine
racconto!
Una Forma di
Esagerazione
Era caliginosa, l’aria di Parigi.
Francis osservava la vita che
brulicava sotto il cielo grigio, già impregnato del profumo dolciastro della
pioggia; teneva il bastone da passeggio nell’incavo del gomito e si stava
sfilando lentamente i guanti neri, senza distogliere lo sguardo da quel mosaico
di schegge lucide che era la Ville alla
luce pallida del sole.
Accanto, sul davanzale, un flûte di
champagne ancora pieno. Vicino ad esso, la tuba grigia che la Nazione si era
levato poco prima, nell’entrare.
-Non bevete la vostra medicina, monsieur Bonnefoy?-
A quelle parole il parigino si voltò:
l’ombra fremette, si sollevò assieme alla polvere della camera e gli ricadde sul
volto. Francia stese le labbra in un ghigno divertito.
-Medicina? Vi sembro forse malato?-
-Di un male incurabile-
Francis gettò indietro la testa,
sottraendosi al tocco impalpabile del buio e rise; sulle guance avvertì il
calore accennato dell’autunno e si sentì meglio.
Nonostante venire in quella stanza
fosse ormai divenuta un’abitudine, non si era ancora abituato all’aria gelida
che vi si respirava: in un’Europa dove la vita ribolliva in ogni angolo di
strada, quella finestrella era un fastidioso ritaglio da cui osservare la
stagnante realtà dei fatti. E a Francia questo non poteva che far salire un
brivido lungo la schiena.
-E quale sarebbe questo male
incurabile? Sentiamo!- ridacchiò, posando una mano sul davanzale.
Malato? Lui? E di che mai poteva
soffrire?
Non c’era salotto che non desiderasse
la sua presenza, donna che non bramasse un suo bacio. Era l’espressione della
più alta vitalità di Parigi, splendente come i fianchi della giovane Tour, svettante contro il cielo.
-La
Belle Époque-
Francia storse la bocca per il palese
disgusto con cui quel nome era stato pronunciato, e s’impose il sorriso.
-Vi piace questo termine? L’ho coniato
io stesso- glissò gelido, cercando di mantenere tutta l’ironia e il
divertimento di cui era capace –Non trovate che sia appropriato? Non avvertite
la pace che...- le parole gli morirono d’improvviso sulle labbra, ma non
demorse –Dovrei portarvi dei quadri d’Impressione. Certo renderebbero questa
stanza meno stantia-
-L’Impressione sta facendo troppo
rumore di questi tempi: la gente si aspetterà che io compri una sua opera. Che
originalità ci sarebbe in questo?-
Il parigino alzò gli occhi al cielo e
sbuffò, il volto livido: tutta quell’ostentata provocazione lo stava
innervosendo non poco. Il modo con cui l’altro gli si rivolgeva, masticando le
parole tra quei moncherini che ancora si ostinava a chiamare denti, il suo
continuo richiamarlo al grigiore di…di cosa?
Parigi non era grigia. Parigi era oro,
oro e sole e luci e bastoni da passeggio e fumi di treni. Parigi non era
grigia, non stagnava. Non nella Belle Époque.
Nella Belle Époque Parigi viveva e
prosperava, tra i profumi e le sete, senza che nessuno potesse farle del male. Nessuno.
Nessuno.
-L’originalità di fare ciò che la
gente veramente si aspetta. Si sa già che non ne prenderete nemmeno uno-
Con un riso appena accennato, Francis
gustò la dolcezza di quella rivincita verbale; improvvisò addirittura un
inchino nella direzione del letto all’altro capo della stanza. Una lama di luce
gli passò accanto, andando a conficcarsi nel verde pesante del baldacchino, e Francis
fu certo di aver colto un baluginio seccato negli occhi foschi dell’altro.
-Stavo pensando…- la Nazione estrasse
dal taschino del soprabito un portasigari d’argento e ne rimase a contemplare
il giglio sopra inciso -Potrei rubarvi l’idea del completo a lutto per il mio
compleanno?-
-Se rubare la vita è l’unico modo per
voi di esistere, ne sarò ben lieto-
Francia assottigliò le labbra e ripose
il portasigari; socchiuse gli occhi, serrando la mascella e rivolgendo
all’altro un ghigno astioso.
-Le vostre parole mi feriscono nel
profondo, monsieur- sibilò -Stavo addirittura
per chiedervi il garofano, ma temo che ne farò a meno-
Cercò di sciogliere la tensione con
una risata. La mano sul davanzale si chiuse a pugno.
Forse accortosi dell’effetto provocato
–forse soddisfatto da ciò- l’altro lasciò cadere l’argomento e la stanza
fu riempita unicamente dallo strusciarsi e dall’accartocciarsi delle lenzuola.
Anche senza vederlo, Francis poté
immaginare l’uomo mentre si tirava pesantemente a sedere, il volto livido
segnato dagli arrossamenti, le unghie incrostate di pelle e sangue vecchio,
ridotto a grumi violacei.
Non riuscì a reprimere un gemito di
disgusto al solo pensiero. Dieu, era
stato così grande una volta…
-Ditemi, monsieur Bonnefoy, vi piace lo champagne?-
Colto di sorpresa dal repentino cambio
d’argomento, Francia impiegò qualche istante prima di rispondere.
-Naturalmente- annuì poi, sbattendo
confuso le palpebre -Sebbene sia convinto che nelle vostre condizioni non
dovreste berne-
-L’ambra dello champagne è il rimedio
del grigiore di un’Epoca patinata d’oro. Se aveste vissuto come ho vissuto
io..-
-Se avessi vissuto come voi- lo
interruppe il parigino, per evitare che l’altro continuasse con le assurde
illazioni sull’“esistenza” e sul “grigiore” –che idiozia- della Belle Époque
-Come persona comune, badate bene, giacché come Nazione non mi appartenete,
allora…non credo che avrei vissuto troppi anni- concluse, ridendo.
-Se aveste vissuto come persona
comune, avreste vissuto veramente-
Di nuovo, il silenzio.
La risata di Francis gelò,
sgretolandosi sulla bocca ancora aperta; il volto si contrasse e la furia
crepitò nei suoi occhi con un lampo metallico.
-Siete piuttosto sgradevole
quest’oggi, monsieur- ribattè, freddo
–Il prurito è forse aumentato?-
-Tento solo di far sì che una Nazione
veda la disillusione del proprio popolo e non l’ipocrisia- uno sbuffo di
scherno -Ahimè! Temo sia impossibile-
-Disillusione?- il parigino allargò le
braccia e la testa a giglio del bastone da passeggio s’inclinò, bagnandosi di
luce -Come potete parlare di disillusione quando regna la pace? Trovate che la
pace sia disillusione?-
Non riuscì a finire la frase, che già
le parole erano morte in un sussurro sfumato. Suonava davvero così falsa la sua voce? Dov’era finita la
sicurezza che l’aria della Ville gli
infondeva ad ogni respiro?
-Trovo che sia illusione. Ma siete voi
l’esperto, non io-
Francia distolse gli occhi e si umettò
le labbra. Maledì la maestria con cui l’irlandese aveva messo a nudo la maschera che si era così sapientemente
calato sul volto.
-So solo che qualcosa ribolle, nel
mondo- mormorò, con voce roca -Tra le dita sento la grana della polvere da
sparo, se guardo lontano, vedo sollevarsi al cielo mille occhi vuoti, mani e
dita scheletriche, come fiori pallidi che si torcono nel sangue alla ricerca di
un po’ di sole. C’è un nervo teso ad arte nel cuore dell’Europa. Mi chiedo solo
di chi sarà il tocco abbastanza forte da farlo vibrare-
Non era qualcosa che riusciva a
spiegare: era una sensazione, una visione vaga e lontana, che ghignava
all’orizzonte. Il lezzo del fuoco vomitato dalle pistole, lo stridio di ali
metalliche contro il cielo erano così intensi, che Francis poteva rimanere ore
a fissare il soffitto, ansante. Il sudore di una nottata in compagnia della
donna più bella gli si congelava sulla pelle e i polmoni pesavano nel petto;
respirava a fatica e vedeva ombre sanguinolente accartocciarsi, srotolarsi,
raggrinzirsi ai lati degli occhi. Di fondo, il fumo e la polvere dominavano la
scena.
-Dunque la Belle Époque non è che una gabbia dorata dentro cui nascondervi?
Dove rimanere per non essere il primo a far vibrare il nervo?-
Non c’era durezza in quelle parole,
solo un accenno di curiosità e Francis lo comprese; tornò a voltarsi verso il suo
interlocutore e sorrise, beffardo.
-Una gabbia? Non, direi una rete! Tra quelle maglie dorate ho intrappolato
l’Europa. Nessuno potrà fuggire da questi anelli in lamina di felicità e
benessere. Chi, poi, vorrebbe farlo?-
Gli uomini non potevano vedere, non
potevano sentire ciò che lui provava, che avvertiva come mille aghi sottopelle.
Vivevano le loro esistenze scivolando nella sinfonia grottesca di quel mondo
perfetto, tessuto ad arte da dita incrostate di sangue, da mani piagate per il
pomo di una spada o appesantite dal ferro del fucile. Che restava alle Nazioni,
che tanto avevano faticato per intrappolare il popolo e rimanendone
intrappolate a propria volta, se non lasciarsi ingannare dalla medesima
melodia?
Non esisteva inganno migliore di
quella menzogna che Francis aveva contribuito a creare e in cui amava perdersi,
annegare fino ad annaspare nella troppa mortalità, fino a quando le sue visioni
non diventavano che meri fumi di una presunta –e umana, oh sì, così umana- ubriachezza.
-E se accadesse?-
Cosa rimarrebbe,
se non i frantumi di una Nazione mascheratasi da uomo? Era la domanda non
posta, cui il parigino temeva di rispondere.
Sorrise, comunque.
L’uomo davanti a lui, seppur
irriconoscibile per il riso venato dalla nevrastenia o per il fetore d’assenzio
di cui era intriso il suo alito, aveva fatto dello sgretolare maschere la
propria arte.
Di che si stupiva se aveva scoperto l’inganno?
-Se ciò accadesse...- Francia portò la
mano ad accarezzare il collo del flûte -C’è la medicina per il mio male
incurabile: lo champagne- sorrise -Nel
sentirlo scorrere come una lingua di fuoco, divento ebbro d’umanità e mi
convinco che poco o nulla ho a che fare con quello che succede- sospirò,
lanciando un ultimo sguardo alla sua bella Parigi -Nell’ambra di un calice
colmo, vedo riflessa la mia esistenza e mi convinco che sia vita- con gesto felino, si portò il
flûte alle labbra e lo svuotò in un unico sorso.
Francis chiuse gli occhi, raccogliendo
a punta di dita una goccia che dalla bocca era scivolata fino al mento.
-E voi, monsieur?- domandò, tenendo sempre il calice in mano –Voi perché
bevete champagne?-
-Io? Oh, io adoro i piaceri semplici, sono l'ultimo rifugio delle persone
complicate-
[Parigi, 1900.
Rue des
Beaux-Arts 13]
***
Note Pre-Consegna
Spero si sia capito che il personaggio
con cui Francis sta avendo il suo dialogo – discussione – introspezione, altri
non è che lo stesso Oscar Wilde.
Da parte puramente storica, Wilde
terminò la sua vita proprio a Parigi, dove alloggiava in Rue des Beaux-Arts 13.
Cito da Wikipedia:
“Malato di nevrastenia o di
avvelenamento da cozze, come sosteneva lo stesso Wilde, soffriva di un forte
prurito e si doveva continuamente grattare le varie chiazze sul corpo. Il
medico, che secondo Ross tardò nella corretta diagnosi, lo visitò 68 volte.
Rimase confinato a letto dal settembre
del 1900 e venne operato per una paracentesi del timpano (o forse per
asportazioni di polipi) , A mezzogiorno del 29 ottobre si alzò dal letto, dopo
pranzo passeggiò con Ross e al bar bevve dell'assenzio.
Il giorno dopo peggiorò, per un'otite
media probabilmente dovuta alla sifilide terziaria, una malattia che si era
manifestata molti anni prima Morfina,
oppio e cloralio gli venivano somministrati per alleviare il dolore, ma beveva
champagne ogni giorno. La vecchia suppurazione dell'orecchio destro peggiorò, a
novembre l'infiammazione arrivò al cervello causando una meningoencefalite.”
Ho sparso
molte citazioni su questo scrittore che tanto ammiro (e di cui spero di essere
riuscita a dare un’interpretazione quantomeno plausibile), come il vestito a
lutto che egli indossava ad ogni compleanno o il garofano verde, suo simbolo e
titolo dell’omonimo film (che amo alla follia).
La
“maschera” è quella delle “buone maniere”, di cui l’esempio più lampante si
trova nella commedia “The Importance of
Being Ernest” [Figura da Nerd, I]
E, ora, la
domanda più importante. Perché relazionare
Francis Bonnefoy e Oscar Wilde?
Motivo più palese, avendo passato gli
ultimi giorni della propria vita a Parigi, non mi sembrava così inverosimile
che i due si potessero incontrare.
Poi, motivo Letterario-Estetico: Oscar Wilde è il Dandy per eccellenza. Il Dandismo trova le sue radici
nell’Estetismo, a sua volta una tendenza del Decadentismo. Il Decadentismo
nasce in Francia dove trova in Baudelaire il suo precursore e in Verlaine o
Rimbaud e nel movimento Bohemienne il suo apice.
“A’ Rebours”, romanzo di Huysmans è, di
fatto, la Bibbia del movimento Esteta e Decadente, citato proprio ne Il ritratto di Dorian Gray. Senza
Huysmans, Wilde non avrebbe mai scritto la sua opera più famosa. [Figura da
Nerd, II – La Vendetta]
“Hetalianamente” parlando, Francis
stesso si descrive come il “più dandy tra i dandy”, quindi mi piaceva l’idea di
mettere a confronto questi due personaggi.
Infine, in
tutta la storia ho cercato di mantenere una sorta di parallelismo tra l’essere complicato di Francis e l’essere
complicato di Wilde. L’uno, il dandy che si nasconde –e lo fa consapevolmente-
nella gabbia dorata della Belle Époque, e che cerca di negare la propria
progressiva decadenza verso la guerra; l’altro, il Dandy decaduto che si riarma
del vecchio spirito, dello scalpello dell’ironia per tornare a frantumare le
maschere della società contemporanea, di cui Francis è il rappresentante.
Entrambi
sono malati (Wilde nel corpo e Francis nello spirito) e hanno come unica
medicina, come unico piacere per
lenire il grigiore della loro esistenza, un bicchiere di champagne.
Ecco perché
ho voluto inserire la citazione a chiusura de testo, sperando che si riesca a
capire quanto essa si riferisca ad entrambi i personaggi, sempre per il
parallelismo che ho tentato goffamente di spiegare prima.
Mi riesce
sempre più facile lasciare indizi all’interno della storia che spiegare alla
fine, lo trovo dannatamente difficile XD Ma volevo comunque spiegare le
motivazioni –cervellotiche- che mi hanno portato ad una tale scelta di
personaggi.
Spero con
tutto il cuore che si capisca, oltre che da quest’ultimo papiro, soprattutto
dal testo.
Ancora
grazie per la proroga,
Auguri di
Buon Natale e Felice Anno Nuovo,
Nemeryal ~
Commento del Giudice: pucchykø_girl
Mi sembra stupido dirlo, poiché questa storia s’è classificata prima, ma
ho ben poco da commentare a riguardo, perché forse le parole non
basterebbero. L’ho trovata non solo ottima, ma anche “bellissima” in
quell’accezione del tutto affettiva che lascia capire quanto mi abbia
trasmesso e quanto mi abbia coinvolto.
L’ho trovata davvero originale non solo per la trama – di cui
parlerò più nello specifico tra poco – ma anche per la scelta del
‘genere’; hai voluto ritrarre un momento, una conversazione, una
confronto di pareri tra due persone che per quanto simili sono anche
profondamente diversi, sono padre e figlio, maestro e allievo l’uno
dell’altro contemporaneamente, Francis forse più di Wilde, che in sé ha
maturato una disillusione che bene o male è sempre emersa nei suoi
scritti (e che tu stessa citi all’interno della storia). Questa scelta,
lo dico sinceramente, m’è sembrata un po’ azzardata, perché è sì vero
che sicuramente – come lo stesso Wilde testimonia – non c’è nulla di più
“calzante” che un dialogo per parlare della sua filosofia, ma nel
contempo lo trovo anche estremamente difficile, perché esiste sempre il
rischio di cadere nel banale…
Ebbene, questo non è successo nella tua storia, tutt’altro. L’ho
trovata invece molto interessante sotto quel punto, senza che scadezzi
in scontatezze di bassa lega, in particolare nel ritrarre Wilde, che,
sì, è personaggio assai difficile da inquadrare.
Mi è piaciuta e mi ha convinto davvero molto la tua resa di
Francis, premettendo che, in genere, sono molto pignola e critica quando
si ha a che fare con lui; mi ha convinto perché credo che tu sia
riuscita a racchiuderlo appieno come uomo e come nazione – del resto la
tua storia gioca anche su questo doppio livello di lettura – nelle sue
contraddizioni, nella sua malinconia così spesso abilmente camuffata e
nel contempo in quella sua volontà di illudersi in continuazione.
Sembrerà stupido, ma quello è un aspetto di Francis a cui io bado
molto, soprattutto quando cerco di vederlo in un’ottica prettamente
storica… che si parli della Guerra dei Sette Anni, della Prima Guerra
Mondiale o della Seconda, noto sempre questa volontà dei francesi di
“illudersi” da soli. Di negare anche davanti all’evidenza o davanti al
loro stesso sentore.
Visto che l’ho già citato, vorrei sprecare due parole su una
trovata che reputo ‘geniale’, ovvero quella di giocare questo dialogo
anche sui due piani di lettura che di base hanno i personaggi di
quest’opera: il lato umano e il lato di “nazione” che ogni personaggio
ha in Hetalia; è una cosa che io stessa ho sperimentato nei miei
racconti, e trovo affascinante il modo in cui tu hai fissato questo nel
tuo “spaccato di vita”, in particolare quando è Wilde stesso a parlarne
in un modo che io ho quasi letto in una chiave ironica a lui tanto cara.
Wilde, ecco, visto che l’ho citato, spenderò qualche parole anche
su di lui: credibile. L’ho trovato semplicemente credibile – sì, lo so, è
una sola parola… - e non potrei aggiungere altro, perché il personaggio
che ho visto nella tua storia è esattamente quello che ho sempre visto
emergere dai suoi libri e la reazione di Francis alle sue parole
volutamente provocatorie è la reazione esatta e precisa che la società,
non solo inglese, ebbe rendendosi conto di come Wilde la prendeva in
giro senza ch’essa se ne rendesse conto.
Ho trovato il tutto non solo molto calzante con la citazione, ma molto calzante nel contesto generale.
E aggiungo una nota di merito particolare alla scelta linguistica e
sintattica che hai adoperato: mi ha ricordato molto il primo capitolo
de “Il ritratto di Dorian Gray”, in quella descrizione così
particolareggiata e pregna di ‘sensismo’, e che – visto che hai citato
anche “l’impressione” nella tua storia – calza anche molto con la
filosofia che Schnitzler e Joyce adottano nella loro produzione
artistica, nel descrivere i personaggi tramite i loro gesti e le loro
reazioni, in un uso sapiente degli aggettivi, senza che il narratore si
insinui in maniera fuorviante nella storia.
Questa credo sia la vera forza di tutta la storia, la capacità di
giocare con le parole che hai dimostrato, ritraendo un quadro
interessante di un dialogo che se non fosse stato così approfondito e
curato avrebbe forse lasciato spazio solo a banalità troppo ovvie.
Neanche a dirlo, ho molto apprezzato anche la cura che hai messo
nel citare e nell’infarcire la storia di riferimenti letterari e
culturali che non fanno mai male—dall’altra parte, come ho già detto per
altri, c’è sempre il rischio che la storia non sia comprensibile ai
più, e proprio per questo ho anche apprezzato molto le note. Soprattutto
quando ho confermato il mio sospetto su chi fosse la “sorpresa”
all’interno della storia.
A tal proposito, ho trovato molto originale e divertente anche il
disseminare indizi più o meno palesi all’interno della storia riguardo
il personaggio di Wilde.
Di note di demerito non ne ho di particolari da sottolineare, se
non ogni tanto un uso scorretto della punteggiatura, che in alcuni punti
ha in parte appesantito il testo in certi passaggi; questo purtroppo
l’ha resa giusto un poco sotto un livello che avrebbe forse rasentato la
perfezione, poiché, anche se particolareggiato da un certo “manierismo”
che nel contesto non stonava affatto, ho trovato la narrazione
parecchio fluida e coinvolgente, in particolare le riflessioni, i
ricordi e i sogni di Francis, senza per questo sminuire i sapienti
quadri descrittivi che sei riuscita a creare.