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Autore: logosandpathos    18/01/2012    3 recensioni
"Torna da me, Sherlock. Torna da me, torna da me, torna da me."
Ispirata ad "Oceano di Gomma" degli Afterhours.
Spoilers: The Reichenbach falls.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Mi manchi”.
La lapide in pietra nera non gli avrebbe risposto, lui lo sapeva. Ma John si recava ogni giorno a parlare con quel nome scritto in stampatello dorato su un pezzo di roccia lucida. I suoi occhi si inumidivano ogni volta che i ricordi tornavano ad assalire il suo corpo smagrito e fragile, anche se ormai era passato quasi un intero anno.
Aveva voluto rivedere Ella, che continuava a suggerirgli di scrivere sul suo blog. Ma come avrebbe potuto, quando su quella pagina web erano scritte tutte le avventure vissute insieme a lui? E ora i commenti indignati della gente che credeva ai tabloid inondavano i post e lui non poteva fermarli. In una recente entry aveva semplicemente lasciato una richiesta:

 

“In qualità di suo coinquilino e amico, mi rifiuto di credere alle voci che definiscono Sherlock un mitomane. L’ho visto fare cose straordinarie e io so che non potevano essere costruite precedentemente.  Tuttavia, non è nel mio interesse farvi cambiare idea sul suo conto. Vi prego, semplicemente, di non profanare questo blog, che è l’unica cosa che mi resta per ricordarlo come davvero era: un genio assoluto, una persona controversa ma, sopra ad ogni cosa, un uomo impagabile a cui devo molto più di quanto possiate immaginare, la cui morte mi ha lacerato dentro.
Era il mio migliore amico e crederò sempre in lui.
Grazie, Sherlock Holmes.
John Hamish Watson”

 
Ma i commenti non si erano fermata, anzi quell’ultimo post aveva acceso una nuova rabbia nei lettori, che lo additavano complice di quello scempio.
Così John aveva smesso di scrivere, consapevole di aver mentito riguardo alla sua incrollabile fede nell’innocenza di Sherlock. Infatti, ogni tanto, nelle sue notti insonni, si era sorpreso a pensare che forse la stampa non aveva torto, forse Sherlock era una sorprendente mente criminale in cerca di approvazione. Allora usciva dalla sua stanza e, al buio, si dirigeva verso la camera da letto dell’amico per prendere a pugni il cuscino su cui egli aveva riposato tante e tante notti. Le lenzuola non erano state cambiate e conservavano il profumo penetrante del detective e John, sfinito dopo aver combattuto i suoi fantasmi, sprofondava nel sonno, con ancora sulle labbra il nome di Sherlock. E nei deliri notturni quegli occhi cerulei si riaprivano per lui. Sherlock faceva quell’ultimo miracolo e tornava al suo fianco. John e Sherlock, Sherlock e John. A volte addirittura, i sogni erano talmente vividi che riusciva a sentire il contatto delle loro mani come quella sera davanti all’autobus che stava per investirli e la sua voce profonda che mormorava: “Mi manchi anche tu, John.” Così le urla nel sonno del dottore diventavano tanto strazianti da costringere Mrs. Hudson a portare dei calmanti e qualche straccio bagnato da mettergli sulla fronte, per cercare di abbassare un po’ quella febbre che lui continuava a definire “inesistente”.
“Ora basta, John. Non puoi andare avanti così – gli diceva restando accanto al letto, anche lei visibilmente commossa – questa febbre ti tormenta. Non uscire di casa, per amor del cielo.”
Ma John imperterrito tornava ogni giorno al cimitero. Talvolta con un fiore, altre volte con una foto, con una poesia o un disegno. Come un bambino, dimostrava affetto al corpo freddo e immobile nella bara riempiendolo di regali, pensieri e ricordi che di certo ad un defunto non sarebbero serviti molto. Nel contempo, però, John aveva maturato una consapevolezza del tutto nuova e straordinaria: lui amava Sherlock. Lo amava di un amore astratto ma potente, che non l’aveva fatto nemmeno riflettere sul suo orientamento sessuale. Ma non avrebbe saputo descrivere in altro modo quel tumulto, quello struggimento, se non come la perdita di un amato.
Allora aveva deciso di non nasconderlo più e abbracciava la lapide gridando: “Ti amo, Sherlock, torna da me, torna da me, torna da me.” E continuava a supplicarlo fino a quando, senza più voce e totalmente bagnato dalla pioggia, decideva che le suppliche non avevano avuto successo.
La sua salute continuava a deperire. Mangiava poco, dormiva poco, lasciava casa nel più totale disordine mentre restava disteso sul divano a fissare il soffitto, avvolto nella vestaglia di Sherlock.
Un pomeriggio accadde però che, addormentatosi sul divano, al suo risveglio trovò la porta spalancata e la stanza totalmente in ordine.
“Mrs. Hudson!” chiamò dalla tromba delle scale, noncurante degli altri inquilini e sicuro che fosse stata lei a rassettare l’appartamento. Cosa inaccettabile, visto che John aveva lasciato tutto come l’ultima volta che era uscito di casa insieme a Sherlock, quel maledetto giorno.
“Mrs. Hudson!” gridò di nuovo il dottore. Non ricevendo risposta, scese le scale di volata e cominciò a bussare violentemente alla porta della padrona di casa.
Lei aprì la porta, sorpresa e leggermente intimorita dall’atteggiamento dell’uomo, e chiese: “John, che succede?”
Lui, per tutta risposta la immobilizzò contro il muro e come un cane rabbioso esclamò: “Come hai potuto? Come ti è anche solo saltato in mente – e qui cominciò ad alzare la voce, ma un groppo in gola fece sembrare le sue parole un rantolo – di spostare le sue cose?”
La donna, con gli occhi sbarrati dall’incredulità disse: “Non so di cosa tu stia parlando, John”.
Il dottore mollò la presa, improvvisamente emaciato: “Lei non ha rassettato l’appartamento?”
“Me ne sarei presa volentieri il merito, John. Quella casa è un porcile! Ma stavo guardando EastEnders. Non mi sarei allontanata dalla TV neanche per la regina in persona.”
Il panico si impossessò dell’uomo impedendogli di ragionare lucidamente. Che Mycroft avesse scoperto le condizioni in cui si era ridotto a vivere? Decise di mandargli un messaggio per chiedere chiarimenti ma la risposta, oltre ad essere negativa,  fu particolarmente dolorosa a causa di quella semplice firma “MH” che Mycroft apponeva alla fine dei suoi messaggi, proprio come suo fratello Sherlock. SH.
John tornò nell’appartamento, che sembrava così vuoto senza tutti gli appunti sparsi sul pavimento. Chiuse la porta dietro di sé, si sedette in mezzo alla stanza ed imprecò. “Bastardo, dannato bastardo. Vigliacco. Mi hai lasciato qui, solo. Stronzo, stronzo, stronzo, mille volte stronzo. Se tu fossi stato ancora qui, lo so, avresti capito subito chi ha osato toccare le tue preziose cose. E invece non ci sei. Bastardo, stronzo, bastardo.”
Si diresse verso la cucina e cominciò a bere del whiskey direttamente dalla bottiglia, deciso a prendersi una sbronza colossale. Non avendo mangiato nulla, si sentì subito male. E, stordito, rimase rannicchiato sul pavimento, le ginocchia giunte al mento, fino ad addormentarsi.
I sogni tornarono ad accavallarsi vividi l’uno sull’altro e John si sentì improvvisamente leggero, poi di nuovo pesante. Di nuovo gli occhi di Sherlock si aprivano e lui ricominciava a gridare forte il suo nome. Poi, nel sonno, la sensazione di ricevere un abbraccio. Perché improvvisamente sognava suo padre e la casa in Scozia dove trascorreva le vacanze da bambino? E l’abitazione prendeva la forma delle case a Dartmoor, rivedeva il mastino e le luci intermittenti sulla collina e John urlava più forte ancora. Allora il cielo si trasformava, le nuvole bianche e la volta azzurra diventavano di nuovo quegli occhi. “Mi sei mancato, John”. Il dottore sentiva il suo alito caldo contro il collo e lo immaginava mentre col naso sfiorava i suoi zigomi e le orecchie e con le mani lo cingeva in vita. Sentiva ben distinto il suo profumo, e lasciò che la sua mente lo imprimesse a fuoco nella memoria. “John, io non voglio andare via. Non voglio.” Poi di nuovo il volto di Sherlock scompariva. E l’acqua cominciava ad impossessarsi di tutto. La sua pelle ora era gelida e non riusciva più a respirare. Annegava. Il detective era rimasto in fondo e non si muoveva. “Sherlock!” gridò un’ultima volta.
Poi si svegliò con un forte mal di testa. Aveva freddo, eppure lui teneva sempre le imposte chiuse. Istintivamente portò la mano nel punto del letto in cui aveva sognato che si trovasse Sherlock. Era stranamente tiepida al tatto. Sgomento, avvicinò il volto al cuscino e il profumo del detective lo avvolse con violenza. “Il potere della suggestione” pensò. Non era spaventato dal fatto di ritrovarsi nel letto. Aveva attribuito la colpa ad un attacco di sonnambulismo. Ma un brivido lo scosse e lui si voltò.
Le tende della finestra si gonfiavano in una irriverente danza col vento londinese di aprile.
 
“Tu non sei più vivo e io non sono mai stato in grado di amare.”

Note dell'autrice: la storia è stata fortemente ispirata dalla canzone "Oceano di Gomma" degli Afterhours, nella versione cantata insieme a Vasco Brondi. (http://www.youtube.com/watch?v=JVAPcXusUAA) Nel testo si trovano anche riferimenti a "One Day" di David Nicholls e al film "Espiazione".

   
 
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