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Autore: Edenya404    19/01/2012    7 recensioni
Attention! Spoilers 02x03
I senzatetto sono la società perfetta per un sociopatico, tu sei la società perfetta per Sherlock Holmes.
E posso solo sperare, mentre te ne vai, di trovarti ancora qui domani.
Angst, no slash, Angst, Bromance... l'ho detto Angst?
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi citati non mi appartengono ma sono di proprietà della BBC e affini… bla bla bla…non ci prendo soldi, mi piace solo farmi e farvi del male;)

 Niente introduzioni, ci vediamo alla fine.

Buona lettura.

 

WELCOME HOME

 

 

“Keep you eyes fixed on me. Could you do that for me, please?”
Non ci sarebbe stato neppure bisogno di chiederlo. Ho sempre tenuto il mio sguardo puntato su di te, l’ho fatto in quel momento e continuo a farlo adesso, sebbene al posto di un corpo longilineo e pallido davanti a me ci sia un freddo marmo nero. Per tutti il genio suicida, Holmes lo strambo, l’impostore. Per me soltanto Sherlock, perché nessuno degli aggettivi banali che la lingua mette a disposizione potrà mai descrivere ciò che sei ai miei occhi. E tu l’hai visto, quel giorno sul tetto, ne sono certo, è per questo che mi hai chiesto di tenerli fissi su di te, per poterti vedere in essi e convincerti di ciò che sei realmente, al diavolo Moriarty e le falsità della gente.
I was so alone and I owe you so much.”
Sono giunto alla conclusione che il dolore sia un ottimo antidoto alla noia, Sherlock. Lo cerchiamo ogni momento della nostra vita, perché ci piace sentire il nodo alla gola e gli occhi che pizzicano certi che, presto o tardi, passerà. La felicità a lungo termine è banale, la semplicità stessa della vita ci getta nell’accidia, nell’insoddisfazione, nel dolce far niente. Quanto è bello invece sentire l’amaro in bocca? Aspettare che arrivi qualcosa a toglierlo? Il dolore è adrenalina, la paura è la siringa che te la inietta; noi lo sappiamo bene, Sherlock. Noi che abbiamo guardato la morte e il pericolo in faccia più d’una volta, insieme, consci che lo avremmo superato. Ci siamo sempre gettati in corse sfrenate contro un buio che a volte neppure tu riuscivi a capire e, sebbene materialmente tu mi abbia tenuto per mano una sola volta, sapevo che lo facevi sempre, pronto a tirarmi al tuo fianco se solo mi fossi allontanato. Cercavamo il dolore per sentirci vivi, per farci sbattere contro un muro d’esistenza. Ma esiste un male che non può essere combattuto, che ti fa credere il contrario fino all’ultimo secondo, finché non sei sul tetto di un ospedale e non ti resta altro da fare che saltare. È allora che l’adrenalina ti si rivolta contro, spezzandoti le ginocchia, e il sangue corre così veloce che ti fa pulsare il cervello mandando a farsi fottere ogni raziocinio. Persino tu , che hai sempre fatto di tutto per evitarlo, sei stato tradito dalle emozioni. Non potevo vederle da laggiù, ma ho sentito ogni lacrima come se stesse colando sul mio viso ed è stato allora che ho capito che quella volta ci eravamo spinti troppo in là, che non ci sarebbe stato nessun “qualcosa” a togliere quel dolore.
“Goodbye John”
Il telefono lanciato a terra, il tuo corpo che ondeggia verso il vuoto, il mio urlo, la caduta e il cuore che si ferma. I timpani che si spaccano, come ogni cosa che aveva retto in piedi la mia vita fino ad allora, come te, al suolo, su quell’asfalto macchiato di sangue.
-Ti ho sempre creduto Sherlock, ma non stavolta. È tutto troppo assurdo anche per te.
Poggio una mano sulla lapide, strozzando un sorriso amaro. Quante vite ho visto terminare in Afganistan? Quanti amici morire? Nessuna di quelle morti mi ha mai ucciso a sua volta come la tua. Forse ho semplicemente perso il rigore militare o forse “migliore amico” non è l’appellativo giusto per te. Tuttavia chiederselo adesso non ha minimamente senso, tu non ci sei più ed io muoio con te ogni giorno, lasciando pezzi di anima sulla poltrona vuota del 221b.
-Non sei un impostore. Sei un eroe, il mio eroe se nessun’altro ti vuole. Quindi, ti prego…smettila.
Ti volto le spalle, per non farti vedere che sto piangendo. Abbiamo ottenuto quello che volevamo: un dolore eterno che ci salvasse dalla noia, ma non saremo  insieme ad affrontarlo. E adesso non mi resta che tornare a casa.

 

“One more miracle Sherlock. For me. Don’t be dead.”
Vorrei uscire fuori dal mio nascondiglio, dietro a questo tronco, e venirti incontro. Vorrei fare quel miracolo per te, essere ancora una volta l’eroe che nessuno, eccetto te, ha mai visto ed invece rimango immobile ad osservarti, come sempre da un mese a questa parte. Abbiamo un appuntamento, John, anche se non lo sai. Ogni giorno alla stessa ora aspetto la tua visita, pregando che tu arrivi anche stavolta, che tu non la smetta di aspettarmi e trattengo il fiato finché non ti vedo svoltare l’angolo della cappella. Il passo sicuro e ritmato del soldato, la testa alta ma l’anima a terra, trascinata dietro al corpo per inerzia, attaccata alle toppe del giacchetto o al “mio” cappello che spunta dalla tua tasca.
“I was so alone. And I owe you so much.”
Sono sempre stato convinto che la mia mente fosse l’unica compagnia di cui avessi bisogno, la sola cosa a dover essere protetta e preservata. Poi sei arrivato tu e tutto è cambiato. Ti sei infilato nella mia quotidianità con una tale naturalezza che era come se ci fossi sempre stato. Con la tua vestaglia blu, i piedi scalzi, la tazza di tè in mano, i maglioni più strani e il tuo blog.
È sempre stato così scontato averti attorno che non mi sono mai fermato a riflettere. Sì, John, il “super-scienziato” Sherlock Holmes non è stato capace di usare il suo acume e, così facendo, mi son lasciato sfuggire una verità che ho compreso troppo tardi. Ho dovuto provare la solitudine, ho dovuto sentire il dolore dell’aver perso la propria identità, la preparazione ad una morte nella vergogna, per rendermi conto di ciò che sei e che siamo. Vedi? Il corpo mi ha tradito, di nuovo e te ne sei accorto anche tu. Non potevi vederle le lacrime che hanno impregnato questa sciarpa, ma sono certo che le hai sentite nella mia voce incrinata, così come hai sentito le mie dita percorrere la linea del tuo viso.
Non era una recita John, sebbene dovesse esserlo. Ero io, una parte di me che non avevo mai visto, quella che muore ogni giorno, portata via pezzo dopo pezzo dal dolore che io stesso ti ho inflitto. E mi spaventa,tanto che conficco le unghie nella corteccia per impedirmi di correre da te e mandare tutto il mio piano all’aria, esponendoti ad un altro pericolo inutile.
Goodbye, John”
Il cellulare gettato via, il mio corpo che si sporge, gli occhi che corrono al camion dei rifiuti guidato da Molly, chiedendomi se sarei riuscito a centrarlo da lassù*, poi il tuo urlo, un lancio nel vuoto e il cuore che si ferma. Gli occhi che bruciano, colpiti dal vento come il mio cervello, dove ancora rimbomba l’eco della tua voce, dove devo decidere di lasciarti indietro, almeno per adesso.
-Sono qui, John.
Un bisbiglio che si perde tra le lapidi. Infilo le mani in tasca, estraendo il telefono che ho recuperato e scorrendo la rubrica per poi fermarmi sul tuo nome. La tentazione di mandarti un messaggio è forte e lotta con rabbia contro la mia razionalità, ma finché il boom mediatico non si sarà placato non posso fare nulla tranne rifugiarmi sotto ai ponti, sparire nella mia rete di senzatetto. Sono gli unici che non hanno voglia né tempo di giudicare il prossimo, gli unici a cui non importa chi io sia o cosa faccia, la società perfetta per un sociopatico come me.
Mi viene da sorridere al pensiero, un sorriso amaro. Tu sei l’unico a non avermi mai giudicato e non per mancanza di voglia, ma perché non hai mai trovato niente in me che fosse strano ai tuoi occhi, l’unico che mi ha sempre appoggiato, negando la mia colpevolezza anche quando ero io a confessartela. I senzatetto sono la società perfetta per un sociopatico, tu sei la società perfetta per Sherlock Holmes.
E posso solo sperare, mentre te ne vai, di trovarti ancora qui domani.

 
[Da qui in poi consiglio l’ascolto di questa canzone (http://www.youtube.com/watch?v=PfbF44UeRBY) che mi ha accompagnata mentre scrivevo il pezzo.]

Two months later…

Il salotto del 221b è avvolto dalla penombra, illuminato qua e là dai raggi pallidi della luna, il pavimento è ricoperto di barattoli, provette, libri… in un angolo tre scatoloni vuoti strappati ai lati. La signora Hudson vi aveva riposto le cose di Sherlock per donarle ad una scuola ma John, dopo essere tornato nel loro appartamento (perché non c’era alcun posto dove volesse stare), si era opposto. Non ci era riuscito, così come non era stato capace di rimettere tutto apposto; il suo unico tentativo era fallito non appena le sue dita avevano sfiorato il violino, costringendolo a terra, rannicchiato come un feto, bagnato di lacrime e circondato da oggetti che sapevano troppo di passato per poterli anche solo toccare.
Fa qualche passo, cercando di non calpestare niente, muovendosi con incertezza. La mente che trema, le gambe ingessate nei movimenti e le dita che accarezzano l’aria silenziose. Tre mesi sono passati dalla sua finta morte, la stampa oramai ha ben altro a cui pensare e lui è riuscito a trovare le prove per dichiararsi finalmente innocente e riprendersi la sua vita e tutto quello che contiene, John compreso. Ha controllato spesso il suo blog, sperando di veder comparire un qualche post che gli dicesse come stava, cosa stesse facendo ed invece erano stati tre mesi di assoluto silenzio. Sherlock si era chiesto se lo avrebbe trovato a casa, se non si fosse rifatto una vita nel frattempo e quanto fosse giusto tornare, rigettarlo in quella giostra di pericoli ora che lo aveva appena liberato. Poi però l’egoismo aveva vinto la ragione e si era detto che se non doveva rivederlo più tanto valeva morire sul serio. Così eccolo lì a respirare piano l’odore di casa.
Al piano di sopra John è avvolto dalle coperte e suda, sebbene fuori ci sia la neve. Nella sua testa c’è un bianco opprimente, un bianco spaccato che cola sangue e si mescola ad un azzurro così familiare da farlo piangere nel sonno. Non sono spariti gli incubi, il tempo non è servito a nulla se non ad accentuare il vuoto nel suo cuore allargandolo, mese dopo mese, alla sua anima, al 221b e infine a Londra intera. Si era detto che sarebbe tornato, perché Sherlock non avrebbe mai lasciato questo mondo senza una meritata fama, il suo ego non glielo avrebbe permesso. Così aveva aspettato, ma dopo tre mesi di silenzio, persino le sue forze si sono esaurite riducendolo ad un corpo vuoto che grida la propria disperazione durante la notte, svegliando e commuovendo la signora Hudson, impotente davanti a quel dolore.
L’odore di casa è forte, pieno di ricordi piacevoli che pizzicano gli occhi. Sherlock lo inspira piano, come se potesse finire da un momento all’altro. Passa una mano sul legno lucido del violino, abbandonato mollemente sulla sua poltrona nera, come un silenzioso cane da guardia che aspetta solo il ritorno del padrone. Serra le palpebre, mordendosi un labbro, immergendosi nel proprio palazzo mentale e ripercorrendo a ritroso porte e strade che, per il suo bene, aveva tenuto sigillate negli ultimi tre mesi.
La valigia rosa, la gelosia per il primo appuntamento con Sarah, dinamite ed acqua che palpitavano sotto pelle, lo sguardo ferito dalla sua mancanza di tatto e quello soddisfatto dopo avergli detto di essere il suo unico amico, il modo fiero di annodarsi la cravatta prima del processo, la mano tesa verso di lui…
Un urlo, dal piano di sopra, lo sbalza brutalmente nella realtà. Deglutisce un paio di volte, cercando di capire come mai qualcosa fa male dentro di lui adesso, lì dove teneva rinchiuse tutte le fastidiose emozioni. Qualcosa è appena scappato, correndo come un folle per le sue vene.
John si alza di scatto, la fronte sudata, le guance umide e il battito irregolare, frenetico. Ha la gola secca e il suo respiro affannato non lo aiuta. Cerca di contenere i tremiti mentre si infila la vestaglia, quella blu che un tempo aveva indossato il suo coinquilino e che ancora possiede, intrappolato tra le maglie, il suo odore.
I gradini sembrano aumentare di numero mentre li scende con lentezza calcolata. Deve bere qualcosa, possibilmente qualcosa di alcolico e forte. Il salotto del 221b di Baker Street è semibuio ma lui non accende la luce, conosce ogni angolo a memoria e teme di non riuscire a tollerare la vista di tutti gli oggetti che ricoprono il pavimento, non a quest’ora della notte. Si dirige in cucina, aprendo furiosamente gli sportelli alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa che abbia almeno un tasso alcolico sopra lo zero virgola uno. Niente, ad eccezione di una scorta di earl grey.
-Maledetta Mrs Hudson!
Urla al muro, sbattendo forte il pugno sul tavolo per poi appoggiarvisi coi palmi aperti e lasciar scorrere le lacrime sul suo viso.
-Maledetto Sherl…
Si blocca. Non riesce a pronunciare il suo nome, non è più capace da quando lo ha visto cadere nel vuoto, come se le lettere che lo compongo si fossero sfracassate al suolo con lui. Afferra la tazza, deciso a farsi un tè, qualcosa con cui spegnere il fuoco che gli arde la gola.
-John.
La ceramica cade con un tonfo al suolo, sparpagliando piccole schegge bianche su tutto il parquet. Sente il sangue defluire dal cervello, abbandonando il suo corpo, rallentandogli il battito e non sa se credere a ciò che ha sentito oppure no. Si volta piano, pregando che tutto questo non sia l’ennesimo incubo, altrimenti non sa se riuscirà ad uscirne sano questa volta.
Sul profilo della finestra si staglia una silhouette alta, riccioli scompigliati scappano alle linee perfette di quella figura. Non sa se crederci John, vorrebbe accendere la luce ma ha paura e non vuole rischiare di vederlo svanire, anche se fosse solo un sogno.
-Non farlo John, certe cose hanno bisogno del buio.
Sherlock parla con voce tremante, come se non fosse sicuro di quello che dice, come se ogni parola potesse uccidere definitivamente l’unica persona per cui è rimasto in vita. Fa un passo avanti, lasciando che la luce della cucina si appoggi sul suo profilo, rendendolo visibile.
John non parla, è immobile sulla porta, le mani strette sulla stoffa della vestaglia e la lingua che corre nervosa ad inumidire le labbra secche. Non sa cosa dire e neppure cosa pensare, perché quando vedi di fronte a te una speranza che avevi tu stesso seppellito senza possibilità d’appello è come se il mondo si rovesciasse, aprendoti una voragine nel corpo che inghiotte e mescola le emozioni, tanto che non sai se ridere o piangere, o fare entrambe le cose insieme.
L’altro avanza ancora, rendendo visibili anche i suoi occhi adesso. Due pezzi di ghiaccio definitivamente sciolti sotto le sue palpebre.
-Mi dispiace. Ho tanto da spiegarti, John. Perdonami.
Per la prima volta nella sua vita Sherlock ha paura di perdere qualcosa. Teme che il dolore sia troppo, teme la rabbia, la vendetta ma ancor di più teme l’indifferenza. Perché sa che, se rimanesse solo adesso, tornerebbe davvero sul quel tetto e si getterebbe… senza alcuna Molly ad aiutarlo.
Ma John non fa nulla di tutto questo, si lascia andare ad un sorriso per poi corrergli incontro, sbattendo sul suo petto. Al diavolo il contegno militare, al diavolo tutto. Affonda il viso nella sua sciarpa, inspirando il suo profumo, riempiendoci ogni angolo dei propri polmoni. Le mani corrono sulla sua schiena, artigliandosi al cappotto scuro, tirandolo come se stesse per scappare via di nuovo, premendosi quel corpo contro il suo in una disperata ricerca di un contatto che manca da troppo tempo.
Le lacrime rompono gli argini, da entrambe le parti, mentre l’altro lo avvolge in un abbraccio silenzioso, sorridendo sollevato, la guancia poggiata ai suoi capelli biondi.
-Sherlock. Sherlock. Sherlock.
Finalmente riesce a dirlo, John, ed è come rinascere. Sente il dolore ammucchiarsi in un angolo e il cuore riprendere a battere con normalità.
Sono le quattro e mezza di notte al 221b di Baker Street, la signora Hudson, ferma a metà scale, piange in silenzio mentre Sherlock Holmes e John Watson si rialzano dopo aver affrontato la loro più lunga e terribile caduta, insieme.
-Stavolta per sempre, John.

 

 

 
*allora io ho una mia teoria riguardo alla caduta. Sherlock fa posizionare John dietro ad una bassa struttura che gli copre la visuale del marciapiede dove cade; quando John svolta l’angolo si vede il corpo di Sherlock sdraiato di lato (prima cosa strana visto che si è buttato ad angelo) dietro ad un camion dei rifiuti. Dopo una bicicletta colpisce in pieno John (altra cosa strana) che si rialza completamente stordito. A questo punto si può vedere che il camion non c’è più, si intravede solo la fine mentre va via, i paramedici non fanno avvicinare molto John, che quindi scioccato com’è non si accorge di nulla, né della poca somiglianza del viso con quello di Sherlock (il naso è diverso) men che meno del fatto che ha il cranio spaccato dalla parte destra quando,come già detto, è caduto di fronte. Then, i paramedici se lo portano via in fretta e furia (e siamo a tre cose strane). Quindi io credo che Sherly sia caduto sui sacchetti dell’immondizia, alla guida del camion c’è Molly (o qualcun altro)  la quale ha provveduto a far cadere un corpo similissimo a quello di Sherlock dove dovrebbe essere caduto lui.

 

NdA: Parecchie cose hanno ispirato questa ff, oltre alla puntata in sé che mi ha distrutto definitivamente. La prima ispirazione è venuta con “Alibi” dei 30stm, passata in shuffle all’mp3 stamani, che è la mia colonna sonora della prima parte (i pensieri, per intenderci). Per la seconda parte devo l’ispirazione a questa (http://27.media.tumblr.com/tumblr_ly1tv3jSYl1r9rfz5o1_500.png) immagine, a mio parere bellissima. La colonna sonora della seconda parte, invece, che ha ispirato anche il titolo è “Welcome Home” dei Radical Face, l’ho scoperta scaricando un fanmix intitolato “Three years later” che trovate, insieme ad altri due molto belli a questo link: http://www.mediafire.com/?lrqzvi45v89vy

 

Fine della parte burocratica;) Si, lo comprendo, ormai sforno angst a palate e ne vado fiera, sappia telo. Ringrazio tutti voi che avete letto, ancor più voi che commenterete e spero di avervi fatti piangere, sì sono una sadica ù.ù
Permettetemi di dedicare questa piccola creazione alle lacrime del “mio Sherlock” (che è anche la mia beta, oltretutto), perché è grazie ad esse che la pubblico con tanta soddisfazione… le sue emozioni sono la cosa più bella che mi sia dato di osservare a questo mondo.

Detto ciò… peace, love and biscuits **
Per sempre vostra, ma non troppo.
Edenya
(per chi mi seguiva prima, sono Mione14, ho cambiato nick :P)

  
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